Mirco Maestri aveva sbagliato di 24 ore. «Domani Tadej dirà: oggi gliela faccio vedere io». “Quell’oggi” è arrivato appunto un giorno dopo. Il portacolori della Polti-Kometa aveva commentato la corsa per noi e quel giorno Pogacar le prese da Remco Evenepoel, ma soprattutto dal suo rivale numero uno: Jonas Vingegaard.
Oggi, al primo tappone del Critérium du Dauphiné, con la sua innata cattiveria agonistica, il campione del mondo è tornato a imporre la sua legge. Tappa e maglia e soprattutto una netta prova di forza. Ora la classifica dice: primo Pogacar, secondo a 43″ Vingegaard, terzo Lipowitz a 54″ e quarto Remco a 1’22”.
Il re è già tornato
Analizziamo la corsa di Pogacar e della sua UAE Emirates. La squadra corre compatta attorno al suo leader, lascia addirittura l’onere della corsa alla Visma-Lease a Bike che tira sulla penultima salita. L’attenzione da parte di Pogacar è massima e addirittura manda Narvaez a rosicchiare il secondo d’abbuono rimasto al traguardo volante. Dettagli che parlano di una concentrazione massima, quasi feroce, famelica.
Sulla Cote de Domacy ha messo la squadra a tirare. Ha frammentato il gruppo e in una curva particolare, quella in cui Vingegaard nel 2021 saliva volando e lui invece “arrancava” (con due virgolette grosse così visto che finì secondo), ha affondato ancora più forte.
Quel conto aperto col passato
Sullo strappo di Domancy, Pogacar al Tour de France di due anni fa, appunto le prese dal danese. Da quel giorno Tadej ha lavorato come non mai. Al termine di quel Tour cambiò coach e preparazione. E oggi ha servito questa vendetta cucinata a fuoco lento.
«Avevamo il nostro piano – spiega Pogacar mentre era sui rulli per il defaticamento – ma la Visma ha deciso di dare il massimo sulla salita prima del finale. Questa salita mi ha riportato alla mente dei “bei” ricordi (il riferimento è al Tour de France 2023, appunto, ndr). Devo ringraziare ed elogiare Tim Wellens, Jhonatan Narvaez e Pavel Sivakov, sono stati incredibili. Mi sentivo bene, abbiamo deciso di prendere il controllo fin dai primi metri della salita, non avevo nulla da perdere».
«Mi sentivo davvero bene e mi dovevo sbrigare perché volevo vedere l’arrivo di mia moglie al Tour de Suisse – scherza da guascone lo sloveno – quando ho attaccato, sapevo di dover dare il massimo e che mancavano 15 minuti di sforzo alla fine. La sensazione era buona, le gambe giravano bene, è stato fantastico essere davanti».
E qui emerge tutta la ferocia agonistica di Pogacar. “E’ stato fantastico essere davanti”, come se non gli succedesse da un secolo… Non si accontenta mai e infatti è lui stesso a tornare sulla crono.
«Vorrei sapere dove ho perso tempo. E’ una sfida per me e per la squadra cercare di migliorare ulteriormente a crono. La nostra forma è buona, ma dobbiamo anche conservare un po’ di energia per il Tour».
Jonas e Remco…
Vingegaard dal canto suo sembra abbia controllato più che altro di non fare fuorigiri enormi. Alla fine non è mai andato in crisi e il fatto che Pogacar lo abbia staccato in un momento in cui non era sui pedali, ma di passo, vuol dire che il limitatore c’era. Bisogna vedere quanto ha staccato la spina prima del fuorigiri. Quello è il punto chiave.
Anche Pogacar però non sembrava andare oltre certi limiti. Forse davvero oggi la differenza l’ha fatta la motivazione, la voglia di rivalsa. O anche il caldo. All’arrivo il danese è parso essere quello più colpito dalla calura estiva. C’erano oltre 30 gradi, nonostante le zone di montagna.
«Pogacar è stato il più forte oggi – ha detto il direttore sportivo Grischa Niermann – i distacchi all’arrivo sono stati significativi. Certo, speravamo che Jonas potesse rimanere più vicino sulla salita finale. Essendo così breve ed esplosiva, questa tappa si adattava perfettamente a Tadej ed è stato chiaro fin dall’inizio che la UAE avesse un piano. Quando qualcuno è più forte, non puoi fare altro che accettarlo e congratularti con lui per la vittoria. Ma mi tengo il mio spirito di gruppo».
E Remco? Forse Evenepoel anche lui si aspettava qualcosina di più. Invece si è staccato da tre uomini della Visma-Lease a Bike e da tre della UAE Emirates. E proprio la squadra è forse il capitolo più nero per Remco.
Nei trenta che hanno approcciato la salita finale era l’unico della Soudal-Quick Step. Ha lottato, ha provato a gestirsi, forse aveva anche qualche oggettivo impedimento per la caduta, però resta il fatto che alla fine anche Lipowitz lo ha ripreso e staccato.
«Mi sentivo benissimo sulla penultima salita – ha detto senza cercare scuse il campione olimpico – ma forse poi in vista del finale non mi ero ancora ripreso abbastanza da quello sforzo. Non so… Hanno iniziato l’ultima rampa come se il traguardo fosse dopo due chilometri». E infine, laconico, ha aggiunto: «Io ad ogni chilometro diventavo sempre più lento».
Soudal da rivedere
Vero, mancavano Landa e Cattaneo, e Louis Vervaeke si è ritirato (e molto probabilmente non sarà abile per la Grande Boucle), ma contro questi giganti serve di più. Tra l’altro anche Landa non è detto che possa essere subito al top dopo la cadutaccia nella frazione inaugurale del Giro. Mi sa proprio che in casa Soudal dovranno rivedere qualche priorità. E magari chiedersi se Merlier, al quale servono non meno di due uomini, sarà poi così necessario alla Grande Boucle.
«Ci aspettavamo di essere un po’ più avanti – ha commentato il diesse Tom Steels a WielerFlits – E’ un po’ la stessa situazione dell’anno scorso. Dobbiamo ancora recuperare quelle piccole percentuali in salita, ma la strada fino all’ultima settimana del Tour è ancora lunga. Abbiamo ancora del lavoro da fare, ma non è certo un’impresa drammatica. Dobbiamo mantenere la calma e continuare a lavorare». Tuttavia, nessun accenno sulla squadra. In Belgio, e sono parole della TV di Bruxelles, è un tema che è già forte.