Il re si è già ripreso lo scettro. Pogacar devastante a Combloux

13.06.2025
5 min
Salva

Mirco Maestri aveva sbagliato di 24 ore. «Domani Tadej dirà: oggi gliela faccio vedere io». “Quell’oggi” è arrivato appunto un giorno dopo. Il portacolori della Polti-Kometa aveva commentato la corsa per noi e quel giorno Pogacar le prese da Remco Evenepoel, ma soprattutto dal suo rivale numero uno: Jonas Vingegaard.

Oggi, al primo tappone del Critérium du Dauphiné, con la sua innata cattiveria agonistica, il campione del mondo è tornato a imporre la sua legge. Tappa e maglia e soprattutto una netta prova di forza. Ora la classifica dice: primo Pogacar, secondo a 43″ Vingegaard, terzo Lipowitz a 54″ e quarto Remco a 1’22”.

Il re è già tornato

Analizziamo la corsa di Pogacar e della sua UAE Emirates. La squadra corre compatta attorno al suo leader, lascia addirittura l’onere della corsa alla Visma-Lease a Bike che tira sulla penultima salita. L’attenzione da parte di Pogacar è massima e addirittura manda Narvaez a rosicchiare il secondo d’abbuono rimasto al traguardo volante. Dettagli che parlano di una concentrazione massima, quasi feroce, famelica.

Sulla Cote de Domacy ha messo la squadra a tirare. Ha frammentato il gruppo e in una curva particolare, quella in cui Vingegaard nel 2021 saliva volando e lui invece “arrancava” (con due virgolette grosse così visto che finì secondo), ha affondato ancora più forte.

Quel conto aperto col passato

Sullo strappo di Domancy, Pogacar al Tour de France di due anni fa, appunto le prese dal danese. Da quel giorno Tadej ha lavorato come non mai. Al termine di quel Tour cambiò coach e preparazione. E oggi ha servito questa vendetta cucinata a fuoco lento.

«Avevamo il nostro piano – spiega Pogacar mentre era sui rulli per il defaticamento – ma la Visma ha deciso di dare il massimo sulla salita prima del finale. Questa salita mi ha riportato alla mente dei “bei” ricordi (il riferimento è al Tour de France 2023, appunto, ndr). Devo ringraziare ed elogiare Tim Wellens, Jhonatan Narvaez e Pavel Sivakov, sono stati incredibili. Mi sentivo bene, abbiamo deciso di prendere il controllo fin dai primi metri della salita, non avevo nulla da perdere».

«Mi sentivo davvero bene e mi dovevo sbrigare perché volevo vedere l’arrivo di mia moglie al Tour de Suisse – scherza da guascone lo sloveno – quando ho attaccato, sapevo di dover dare il massimo e che mancavano 15 minuti di sforzo alla fine. La sensazione era buona, le gambe giravano bene, è stato fantastico essere davanti».

E qui emerge tutta la ferocia agonistica di Pogacar. “E’ stato fantastico essere davanti”, come se non gli succedesse da un secolo… Non si accontenta mai e infatti è lui stesso a tornare sulla crono.

«Vorrei sapere dove ho perso tempo. E’ una sfida per me e per la squadra cercare di migliorare ulteriormente a crono. La nostra forma è buona, ma dobbiamo anche conservare un po’ di energia per il Tour».

Vingegaard all’arrivo si è subito bagnato con tanta acqua addosso.
Vingegaard all’arrivo si è subito bagnato con tanta acqua addosso.

Jonas e Remco…

Vingegaard dal canto suo sembra abbia controllato più che altro di non fare fuorigiri enormi. Alla fine non è mai andato in crisi e il fatto che Pogacar lo abbia staccato in un momento in cui non era sui pedali, ma di passo, vuol dire che il limitatore c’era. Bisogna vedere quanto ha staccato la spina prima del fuorigiri. Quello è il punto chiave.

Anche Pogacar però non sembrava andare oltre certi limiti. Forse davvero oggi la differenza l’ha fatta la motivazione, la voglia di rivalsa. O anche il caldo. All’arrivo il danese è parso essere quello più colpito dalla calura estiva. C’erano oltre 30 gradi, nonostante le zone di montagna.

 «Pogacar è stato il più forte oggi – ha detto il direttore sportivo Grischa Niermann – i distacchi all’arrivo sono stati significativi. Certo, speravamo che Jonas potesse rimanere più vicino sulla salita finale. Essendo così breve ed esplosiva, questa tappa si adattava perfettamente a Tadej ed è stato chiaro fin dall’inizio che la UAE avesse un piano. Quando qualcuno è più forte, non puoi fare altro che accettarlo e congratularti con lui per la vittoria. Ma mi tengo il mio spirito di gruppo».

E Remco? Forse Evenepoel anche lui si aspettava qualcosina di più. Invece si è staccato da tre uomini della Visma-Lease a Bike e da tre della UAE Emirates. E proprio la squadra è forse il capitolo più nero per Remco.

Nei trenta che hanno approcciato la salita finale era l’unico della Soudal-Quick Step. Ha lottato, ha provato a gestirsi, forse aveva anche qualche oggettivo impedimento per la caduta, però resta il fatto che alla fine anche Lipowitz lo ha ripreso e staccato.

«Mi sentivo benissimo sulla penultima salita – ha detto senza cercare scuse il campione olimpico – ma forse poi in vista del finale non mi ero ancora ripreso abbastanza da quello sforzo. Non so… Hanno iniziato l’ultima rampa come se il traguardo fosse dopo due chilometri». E infine, laconico, ha aggiunto: «Io ad ogni chilometro diventavo sempre più lento».

Nonostante sia più magro dell’anno scorso. Remco paga ancora dazio sulle salite rispetto a “quei due”
Nonostante sia più magro dell’anno scorso. Remco paga ancora dazio sulle salite rispetto a “quei due”

Soudal da rivedere

Vero, mancavano Landa e Cattaneo, e Louis Vervaeke si è ritirato (e molto probabilmente non sarà abile per la Grande Boucle), ma contro questi giganti serve di più. Tra l’altro anche Landa non è detto che possa essere subito al top dopo la cadutaccia nella frazione inaugurale del Giro. Mi sa proprio che in casa Soudal dovranno rivedere qualche priorità. E magari chiedersi se Merlier, al quale servono non meno di due uomini, sarà poi così necessario alla Grande Boucle.

«Ci aspettavamo di essere un po’ più avanti – ha commentato il diesse Tom Steels a WielerFlitsE’ un po’ la stessa situazione dell’anno scorso. Dobbiamo ancora recuperare quelle piccole percentuali in salita, ma la strada fino all’ultima settimana del Tour è ancora lunga. Abbiamo ancora del lavoro da fare, ma non è certo un’impresa drammatica. Dobbiamo mantenere la calma e continuare a lavorare». Tuttavia, nessun accenno sulla squadra. In Belgio, e sono parole della TV di Bruxelles, è un tema che è già forte.

Si comincia sul pavé e Colnago prepara le bici per la guerra

25.02.2024
4 min
Salva

Il pavé è da sempre il banco di prova per uomini e mezzi, esigente e massacrante, affascinante e in grado di cambiare la carriera di un atleta (e di una bicicletta).

Le biciclette saranno diverse tra le pietre del Fiandre e quelle della Roubaix? Quanto tempo prima vengono stilate le note tecniche del mezzo? Nei giorni scorsi, Baroncini ci aveva spiegato le differenze sulla sua bici per il Fiandre e la Roubaix. Abbiamo posto questi ed altri quesiti ad Alberto Chiesa, responsabile dello staff dei meccanici del UAE Team Emirates.

La bici di Baroncini in gara alla Omloop Het Nieuwsblad (foto UAE Team Emirates)
La bici di Baroncini in gara alla Omloop Het Nieuwsblad (foto UAE Team Emirates)
Stessa bici per il pavé del Fiandre e quello della Roubaix?

Sì, la bici sarà la stessa e sempre la Colnago V4Rs. Anzi, per essere precisi in occasione del pavé cambieremo la forcella, ma il telaio rimarrà quello.

Una forcella nuova?

Una forcella che Colnago appositamente per queste gare, con una luce maggiore nella zona del passaggio ruota. Questo per dare una tolleranza più ampia quando monteremo le gomme da 32 millimetri.

Il frame-kit V4Rs non cambia tra Fiandre e Roubaix
Il frame-kit V4Rs non cambia tra Fiandre e Roubaix
Userete sempre gli pneumatici da 32 millimetri?

Normalmente 32 per la Roubaix e 30 per il Fiandre, tubeless Continental.

Rispetto agli standard, pensate di aumentare la quantità di liquido nel tubeless?

No, rimarremo con i nostri standard che si aggirano intorno ai 40 millilitri per ogni pneumatico. Nell’ottica del pavé il liquido serve principalmente per bloccare la gomma al cerchio. Certo, funge anche per chiudere l’eventuale foro che si può aprire nella gomma, ma nella maggior parte dei casi, sul pavé si buca e si perde pressione perché si spacca il cerchio. Soprattutto alla Roubaix.

Che pressioni useranno?

Intorno alle 3,5 atmosfere, ma in questo caso le variabili sono legate anche al meteo, quindi si lavorerà anche nei momenti a ridosso della partenza. Abbiamo provato e stiamo provando diverse soluzioni. Posso dire che alla Roubaix si scende leggermente con la pressione dei tubeless, rispetto al Fiandre.

Quando siete partiti a fare le prove tecniche in vista del pavé?

Sul campo, con le varie ricognizioni dei corridori deputati a fare la campagna del nord, di solito partiamo almeno con due mesi di anticipo. Il primo sopraluogo è stato fatto circa 20 giorni fa.

Politt e Baroncini, nella recente ricognizione sul pavé (foto UAE Team Emirates)
Politt e Baroncini, nella recente ricognizione sul pavé (foto UAE Team Emirates)
Le prove servono anche per adeguare i rapporti che useranno i corridori?

I nostri useranno la doppia corona anteriore 54-40. Due le combinazioni per i pignoni, 11-30 per la Roubaix, 11-34 per il Fiandre. Cambierà la scelta del componente, perché i corridori possono scegliere tra le corone Carbon-Ti e quelle standard Shimano. Chi ha in dotazione Carbon-Ti, ad esempio Wellens, continuerà ad usarle anche sul pavé.

E invece per quanto riguarda i dischi dei freni?

Tutti con il 160 anteriore e 140 posteriore, solo Carbon-Ti.

Dischi Carbon-Ti per tutti i corridori (foto UAE Team Emirates)
Dischi Carbon-Ti per tutti i corridori (foto UAE Team Emirates)
Ci saranno corridori che cambieranno il setting del mezzo?

Ormai la posizione rimane quella, per le gare normali e per il pavé. L’unica variabile in ottica pietre è legata al doppio nastro sul manubrio, oppure all’inserimento del gel, che qualche corridore chiede e al fatto che il manubrio viene nastrato completamente anche nella parte superiore orizzontale.

Ci sono corridori che usano i comandi satellitari nella parte orizzontale del manubrio?

Si, ci sono degli atleti che chiedono i tasti sotto la parte orizzontale. Molto richiesti da quei corridori che portano le mani nella parte alta quando pedalano sulle pietre.

Muscolatura profonda: cos’è? Ne parliamo con Del Gallo

09.02.2024
4 min
Salva

Muscolatura profonda. No, non è l’ennesima nuova tendenza di allenamento, ma un’attenzione  maggiore verso un aspetto importante e spesso trascurato del fisico di un atleta. Michele Del Gallo, osteopata, massaggiatore e fisioterapista di lungo corso ci spiega meglio cosa sia questa muscolatura profonda.

Abbiamo visto diversi atleti lavorarci. E non solo quelli della UAE Emirates, il team di Del Gallo, anche Zoccarato per esempio vi presta attenzione. E tanti altri che lavorano sul core e si affidano alle sue mani

Del Gallo nel suo studio con Cimolai, anche se non è un atleta UAE. Qui, il sistema Redcord utilizzato anche a fini fisioterapici
Del Gallo nel suo studio con Cimolai. Qui, il sistema Redcord utilizzato anche a fini fisioterapici
Michele cos’è dunque questa muscolatura profonda?

I muscoli sono un sistema globale. Quelli più superficiali, servono per il movimento. Lavorano in allungamento. Quelli più interni, profondi, lavorano in isometria e sono addetti alla stabilizzazione del corpo. Braccia e gambe sono leve e il corpo è il fulcro. L’anca è il fulcro di movimento della gamba. E la muscolatura profonda, in questo ciclismo sempre più avanzato, è molto importante.

Perché?

Perché per supportare i watt che sprigiona quel muscolo bisogna che il fulcro sia sufficientemente forte. Se ho, dico numeri a caso sia ben chiaro, 1.000 watt e il fulcro ne sostiene 700, ai pedali ne arrivano 650-700. Non si tratta più come si faceva un tempo di aggiungere watt e basta. Anche perché così facendo si aumenta la massa e quindi aumentano il peso, il fabbisogno energetico e anche il rischio d’infortuni. Dunque il ciclista non è più funzionale. E questo modo di intervenire (e ragionare, ndr) non riguarda solo i ciclisti. Anche nell’atleta per esempio è così…

E infatti stavamo giusto pensando agli sprinter, che sono meno ipertrofici di un tempo…

Esatto, hanno una struttura più affusolata. Migliorando la stabilizzazione, quindi la muscolatura profonda, sfrutti meglio gli arti. E’ semplice: bisogna immaginarla come il telaio di una macchina. Più questo è rigido e più si è prestazionali.

Oggi il fisico dei corridori è più “muscolato”, ma anche più equilibrato di un tempo in cui regnava l’ipertrofia delle gambe. Qui Almeida
Oggi il fisico dei corridori è più “muscolato”, ma anche più equilibrato di un tempo. Qui Almeida
Sei stato chiarissimo… 

C’è poi un discorso più ampio che coinvolge il controllo motorio, cioè la capacità del cervello di reclutare tutti i muscoli. E se il cervello riesce a sfruttare il 100 per cento delle fibre a disposizione, anche quelle in profondità, aumenta la forza.

E come si fa? Come si lavora sulla muscolatura profonda?

Ci sono diversi esercizi, soprattutto quelli in instabilità: tavole propriocettive, palloni instabili… Io uso il redcord. Ma questo vale per tutti gli sport.

E nel ciclismo si lavora solo sulle gambe? O ci si concentra anche sul resto?

No, no… non solo sulle gambe. La mentalità sta cambiando anche nel ciclismo. Nel ciclismo si lavora molto sulla cintura pelvica, quindi il core vero e proprio, la zona del bacino. Le gambe poi non hanno muscolatura profonda, ma ce l’ha il tronco. E quella parte di ossa più vicino al tronco. E’ appunto la muscolatura che stabilizza. Spesso quando i ciclisti si muovono troppo sulla sella con il bacino è perché mancano della muscolatura profonda e sono instabili. A parità di allenamento in quei 200 chilometri faranno più fatica e disperderanno più energie.

Il plank è uno degli esercizi più semplici ma efficaci per curare la muscolatura profonda (foto @foodspring)
Il plank è uno degli esercizi più semplici ma efficaci per curare la muscolatura profonda (foto @foodspring)
Quali sono gli esercizi specifici più importanti?

Come detto, io uso il Redcord, che è un sistema a sospensione il quale permette di fare anche esercizi a corpo libero. Un altro metodo è il plank, molto usato da i corridori. E con questo non lavora solo la cintura pelvica, ma anche il resto. E va bene. Poi ci sono gli esercizi del core quelli più classici.

Quante volte ci si lavora?

Se i ragazzi riuscissero fare un’ora tre volte a settimana sarebbe ottimale. Determinante, direi. Aiuta davvero molto. Bisogna pensare che è una parte integrante dell’allenamento. Ma tante volte, specie alle corse, sembra impossibile incastrare questi momenti. Io so che quei 15′ di esercizi prima della gara sono importanti, ma inserirli nella logistica sembra impossibile. Una volta c’era la teoria che bastava solo pedalare e che il massaggiatore curava le gambe e preparava i rifornimenti. Adesso non è più così, specie nella nostra squadra, dove Mauro Gianetti (team manager della UAE, ndr) dà molta importanza a questi aspetti.

E’ cambiato tutto e non sono più aspetti marginali. E’ vero…

Oggi siamo ad un livello incredibile. Analizziamo ogni aspetto. Ci sono atleti che se hanno la bocca aperta rendono in un modo e con la bocca chiusa in un altro, perché magari gli si blocca un muscolo. Una volta se una gamba era meno potente dell’altra, si faceva lavorare di più per compensare. In realtà era sbagliato, perché non si andava alla causa, ma si curava l’effetto. Non ci si chiedeva perché quella gamba spingesse di meno.

Formolo in Brianza ritrova il dolce gusto della vittoria

28.09.2023
4 min
Salva

LISSONE – L’abbraccio e l’amore che la gente riserva a Davide Formolo hanno sempre un sapore diverso. Quando taglia il traguardo di via Matteotti a Lissone per primo, ha anche il tempo per alzare le braccia al cielo e godersi il momento. Il veneto della UAE Emirates oggi alla Coppa Agostoni è stato sommerso dall’affetto dei tifosi, il motivo è semplice ma significativo, questa è la prima vittoria dopo tanto tempo. Era la terza tappa del Giro del Delfinato del 2020 l’ultima che ha visto “Roccia” salire sul gradino più alto del podio. 

Dopo più di tre anni Formolo torna ad esultare, per lui un successo che vale tantissimo
Dopo più di tre anni Formolo torna ad esultare, per lui un successo che vale tantissimo

Finalmente!

Non che in questi anni non ci abbia provato, anzi, tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 il successo Formolo l’aveva sfiorato un paio di volte. Prima alla Veneto Classic a ottobre e poi al Saudi Tour a febbraio. Ora ha vinto e l’emozione forse lo accoglierà questa sera, una volta tornato a casa ed abbracciate sua moglie Mirna e sua figlia Chloe

«Dall’ultima vittoria è passato tanto tempo – racconta Formolo in una conferenza stampa rumorosa e affollata – siamo una squadra veramente forte. Molto spesso mi metto a disposizione dei miei compagni, come doveva essere oggi per Hirschi. In partenza infatti non dovevo provare a vincere, la corsa si era messa in una situazione tale che avrei potuto tirare fino alla fine per lui. Però sapevamo che c’era quello zampellotto a 7 chilometri dall’arrivo e che sarebbe stato una bella rampa di lancio. Ci ho provato ed è andata bene, davvero bene». 

La UAE Emirates ha preso in mano la corsa fin dai primi chilometri del circuito brianzolo
La UAE Emirates ha preso in mano la corsa fin dai primi chilometri del circuito brianzolo

In solitaria

Sul circuito che ha attraversato la Brianza per quattro volte, la UAE ha acceso la miccia e Formolo non si è fatto pregare due volte, come sempre d’altronde. Correre nel team che ogni anno si gioca il primato per la squadra più vincente non è semplice, le occasioni si contano sulle dita di una mano. Per questo quando l’occasione si presenta non bisogna sprecarla. 

«Formolo era davanti e tranquillo – spiega Hirschi – sull’ultima salita mi sono reso conto che non ero al 100 per cento e ho detto alla squadra che non sarei riuscito a fare lo sprint. A quel punto Davide ha attaccato e, diciamocelo pure, era forte oggi, molto più di me».

«Il percorso della Coppa Agostoni – dice ancora Formolo – mi piace molto. Non c’è mai un attimo di respiro, è davvero tanto selettivo. Ha tanti rilanci e in pochi chilometri hai tre salite impegnative e tutte diverse l’una dall’altra. Nonostante si scollini l’ultima salita quando si è ancora lontani dall’arrivo non si è mai presentato un gruppo numeroso, sinonimo di una corsa davvero dura. 

Formolo sorride, dopo tanti sacrifici è il suo momento di festeggiare
Formolo sorride, dopo tanti sacrifici è il suo momento di festeggiare

Il giusto equilibrio

La nostra chiacchierata con Formolo prosegue nella zona dei pullman, dopo una doccia il veneto scende e si siede in macchina, e lontano dal trambusto scioglie la lingua. 

«Alla fine serve sempre il risultato – con addosso quegli occhiali da vista che un po’ lo fanno ritornare Clark Kent – la gente guarda quello. Però anche settimana scorsa al Giro di Toscana e al Memorial Pantani ho dimostrato di essere in forma. La vittoria è quella cosa che ripaga sempre i sacrifici e gli sforzi fatti, ma in una squadra così forte bisogna anche sapersi mettere a disposizione. Io l’ho fatto spesso ed è stato bello quando oggi Marc (Hirschi, ndr) mi ha detto di provare a giocarmi le mie occasioni, quasi non ci credevo. E’ stato veramente gentile e ne sono davvero contento. L’anno scorso alla Veneto Classic proprio HIrschi era rientrato ed era andato via in discesa, io ero arrivato secondo e oggi me l’ha resa».

«Alla fine – conclude Formolo – noi siamo delle seconde punte rispetto ai vari Pogacar, Vingegaard o altri capitani. Però quando c’è l’occasione, saperla cogliere è importante, diciamo che ho fatto capire che anche io posso vincere».

Carbon-Ti X-Rotor SteelCarbon 3, li vogliono i pro’

28.06.2023
4 min
Salva

FRANCOFORTE – Nei giorni di Eurobike, Carbon-Ti ha presentato ufficialmente i dischi della famiglia X-Rotor SteelCarbon 3, ovvero quelli utilizzati da Pogacar e dai compagni del Team UAE-Emirates, molto ambiti e richiesti da diversi team di primissima fascia.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Marco Monticone, Product Manager dell’azienda bresciana, specializzata nella progettazione e produzione di componenti ultraleggeri, di altissima qualità e precisione.

In dotazione alle Colnago V4rS (foto Carbon-Ti)
In dotazione alle Colnago V4rS (foto Carbon-Ti)

SteelCarbon 3, leggerezza e sostanza

La versione 3 dei dischi di Carbon-Ti è la naturale evoluzione degli SteelCarbon 2, tanto utilizzati nella mtb e nati nel 2015. si tratta di un componente che al pari di un valore alla bilancia ridotto, fa collimare una tecnica costruttiva di precisione, materiali nobili e tanta sostanza.

«Il prodotto oltre che essere bello da vedere – spiega Monticone – deve anche durare e garantire la massima sicurezza. Non deve subire le alte temperature che si generano durante le frenate più lunghe ed essere efficiente nel tempo.

«La pista frenante è ricavata da un blocco unico di acciaio, non è un sandwich di materiali sovrapposti, un fattore che garantisce longevità e resistenza a temperature elevatissime. Rispetto alla versione 2, anche il design è stato rivisto, per dissipare meglio il calore e per ottenere la certificazione UCI. I bordi del disco sono arrotondati, proprio come è previsto dalla regolamentazione internazionale».

Si tratta di componenti che non arrivano ai 100 grammi di peso, 98 grammi (dichiarati) con il diametro da 160 e 86 grammi (dichiarati) per quelli da 140 millimetri (versione CenterLock, esclusa la ghiera di chiusura).

Rivetti in titanio

Tra lo spider in carbonio e la pista frenante in acciaio ci sono 6 rivetti in titanio della serie grado5, ma c’è anche dello spazio, considerando che i dischi non sono flottanti. Perché questa soluzione?

«Il materiale metallico è soggetto a dilatazione – continua Monticone – e raggiunge temperature altissime, si espande e nel momento in cui si raffredda torna alla forma originale quando è di ottima qualità ed è assecondato in modo corretto dalla struttura portante. Le spaziature che ci sono tra l’acciaio ed il carbonio hanno il compito di non bloccare l’espansione dell’acciaio durante le frenate più impegnative e prolungate.

«Abbiamo avuto modo di analizzare alcuni dei dischi utilizzati durante il Giro d’Italia, che anche per le condizioni meteo ha messo a dura prova i materiali dei corridori. Devo dire che siamo molto soddisfatti del comportamento dei dischi, così anche i tecnici ed i corridori del team UAE-Emirates. E’ stato un Giro d’Italia che ha messo a dura prova uomini e materiali».

Lo spazio che c’è dietro il rivetto in titanio
Lo spazio che c’è dietro il rivetto in titanio

Il carbonio non può mancare

Lo spider, ovvero la struttura portante del disco è in carbonio ed anche in questo caso adotta una lavorazione di precisione. Grazie ad un adattatore specifico, che prevede la piastra di contrasto in titanio, rispecchia le specifiche CenterLock, le più utilizzate per l’ingaggio ai mozzi.

«Lo spider in carbonio, così come tutto il disco nel suo complesso, nasce da un insieme di processi e di lavorazioni che richiedono tempo, pazienza e una precisione maniacale. Lo spider in carbonio – racconta Monticone – nasce con lo standard a sei fori, ma con il cambiamento di una regola imposta da Shimano, gli abbiamo cucito addosso un adattatore specifico che permette il montaggio sui mozzi di natura CenterLock. Lo abbiamo fatto con lo stile che contraddistingue Carbon-Ti, quindi con materiali di prim’ordine e senza lasciare nulla al caso».

Carbon-Ti

Jay Vine, inizio super con nuova bici e nuova biomeccanica

13.01.2023
6 min
Salva

Jay Vine è il nuovo campione australiano a cronometro (immagine di apertura AusCycling). Non sorprende la sua vittoria, quanto il fatto che abbia dominato su una bicicletta e in una disciplina in cui non si inventa nulla. Ricordando che è passato professionista solo nel 2021, dopo un anno in continental e approdando al massimo livello con la Alpecin-Deceuninck per aver vinto la Zwift Academy.

Da quest’anno l’australiano di Townsville, 27 anni, è nel WorldTour con la UAE Emirates e pedala su una Colnago. Abbiamo chiesto a Giuseppe Archetti e David Herrero, rispettivamente meccanico e biomeccanico del team, di raccontarci la sua posizione in bicicletta.

Vine con la nuova Colnago V4Rs (foto FIZZA-Team UAE-Emirates)
Vine con la nuova Colnago V4Rs (foto FIZZA-Team UAE-Emirates)
Sotto il profilo delle scelte tecniche che tipo di corridore è Jay Vine?

ARCHETTI: «Dal punto di vista tecnico, Jay Vine è un corridore preparato. Sa quello che vuole ed è in grado di percepire le differenze dei materiali. Si fida parecchio di noi meccanici e del biomeccanico, quindi per tutto quello che concerne la preparazione dei mezzi, bici standard e da cronometro e anche in merito alla posizione in sella. Inoltre è un ragazzo estremamente educato e uno votato al lavoro».

HERRERO: «E’ un corridore che ha delle buone conoscenze ed è dedito ad ascoltare mettendo in pratica quello che gli viene detto. Non si discutono le sue potenzialità, ha già dimostrato il suo valore alla Vuelta 2022 e in altre corse di buon livello. Mi piace definirlo un diamante grezzo da affinare e lucidare».

In piedi sui pedali al Giro del Veneto 2022, chiuso in 58ª posizione
In piedi sui pedali al Giro del Veneto 2022, chiuso in 58ª posizione
Rispetto alla posizione che usava in precedenza avete fatto delle variazioni?

ARCHETTI: «Sono state fatte delle variazioni su entrambe le biciclette, per le quali il corridore ha passato diverse ore con il biomeccanico David Herrero. Sono stati numerosi test e la maggior parte del tempo è stato investito sulla bicicletta da cronometro».

HERRERO: «Abbiamo cambiato completamente le posizioni che usava in precedenza, ma le differenze maggiori le troviamo sulla bicicletta da crono. In precedenza non c’era stato un approfondimento vero e proprio atto a trovare la combinazione ottimale mezzo meccanico/atleta. Ecco perché durante il primo collegiale con il Team UAE gli abbiamo dedicato un’intera giornata in velodromo e sulla bici da crono. Abbiamo utilizzato la telemetria in tempo reale, con l’obiettivo di conciliare la miglior cadenza e l’espressione di potenza, la frequenza cardiaca e quella respiratoria, considerando anche la velocità. Vine ha vinto il titolo nazionale e questo è per noi un primo grande riscontro».

Vine con la maglia di campione nazionale australiano a cronometro: ha battuto Durbridge e O’Brien
Vine con la maglia di campione nazionale australiano a cronometro
C’è qualcosa di particolare che contraddistingue la sua bicicletta?

ARCHETTI: «Potremmo dire che è un australiano atipico. Non di rado i corridori che arrivano dall’Oceania, o comunque legati alle terre Commonwealth, chiedono le leve dei freni invertite, rispetto agli europei. Jay Vine invece ha chiesto di usare la configurazione standard, ovvero leva destra per il freno dietro e leva sinistra per quello anteriore».

HERRERO: «Considero una sorta di standard l’insieme delle scelte relative alla bici tradizionale. Invece per quella da crono abbiamo alzato i supporti delle appendici. Lo abbiamo fatto in modo importante, in modo da sfruttare l’allungamento del corridore sull’orizzontale e dare a lui la possibilità di contenere la testa tra le braccia. La sua posizione aerodinamica è molto buona, con un fattore cx non trascurabile e di ottimo livello, considerando che in passato non ha mai fatto dei test specifici».

Jay Vine ha chiesto delle variazioni dei materiali, oppure ha mantenuto tutto inalterato fin dal primo utilizzo?

ARCHETTI: «Ha chiesto di potere provare ed usare una sella con una larghezza maggiore, rispetto a quella utilizzata nelle battute iniziali».

HERRERO: «Nulla che valga la pena segnalare e che ha obbligato a rivedere la sua biomeccanica».

Pronto per il Tour Down Under, Jay Vine con il DS Marco Marcato (foto Laura Fletcher-Colnago)
Pronto per il Tour Down Under, Jay Vine con il DS Marco Marcato (foto Laura Fletcher-Colnago)
Il setting di Vine è di quelli normali, oppure è un po’ estremo?

ARCHETTI: «Assolutamente nella normalità per la bici standard, se contestualizziamo il tutto nei tempi più moderni. Il setting di Vine non ha eccessi, nel senso che eccede nello svettamento tra sella e manubrio, con un’estensione delle gambe adeguata alle sue caratteristiche. La sella è piuttosto avanzata, comunque in linea con le richieste attuali».

HERRERO: «Per quanto riguarda la bicicletta standard, ha dei valori che rientrano nella normalità, invece su quella da crono il setting può considerarsi di quelli impegnativi. Il vantaggio di Jay Vine è un corpo molto elastico e flessibile, un vantaggio non da poco. Questa elasticità gli permette di adattarsi senza criticità ed ecco che il biomeccanico può osare andando a sfruttare l’aerodinamica, senza dispersioni e perdite di potenza, restando in un range temporale di performance inferiore all’ora».

Al primo training camp in Spagna con i nuovi compagni (foto FIZZA-Team UAE-Emirates)
Al primo training camp in Spagna con i nuovi compagni (foto FIZZA-Team UAE-Emirates)
Focalizzandoci sui materiali a disposizione di Jay Vine, che dotazione ha il corridore?

ARCHETTI: «A Vine è stato fornito l’ultimo modello della Colnago, ovvero quella che ha debuttato al Tour de France, la V4Rs. Una taglia 51 e con il manubrio Colnago in carbonio. Invece per le crono la TT1. Da quest’anno le biciclette hanno la trasmissione Shimano Dura Ace, le ruote Enve in tre versioni, 2.3, 4.5 e 6.7, tutte con cerchi hookless della serie SES e canale interno 23 millimetri. Come team avremo in dotazione solo gli pneumatici tubeless e anche in questo caso c’è stato un cambio rispetto al passato. Abbiamo Continental, con sezioni comprese tra i 28 e 30 millimetri».

HERRERO: «Vine usa una taglia 51 e lui è alto 184 centimetri. Se prendiamo in esame solo i numeri potremmo dire che la bicicletta è troppo piccola, invece non è così. L’atleta ha un busto lungo ed è il classico caso dove è meglio usare un telaio più piccolo, soluzione che paradossalmente permette di trovare facilmente il giusto equilibrio, senza perdere di potenza, avendo il giusto comfort e anche un feeling costante nella guida del mezzo meccanico».

Pochi secondi che valgono il titolo e l’abbraccio con la moglie (ZW Photography/Zac Williams/AusCycling)
Pochi secondi che valgono il titolo e l’abbraccio con la moglie (ZW Photography/Zac Williams/AusCycling)
Gomme sempre più grandi, esiste il rischio di abbassare la performance?

ARCHETTI: «Non è solo una questione di pneumatici, la bicicletta di oggi è un sistema complesso dove ci sono molte variabili in gioco. Bisogna partire dal presupposto che si utilizzano sempre più le ruote ad alto profilo anche in salita, con sezioni spanciate e con i canali interni maggiorati. Lo pneumatico si deve accoppiare in modo perfetto con il cerchio, quindi l’allargamento delle sezioni delle gomme è una conseguenza. Poi in termini di numeri, test e medie orarie delle corse, i risultati dicono il contrario, ovvero che con i nuovi materiali si va più forte».

HERRERO: «I risultati in laboratorio e su strada dimostrano il contrario, anche se è necessario trovare il giusto equilibrio tra i diversi componenti in gioco. Qui bisogna considerare anche l’impatto frontale. E’ un discorso molto ampio, che tocca diverse variabili e componenti della bicicletta, oltre alla posizione del corridore. Il ciclismo moderno è fatto di ricerca, tecnologia e numeri, dettagli e conta anche il più piccolo».

Colnago Prototipo: dietro il mistero, un concetto innovativo

10.06.2022
5 min
Salva

Una bici completamente nera e senza brand. Tadej Pogacar a fine maggio è stato paparazzato dal giornalista Nicolas Geay, mentre faceva la ricognizione dell’undicesima tappa del Tour (arrivo a Col du Granon) in sella ad una Colnago completamente oscurata e mai vista prima. Ora questo segreto è stato finalmente svelato e si chiama Prototipo. Un nome che è un programma ed è esplicativo più che mai di ciò che i tecnici hanno e stanno progettando per questa bici. 

La Prototipo sarà presente al prossimo Tour de France e affiancherà la V3Rs già in dotazione agli atleti del UAE Team Emirates. Quella della Grand Boucle sarà l’occasione soprattutto per testare questo nuovo modello esclusivo firmato Colnago. Proprio così. Alla base di questo concetto gli atleti sono in prima linea e saranno gli attori principali dello sviluppo della bici prima della sua commercializzazione.

La foto scattata da Nicolas Geay, giornalista sportivo di France Télévisions e pubblicata su Twitter
La foto pubblicata su Twitter da Nicolas Geay, giornalista sportivo di France Télévisions

Primo esemplare

Fino ad ora abbiamo visto la Colnago Prototipo solo in foto e senza nessun tipo di feedback apprezzabile. Tra pochi giorni però i test passeranno sul campo e saranno direttamente misurabili una tappa dopo l’altra, attraverso interviste, scatti e anche probabili vittorie, visti gli interpreti del calibro di Pogacar.

Dopo una prima fase di sviluppo i progettisti si aspettano di trovare, durante la prova in gara delle cinque diverse laminazioni della fibra di carbonio, la soluzione migliore per un telaio che dovrà essere soprattutto versatile ed eccellente su ogni tipo di terreno.

Esistono cinque differenti versioni, fra cui verrà scelta quella per la commercializzazione
Esistono cinque differenti versioni, fra cui verrà scelta quella per la commercializzazione

Design di Torgny Fjeldskaar

Due concetti determinano questa nuova creazione: risultati tecnici ed estetica. Dal punto di vista del design, i punti chiave dello sviluppo della Colnago Prototipo sono soprattutto il tubo di sterzo (sottile e scavato con venature profonde e marcate) e la zona del movimento centrale, più ampia e robusta

La matita che ha disegnato le curve e le linee del nuovo gioiello Colnago, è quella del rinomato designer del ciclismo, il norvegese Torgny Fjeldskaar, il quale vanta una lunga lista di creazioni uniche legate alle ruote strette.

«Il punto di partenza nello sviluppo della Prototipo – dice – è stato quello di creare un telaio totalmente performance-driven. Cioè con un design chiaramente orientato all’ottenimento delle migliori prestazioni tecniche. Gli obiettivi sono quelli di ottenere una maggiore rigidità verso le sollecitazioni generate dalla pedalata ed un minore drag aerodinamico. Il tutto a fronte di un peso complessivo del telaio sostanzialmente invariato se comparato a quello della V3Rs.

«Ritengo che il lavoro più importante sia stato quello di migliorare l’aerodinamica attraverso un nuovo disegno del tubo sterzo, che ha migliorato anche la rigidità, rendendolo ancora più reattivo».

Colnago ha deciso di affrontare la progettazione di questo modello direttamente sul campo
Colnago ha deciso di affrontare la progettazione di questo modello direttamente sul campo

Il progetto

Per lo sviluppo di questo innovativo progetto, gli ingegneri Colnago sono partiti da quello che conoscevano già sulla base delle gamme già in commercio. Per poi tramutarlo in un metodo completamente nuovo. In una prima fase, le caratteristiche di rigidità della Prototipo – telaio monoscocca – sono state sperimentate dal brand italiano sulle parti che compongono il nuovo telaio della serie C, formato da parti componibili e non monoscocca. 

Poter lavorare su parti di un telaio invece che su uno completo, come dovrebbe succedere per il monoscocca, ha dato la possibilità ai progettisti di studiare diverse laminazioni dei tubi di carbonio con una sequenza molto più agile e verificabile in breve tempo.

Le linee sono state progettate dal designer norvegese Torgny Fjeldskaar
Le linee sono state progettate dal designer norvegese Torgny Fjeldskaar

Cinque versioni

Dai vari test dietro le quinte sono state selezionate cinque matrici di rigidità, quindi altrettante laminazioni in prova per i telai monoscocca sulle quali lavorare durante i test Saranno infatti cinque le versioni differenti che saranno a disposizione del team nelle competizioni a partire da questo weekend. 

Una fase di sviluppo a imbuto che al suo epilogo ne consegnerà soltanto una in pasto al mercato mondiale. Un compito difficile, che Colnago ha scelto di affidare a chi su queste queste bici passa gioie e dolori, tanto sudore e sopratutto gli dedica la propria vita quotidiana: i corridori. Saranno infatti loro attraverso i feedback e le impressioni a determinare il risultato finale di questo test premium.

Rigidità e aerodinamica sono due aspetti su cui i progettisti si sono focalizzati maggiormente
Rigidità e aerodinamica sono due aspetti su cui i progettisti si sono focalizzati maggiormente

Atleti protagonisti

Dietro a questo progetto audace ma del tutto funzionale, c’è Davide Fumagalli, responsabile R&D Colnago, che spiega così il progetto.

«Per migliorare le performance di questo telaio – dice – abbiamo utilizzato un metodo totalmente nuovo. Ovvero collaborare direttamente con gli atleti della UAE Team Emirates, proponendogli di usare di volta in volta telai prodotti con laminazioni di carbonio diverse. L’obiettivo finale è di giungere alla migliore laminazione per un telaio che dovrà essere il più polivalente possibile. Quindi adatto alle esigenze dei velocisti, dei passisti e degli scalatori e di essere all’altezza nelle diverse fasi della corsa.

«D’altronde i test a computer e in galleria del vento sono importanti, ma presentano sempre dei limiti. E’ infatti difficile replicare i contesti di gara, le irregolarità del percorso, le sollecitazioni del terreno, le turbolenze aerodinamiche, le accelerazioni nei diversi momenti della competizione».

Colnago

Almeida, che peccato. La Colnago TT1 era pronta per Verona…

26.05.2022
5 min
Salva

Doveva essere la bici con cui Almeida avrebbe ribaltato il verdetto delle montagne. Invece rimarrà sul camion del UAE Team Emirates. Oggi il portoghese ha annunciato il ritiro per la meno attesa positività al Covid. E la sua Colnago TT1 è tornata sul camion dei meccanici. Una vera arma contro le lancette, sviluppata con la collaborazione di tanti protagonisti: Colnago, Campagnolo e il Politecnico di Milano, università meneghina che è sempre di più un riferimento per il ciclismo dei pro’. Peccato…

La TT1 sembra nascondersi dietro la forcella
La TT1 sembra nascondersi dietro la forcella

La Colnago più costosa di sempre

«E’ difficile quantificare il costo di un progetto come la nostra TT1 – dice Manolo Bertocchi di Colnago – perché i processi di ricerca e sviluppo per un progetto come questo sono diversi, complicati e vedono tante forze in gioco. Fondamentale è stato anche l’apporto di Campagnolo. Alcuni corridori del Team UAE hanno iniziato a lavorare sulla bicicletta prima della fine del 2021 e anche nell’inverno il lavoro di sviluppo è stato intenso. Uno dei più attivi nello sviluppo è stato Mikel Bjerg. Oltre che essere un cronoman, è anche ingegnere».

La sensazione è che la TT1 è parte di un processo di innovazione dell’azienda, dove abbiamo visto la C68 e proprio la nuova bicicletta dedicata alle cronometro. Ci saranno altre novità in futuro? Siamo convinti che questo è solo l’inizio.

I test al Politecnico di Milano
I test al Politecnico di Milano

La TT1 di Almeida sotto la lente

Tutta in carbonio e con i freni a disco. Si parte dall’anteriore con una forcella con i foderi larghissimi, ma piatti nella sezione frontale. Rispetto alle bici da crono “tradizionali” ha il passaggio ruota più ampio, fattore che permette il passaggio di pneumatici panciuti: ci stanno comodi anche i tubeless da 28.

Noi l’abbiamo fotografata con una Bora Ultra WTO da 80 millimetri. Il manubrio full carbon è integrato e sviluppato in parallelo con la bicicletta. E’ alare con i due le due “corna arrotondate. Qui sono montate le leve dei freni e due “nuove scatolette” che sono i pulsanti aggiuntivi della trasmissione Campagnolo. E poi, osservando la bici frontalmente, la stessa sembra nascondersi dietro la forcella e il manubrio; la sezione centrale e il carro spariscono.

Le protesi con i terminali curvati

In questo caso le protesi non sono brandizzate, sono rialzate con le “torri” e gli appoggi dei gomiti sono paralleli proprio alle torri. Ci sono degli inserti CPC di Prologo, anche questi di nuova concezione.

Le prolunghe si “snodano” verso l’alto, sono in carbonio e hanno un volume maggiore verso la fine. Qui ci sono gli altri pulsanti della trasmissione.

Doppio profilato orizzontale

C’è la tubazione orizzontale con un ampio fazzoletto di rinforzo nella zona dello sterzo e che si collega all’obliquo. La vera particolarità è quella sorta di orizzontale aggiuntivo nella sezione mediana del telaio. Qui è integrata anche la borraccia, costruita con la tecnologia 3D e che è perfettamente integrata nel progetto. Dentro questa zona, sopra la scatola del movimento centrale è inserita la centralina della trasmissione SuperRecord.

Le calotte esterne del movimento centrale
Le calotte esterne del movimento centrale

I foderi obliqui non si innestano nel piantone, ma sono corti e uniscono i forcellini all’orizzontale aggiunto. Questa soluzione inoltre, permette di contenere l’affetto clessidra del carro, che si allarga solo per contenere il perno passante della ruota. C’è la pinna sopra la ruota, nei pressi di un nodo sella che segue la tangente obliqua.

Il seat-post è specifico e permette uno scarrellamento abbondante in senso orizzontale. La sella è la Prologo Dimension Tri CPC.

Il movimento centrale con le calotte esterne

La scatola del movimento centrale è stretta, se consideriamo i canoni più moderni, arrotondata e con le calotte esterne.

Power Meter SRM e due corone, la più grande da 56 denti, quella interna da 44, questa la configurazione che avrebbe utilizzato Almeida nella crono di Verona. Le pedivelle sono le classiche Campagnolo in carbonio, da 172,5 millimetri. Ci sono i pedali Look Blade Ceramic con molla di tensione da 20Nm. E ancora, la ruota posteriore lenticolare, nuova anche questa e tubeless (gommata Pirelli), un altro prodotto della generazione WTO Bora Ultra.

Per vedere la stessa bici lottare ai vertici di un grande Giro, ci sarà da aspettare il Tour. Per Pogacar ne hanno prodotta una identica…