Il viaggio di Oss e Sagan: gravel negli States, vittoria in Svizzera

15.06.2022
5 min
Salva

Dalla polvere all’asfalto. Da momenti difficili, alla gioia della vittoria. Ancora una volta Daniel Oss e Peter Sagan sono andati a segno. Ieri lo slovacco ha vinto al Giro di Svizzera, lasciandosi alle spalle uno dei momenti più duri della sua carriera.

Lui e Oss, ormai amici inseparabili, erano stati negli Stati Uniti per allenarsi. Ma prima di rientrare in Europa hanno preso parte al Unbound Gravel, evento importantissimo Oltreoceano. 

I due portacolori della TotalEnergies hanno pedalato su una Specialized Crux
I due portacolori della TotalEnergies hanno pedalato su una Specialized Crux

Oss: parola mantenuta

Quello delle “altre attività” era un discorso che Oss e Sagan avevano messo sul piatto nel momento in cui erano approdati alla TotalEnergies. «Vogliamo divertirci e provare nuove esperienze», ci aveva detto Oss lo scorso autunno. Sono stati di parola.

«Eh sì – racconta Daniel – siamo riusciti a farlo. L’Unbound Gravel ha coinciso con il ritiro in altura nello Utah. Poi era nell’aria. La data coincideva con il termine del training camp, Specialized ha preso l’iniziativa e quindi abbiamo detto: andiamo! Ed è stato figo.

«La nostra idea era di “non fare la gara”. Nel senso che non partecipavamo per vincere, ma per stare con la gente. Per divertirci e anche per capire come funzionasse davvero, anche in ottica futura. Io per esempio sto vedendo la Transicnusa, in Sardegna. Dei ragazzi mi hanno contattato ed è interessante. Sui social ho seguito la Bam! che c’è stata a Mantova…».

Oss e Sagan impegnati all’Unbound Gravel. Nel finale la pioggia ha trasformato la polvere in fango (foto Instagram)
Oss e Sagan impegnati all’Unbound Gravel. Nel finale la pioggia ha trasformato la polvere in fango (foto Instagram)

A studiare…

Ad Emporia, sede dell’evento nel Kansas, questo grande circus ha visto la presenza di migliaia di appassionati provenienti da tutto il mondo. Oss ci ha detto che al momento è l’evento ciclistico più grande degli States.

«C’erano cinque percorsi – riprende Oss – da 25, 50, 100, 200 miglia e quello XL da 350 miglia, che si faceva in un paio di giorni. Noi abbiamo preso parte a quello da 100 miglia, che sono circa 160 chilometri. 

«Il loro spirito è totalmente diverso. C’è il concetto di challenge, di sfida con se stessi. Di avventura in questo territorio così vasto. Per esempio il percorso non era molto frecciato. Bisognava arrangiarsi con il Gps e con la mappa. Al centro non c’era la prestazione. 

«La gente che vi prende parte non si allena tutti i giorni. Anche quando siamo partiti, l’andatura non è stata forte. Non cera cattiveria in gruppo».

«Io e Peter non sapendo come funzionasse, all’inizio siamo partiti davanti. Anche per una questione di sicurezza. Ma non si andava a 50 all’ora. Si andava sui 30-35. Poi dopo il primo “zampellotto”, poco più di un cavalcavia, siamo rimasti in 20 o poco più.

«Nei punti dove c’era l’acqua o l’assistenza ci siamo fermati. Abbiamo fatto selfie con la gente. Abbiamo parlato con loro. Peter ha anche avuto un problemino col manubrio e lo ha sistemato. Abbiamo preso il caffè e fatto rifornimento. Insomma è stato figo. Se dovessi rifarlo da ciclista semplice con gli amici, mi organizzerei con lo zaino. Uno porta il cibo, l’altro le camere d’aria e gli attrezzi, un altro ancora l’acqua…

«E comunque alla fine è stato un buon allenamento. Venivamo, come detto, dall’altura ed è stato un buon intermezzo».

Quasi quattro settimane di altura per Oss e Sagan a Park City, località sulle Rocky Mountains statunitensi (foto Instagram)
Quasi quattro settimane di altura per Oss e Sagan a Park City, località sulle Rocky Mountains statunitensi (foto Instagram)

Dalla polvere all’asfalto

Oss era dunque con Sagan in ritiro in altura. Erano ai 2.200 metri di Park City, nota località della Coppa del mondo di sci alpino. E ci sono stati per un bel po’.

«Quasi quattro settimane – spiega Oss – Dormivamo a 2.200 metri e ci allenavamo tra i 1.800 e i 3.000 metri. In pratica con una salita arrivavi su Plutone! E si sentiva tutta la quota… E’ servito un bell’adattamento.

«Poi Peter che è un fenomeno l’ha assorbita subito, io ci sto mettendo un po’ di più, ma sento di essere sulla buona strada. Manca un po’ il ritmo corsa. Passare dalla Mtb (in ritiro hanno usato anche la ruote grasse, ndr) alle gare non è facilissimo per me. Peter ci è più abituato».

Ieri a Grenchen, Sagan ha ottenuto la prima vittoria con la TotalEnergies. Felicità per tutto il clan francese
Ieri a Grenchen, Sagan ha ottenuto la prima vittoria con la TotalEnergies. Felicità per tutto il clan francese

Vittoria importante

E la vittoria di ieri a Grenchen è stata più importante di quel che si possa pensare. Oss racconta i momenti difficili del campione slovacco.

«Sono, anzi siamo, veramente contenti del successo di ieri – spiega Oss – Peter si è impegnato tanto per riprendersi. Ha lavorato un sacco. Ha sofferto tanto per il Covid, è stato fortemente messo in discussione e non è stato facile mettere tutto da parte. Per questo è stata una vittoria importante.

«Ieri ho visto tutti volti felici al ritorno sul bus. C’era Paul Ourselin che ha tirato tutto il giorno che aveva un sorriso da orecchio ad orecchio. E anche io sono rimasto molto soddisfatto del lavoro fatto da tutto il team».

«Una liberazione dalle pressioni? Mah, la squadra non ci ha messo poi tanta pressione. Era più per Peter proprio, per il suo morale. Si è ritrovato dall’andare forte al pedalare col dolore ai polmoni.

«E poi quando vince il capitano, va sempre bene. Va bene per tutta la squadra.

«Adesso guardiamo al Tour de France con tranquillità. Possiamo fare bene. Non abbiamo visto nessuna tappa, neanche quella del pavé, perché con Peter non si guarda mai prima. Si va e si scopre il percorso giorno per giorno!».

Burgaudeau 2022

Burgaudeau e la favola del ciclista pescatore

20.03.2022
5 min
Salva

Quando Mathieu Burgaudeau si è presentato tutto solo al traguardo di Aubagne, alla Parigi-Nizza, moltissimi addetti ai lavori si sono guardati in faccia con la tipica espressione dipinta sul volto: “Ma chi è?”. Internet in questo è utilissimo, basta andare su Google, digitare il nome e tramite i siti specializzati si sanno tutti i numeri del corridore di Noirmoutier en l’Ile che, a dispetto di qualche buon piazzamento (è stato 3° all’ultima Coppa Sabatini) era ancora un perfetto sconosciuto.

I numeri, si sa, non dicono tutto, non raccontano storie. Per quelle servono domande, ricerche, tempo. Quando i giornalisti si sono presentati dal suo diesse alla Total Energies Jean René Bernaudeau, l’ex fedelissimo di Bernard Hinault ha finalmente potuto raccontare una storia che sembra totalmente in contrasto con il ciclismo che viviamo oggi. Una storia all’insegna di un concetto: la passione.

Burgaudeau Nizza 2022
La volata vincente di Burgaudeau ad Aubagne, contenendo il ritorno del gruppo
Burgaudeau Nizza 2022
La volata vincente di Burgaudeau ad Aubagne, contenendo il ritorno del gruppo

Tu sei Bernaudeau? Vieni dentro a bere…

Siamo alla fine del 2016. Bernaudeau, chiusa la stagione, comincia a gettare le basi per la successiva e soprattutto va a caccia di nuovi talenti. Lui è vecchia scuola, ascolta sì le proposte dei consiglieri, dei talent scout, dei procuratori, guarda quei fatidici numeri, ma per lui è fondamentale il contatto umano. Ha sentito parlare di un ragazzino della Vandea che ha buone capacità, vorrebbe portarlo nella sua squadra-serbatoio locale, così si dirige alla volta di Noirmoutier.

E’ un piccolo centro di pescatori, non sa di più. Dove abiterà? Prova a chiedere a due marinai davanti a un bistrot, ma la sua faccia non è proprio comune soprattutto se quelli hanno qualche ruga sul viso in più: «Ma tu sei Bernaudeau… Se vuoi sapere l’indirizzo vieni dentro a bere qualcosa con noi…». E’ mattina, ma tant’è, bisogna sacrificarsi. Due ore e qualche drink dopo, l’indirizzo è digitato sul Gps e in pochi minuti eccolo a casa Burgaudeau.

Bernaudeau 2019
Per Bernaudeau l’ingaggio di Mathieu era stato una scommessa, ora vinta
Bernaudeau 2019
Per Bernaudeau l’ingaggio di Mathieu era stato una scommessa, ora vinta

Mathieu in mezzo alle reti

L’immagine che si trova davanti gli resterà impressa: vede questo ragazzino minuto (è alto 1,61), che con suo padre Alain, sua madre Sylvette, le sorelle Marie e Victoira stanno tessendo le reti per la pesca. E’ davvero un’attività di famiglia, tutti sono coinvolti e parlando con Mathieu questo glielo sottolinea subito. La cosa che però colpisce di più il diesse è l’estrema applicazione che quel ragazzino mette in ogni cosa che fa: se è così attento nel lavorare in aiuto del padre, se è così determinato nel suo futuro in bici come dice, questo qui porterà risultati.

«Mi sono sentito subito in sintonia con lui e con loro – ricorda Bernaudeau – perché avevo di fronte un ragazzo giovane ma con la testa sulle spalle. Mathieu era molto richiesto, io gli ho spiegato che cosa avevo in mente per lui e ci siamo subito trovati d’accordo, ma lui ha tenuto a sottolineare come anche da pro’ non avrebbe mai dimenticato le sue origini. Un giorno, poco tempo fa, si è presentato al raduno della squadra con le sue ceste: “Ragazzi ho qui 150 granceole, oggi cucino io per tutti…”. Fare squadra è anche questo».

Burgaudeau College 2021
Mathieu non rinnega le sue radici: qui è tornato alla sua scuola, mostrando la maglia del team (foto Facebook)
Burgaudeau College 2021
Mathieu non rinnega le sue radici: qui è tornato alla sua scuola, mostrando la maglia del team (foto Facebook)

Un ragazzo dai valori profondi

Mathieu ha iniziato la sua trafila, ma quando si allena a casa, la giornata comprende sì allenamenti, alimentazione, trascrizione dei dati e tutto il resto, ma anche tempo passato in famiglia, a dare una mano e su questo non transige: «Dietro a Mathieu c’è una storia fatta di gente che lavora e di valori profondi – riprende Bernaudeau davanti ai giornalisti – in questi giorni così difficili la sua vicenda umana, il fatto che sia arrivata alla luce ora, qui, rappresenta qualcosa d’importante».

Chi lo conosce, sa che il diesse è un tipo sanguigno e quella lunga cavalcata solitaria, incitandolo alla radio l’ha vissuta nel profondo. Quando l’impresa stava diventando realtà, qualche lacrima è anche comparsa sulle sue gote. Lacrime come quelle di Burgaudeau, appena tagliato il traguardo, salvatosi da una caccia spietata del gruppo per soli 2”, quegli stessi 2” che separano la gioia dal dolore, la felicità dalla disperazione. Si è appoggiato alle transenne, attimi interminabili, poi tre urla, venute dalle viscere, per buttar fuori tutta l’adrenalina accumulata non solo in gara, ma anche in questi anni.

Burgaudeau Sabatini 2021
Il podio della Coppa Sabatini 2021, vinta dal danese Valgren su Colbrelli e Burgaudeau
Burgaudeau Sabatini 2021
Il podio della Coppa Sabatini 2021, vinta dal danese Valgren su Colbrelli e Burgaudeau

Un autobus tutto per sé…

Dal 2016 al 2022 non tutto è filato liscio. Con la Vendée U vinceva a mani basse fra gli juniores, passato di categoria tutti si attendevano tanto da lui, ma le vittorie non arrivavano: «Mi sentivo un blocco qui – indicandosi la testa – è complicato. Sapevo di poter andare forte, ma non ci riuscivo, eppure facevo tutto per bene, con la massima concentrazione. A inizio settimana tutta la squadra ha preso un brutto virus, io solo mi sono salvato, ma ho dovuto vivere la Parigi-Nizza in solitudine: uscita mattiniera in bici da solo, mangiare da solo, nell’autobus in un angolo, non è stato piacevole». Il bello è che quella strana Parigi-Nizza nel finale lo ha visto correre da solo, con tutto l’autobus solo per lui e due meccanici, un cuoco, un osteopata oltre al direttore sportivo, tutto quel che era rimasto della Total Energies…

Nella sua mente, più di una volta Mathieu aveva pensato se ne valesse la pena: in fin dei conti un’attività di famiglia c’è e neanche gli dispiace, con la pesca ha un rapporto tutto suo, è una cosa intima anche quando lavora con il resto della famiglia. Ma il ciclismo sa anche essere qualcosa di coinvolgente: il giorno prima della sua vittoria, con il freddo che cominciava a metterlo in difficoltà, cercando nelle tasche non c’era niente. Senza rifornimenti, avrebbe finito per doversi fermare. Un avversario della Movistar, vedendo il suo affannarsi si è avvicinato e gli ha passato quel che gli era rimasto. La sua vittoria del giorno dopo è nata anche da quel piccolo episodio.

Specialized, i numeri e le curiosità oltre la sponsorizzazione

22.01.2022
8 min
Salva

Due WorldTour (Bora-Hansgrohe e Quick Step-Alpha Vinyl), una professional (la TotalEnergies di Sagan) e la compagine femminile SDWorks. Queste squadre hanno una cosa in comune e non è un semplice dettaglio: le bici Specialized S-Works.

Abbiamo chiesto a Giampaolo Mondini, ex corridore che ora occupa il delicato ruolo di collegare le squadre sponsorizzate all’azienda di Morgan Hill dell’impegno che comporta il supportare diversi team professionistici nel ciclismo moderno.

La Tarmac SL7 con la livrea dedicata a Peter Sagan (foto Specialized)
La Tarmac SL7 con la livrea dedicata a Peter Sagan (foto Specialized)
Quali sono i fattori principali che spingono un’azienda come Specialized ad avere tre team maschili di questa caratura? E poi c’è anche SDWorks femminile!

Già in passato abbiamo avuto tre team maschili, era l’epoca dell’Astana, della HTC-Highroad e Saxo. Il ragionamento però, parte dal fatto che non c’è mai stata la volontà di fare un team factory. Lavorare con diverse squadre in contemporanea è impegnativo, certo, ma ti permette di avere costantemente un numero maggiore di possibilità di creare interesse intorno al brand e di farlo costantemente. Poi ci sono realtà come la Quick Step-Alpha Vinyl che sono al vertice per organizzazione. Con loro abbiamo un contratto di 6 anni».

Si, ma tre team maschili nel ciclismo attuale sono un impegno enorme!

La volontà di fare una terza squadra non c’era. L’ammirazione che ha Mike Sinyard (fondatore della casa) nei confronti di Peter Sagan è stata fondamentale e la terza sponsorizzazione maschile ha preso forma.

Tecnicamente siamo portati a pensare che avete anche maggiori possibilità di sviluppare i prodotti con l’aiuto di diversi team e tanti atleti. E’ così?

E’ assolutamente così. Tante possibilità e molti feedback. Un esempio è lo sviluppo della nuova categoria di pneumatici, dove la Quick Step ha giocato un ruolo fondamentale. Oppure lo sviluppo di una bicicletta, volendo fare un altro esempio. Vengono utilizzati dai 2 ai 4 mesi di test sul campo con staff e corridori, talvolta anche di più.

L’utilizzo dei copertoncini e dei tubeless, sviluppato con i pro e soluzioni destinate a cambiare la categoria (foto Specialized)
L’utilizzo dei copertoncini e dei tubeless, sviluppato con i pro e soluzioni destinate a cambiare la categoria (foto Specialized)
E’ possibile avere un’idea di quante biciclette vengono fornite ad ogni corridore?

Possiamo fare una media considerando le tre squadre uomini. Per ogni corridore vengono calcolati: 5 frame-kit S-Works Tarmac SL7 e 2 modelli Shiv da crono. A queste si aggiunge una S-Works Roubaix. Quest’ultimo modello non viene fornito a tutti, dipende anche dagli obiettivi del corridore».

E la S-Works Aethos?

Non è contemplata nella fornitura iniziale, ma è disponibile per quei corridori che la vogliono provare. Alaphilippe l’ha utilizzata e gli è piaciuta parecchio, così come Asgreen che l’ha usata al Tour. Oppure le bici gravel, non inserite nel magazzino iniziale e poi fornite in base alle necessità».

Ci sono delle differenze tra le bici di un team ed un altro? Oppure tutte si basano sulla stessa piattaforma S-Works?

«Tutte le biciclette sono S-Works e le forniture sono uguali per tutti, uomini e donne».

Il pacchetto Specialized è completo, telai, ruote ed equipaggiamento in genere. Ci puoi dare un’idea anche in merito a questi numeri?

Indicativamente forniamo 2 set di ruote training ad ogni corridore, 3 set di ruote leggere e 3 set di aerodinamiche. Poi ovviamente è da considerare l’organizzazione di ogni singolo team. Sulla fornitura dei materiali c’è sempre da considerare se la collaborazione è attiva da più stagioni. In un certo senso la storicità del rapporto ha un peso in fatto di numeri e fornitura e ci sono più variabili da considerare.

Quali sono i modelli di sella che utilizzano i corridori?

Potrei dirti che oggi si dividono nel 50% che usa la sella corta Power e l’altro 50% che utilizza la sella standard, ovvero la Romin. In entrambi i casi i corridori apprezzano le versioni Mirror in 3D.

Quali ruote? Invece per quello che concerne il cockpit?

Roval non ha più in gamma le ruote con cerchio da tubolare, questo anche per i pro’, ai quali forniamo le Alpinist e le Rapide per gareggiare. Tutti i team adottano i copertoncini ed i tubeless. Le Rapide Tubeless sono state fornite per la stagione entrante. Per il manubrio e per il cockpit in generale: noi forniamo il nostro kit e si dà merito anche alle eventuali sponsorizzazioni. Vedi ad esempio la Quick Step con Pro Bike Gear.

Come avviene la fornitura dei materiali?

Abbiamo una base in Olanda, un vero Service Course pronto a tutto. Qui ci sono dei telai grezzi pronti ad ogni evenienza, volendo fare un esempio legato alle biciclette. Questo ci permette di preparare delle colorazioni particolari in tempi ridotti. Buona parte dei telai S-Works sono verniciati in Italia. Di solito siamo in grado di consegnare con tempistiche molto ridotte. Talvolta bastano due giorni.

Un’altro bel dettaglio della livrea pensata per Sagan (foto Specialized)
Un’altro bel dettaglio della livrea pensata per Sagan (foto Specialized)
Ci sono dei componenti che sono prodotti su richiesta specifica del team oppure del corridore, oppure vengono forniti i normali componenti standard?

Si ci sono delle richieste e rispetto al passato posso dire che sono un numero sempre inferiore. Ultimamente le particolarità si sbilanciano verso i manubri da crono.

Specialized fornisce delle indicazioni particolari, oppure il corridore è libero di usare i materiali con i quali si trova a suo agio?

L’atleta è libero di usare quello con cui si trova meglio, all’interno della fornitura. Vengono date delle indicazioni, ma l’ultima parola è sempre del corridore.

Ti riferisci alle bici da crono, alle ruote lenticolari, oppure altro?

Il pacchetto crono è un valido esempio. Con il tempo abbiamo sviluppato un sistema che affianca i team e gli atleti, una sorta di piattaforma di simulazioni che fornisce quanti più dati possibili, che vanno dal meteo alla morfologia del territorio, vento e molto altro.

In merito al montaggio. Affiancate i meccanici dei team, magari nelle prime fasi di una sponsorizzazione, ad esempio nel caso della TotalEnergies?

Sì, facciamo dei corsi di formazione per i meccanici».

Nell’ambito del posizionamento in bici. Tutti i team supportati utilizzano la piattaforma biomeccanica Retul?

Sì e non solo quello, perché dietro c’è un lavoro enorme che coinvolge anche la galleria del vento. Retul e test, ai quali si aggiungono delle prove metaboliche. Questo ci porta a lavorare a stretto contatto con i fisioterapisti e ci serve per immagazzinare dati che vengono utilizzati per lo sviluppo dei prodotti. Ci permette di capire le risposte fisiche di un corridore che è stato vittima di un incidente. L’esempio di Jakobsen, che è tornato a pedalare alla grandissima, con una posizione in sella che è paragonabile a quella pre incidente»!