Buitrago, i brividi addosso a un passo dal sogno

14.06.2024
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Ieri la squadra lo ha raggiunto ad Andorra. Così Santiago Buitrago ha lasciato casa ed è salito a quota 2.300, ancora 200 metri sotto il suo paese in Colombia, ma abbastanza per rifinire la preparazione in vista del primo Tour. Quando era bambino, il colombiano fece un disegno con il podio del Tour 2022: è ancora sopra all’armadio nella sua cameretta. Era il grande sogno, cui arriva con due anni di ritardo. La sua non è una famiglia colombiana come altre, in cui si corre per rabbia o per fame. Santiago corre per amore della bici, con i piedi per terra e la lucidità che serve per essere professionista in ogni ambito. Nel frattempo ha vinto due tappe al Giro e al recente Delfinato si è mosso vicino ai più forti. Cosa si prova quando un sogno sta per realizzarsi?

«E’ una cosa speciale – dice – ho lasciato il mio Paese con la voglia di fare bene una cosa grande, il mio sogno. Vedi la tua famiglia e le persone vicine a te che si emozionano nel sapere che vai a fare il primo Tour, sapendo tutto quello che hai fatto per arrivare fino a quell’obiettivo. Sono partito veramente motivato. Normalmente a casa può essere difficile stare concentrato su un solo obiettivo, però avendo davanti agli occhi il Tour de France, ti svegli ogni mattina per fare il meglio possibile».

Ultima tappa del Delfinato, Buitrago arriva 5° dietro De Plus a 35″ da Rodriguez
Ultima tappa del Delfinato, Buitrago arriva 5° dietro De Plus a 35″ da Rodriguez
La condizione c’è, al Delfinato sei stato spesso insieme ai più forti…

E’ andato abbastanza bene. Peccato per un giorno, il primo di montagna, che mi sono bloccato. Invece sono contento delle ultime due tappe e della crono in cui sono migliorato tanto. Avevo qualche dubbio…

Perché?

Non correvo dalla Liegi e in Colombia mi era venuto male a un ginocchio. Sono stato a casa a lungo e dopo tanto tempo in altura, nella prima gara rischi di non trovarti bene. Non si può mai sapere. Però sapevo che i numeri erano buoni e che la preparazione era quella giusta. Sono andato in Francia pensando di entrare nei primi cinque. Speravo di non perdere tanto nella crono e lottare per la vittoria. Invece sono saltato in un giorno di montagna e questo un po’ mi disturba…

Hai chiuso undicesimo, come pure al Giro dei Paesi Baschi: che differenze ci sono?

Al Delfinato è andata meglio, perché in salita sono rimasto con i migliori. Ero più convinto di andare bene, mentre ai Paese Baschi venivo della caduta alla Parigi-Nizza. Con tutte le scivolate che si sono viste, avevo paura di andare in gruppo e di fare le discese. Poi c’è stata la tappa in cui sono caduti Vingegaard e gli altri e la corsa di colpo è stata tutta aperta. Non si sapeva chi potesse vincerla…

Il primo Tour: che effetto fa?

Per me questo è un sogno, lo è già solo essere nella lista della squadra. Sarà il primo Tour, per cui l’obiettivo è farlo al meglio possibile. Farlo nella maniera più corretta e professionale, con la convinzione di arrivarci al 100 per cento. Farlo bene vuol dire che sei fra i migliori al mondo. Riuscire a vincere in mezzo a tanti uomini forti sarebbe importantissimo e solo pensarci mi fa emozionare tanto.

Alcuni dei più forti li hai visti da vicino al Delfinato, almeno Roglic, Evenepoel, Rodriguez…

In realtà non ho sentito una differenza così abissale, di uno che attaccava e poi non lo vedevi fino all’arrivo. Mi è piaciuta come gara perché eravamo tutti lì, nelle stesse condizioni, con pochi secondi di differenza. Per vincere partivano all’ultimo chilometro. L’ultimo giorno, Roglic e Ciccone sono saltati. Jorgenson è andato fortissimo, però non è ho visto tanta differenza. Okay, nella crono Remco è stato inavvicinabile. Non sono partito con l’idea di poter prendere due minuti, però poi ho visto che in montagna ha sofferto. Va bene, mancavano Pogacar e Vingegaard, ma voglio pensare che non siano troppo lontani…

In gruppo cosa si dice di Vingegaard?

Se ne parla, si ragiona di come potrebbe arrivare al Tour. Ce ne sono tanti che dicono che arriverà al 100 per cento, altri secondo cui salterà nel primo giorno di montagna. Io penso che lui arriverà a un livello top, non lo so se al 100 per cento, però arriverà bene. Magari non sarà il miglior Vingegaard di sempre, ma sarà forte abbastanza per dare battaglia.

Hai parlato della crono, è qualcosa su cui avete lavorato tanto?

La squadra si impegna tanto a migliorare nella crono. Si lavora tanto con Alé per l’abbigliamento e con Rudy Project per i caschi. Con Merida e Vision per bici e ruote. Quest’anno tutti gli sponsor hanno fatto tanti investimenti per migliorare e abbiamo lavorato davvero bene. C’è stato davvero un salto di qualità. Penso che si possa ancora crescere, però fino ad ora sono contento per il miglioramento che abbiamo avuto.

Però Santiago resta un scalatore…

Sì, la natura è la natura, anche il cuore è il cuore. Santiago Buitrago non sarà mai un cronoman, sono e resto uno scalatore. Quello mi piace tanto di più.

Il ginocchio sta bene?

Adesso sì, in Colombia ho lavorato tanto con il fisioterapista e sono venuto in Europa guarito al 100 per cento.

Foto dalla Colombia su Instagram: una “arepita” (una focaccia) e poi si riparte (foto Pipe Cano)
Foto dalla Colombia su Instagram: una “arepita” (una focaccia) e poi si riparte (foto Pipe Cano)
Come sei stato accolto in Colombia, sapendo che farai il Tour?

Ogni volta che torno a casa, vedo più gente che va in bici. Ci sono più tifosi, ma il momento è un po’ complicato. Il colombiano si era abituato a vedere Egan Bernal vincere il Tour, Nairo Quintana lottare per il podio, Uran e Chaves. Adesso non siamo a quei livelli, però abbiamo un numero più alto di corridori che fanno dei bei risultati, mentre prima erano solo due o tre. Siamo tanti e facciamo bene. A me è piaciuto come ha corso Rubio al Giro d’Italia e anche lo stesso Dani Martinez. Penso che piano piano ci stiamo riprendendo la strada. Ed è bello quando sei in Colombia, con tutti questi tifosi che urlano il tuo nome.

Qual è il primo Tour di cui hai memoria?

Forse quello del 2009, vinto da Contador. E’ il primo che ho visto in televisione, avevo 10 anni. Contador per me è stato per tanti anni un modello, per un bambino che sogna di diventare uno scalatore e di vincere il Tour, capisci? Perciò ci vediamo a Firenze fra un paio di settimane. Ormai il Tour arriva per davvero…

Padun riparte dall’Italia con qualche nodo da sciogliere

15.12.2023
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Mark Padun è appena rientrato da un allenamento lungo, sotto l’acqua e un bel freddo. Andorra in questi giorni mostra la sua faccia e dopo tanto girare in cerca di caldo, l’ucraino ha fatto ritorno alla base per preparare la valigia e raggiungere a breve il ritiro toscano del Team Corratec. La squadra di Frassi e Parsani, con l’astuta regia di Citracca, ha raccolto un gruppetto di corridori molto solidi, guidati da Valerio Conti che già c’era. Accanto al romano sono arrivati Sbaragli e Mareczko, Bonifazio e ora Padun, per un peso specifico che raramente questo gruppo aveva raggiunto negli ultimi anni.

L’ucraino è un pezzo di pane, un ragazzo buono di 27 anni, che per caratteristiche atletiche meriterebbe ancora un posto nel WorldTour. Negli ultimi quattro anni ha corso con la Bahrain e poi con la EF Education, uscendo progressivamente dai radar.

Il 2023 di Padun è andato via fra prestazioni senza grossi spunti
Il 2023 di Padun è andato via fra prestazioni senza grossi spunti

Un motore potentissimo

Il suo preparatore dice di aver visto raramente un motore così potente e che, proprio per questo (indicando tra i fattori da tenere in considerazione anche il peso: Padun è alto 1,83 e pesa 67 chili), chi non lo conosce bene rischia di fargli prendere strade tecniche sbagliate. Forse è proprio questo quel che è successo nelle ultime due stagioni nel team americano. Padun infatti è arrivato forte al 2022 dopo il primo inverno, poi è andato sempre in calando. Dove è finito il corridore che vinse due tappe al Delfinato del 2021 e poi, escluso dalla squadra del Tour, andò fortissimo alla Vuelta?

Su quell’esclusione si parlò molto, ma la Bahrain Victorious volava e quando si trattò di fare la squadra per la Francia, la mannaia si abbatté su Mark, che non la prese affatto bene. I corridori guidati in quell’occasione da Rolf Aldag vinsero tre tappe (due con Mohoric e una con Dylan Teuns), per cui in breve del malumore di Padun si smise di parlare. Lui invece non dimenticò. Fece una Vuelta stellare, aiutando Gino Mader a conquistare la maglia bianca. E a fine anno cambiò squadra.

Giro del Delfinato 2021, Mark Padun vince le ultime due tappe: prima a La Plagne, poi a Les Gets
Giro del Delfinato 2021, Mark Padun vince le ultime due tappe: prima a La Plagne, poi a Les Gets
A parte la vittoria al Gran Camino a inizio 2022, le cose non sono andate troppo bene. Come mai?

Ho avuto problemi e sfortuna. Non sono più riuscito a trovare il mio ritmo. Un paio di volte ho sentito di avere una super gamba, ma in quei casi ho avuto forature, cadute ed episodi sfortunati. Alla EF mi sono trovato bene, è una bella squadra, con bravi preparatori e un bel personale. Non posso dire che sia dipeso da loro, ma qualcosa non ha funzionato.

Come si fa a perdere completamente lo smalto?

E’ la domanda più grande. Per questo sto lavorando, per tornare al Mark Padun di due anni fa. Ho ripreso a lavorare con il mio vecchio preparatore. Finché ero in una WorldTour non poteva più seguirmi, perché anche lui lavora in una grande squadra. Adesso invece abbiamo ricominciato a collaborare.

L’ultima vittoria di Padun è la crono del Gran Camino 2022, vinta per 5″ su Herrada
L’ultima vittoria di Padun è la crono del Gran Camino 2022, vinta per 5″ su Herrada
Avete rimesso mano alla preparazione?

Siamo tornati al metodo di prima e le cose stanno andando meglio. Non può essere una coincidenza. Rivedendo il mio modo di lavorare, ci siamo resi conto che in questi due anni ho sempre esagerato con i carichi di lavoro. Arrivavo alle corse stanco e non era normale. Ora ho ripreso in modo diverso, con la quantità giusta e tanta qualità.

Il ritorno in una squadra italiana, anche se non WorldTour può essere l’occasione per rilanciarsi?

L’Italia ha segnato l’inizio della mia carriera. Sono stato per due anni in Colpack e ho vissuto da voi prima di trasferirmi ad Andorra. Mi piace la mentalità che avete e il fatto che le squadre sono grandi famiglie. E a me serve un ambiente sereno per fare quel che adesso mi preme. Ricostruirmi prima ancora di pensare a quali obiettivi raggiungere.

Il miglior piazzamento 2023 è stato il 3° posto a Forlì alla Coppi e Bartali, nel giorno della vittoria del compagno Healy
Il miglior piazzamento 2023 è stato il 3° posto a Forlì alla Coppi e Bartali, nel giorno della vittoria del compagno Healy
Hai avuto contatti con i nuovi compagni?

Non ancora. Ho parlato con Francesco Frassi e adesso non vedo l’ora di incontrarli al primo ritiro (la squadra si radunerà per cinque giorni la prossima settimana a Viareggio, ndr). Quello che so è che troverò due professionisti ucraini, siamo gli ultimi tre rimasti nel gruppo e questa è una bella coincidenza. Il nostro ciclismo soffre, come la nostra gente. Tutti fanno il meglio possibile, ma non ci sono soldi e gli sponsor, che già non erano ricchissimi, hanno altro cui pensare.

Un quadro pesante…

I genitori non portano i bambini alle scuole di ciclismo, per cui il nostro sport si aggrappa ai Paesi come l’Italia e alla gente che cerca di aiutarci. Ci sono ragazzi e ragazze che vivono fuori dall’Ucraina e riescono a correre. Il vero buco ci sarà per le prossime generazioni. Ma quando c’è una guerra, capisci anche che lo sport viene dopo.

La maglia della nazionale: nel 2021 agli europei non valeva quanto ora, con il Paese in guerra. L’obiettivo è Parigi
La maglia della nazionale: nel 2021 agli europei non valeva quanto ora, con il Paese in guerra. L’obiettivo è Parigi
Come hai vissuto questo periodo di fatica e zero risultati?

Quando le gambe non vanno, ti vengono anche parecchi dubbi. Per fortuna che Training Peaks continuava a mostrarmi dei bei numeri, che ho fatto parecchi KOM e che ho avuto alcuni dei miei risultati migliori su segmenti di 20 e 30 minuti. Devo trovare il modo per diventare più consistente, di fare bene quello che so fare e puntare all’unico obiettivo che ora posso dire di avere in testa.

Quale sarebbe?

Non il Giro, anche se mi piacerebbe e mi piacerebbe che fossimo invitati. Penso alle Olimpiadi. Devo conquistarmi il posto facendo belle corse, ma penso che essere a Parigi sarebbe un bel modo per riprendere il filo del discorso e fare qualcosa di bello per il mio Paese.

Bressan, il bilancio del CTF e un dubbio sulla categoria U23

14.12.2023
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Se inizialmente qualcuno fu contrario al fatto che il Cycling Team Friuli diventasse team di sviluppo per la Bahrain Victorious, quello fu sicuramente Roberto Bressan. Poi, vista la convinzione dei suoi collaboratori, anche il grande capo fece un passo indietro, accettò la novità e si mise a studiare la situazione.

La sua squadra non è un vero e proprio “devo team”, perché per esserlo dovrebbe avere la stessa amministrazione e gli stessi finanziatori. Nonostante ciò, il rapporto che si è creato è strettissimo e simbiotico. Gli stessi materiali e un kit con grafiche comuni. Andrea Fusaz è passato dall’essere preparatore dei ragazzi della continental a lavorare in pianta stabile per la WorldTour. Per sostituirlo, ex corridori del CTF si sono laureati in Scienze Motorie e ora sono entrati nell’organico come tecnici. La filiera funziona. Così siamo tornati dal manager di Udine, per farci raccontare se nel frattempo abbia cambiato opinione.

Jonathan Milan, Roberto Bressan, Rod Ellingworth, Giro d'Italia 2020, Udinea
Giro 2020, quello del Covid a ottobre: Milan e Bressan incontrano Ellingworth, al tempo manager alla Bahrain
Jonathan Milan, Roberto Bressan, Rod Ellingworth, Giro d'Italia 2020, Udinea
Giro 2020, quello di ottobre: Milan e Bressan incontrano Ellingworth, al tempo manager alla Bahrain

«Proverei ad ampliare il discorso – dice – parlando prima di tutto del senso delle devo team. Oggi ne hanno uno ben preciso, perché il ciclismo cambia continuamente. E se adesso vuoi fare ciclismo ad alto livello, devi diventare una devo team. La Colpack è l’eccezione che riesce ancora a fare le cose da sé, ma probabilmente hanno una forza economica che altri non hanno. Io non riuscirei a fare quello che faccio senza la Bahrain».

Fino a due anni fa ci riuscivi, cosa è cambiato?

Non girano abbastanza soldi. D’altronde lo vedete quali sono le squadre più forti. La Jumbo, la Quick Step, la Lotto. Hanno tutto il meglio, anche quello delle devo team è diventato un piccolo WorldTour. Sono di un altro mondo e i corridori più forti fanno la fila per essere con loro.

Quindi alla fine hai cambiato idea?

Una volta che entri nell’ordine delle idee, non puoi farne a meno. Noi non siamo una devo, lo siamo per metà. Io sono titolare della mia società, loro mi sponsorizzano e abbiamo le stesse bici. Non ci vedono più come una squadra dilettantistica, c’è un rapporto strettissimo. Se abbiamo bisogno di parlare con un loro preparatore, ci mettiamo in contatto. Mi danno i corridori che vogliono, però alla fine la società resta mia.

Andrea Fusaz è cresciuto come preparatore al CTF Lab, ora è una delle colonne della Bahrain Victorious
Andrea Fusaz è cresciuto come preparatore al CTF Lab, ora è una delle colonne della Bahrain Victorious
Qual è il vantaggio?

Siamo cresciuti. Stiamo allargando la base dei preparatori, dei massaggiatori, dei corridori che acquisiscono una mentalità diversa. Sanno che hanno delle possibilità, quindi sono anche più stimolati. Siamo CTF, ma alla fine siamo come una WorldTour, quindi il progetto funziona. Io avevo le mie perplessità all’inizio, ma se non l’avessi provato, non ci sarei mai arrivato.

Che cosa servirebbe per migliorare ancora?

Se avessi più soldi, farei un’attività ancora più importante e terrei più corridori. Ho una schiera di friulani che vorrei prendere, ma non posso per budget e per politica. Il ragionamento del Bahrain è condivisibile: vogliono una base più ampia e internazionale. La mia è più una mentalità italiana, ma quando ti ritrovi dei corridori così forti in Friuli, non puoi non prenderli. 

Daniel Skerl ha vinto quattro corse nel 2023. Qui il Trofeo Alessandro Bolis a marzo
Daniel Skerl ha vinto quattro corse nel 2023. Qui il Trofeo Alessandro Bolis a marzo
E chi li prende? Può essere il ruolo delle piccole squadre U23 che non sono continental?

Per come la vedo io, le squadre dilettantistiche italiane non agganciate a nessuno sono spacciate. Per come è strutturato il ciclismo internazionale, in questo momento non ha nemmeno più senso che esista la categoria under 23. Sarebbe meglio allungare di un anno la categoria juniores e poi passare direttamente alla continental. Ormai chi può fare bene nelle gare internazionali? Solo una squadra strutturata, per cui le squadre più piccole come quelle toscane che attività possono fare?

E allora chi li prende questi corridori friulani?

Due sono andati alla Fior, mentre i 3-4 più importanti hanno già i procuratori. Se ne chiamo uno e gli chiedo di darmi un suo corridore friulano, lui in cambio mi chiede due anni nella continental e poi il contratto WorldTour. Ma come è possibile far firmare un contratto WorldTour, se ancora non si è visto di che corridore parliamo? Secondo me è esagerato quello che attualmente chiedono i procuratori. Bruttomesso è migliorato tanto, finisce le corse a tappe, ma probabilmente neanche lui è pronto per la WorldTour.

Bruttomesso passa alla Bahrain Victorious dal 2024, per Bressan deve crescere ancora molto (photors.it)
Bruttomesso passa alla Bahrain Victorious dal 2024, per Bressan deve crescere ancora molto (photors.it)
Come è andato il 2023?

Abbiamo avuto parecchi problemi, ma è vero che fare il confronto con la squadra di tre anni fa sarebbe difficile. Jonathan Milan faceva la differenza, anche Aleotti. Abbiamo vinto un sacco di gare, però nel 2023 mi sarei aspettato qualcosa di più. Per contro abbiamo trovato Skerl che diventerà un corridore di peso. Il prossimo anno si ricomincia un ciclo. A parte Brian Olivo, Andreaus e Skerl, avremo tutti primi anni.

L’obiettivo è ancora vincere oppure, avendo dietro la WorldTour, si può correre con meno pressione?

E’ cambiato il modo di pensare, perché la Bahrain non ti dà la pressione immensa che prima dovevi mettere ai corridori. Vedono che se fanno qualcosa di buono, hanno lo spiraglio. Nessuno parla di De Cassan, ma correndo con noi, si è ricavato la possibilità di passare professionista, anche se non al Bahrain. Non gli abbiamo mai dato pressione, è arrivato bene nelle gare giuste e ha trovato il suo posto. L’importante è lavorare come Dio comanda, solo facendo così si tirano fuori dei corridori.

Buitrago fiuta il Tour: senza Pogacar, la “bianca” fa gola

22.11.2023
7 min
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A Bogotà oggi piove, ma ci sono 25 gradi. Buitrago è in città per passare qualche giorno in famiglia, di ritorno dal Giro de Rigo, la cicloturistica organizzata da Uran che ha visto al via anche Wout Van Aert. A breve però farà ritorno a La Ceja, regione di Antioquia, dove vive e si allena. Dice che quando esce non ha bisogno della scorta, ma un suo amico lo segue sempre con la moto, per tenergli gli indumenti e i rifornimenti. Il vincitore delle Tre Cime di Lavaredo trascorrerà l’inverno in Colombia e farà ritorno in Europa per il ritiro di gennaio. La voce arriva chiara, l’umore appare ottimo.

«Non avevo mai visto tanta gente tutta insieme – racconta – è stato un evento grandissimo. C’erano quasi seimila persone in bicicletta, una cosa bellissima. Tutti fan di ciclismo, di Rigo e dei campioni che c’erano. Ogni volta che torno in Colombia, mi rendo conto di quanto sia popolare questo sport. La gente si ricorda il nome, ti riconosce dalla maglia della squadra. Se ti fermi a prendere un caffè, vengono a farsi la foto. E’ bello perché quando ero piccolo lo facevo anche io. Andavo da Rigo oppure se capitava di incontrare Nairo. E adesso trovo bellissimo che lo chiedano a me. Non vorrà mica dire che sto diventando vecchio? ».

Domenica scorsa, Buitrago ha partecipato con altri 6.000 ciclisti al Giro de Rigo. Alla sua ruota, Van Aert e Uran
Domenica scorsa, Buitrago ha partecipato con altri 6.000 ciclisti al Giro de Rigo. Alla sua ruota, Van Aert e Uran

Il 2023 da incorniciare

Scoppia a ridere. Due chiacchiere sul Tour Colombia 2.1 che torna il prossimo anno e se la Bahrain Victorious non ci sarà, gli piacerebbe farlo con la nazionale. E poi il discorso va sulla stagione di questo ragazzo di 24 anni, che nel 2023 è arrivato terzo al Saudi Tour e poi alla Ruta del Sol. Terzo anche alla Liegi e poi primo alle Tre Cime al Giro d’Italia, dopo la vittoria del 2022 a Lavarone. La squadra se lo tiene stretto, con un contratto fino al 2026. E lui intanto cresce, sorride e sogna in grande.

«Questa stagione – dice – è stata più di quanto mi aspettassi. Volevo fare tante corse. Puntavo a fare classifica al Giro, non è andato come mi aspettavo, però ho vinto una tappa e fatto una buona classifica. Ho fatto la Vuelta di Spagna e anche qualche podio di tappa e questo per me è stato fantastico. Forse però il podio che non mi aspettavo è stato quello della Liegi. Praticamente sono arrivato in Belgio il sabato al mattino dal Tour of the Alps. Ero ancora stanco, non è stato semplice, per questo non mi aspettavo di andare così. Eppure alla fine la Liegi mi è piaciuta tantissimo. E’ una delle classiche che vedevo in tivù quando ero bambino e penso che un domani potrei anche lottare per vincerla, dato che sul podio ci sono già arrivato».

Lavarone meglio di Lavaredo

Numeri da scalatore: un metro e 74 per 59 chili, Buitrago è uno di quelli da cui ti aspetti il volo sulle grandi montagne. E il volo il colombiano l’ha spiccato il 25 maggio fra Longarone e le Tre Cime di Lavaredo, rimanendo allo scoperto per 126 dei 183 chilometri della tappa. Allo stesso modo, l’anno prima era stato in fuga per 158 chilometri verso Lavarone e aveva alzato le braccia al cielo per la sua prima vittoria al Giro d’Italia.

«Sono due storie diverse – racconta riflettendo – perché la vittoria dello scorso anno è arrivata nel momento giusto. Due giorni prima a Cogne avevo fatto secondo dietro Ciccone e per me era stato un duro colpo. Per cui vincere il martedì, andando in fuga con Van der Poel e anche Ciccone, è una vittoria che ricorderò per sempre. Le Tre Cime di Lavaredo sono molto famose per gli europei, ma io sono colombiano, per me non hanno un significato particolare. Ugualmente è stata una vittoria importante, perché il mio Giro non stava andando troppo bene, per cui vincere quella tappa è stato importante. Ma nel mio cuore viene prima quella dello scorso anno».

Ottavo sull’Angliru alla Vuelta, Buitrago nel finale ha staccato Mas e anche Ayuso
Ottavo sull’Angliru alla Vuelta, Buitrago nel finale ha staccato Mas e anche Ayuso

Il ciclismo colombiano

Nel ciclismo colombiano che ha perso lungo la strada i grossi nomi, per limiti di età e vicende di varia natura, Buitrago è forse il più promettente e soprattutto concreto. Lui lo sa, forse gli piace sentirselo dire, ma resta con i piedi per terra. Nel 2023 ha anche concluso la Vuelta piazzandosi al decimo posto, dopo che nel 2022 se ne era andato dalla Spagna dopo appena 10 tappe.

«Sono contento di come sta andando la mia carriera – dice – ogni anno vado più forte. Ogni anno rimango più a lungo e per più tappe con i migliori e questo mi piace tantissimo. All’inizio provavo a seguire il gruppo e mi staccavo, adesso sono capace di rimanere con i primi 10 di classifica e posso lottare per vincere la tappa. C’è una bella differenza. Intanto il ciclismo colombiano sta attraversando un momento opaco. Non siamo tanti nel WorldTour, rispetto a due anni fa. Per i nostri tifosi è brutto, perché negli anni scorsi abbiamo vinto il Tour de France, il Giro d’Italia e la Vuelta. Vincevamo praticamente tutto, mentre adesso sono arrivato gli sloveni, i danesi, i tedeschi, gente che dieci anni fa quasi non c’era. Insomma, è un periodo in cui vanno più forte gli altri e noi dobbiamo lavorare per riprenderci». 

Alla Vuelta per Buitrago la visita della compagna Tatiana, anche lei colombiana
Alla Vuelta per Buitrago la visita della compagna Tatiana, anche lei colombiana

Il progetto Tour

E così adesso è arrivato il momento di alzare l’asticella e in casa Bahrain Victorious probabilmente potrebbero anche scegliere di accontentarlo. I programmi sono in fase di scrittura proprio in questi giorni e saranno finalizzati durante il ritiro di dicembre ad Altea. Ma dato che Buitrago non sarà della partita, con lui i contatti sono già in fase più avanzata.

«Qualche giorno fa – spiega –  mi hanno chiamato dalla squadra per chiedermi che tipo di gare volessi fare nel 2024. E allora non ci ho girato troppo attorno e gli ho detto che mi piacerebbe andare al Tour. Avrò 25 anni, ho fatto il Giro e la Vuelta e in Francia finalmente si potrà lottare nuovamente per la maglia bianca, dato che Pogacar finalmente è diventato di un anno più grande. Credo che sia arrivato il momento. Al Giro dello scorso anno sono stato secondo nella classifica dei giovani, dietro “Juanpe” Lopez. Quest’anno sono arrivato sesto e poi alla Vuelta sono stato quarto. Voglio vedere come si corre al Tour».

Questa la foto sull’Alto de Letras che ha spinto Fondriest a lanciare la scommessa a Buitrago
Questa la foto sull’Alto de Letras che ha spinto Fondriest a lanciare la scommessa a Buitrago

La scommessa con Fondriest

L’ultima parola è per parlare di una battuta fatta lo scorso inverno da Maurizio Fondriest, il suo procuratore. Cominciò tutto da una sua foto pubblicata su Instagram, in cui era ritratto sulla cima dell’Alto de Letras, una salita vicino Manizales, che sale di quasi 3.700 metri per la distanza… mostruosa di 81 chilometri. Una di quelle scalate sudamericane che richiedono un giorno intero e che si fanno raramente e spesso quasi solo per sommessa.

«Infatti è stata proprio una scommessa – ridacchia -perché un giorno dissi a Maurizio che qui in Colombia c’è questa salita così lunga. Non è tutta costante, ci sono dei tratti in cui spiana, c’è anche una piccola discesa, però di base la strada sale sempre. E lui rispose che gli sarebbe piaciuto farla e sarebbe venuto al primo risultato positivo che avessi fatto. Magari un’altra tappa al Giro, avremmo deciso poi. E così quando ho fatto il podio della Liegi, mi ha chiamato e mi ha detto: “Mi sa che dovrò andare in Colombia per fare quella salita”. E dopo la tappa delle Tre Cime, ha preso la decisione e verrà giù a dicembre, si sta organizzando. Non è una salita che faccio spesso, è lontana da Bogotà e da Antioquia. Ho tantissime strade per allenarmi. Tornerò in Europa a gennaio, però magari una foto di Maurizio sull’Alto de Letras provo a mandarvela…».

Tour 1995, quando la Motorola decise di continuare

24.06.2023
7 min
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«Quando ho sentito la notizia e il giorno dopo ho saputo che Mader era morto – mormora Andrea Peron – mi è sembrato di rivedere quel giorno. Vivo in Svizzera, l’ho visto in Svizzera ed ha avuto tanto risalto. C’è stata quasi la stessa dinamica, anche nel succedersi degli eventi dei giorni dopo. E’ stato come aver rivissuto quel Tour del 1995 in maglia Motorola…».

I compagni di Mader al team Bahrain Victorious hanno sfilato con il gruppo, ma il giorno dopo hanno lasciato il Giro di Svizzera
I compagni di Mader hanno sfilato con il gruppo, ma il giorno dopo hanno lasciato il Giro di Svizzera

La scelta di continuare

Oggi a Zurigo si svolgerà un evento commemorativo per Gino Mader, con i genitori al centro e il popolo delle due ruote che confluirà nel velodromo. La nostra memoria invece è andata a giorni che vivemmo in prima persona al Tour del 1995: quelli della caduta di Fabio Casartelli, della lenta sfilata del gruppo sul traguardo di Pau e della vittoria di Armstrong a Limoges con le dita al cielo. Non vogliamo rivangare il dolore, ma a pensarci bene nessuno ha raccontato ciò che avvenne nella Motorola quando si seppe che il loro compagno non ce l’aveva fatta. Come fu che decisero di andare avanti, mentre la Bahrain Victorious ha abbandonato il Giro di Svizzera? Perché decisero di proseguire? Come si vive in una squadra la perdita di un compagno?

«Eravamo all’Hotel Campanile – ricorda Peron – e ci ritrovammo sul prato lì fuori, davanti al laghetto. Jim Ochowitz, che era il team manager della Motorola, era venuto a chiederci cosa volessimo fare. Era la prima volta che succedeva una cosa del genere, fortunatamente non avevamo un precedente. Però conoscevamo tutti Fabio e la motivazione che aveva in quel Tour. Ci confrontammo a lungo e alla fine decidemmo di continuare, proprio per portare lui a Parigi. Perché comunque Fabio, sin da quando era partito dalla Normandia (il Tour del 1995 partì il primo luglio da Saint Brieuc, ndr), diceva sempre che voleva arrivare a Parigi».

Vi eravate preparati insieme, giusto?

Avevamo passato giugno allenandoci a Livigno e continuavamo a parlare di questo Tour e di quanto sarebbe stato bello arrivare a Parigi. E alla fine, decidemmo di continuare proprio per rispetto del nostro amico, altrimenti ci saremmo fermati. Siamo arrivati in fondo e la bici di Fabio ha sempre viaggiato sul tetto dell’ammiraglia fino all’ultimo traguardo. Per noi fu quello il modo migliore per concludere il Tour. Fu una decisione soggettiva del team, evidentemente al Team Bahrain hanno ponderato una scelta diversa, con altre motivazioni che meritano il massimo rispetto.

Credi che se l’incidente di Fabio non fosse avvenuto al Tour, ma in qualsiasi altra corsa, avreste continuato ugualmente?

Probabilmente no.

La sera sul lago ci fu qualcuno che non voleva andare avanti?

Eravamo tutti abbastanza uniti, non ci fu una votazione, fu piuttosto una terapia. Avevamo bisogno di stare tra di noi in modo più intimo. Tutti ci cercavano, tutti ci chiedevano, tutti volevano sapere, tutti volevano esserci vicino, invece quel momento fu solo per noi. Ci siamo confrontati, ci siamo parlati, ma alla fine tutti fummo concordi sul continuare. Fabio aveva un’energia e un entusiasmo contagiosi. Era sempre divertente, sempre motivato, sempre ottimista su tutto. Ce lo trasmetteva e quindi sapevamo che lui sarebbe voluto arrivare a Parigi. 

Hai parlato dell’intervento di Ochowitz, cosa venne a dirvi?

Jim era distrutto, come tutti, ma forse lui si sentiva addosso la responsabilità. Magari non dell’incidente, ma sicuramente del fatto di aver selezionato Fabio per il Tour. Ha sempre avuto un grande cuore e con Fabio aveva legato molto, visto che viveva anche lui a Como. Eravamo tutti più o meno nella stessa zona, eravamo quasi una famiglia.

Quando hai saputo che Fabio era morto?

In maniera chiara, all’arrivo. Però salendo sull’ultima salita ricordo che c’era un’atmosfera strana, quando passavamo noi della Motorola, la gente applaudiva in modo strano. Ricordo Darcy Kiefel, una fotografa americana, che sul Tourmalet mi fece una foto e intanto piangeva. E io pensai: perché sta piangendo? Poi, piano piano, ho realizzato tutto. Le radio non c’erano ancora. Della caduta e che fosse brutta l’avevamo saputo subito. In gruppo c’era ancora tantissima bagarre e mentre da dietro iniziavano a rientrare quelli che erano rimasti coinvolti, andai a chiedere all’ammiraglia se dovessimo aspettare Fabio, ma mi dissero che lo avevano portato in ospedale. Poi parlai con Perini, non ricordo se fosse caduto anche lui o avesse visto, e mi parve sconvolto. Continuammo la tappa, quasi tutti staccati, fino a Cauterets.

Al via della settima tappa del Giro di Svizzera è stata lanciata una colomba bianca, per salutare Gino Mader
Al via della settima tappa del Giro di Svizzera è stata lanciata una colomba bianca, per salutare Gino Mader
Il giorno dopo il gruppo pedalò a passo d’uomo fino a Pau: una processione lentissima, dopo la quale Bjarne Riis disse che avrebbe avuto più senso annullare la tappa, che farsi del male a quel modo…

Fu una giornata molto pesante, in un certo senso capisco Bjarne perché veramente era una tappa lunghissima con un sacco di salite. Fu pesante per tutti, anche perché eravamo svuotati. Già c’era la fatica di due settimane di Tour, ma soprattutto portavamo un macigno dentro e non avevamo l’adrenalina della gara. Se devo dirvi, di quel giorno non mi ricordo niente, se non l’arrivo a Pau e questa sfilata interminabile sui Pirenei a passo d’uomo, con tutto il gruppo che veniva a chiederci. Non mi ricordo che salite abbiamo fatto, dove siamo passati, niente…

Cosa ricordi della vittoria di Armstrong a Limoges?

Lance era motivatissimo per fare qualcosa che ricordasse Fabio. E lui quando era così, tirava fuori un’energia non comune. Fu una vittoria per Fabio, la sera non festeggiammo. Cercammo di mantenere un comportamento di rispetto, ma abbastanza leggero. Ci vuole tanta forza per continuare in quello stato. Quando ti succedono queste cose, trovare l’energia per andare avanti e fare delle tappe del Tour de France è pesantissimo. La tappa di Pau la facemmo a passo d’uomo, però poi la gara continuò, con tutte le difficoltà di un Tour de France.

Andrea Peron, casse 1971, è stato pro’ dal 1993 al 2006 (alla Motorola nel 1995 e 1996). Oggi lavora in Karpos, azienda del gruppo Valcismon
Andrea Peron, casse 1971, è stato pro’ dal 1993 al 2006. Oggi lavora in Karpos, azienda del gruppo Valcismon
Con la stessa testa?

Fummo costretti a reagire, ma almeno per me non c’era più il senso di cercare la vittoria, la prestazione, il risultato. C’era solo arrivare in fondo e portare Fabio a Parigi. La vera lotta fu non farci risucchiare dalle emozioni negative e dalla negatività di quanto era accaduto, altrimenti sarebbe stato impossibile andare avanti.

Tu eri compagno di stanza di Fabio in quel Tour?

Quando quella sera entrai in camera, ricordo benissimo che c’era la sua valigia aperta sul letto, perché l’avevano aperta, penso per cercare i documenti. C’era la valigia aperta, ma Fabio non c’era più. Fu una cosa pesante.

Patron del Tour in quegli anni era Jean Marie Leblanc, che assecondò in toto il volere della Motorola
Patron del Tour in quegli anni era Jean Marie Leblanc, che assecondò in toto il volere della Motorola
In questi giorni si è parlato di sicurezza delle corse.

Non credo che allora, come oggi, ci sia stata la colpa di qualcuno dal punto di vista delle protezioni. Gino Mader e Fabio prima di lui sono mancati facendo quello che amavano. Ogni ciclista si assume una parte di rischio come chi corre in moto, come è successo a Simoncelli e come ad esempio agli sciatori. Mi ricordo la morte di Ulrike Maier nel 1994, che conoscevo. Andò a sbattere su un paletto e morì. Penso agli alpinisti che muoiono in montagna. Quello che invece mi fa più rabbia sono le morti che si possono evitare.

Di cosa parli?

Penso al povero Davide Rebellin, che viene a ucciso perché un camionista gli passa sopra e non si accorge di lui. Oppure tutti i morti che ci sono quasi settimanalmente, tirati sotto da autisti distratti. Questo mi fa più rabbia, perché per loro si potrebbe fare qualcosa. La morte è sempre uguale, ma quelle morti lì non devono più succedere.

Milan verso il debutto con l’emozione di un bambino

04.05.2023
5 min
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In tre anni da professionista, le gare di Milan in Italia sono state nove, con il grosso contributo della Settimana Italiana in Sardegna nel 2021 (cinque tappe) preparando le Olimpiadi. Il Giro d’Italia per il friulano sarà un’immersione come mai gli era capitata. Resta da capire se un atleta che ha già vinto le Olimpiadi, quindi il massimo cui uno sportivo possa ambire, provi emozione andando alla partenza della corsa rosa. E la risposta è immancabilmente positiva (in apertura, Jonathan in una foto da Instagram).

Milan ha vinto l’oro olimpico, titoli mondiali ed europei (qui a Monaco 2022 nell’inseguimento), ma freme per il Giro
Milan ha vinto l’oro olimpico, titoli mondiali ed europei (qui a Monaco 2022 nell’inseguimento), ma freme per il Giro

In viaggio con Stangelj

Jonathan ha raggiunto Pescara in auto con Gorazd Stangelj, tecnico del Team Bahrain Victorious: appuntamento a Palmanova ieri mattina alle 8 e poi 620 chilometri fino all’Abruzzo.

«Un lungo viaggio – sorride – ma francamente pensavo peggio. Cosa penso sul fatto che debutterò al Giro d’Italia? Bello, sono emozionato e contento. Il primo Giro, vediamo cosa succederà e… Sono davvero contento. Davvero contento».

Nella ripetizione c’è l’entusiasmo di un ragazzo di 22 anni, che avendo già vinto tanto, potrebbe anche aver messo certe emozioni in un cantuccio, ma non è così. Jonathan Milan discende da una famiglia di ciclisti, il Giro d’Italia è sempre stato un periodo di festa.

«Giustissimo quel che dite – conferma – io il Giro lo guardavo quando ero piccolo, sempre con mio papà. Mi ricordo ancora tutti i pomeriggi seduti insieme sul divano a guardare le tappe. Ricordo anche uno dei primi Giri d’Italia di De Marchi (entrambi sono nati a Buja, ndr), che andammo proprio a vedere. Era il 2011 e andai con mio padre, mio fratello e tutta la mia famiglia. Facevamo il tifo per Alessandro, ricordo che la corsa passava per Cornino (13ª tappa, Spilimbergo Grossglockner, vinta da Rujano su Contador, ndr)».

Milan stringe i denti al Croazia dello scorso anno: le salite lunghe sono troppo per lui
Milan stringe i denti al Croazia dello scorso anno: le salite lunghe sono troppo per lui
Cos’è che ti mette un po’ più di ansia? Il fatto che siano tre settimane, che ci siano salite lunghe…

Anche questo è un punto di domanda, perché non so ancora come possa reagire il mio fisico. E’ ovvio che sia motivato, però non si sa. Questo è l’aspetto che mi dà più preoccupazione. Ovvio che abbia persone attorno, i direttori sportivi e i compagni di squadra, che mi hanno già dato i loro consigli su come gestirmi, sul fatto di non andare fuori giri già nei primi giorni. Se ci sarà da lavorare, lavorerò. Se avrò spazio, proverò a prenderlo. Insomma, si cercherà di fare il meglio.

Dicono tutti che un grande Giro aumenta la cilindrata del motore, cosa ne pensi?

Penso che sia vero, perché correre tutti i giorni per tre settimane è qualcosa di diverso dal solito. Insomma, a livello fisiologico succedono cose. 

Al Saudi Tour, nella terza tappa a Abu Rakah, ha difeso la maglia conquistata con la vittoria del giorno prima
Al Saudi Tour, nella terza tappa a Abu Rakah, ha difeso la maglia conquistata il giorno prima
In squadra avete parecchi uomini di classifica, anche tosti: Caruso, Mader, Jack Haig. Il tuo sarà un Giro per lavorare o ci sarà spazio per provare qualcosa?

Prima di tutto, sarò a disposizione della squadra e farò quello che mi chiederanno di fare. Ci sarà il momento per tirare e magari ci sarà l’occasione che mi sento bene e può darsi che abbia libertà. Prendiamo una cosa alla volta.

La prima crono potrebbe essere adatta a te?

Direi di no. Non perché non vada bene a cronometro, ma perché non ho avuto tanto tempo per preparare una crono e al giorno d’oggi non si inventa niente. Sarà sicuramente un bel banco di prova, però…

Jonathan Milan è professionista dal 2021. E’ alto 1,94 e pesa 84 chili. E’ un atleta velocissimo
Jonathan Milan è professionista dal 2021. E’ alto 1,94 e pesa 84 chili. E’ un atleta velocissimo
Di sicuro la crono di Monte Lussari, dalle tue parti, non è adatta a te.

Ma nonostante questo, lassù troverò i miei tifosi che mi aspettano. Non vedo l’ora di vedere quale accoglienza mi riserveranno. Sarà una bella passerella anche quella, quasi l’obbligo di finire il Giro per passare davanti a loro.

Che rapporto hai con le grandi salite?

Penso che non avrò mai un rapporto d’amore. Mi sono allenato per cercare di fare il meno fatica possibile nei tratti duri, ma gli scalatori sono un’altra cosa. Se dovessi lavorare con la fantasia, immagino di scollinare in un gruppetto da una salita e andare poi a giocarmi la volata fra i pochi rimasti. Sarebbe una bella soddisfazione. E’ anche vero che quando la strada va su e fanno un passo al limite, si fa dura. Ma è ovvio che dove si può, si proverà.

Milan debutterà al Giro accanto a Damiano Caruso, uno dei leader della Bahrain Victorious
Milan debutterà al Giro accanto a Damiano Caruso, uno dei leader della Bahrain Victorious
Hai sfogliato il percorso?

Sì e mi pare bello duro. Dopo tre settimane, non so come reagirà il mio fisico. Dovrò avere una buona gestione dello sforzo della gara e di ogni più piccolo aspetto. 

Che clima c’è attorno a Caruso e gli altri?

Abbiamo una bella squadra, pronta e forte. Siamo tutti belli motivati.

La strategia alimentare per le cotes della Doyenne

22.04.2023
5 min
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Liegi-Bastogne-Liegi: 258 chilometri e 4.450 metri di dislivello, la classica Monumento più dura. Tutto deve essere preparato a puntino e per correrla bene dal primo all’ultimo chilometro è importante attuare una valida strategia alimentare. Bisogna considerare gli strappi in successione, le pendenze a doppia cifra, le curve… In questa gara non è “facile” mangiare come in una Sanremo o anche in una Roubaix che, per quanto stressante, presenta stradoni larghi e piatti tra un settore e l’altro.

Strategia per la Doyenne, la decana delle classiche così è chiamata anche la Liegi, che noi chiediamo di illustrarci a Nicola Moschetti, nutrizionista in forza alla Bahrain-Victorious (in apertura @charlylopezph).

L’altimetria della Liegi: 258 km e tante cotes, concentrate soprattutto nella seconda metà quando si decidono i giochi
L’altimetria della Liegi: 258 km e tante cotes, concentrate soprattutto nella seconda metà quando si decidono i giochi
Nicola, la strategia alimentare per la Liegi…

Direi che parte già dal giorno prima con un apporto maggiore di carboidrati nell’arco dei tre pasti principali. Già a colazione si vanno a caricare i carbo. L’obiettivo è quello di completare le riserve di glicogeno, affinché si sia pronti per il giorno dopo. Quindi se a colazione un corridore solitamente manda giù 120 grammi di carboidrati, alla vigilia della Liegi ne prenderà 160-180. Poi dipende anche dal tipo di corridore, dall’obiettivo, dal suo ruolo… ma di base la regola è questa. Che poi soprattutto con le corse di un giorno e in Belgio, se si aumenta un filo di peso (i carbo possono dare ritenzione idrica, ndr) non è un problema. Guardate Pogacar che ha detto di correre queste prove con un chilo e mezzo in più!

A pranzo e a cena?

La stessa cosa: più carboidrati, cercando però di limare un po’ i grassi, ma non le proteine che aiuteranno il muscolo a non andare in sofferenza il giorno dopo. Quindi porzioni maggiori di riso o pasta. Un altro accorgimento è il “low fiber”, vale a dire quello di ridurre o addirittura eliminare le verdure, per agevolare l’assorbimento dei carboidrati.

Passiamo quindi alla corsa. Altimetria alla mano cosa consigli ai tuoi ragazzi?

Come accennavate anche voi, non è facile alimentarsi in una corsa del genere. Almeno non con i cibi solidi, come barrette, banane o rice cake. I cibi solidi, a seconda dei tratti e delle andature, non sono facili né da ingerire, né da digerire e quindi si tende a scegliere fortemente le maltodestrine disciolte nelle borracce. E anche i gel. Noi in Bahrain-Victorious per esempio usiamo le malto C90 della Neversecond, in cui C90 sta per 90 grammi di carboidrati. Vale a dire che in una borraccia ci sono disciolti 90 grammi di carboidrati.

Le malto Neresecond di cui parlava Moschetti. Ogni pack va disciolto in 500 ml di acqua, in pratica in una borraccia
Le malto Neresecond di cui parlava Moschetti. Ogni pack va disciolto in 500 ml di acqua, in pratica in una borraccia
E come vanno prese?

L’ideale è una borraccia l’ora, quindi 90 grammi di carbo, accompagnata da un gel o una rice cake, che ne contengono altri 30, per arrivare così ai 110-120 grammi l’ora di carboidrati che sono l’obiettivo. Va da sé che raggiungere 120 grammi con i cibi solidi sarebbe difficile: bisognerebbe prendere il corrispettivo di quattro barrette o rice cake l’ora. E anche se si deglutiscono bene, alla lunga è più complesso digerirle. Poi è chiaro che se si va piano, e quindi si spende meno, si può anche scendere al di sotto dei 120 grammi di carbo l’ora.

E immaginiamo cambino anche i tempi di assorbimento. I liquidi dovrebbero essere più rapidi…

Esatto e infatti non bisogna guardare troppo avanti: bisogna pensare che quel che serve è ora. Il problema è che spesso i corridori sono presi dalla gara e non è così scontato che mangino con costanza. Pertanto alla base serve la consapevolezza da parte loro. Devono avere una certa educazione alimentare. E questo vale soprattutto per i cibi solidi: che li mangino quando è possibile.

L’ultima “abbuffata” eventualmente di cibi solidi è prima della Redoute, quindi nell’ultima ora e mezza, ora e 20′ di corsa?

Sì, ma un gel dovrebbero prenderlo anche dopo. L‘obiettivo è quello di non arrivare scarichi di carbo nell’ultima ora. Pertanto l’assunzione di quei famosi 120 grammi è ancora più importante nell’ultima ora. E qui è importante che anche l’ammiraglia glielo ricordi. Di certo non devono prendere cibi solidi. In questa fase due gel e mezza borraccia vanno bene. Magari un gel può essere alla caffeina.

Roche aux Faucons è l’ultima cotes della Liegi. Potrebbe essere un momento chiave. Non bisogna arrivarci senza carboidrati in circolo
Evenepoel sulla Roche aux Faucons nel 2022: potrebbe essere un momento chiave. Non bisogna arrivarci senza carboidrati in circolo
La caffeina è usata in modo sempre più ponderato.

Riduce il senso di stanchezza. Ma è importante prenderla al momento giusto. Quando si assume questo gel bisogna farlo sapendo che il picco della caffeina arriva 40′-45′ dopo, quindi bisogna farsi i calcoli. Se il mio punto “X” è la Roche aux Faucons devo prendere quel gel alla caffeina 40′ prima che ci arrivi.

Nella strategia alimentare rientra anche l’idratazione. Hai parlato di malto e con l’acqua invece come la mettiamo?

Quando si prendono le maltodestrine nelle borracce, l’acqua è compresa e paradossalmente non serve. I corridori la cercano per variare un po’ il gusto. Quindi meglio semmai l’acqua nella prima parte accompagnata magari da qualche boccone solido.

La “lista della spesa” per la strategia per Liegi perciò prevede…

Sono circa sei ore di gara, quindi 5-6 borracce di malto, 3 rice cake, 6 gel (1-2 dei quali alla caffeina).

Buratti chiude oggi a San Daniele un super 2022. E poi?

04.10.2022
5 min
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La Coppa Città di San Daniele, che prenderà il via oggi alle 13,10 e che domenica ha visto la prima edizione dell’edizione Rosa, dovrebbe essere l’ultima corsa 2022 di Nicolò Buratti (apertura photors.it). Per la rivelazione della seconda parte di stagione, da Poggiana al campionato italiano cronsoquadre, passando per il mondiale australiano, se coda può esserci, al massimo riguarderà il Trofeo Del Rosso.

Sul traguardo del mondiale, aveva l’espressione sfatta e contrariata di chi ha visto passare il treno e non è riuscito a saltarci sopra: avremmo saputo infatti di lì a poco della foratura, del cambio della ruota e dei problemi successivi che l’hanno costretto a cambiare bici. Per questo alla fine anche Amadori rivedendo il film della corsa, si è reso conto di quale grande occasione abbia perduto l’Italia.

«C’è stata un po’ di sfortuna – dice – ma sono soddisfatto della mia gara. C’è mancato poco che rimanessi nel gruppetto dei migliori per giocarmi poi il podio allo sprint. Ma essere lì significa che sono in grado di lottare con i migliori».

Lavori in corso

Quando Amadori si è ritrovato a fare la squadra senza Germani, Frigo e Garofoli, appiedati da vari problemi di salute, ha prima guardato alla volta di Parisini. Poi si è reso presto conto che il percorso fosse troppo duro e ha strizzato l’occhio a Milesi e Buratti, che non si sono fatti pregare.

«Lo abbiamo preparato bene – dice – la condizione c’era. Anche all’europeo mi ero mosso bene, dimostrando che c’ero. E’ venuto il settimo posto, ma ero lì per dire la mia. In realtà mi sto scoprendo piano piano anche io. Magari avevo certe idee su me stesso, ma mi sto ricredendo. Pensavo di essere un passista che tiene su percorsi duri e poi dotato di un buono spunto veloce, adesso invece non so esattamente cosa sono. Ho vinto gare tutte diverse fra loro…».

Ultimo acuto

Uno così non te lo lasci scappare. Il Cycling Team Friuli è vivaio della Bahrain Victorious, ma al momento non si hanno notizie di accordi già firmati, come conferma anche il suo procuratore Raimondo Scimone, mentre è certo che sul ragazzo ci sia l’interesse anche di altre squadre..

«Lo confermo – sorride Buratti – non ho contratti firmati con nessuno, spero però che nei prossimi giorni verrà fuori qualcosa di ufficiale. Non sono state previste corse tipo stage con i pro’, per cui San Daniele diventa l’ultimo grande obiettivo di stagione. Poi, con la possibile variabile del Del Rosso, penso che avrò diritto a un po’ di riposo, sempre vedendo anche i piani della squadra. Cercherò di fare le cose che la bici tiene lontane, passerò un po’ di tempo con gli amici, cercherò di godermi la vita per quel che si può».

Sabato il Cycling Team Friuli ha vinto il tricolore cronosquadre, con Buratti, Olivo, Debiasi e Milan
Sabato il Cycling Team Friuli ha vinto il tricolore cronosquadre, con Buratti, Olivo, Debiasi e Milan

Mondiale U23

Ma la lingua torna a battere dove il dente duole, se non altro perché nei giorni scorsi i ragionamenti di Germani, Guercilena e Tiberi hanno aperto la porta sulla partecipazione dei corridori WorldTour ai mondiali U23. E se già aveva colpito il fatto che Fedorov abbia preparato la gara iridata correndo la Vuelta, vederlo al via del Piccolo Lombardia è parso ancora più strano.

«Penso che con i se e con i ma non si va da nessuna parte – ragiona Buratti – ma correre fra i pro’ facendo un determinato calendario come Fedorov e Kooij dia davvero una marcia in più, rispetto a corridori che come me non hanno accesso a quelle gare. Io ho preparato il mondiale facendo il Giro del Friuli e tre tappe in Puglia, diciamo al livello degli altri devo team, ma comunque avvicinamenti diversi. Perciò da una parte va bene che comandi l’età e non lo status professionale, però sarebbe più utile che comandasse il buon senso di non andare a correre in mezzo a chi ancora deve passare. L’anno prossimo sarò all’ultimo anno da U23, ma non so cosa farei se andassi in una WorldTour e mi convocassero per il mondiale…».

Così il 16 agosto, Buratti ha vinto il Gran Premio Capodarco
Così il 16 agosto, Buratti ha vinto il Gran Premio Capodarco

Sorpresa Capodarco

E se prima di salutarci, gli chiedi quale sia stato il giorno di questa stagione, in cui si sia sentito davvero il miglior Buratti di sempre, Nicolò strizza gli occhi e allarga le braccia.

«A Capodarco – dice – sono rimasto davvero senza parole. Proprio non me l’aspettavo. Venivo dalla vittoria di Poggiana di due giorni prima e la doppietta su quel muro così ripido è stata davvero qualcosa di importante».

Pasqualon alla Bahrain-Victorious, l’uomo in più per Mohoric

24.08.2022
5 min
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«Abbiamo preso Andrea Pasqualon perché è un ottimo corridore che potrà mettere la sua esperienza al servizio del team. Esperienza che ha soprattutto per le corse del Nord. Di certo è e sarà più di un gregario». Inizia così il giudizio di Franco Pellizotti sull’acquisto del corridore trentino.

Con il direttore sportivo della Bahrain Victorious si parla appunto dell’acquisto di Pasqualon, il quale si unirà alla sua squadra a partire dalla prossima stagione. Un passaggio un po’ inaspettato. Dopo tanti anni nel team belga e con la fiducia dei suoi direttori sportivi non era così scontato che Pasqualon potesse lasciare la Intermarché Wanty Gobert.

Franco Pellizotti (43 anni) diesse della Bahrain Victorious, team per il quale Pasqualon ha firmato un biennale
Franco Pellizotti (43 anni) diesse della Bahrain Victorious, team per il quale Pasqualon ha firmato un biennale

Pellizotti lo aspetta

«Andrea – continua Pellizotti – è un ragazzo che ha tanta esperienza, è abituato a correre all’estero e per noi è importante visito che siamo un team molto internazionale, abbiamo atleti di molte nazioni.

«Da un punto di vista tecnico Pasqualon è più di un velocista. E’ un corridore duttile. Può fare bene in molte corse, anche nelle tappe non troppo veloci e soprattutto può fare bene in Belgio. Non che non abbiamo dei buoni corridori per quelle corse, ma non abbiamo neanche un leader da poter dire agli altri: tu fai il gregario di… Tu sei l’uomo di… Abbiamo Mohoric che è bravo e Pasqualon può essere ideale per stargli vicino. 

«E poi abbiamo anche tanti giovani e può essere un esempio per loro. Parlando di Belgio e giovani mi viene in mente anche Milan per esempio».

L’arrivo di Pasqualon fa riflettere e con Sonny Colbrelli fermo ai box da ormai una stagione intera e senza certezze sul suo rientro, che ci auguriamo possa avvenire e avvenire presto, è lecito chiedersi se Andrea non possa essere il suo sostituto naturale.

«Non abbiamo ingaggiato Andrea per sostituire Sonny. Hanno caratteristiche simili, ma Sonny è Sonny! Anzi, sono convinto che sarebbe stato dei nostri anche con lui e ne sarebbe stato un compagno ideale. E vi dirò anche che era un bel po’ che lo avevamo preso e non è stata una decisione presa così…».

Per Pellizotti, Pasqualon potrà mettere la sua esperienza del Nord a disposizione della Bahrain Victorious
Per Pellizotti, Pasqualon potrà mettere la sua esperienza del Nord a disposizione della Bahrain Victorious

Pasqualon e il Nord

Da Pellizotti a Pasqualon stesso. Andrea sta correndo in Belgio. Giusto ieri ha chiuso al settimo posto alla Egmont Cyclng Race.

«Se non fosse stato per un’incomprensione con la squadra – racconta Andrea – nel finale sarebbe potuta andare meglio. Ero convinto di avere un compagno, ma non c’è stato. Ai 500 metri si è aperto un buco e nulla… in quattro hanno preso una manciata di metri ed è finita lì. 

«Io però sono contento perché era la prima gara dopo l’altura. E si sa che ci vuole sempre un po’ per ritrovare il ritmo gara». 

Anche per queste qualità: velocità, costanza di rendimento Pasqualon vestirà i colori della Bahrain Victorious dal 2023.

«Sì, adesso è ufficiale – dice Andrea – sono contento perché la Bahrain è uno dei migliori team in assoluto. Non che la Intermarché non lo sia, soprattutto dopo una stagione come quella che abbiamo fatto. Ma la nuova squadra so che mi darà il 110% per diventare un corridore vero, di altissimo livello. Mancava qualcosina, quel qualcosa di più che sono convinto la Bahrain mi possa dare.

«In Bahrain potrò mettere a disposizione la mia esperienza per il Nord. Potrò stare vicino a corridori come Mohoric e Bauhaus i quali avevano bisogno di un uomo con le mie caratteristiche. Ma al tempo stesso avrò il mio spazio».

Pasqualon Vallonia 2022
La volata vincente di Pasqualon (classe 1988) al Circuito di Vallonia a fine maggio
Pasqualon Vallonia 2022
La volata vincente di Pasqualon (classe 1988) al Circuito di Vallonia a fine maggio

L’amico Mohoric 

Anche con Pasqualon tocchiamo il “tasto Colbrelli”. E già solo con questo paragone Andrea sembra lusingato. 

«Eh – sorride – non si sa mai. Negli ultimi anni sono cresciuto e magari fare come Colbrelli può essere il mio obiettivo. A me piace andare forte al Nord e Sonny è andato forte al Nord. La mia corsa dei sogni è la Roubaix e Colbrelli ha vinto la Roubaix… Magari ci riuscirò anche io!».

Pasqualon sa che dovrà essere soprattutto di supporto. E’ in sintonia con Pellizotti quando parla di esperienza e di giovani. Anche su Milan dice che potrebbero mettere su un grande team per le volate e che non vede l’ora di conoscerlo nei primi ritiri.

E su Mohoric: «Credo – spiega Pasqualon – che Matej, oltre che fortissimo, sia il corridore più intelligente in gruppo. E non lo dico solo io. Legge la corsa, è sempre informato, conosce i materiali… è sprecato per fare il ciclista! Io e lui siamo ottimi amici. In gruppo parliamo spesso e anzi, se arrivo in Bahrain è anche grazie a lui. 

«E’ lui che mi vuole al suo fianco. Gli serviva un corridore che sa limare, che sa creare lo spazio, che sa essere davanti al momento giusto in certe corse e dopo 12 anni di professionismo sono qualità che ho acquisito e che mi consentiranno, spero, di essere un’ottima pedina».

Pasqualon è stato azzurro nell’europeo vittorioso di Viviani nel 2019
Pasqualon è stato azzurro nell’europeo vittorioso di Viviani nel 2019

Sogni azzurri

Prima di congedarci con Pasqualon gettiamo anche un occhio su suo prossimo futuro: il mondiale di Wollongong. 

Il ragazzo di Bassano del Grappa non ha mai nascosto di volerci essere e anche stavolta ribadisce il discorso. Si è preparato bene. Ad Andorra ha una casa dove vive a 2.000 metri. La gamba sembra esserci. La prestazione di ieri in una corsa tanto veloce e nervosa non è qualcosa da sottovalutare.

«Sul mondiale – dice Andrea – ho messo la crocetta da tempo. Mi sto preparando per quell’evento. Voglio esserci perché è una corsa adatta alle mie caratteristiche e anche per dare una mano a gente come Bettiol o Trentin

«Correrò oggi a Overijse, poi altre gare come la Bretagne Classic, Plouay, la trasferta con le due gare canadesi e poi vedremo come evolverà la situazione. Io ci tengo tantissimo».