Verso la Strade Bianche: Monte Sante Marie, l’analisi di Moser

04.03.2025
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Pochi giorni e finalmente sarà Strade Bianche, la classica del nord… più a sud. E a proposito di classiche, ognuna ha il suo passaggio simbolo, spesso anche decisivo: il Poggio per la Sanremo, la Foresta di Arenberg per la Roubaix, il Kwaremont per il Fiandre, il Cauberg per l’Amstel e così via. Alla Strade Bianche questo passaggio è Monte Sante Marie, quest’anno settore numero otto, posto a 71 chilometri dall’arrivo. I suoi dati: 11,5 chilometri (4,5 dei quali in salita), una pendenza massima del 18 per cento e anche una discesa molto, molto tosta.

Di Monte Sante Marie parliamo con l’unico italiano che sin qui è riuscito a vincere la Strade Bianche, Moreno Moser. Il trentino riuscì nell’impresa nel 2013. Oggi Moreno è un acuto commentatore ed opinionista del ciclismo e con lui facciamo un’analisi tecnico-tattica di questo settore.

Un tratto in pianura, una serie di strappi, una discesa, un’altra salita e un lungo falsopiano: gli 11,5 km di Monte Sante Marie
Un tratto in pianura, una serie di strappi, una discesa, un’altra salita e un lungo falsopiano: gli 11,5 km di Monte Sante Marie
Moreno, insomma Monte Sante Marie è il punto decisivo della corsa?

Sì, o meglio: dipende. Dipende da come viene interpretata la corsa. Con certi corridori come Pogacar lo è sicuramente. In alcuni anni, tipo quando l’ho vinta, invece non è stato un settore così fondamentale. Però mi rendo conto che quando correvo io c’era molto più attendismo. Sante Marie era il momento in cui si frazionava un po’ il gruppo, ma non si decideva ancora la corsa. Oggi, a 80 chilometri dall’arrivo, devi essere già praticamente in modalità finale.

Se facessimo un paragone coi muri fiamminghi: è il Kwaremont del Giro delle Fiandre?

Sì, lo è da un punto di vista tecnico, perché effettivamente è il più duro, il più lungo ed è quello dove se uno vuole, può fare selezione. Anche quando correvo io si diceva che da Sante Marie iniziava la corsa. Adesso rischia di essere il punto in cui la corsa finisce… Anche se poi forse dal punto di vista emotivo e per vicinanza all’arrivo il settore delle Tolfe è più coinvolgente. E’ il Cauberg dell’Amstel!

Come si affronta, come si gestisce il settore di Monte Sante Marie? Portaci in bici con te…

Ah – sorride – non si gestisce, se vanno a tutta devi stare dietro a chi va a tutta. Quando inizi Sante Marie hai già i battiti alti per la lotta alle posizioni. Il primo anno che ho fatto la Strade l’ho preso indietro e c’è stata una caduta che mi ha tagliato fuori. Eppure lì ho capito che quella corsa mi piaceva. Il primo tratto è duro, tendenzialmente devi stare seduto, a meno che il terreno non sia in condizioni ottimali, magari un po’ compattato dalla pioggia. Discesa e poi salitone.

Quando si parla di Monte Sante Marie tutti pensano al salitone finale, in realtà c’è una discesa affatto banale. Anzi, l’anno scorso proprio lì scattò l’asso sloveno. Cosa ci dici di questa discesa?

Quel tratto di discesa è davvero tosto. E’ uno dei punti in sterrato dove si raggiungono le velocità più alte. Bisogna lasciarla scorrere. Servono capacità e anche grossi attributi! Negli ultimi anni però i corridori sono molto più abituati a guidare sullo sterrato. Quando correvo io, c’era gente che non sapeva neanche dove fosse quando entrava sullo sterrato. Oggi quelli davanti sanno guidare.

Strade Bianche 2024: Pogacar è partito nel falsopiano in discesa prima della planata vera e propria (foto web Strade Bianche)
Strade Bianche 2024: Pogacar è partito nel falsopiano in discesa prima della planata vera e propria (foto web Strade Bianche)
Adesso sarai criticato!

Sicuro, in tanti mi dicono: «Ah, noi di una volta guidavamo meglio». Io non credo sia così, oggi in tanti sanno guidare. Se pensiamo ai corridori forti degli ultimi anni, a parte Evenepoel che comunque è migliorato, gli altri sono tutti fenomeni anche nel guidare la bici. Pidcock, Pogacar, per non parlare di Van Aert e Van der Poel: gente che sa cosa fare.

E tatticamente come si approccia Sante Marie?

Sul primo strappo soprattutto, dipende molto da quanti corridori ci sono nel gruppo di testa e da come si è svolta la gara sin lì. Il ciclismo ha una marea di variabili e l’andamento della gara influenza tutto. Se si presentano in 20 è un conto, se c’è una fuga che può andare all’arrivo è un altro. Se invece è una fuga scontata e il gruppo è compatto, magari non c’è il vero attacco ma solo la squadra che fa il ritmo. Oppure c’è il Pogacar che fa il vuoto… dopo il forcing della squadra. E va via dopo il primo strappo, nella discesa.

Ci dicevi dell’importanza di far scorrere la bici in discesa. In fondo c’è un ponticello e poi si passa subito a salire. E’ quello che in gergo viene chiamato “sciacquone”. Si deve passare dalla moltiplica grande a quella piccola… Può essere un momento delicato?

Sì, perché subito dopo la discesa c’è un’altra impennata. Devi essere lucido per cambiare rapporto nel momento giusto. Sullo sterrato la catena può saltare e se sei in difficoltà puoi fare errori. Se andiamo a vedere ai corridori lucidi e freschi, difficilmente succedono problemi meccanici. Quando invece sei al limite, schiacci il bottone a caso e la catena può prendere una frustata e andare giù. Di certo lì bisogna cambiare, perché poi le pendenze cambiano nettamente.

Mentre non è così decisivo il falsopiano dopo il salitone, dopo il Borgo di Sante Marie: perché?

Difficile dirlo, ma probabilmente oggi si va più forte nei tratti duri e quindi è più facile fare selezione prima. I corridori stanno molto più seduti perché si è visto che la pedalata è più efficiente. Rispetto a Pantani che faceva chilometri in piedi, oggi si è visto che si spreca meno energia da seduti. Tra l’altro alcuni calcoli hanno dimostrato che perdeva parecchio in aerodinamica.

Era il 2013 e a Monte Sante Marie, Moser (al centro) pedala al fianco dell’allora compagno di squadra Sagan
Era il 2013 e a Monte Sante Marie, Moser (al centro) pedala al fianco dell’allora compagno di squadra Sagan
Chiaro…

Difficilmente oggi trovi uno scalatore puro che salta tanto sui pedali alla Simoni. Però non saprei dire esattamente perché si fa meno selezione in quel falsopiano. Negli anni in cui correvo io, dopo Monte Sante Marie eravamo ancora in tanti. Magari c’era un attacco, ma rimanevano gruppetti da 15 corridori. Oggi, e torniamo al discorso di prima, la corsa si è già assestata.

Moreno, qual è la tua “foto” di Monte Sante Marie?

La mia foto è anche una foto reale. Risale all’anno in cui ho vinto, e quello scatto mi ritrae praticamente a bocca chiusa mentre salivo al fianco di Sagan e davanti a Cancellara. E dire che avevo preso il settore in quarantesima posizione. Ma con tre pedalate al lato della strada ero davanti con Peter (Sagan, ndr), Van Avermaet e gli altri migliori. Mi è rimasta impressa perché mi sentivo fortissimo.

Tu e solo tu conosci le sensazioni che avevi in quel preciso istante…

E infatti tra me e me iniziavo a pensare: «Però… Sarà, ma io qui non faccio fatica». Ricordo che mi succedeva spesso in quegli anni. Da neopro’ un giorno con ingenua sfrontatezza dissi ad Alan (Marangoni, ndr) che non sentivo mai mal di gambe. Sì, lo sentivo nel finale, ma era il mal di gambe bello, quello che hai quando vai forte e ti giochi la corsa. Quello che ti spinge a dare ancora di più.

Domani a Jaen le strade bianche di Spagna. E Calzoni racconta

11.02.2024
5 min
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Walter Calzoni ha iniziato, al Tour of Antalya, la sua seconda stagione tra i professionisti con la Q36.5. Un primo banco di prova per controllare lo stato di salute delle sue gambe e l’avanzamento della condizione. Su di lui si è acceso più di qualche faro dopo un bel 2023, anche se non è arrivata la vittoria. Brambilla, suo esperto compagno di squadra e mentore, crede molto in lui, così abbiamo voluto sentirlo per vedere con quale spirito affronterà questo 2024

«Per il momento sto bene – ci racconta il bresciano alla fine della seconda tappa – le gambe ci sono e girano. Anche se il vero punto sulla condizione lo faremo nelle prossime gare. Quest’anno proverò a correre al Nord: farò Brabante, Amstel e Freccia. In quel periodo avrò il primo picco di condizione. Mi piacerebbe stare bene già alla Strade Bianche, che si corre a inizio marzo, vorrei provare a mettermi in mostra».

Le strade bianche in Spagna

Nel 2023 Calzoni ha corso La Clasica Jaén, che si correrà giusto domani: quella che si può definire la “strade bianche di Spagna”,  giunta quest’anno alla sua terza edizione. Una corsa che si snoda nella regione dell’Andalusia, e nell’omonima provincia, dalla quale la corsa prende il nome. Il territorio è arido, polveroso e dal colorito giallastro, tipico della regione andalusa. Per fare della corsa un veicolo turistico, l’amministrazione locale e gli organizzatori hanno attaccato al nome Clasica Jaen quello di Paraiso Interior, per richiamare i silenzi e il fascino della zona, che non ha il richiamo mare e punta sul verde, sulla storia e i grandi silenzi.

La corsa si arrampica sulle strade che circondano Baeza, sede di partenza, e Ubeda, dove è situato l’arrivo. Un insieme di sali e scendi, circondati dal verde della macchia mediterranea. Arbusti bassi e ulivi a fare da cornice alla corsa, che in solo due edizioni ha raccolto già tanto successo. Nel 2022 l’ha vinta Lutsenko, mentre lo scorso anno a trionfare è stato Tadej Pogacar. Il corridore della Q36.5, alla sua prima stagione da professionista, aveva ottenuto, su quelle strade, un ottimo undicesimo posto. Insieme a lui ripercorriamo e scopriamo quella seconda edizione.

«E’ stata una gara abbastanza dura – ricorda Calzoni – con tanto sterrato e strappi davvero ripidi. Il giorno prima della gara avevamo fatto una ricognizione del percorso ed ero rimasto piacevolmente colpito dal contesto. Alla fine di uno strappo in sterrato si entrava nella città di Obeda, per iniziare il circuito finale, la cosa particolare era che lo sterrato finiva praticamente all’interno del paesino».

L’arrivo 2023 di Calzoni, nel centro abitato di Obeda, 11″ a 1’33” da Pogacar
L’arrivo 2023 di Calzoni, nel centro abitato di Obeda, 11″ a 1’33” da Pogacar

Corta ma esplosiva

I chilometri della Clasica Jaén sono contenuti, nel 2023 erano poco meno di 180, mentre nel 2024 sono stati ridotti a 162. Ma non fatevi ingannare, i valori vengono fuori, tanto che nell’edizione passata i corridori sono arrivati alla spicciolata. La differenza di chilometraggio, fino al 2023, non era così grande rispetto alla Strade Bianche. Quest’anno, invece, la corsa tra gli sterrati toscani supera i 200 chilometri. 

«La più grande differenza – racconta Calzoni – rispetto alla Strade Bianche, che ho corso poco più di un mese dopo rispetto alla Clasica Jaén, è negli sterrati. In Toscana le strade bianche sono varie e si trovano tanti tratti anche in discesa, dove serve saper guidare molto bene la bici. Mentre in Spagna gli sterrati sono prevalentemente in salita, con strappi duri. A livello tecnico risulta meno impegnativa, ma la pedalata deve comunque essere efficace. E’ uno sterrato più grosso, quindi il rischio di forature è maggiore. La cosa che ricordo del percorso, che mi ha colpito, è il dislivello totale. In poco meno di 180 chilometri abbiamo fatto 3.000 metri di dislivello. Tutti senza mai affrontare una grande salita, ma con continui su e giù».

Calzoni ha incontrato lo sterrato anche alla Coppi e Bartali, nella terza tappa
Calzoni ha incontrato lo sterrato anche alla Coppi e Bartali, nella terza tappa

Lo sterrato come amico

Calzoni poi ci ha preso gusto nel pedalare sullo sterrato. Questa “passione” si può dire che sia nata sulle strade della Clasica Jaén. E’ arrivata così la partecipazione alla Strade Bianche e anche alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali. Nella terza tappa, nella polvere di Monte Cavallo, il giovane bresciano si era messo in mostra. 

«Vero che sullo sterrato mi trovo bene – conferma Calzoni – soprattutto se questi sono accoppiati a percorsi duri, con continui strappi. Ne ho avuto la conferma alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali. Nella terza tappa, nel velodromo di Forlì sono arrivato sesto, dopo essermi messo in mostra proprio sullo sterrato di Pian del Cavallo. Quest’anno è uno dei primi obiettivi di stagione, tornerò lì perché voglio migliorarmi rispetto al 2023. Prima tornerò anche alla Strade Bianche, prima di lanciarmi verso le corse del Nord».

Lutsenko riprende da dove aveva lasciato: sterrato e vittoria

15.02.2022
4 min
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Come aveva chiuso, ha riaperto. Lo stesso terreno che aveva lasciato, Alexey Lutsenko l’ha ritrovato. Il kazako vince la prima edizione della Clásica Jaén Paraiso Interior, nuova corsa andalusa con gli sterrati. Oltre confine l’hanno già ribattezzata la Strade Bianche di Spagna.

Una grande cavalcata tra gli uliveti più grandi della penisola iberica. Da queste immense coltivazioni arriva quasi il 30 per cento dell’olio spagnolo. Tante colline, molti strappi, un bel po’ di vento…

Clásica Jaén Paraiso Interior: una nuova corsa nella regione andalusa della Spagna
Clásica Jaén Paraiso Interior: una nuova corsa nella regione andalusa della Spagna

Assolo da paura

Lutsenko era al debutto stagionale. Il kazako si era ben preparato durante l’inverno. Ma forse neanche lui si aspettava di andare così forte alla prima apparizione. Con il diesse Stefano Zanini riviviamo la sua corsa.

«E dire – racconta Zazà – che non era partita benissimo. Anzi, direi proprio un inizio bello sfigato. Presto abbiamo perso Davide Martinelli e altri ragazzi. Solo Miguel Angel Lopez e Lutsenko sono riusciti a ripartire subito. E poco dopo Grudzev, è stato l’unico a riagganciarsi a loro due. Poi la corsa si è un po’ stabilizzata.

«Ad un certo punto, su un tratto in sterrato sono rimasti in 14 al comando e il drappello si è spezzato. Lutsenko si è ritrovato davanti e se ne è andato. Presto. Troppo presto! Mancavano quasi 60 chilometri alla fine. Poi è stato ripreso. Ed è ripartito nuovamente… Aveva la gamba che gli scappava!».

L’uomo gravel

Due indizi non fanno ancora una prova… ma quasi. Lutsenko aveva vinto, anzi dominato, la Serenissima Gravel, la sua ultima gara del 2021. E ha ripreso vincendo la Clásica Jaén Paraiso Interior. Di certo meno tecnica, ma pur sempre con 30 chilometri di sterrato. E’ un format che piace particolarmente al kazako? E perché?

«Mah – spiega Zanini – Alexey approccia questo genere di gare come le altre, ma forse riesce a dare qualcosa in più. Gli piacciono. Ma di base le vince perché è forte e va forte. Alexey uomo gravel? Per adesso possiamo dire di sì! In ogni caso il programma resta lo stesso, non andremo alla ricerca di gare gravel o con sterrato. La sua prossima corsa sarà la Ruta del Sol, come da programma».

L’anno della svolta

Che ci punti o no, Lutsenko si candida ad essere uno dei favoriti della Strade Bianche. Tanto più che la corsa spagnola era a dir poco impegnativa: 187 chilometri e quasi 3.000 metri di dislivello, numeri più che confrontabili con la gara senese. Per vincere quindi devi stare bene. E tanto. Specialmente se sei protagonista di assoli così importanti.

Lutsenko è un campione vero. Non si vince per caso un mondiale U23. Da quando è passato pro’ è sempre andato in crescendo, ma non ha mai dominato. Questo potrebbe essere l’anno della svolta.

«Ormai Lutsenko è un professionista vero – dice Zanini – Ha l’età (29 anni, ndr) giusta per fare le cose fatte bene e deve sfruttare questi anni per vincere. Adesso sa arrivare pronto alle gare. Lo abbiamo visto anche oggi, al debutto stagionale. Significa che ha lavorato bene. E ha vinto perché era pronto. Ha vinto perché era davvero dura».

«E poi si sa gestire. Non ha paura. L’attacco di oggi forse è avvenuto presto, ma poi ha controllato alla grande. Anche dopo che è stato ripreso. Tanto più che noi, Giuseppe Martinelli ed io, in ammiraglia non siamo potuti andargli subito dietro. Siamo arrivati su di lui solo ai 15 chilometri dall’arrivo. Per radio gli davamo i distacchi e qualche indicazione sulle curve. Ma per alimentazione e tutto il resto ha fatto da sé».

Il podio finale con Lutsenko, Tim Wellens e Loic Vliegen. Tutti si sono dichiarati stremati al termine della gara
Il podio finale con Lutsenko, Tim Wellens e Loic Vliegen

Sterrato… Filante

L’Astana Qazaqstan Team corre con bici Wilier. Lo scorso autunno in Veneto avevano sfoggiato la nuovissima gravel Rave Slr, e Lutsenko aveva dominato la Serenissima con quella bici. Ieri invece aveva la Wilier Filante.

«Sì, bici normale – conclude Zanini – alla fine i chilometri di sterrato non erano tantissimi e il fondo era molto compatto. C’erano dei sassi e delle ondulazioni dove passavano i trattori, ma in generale erano sterrati veloci. In più il settore finale, quello che si faceva tre volte, lo avevamo visionato in ricognizione. Quindi eravamo abbastanza preparati. Le coperture? Tubolari da 26 millimetri, gonfiati a 6,8 bar all’anteriore e a 7 bar al posteriore».

Sterrato in vista, Martinelli (e i pro’) si preparano così

14.10.2021
4 min
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Poco più di 24 ore e i pro’ esordiranno in una gara gravel. C’è grande fermento per la Serenissima Gravel. E’ tutto nuovo, tutto da capire, anche per i corridori. E tra i protagonisti di questo storico evento ci sarà Davide Martinelli pronto, con altri tre compagni della sua Astana-Premier Tech Battistella, Lutsenko e Felline, ad impolverarsi sullo sterrato veneto.

Assaggi di sterrato all’Adriatica Ionica Race, anche se in questo caso si utilizzavano bici da strada
Assaggi di sterrato all’Adriatica Ionica Race, anche se in questo caso si utilizzavano bici da strada

Verso l’ignoto

Oggi è giorno di sopralluogo. L’unico vero test che i corridori possono fare visto il calendario mai così fitto. Però forse è proprio questo senso di mistero a rendere il tutto così eccitante e curioso. 

«E’ un qualcosa di nuovo – spiega Martinelli – e non sappiamo bene come approcciarlo. Mi verrebbe da dire che non rischieremo troppo, ma poi noi corridori quando ci attacchiamo il numero sulla schiena non ci tiriamo mai indietro. 

«Credo non andremo a tutta dall’inizio alla fine, perché 90 chilometri di sterrato sono tanti davvero. Immagino che si deciderà tutto nei due o tre settori finali. Non vedo una corsa come su strada, con la fuga che va via… Poi magari vengo smentito! Cercheremo anche di divertirci. Perché noi pro’ pensiamo sempre alla prestazione e questa può essere l’occasione giusta. Io sono contento di farla!».

La Wilier Rave Slr con la quale correranno gli Astana
La Wilier Rave Slr con la quale correranno gli Astana

Misure (quasi) identiche

Ma una delle curiosità maggiori riguarda l’allestimento tecnico per affrontare lo sterrato. I ragazzi, non solo quelli dell’Astana, hanno avuto davvero poco tempo di provare le bici gravel. 

«In effetti 15 giorni fa, quando abbiamo fatto delle foto per il team, ho avuto modo si saggiare la Wilier Rave. Abbiamo riportato le stesse identiche misure che su strada. Semmai è forse un po’ più corta, per una questione di guidabilità, ma parliamo davvero di millimetri. La mia altezza di sella è di 80 centimetri e l’ho riportata. Le pedivelle, le mie sono da 172,5 millimetri, sono le stesse. E così i pedali. I più esperti del gravel usano le scarpe e i pedali da Mtb e piccoli accorgimenti più specifici, ma noi volevamo toccare il meno possibile».

Il regolamento impone bici gravel. Si è cercato di riprodurre le misure della strada al millimetro
Il regolamento impone bici gravel. Si è cercato di riprodurre le misure della strada al millimetro

Camere d’aria o tubeless?

I dubbi maggiori riguardano l’allestimento tecnico della bici, a partire dalle gomme. O meglio, quelle più o meno saranno da 35 millimetri per tutti (poi ogni marchio ha la sua misura) ma saranno con camera d’aria o con tubeless? Perché bisogna dirlo, non tutti i pro’ sanno fare interventi sulla loro bici. Specie se tubeless. Il professionista su strada non è un biker. Ma non sa farlo per ovvie ragioni: uno è sperso da solo nei boschi, l’altro ha l’ammiraglia al seguito. Ammiraglia che però non c’è nella Serenissima Gravel.

«Ho sentito – riprende Martinelli – che si useranno i tubeless o le camere d’aria a discrezione del corridore. Per comodità direi che il tubeless è meglio, anche perché in caso di foratura c’è il liquido, mentre la camera d’aria farebbe perdere più tempo (ma ci si può intervenire più facilmente, ndr). Io per esempio deciderò dopo il sopralluogo di oggi, anche per scegliere le pressioni delle gomme e gli ultimi dettagli.

«Bisogna pensare che abbiamo quattro stazioni meccaniche e sarà fondamentale non avere intoppi. E’ un po’ come la Roubaix: se non hai guai sei già davanti».

Assistenza fai da te

Niente ammiraglia dicevamo e quattro punti di assistenza tecnica lungo il percorso: i corridori si sono “allenati a “fare i meccanici”?

«No, no… si va con le conoscenze di base – dice Davide – Poi dipende sempre da quello che rompi e come lo rompi. Se il cambio si storce un po’, con un po’ di delicatezza riesci a rimetterlo in linea. Ma se si spezza c’è poco da fare. Magari partiremo con delle chiavi in tasca. Non so, un multitool. Se per esempio dovesse scendere la sella si riesce a sistemarla, con una brugola. O comunque si possono fare quei piccoli interventi per raggiungere la zona di assistenza.

«Sono indeciso se partire con due borracce piene o con una borraccia e un’altra tagliata dove riporre gli attrezzi. Tanto non fa caldissimo e una sola borraccia di acqua potrebbe andare bene. O ancora, con due borracce e un’ulteriore tasca sottosella per mettere la camera d’aria. Vedremo…».

E venne finalmente la prima tappa di Nizzolo

21.05.2021
4 min
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Mentre Nizzolo veniva scortato verso il palco, nel marasma dopo l’arrivo i suoi compagni del Team Qhubeka-Assos si abbracciavano con uno slancio raro a vedersi. La squadra aveva già vinto due giorni fa la tappa di Montalcino con Schmid e la volata con il milanese ha prolungato il momento pazzesco per un team rinato dal poco, che nei giorni scorsi aveva perso con Pozzovivo l’uomo per la classifica. Mentre raccontava il finale ai colleghi belgi, Campenaerts è parso commuoversi. Quando lo raccontiamo a Giacomo, anche lui ha il groppo in gola.

La pelle d’oca

«Mi viene la pelle d’oca – dice – adesso che hai menzionato questa cosa. Ho sentito attorno una fiducia estrema e questa cosa mi ha dato tantissima motivazione nei giorni scorsi. Probabilmente abbiamo sbagliato qualcosa, ma sentivo grandissima fiducia da parte loro. Tutti erano concentrati nei minimi dettagli, per portarmi al meglio negli ultimi metri. E devo dire che li ringrazio tantissimo perché oltre all’aspetto fisico, anche dal punto di vista mentale mi hanno dato tantissima fiducia. E spero si possano godere questa vittoria».

Victor Campenaerts dopo l’arrivo era davvero contentissimo
Victor Campenaerts dopo l’arrivo era davvero contentissimo

Lampi negli occhi

Il racconto ha perso forse lo slancio della grande emozione e Nizzolo sembra molto controllato nei suoi slanci. Nei giorni scorsi avevamo raccontato del suo casco e della sua bicicletta, ma questa volta è diverso. Però nel lampeggiare degli occhi sopra il bordo della mascherina, si capisce che la vittoria ha messo a posto tutti i tasselli. Arrivare secondo magari non peserà tanto, ma di certo un po’ fastidio lo dà.

E’ una lettura giusta?

La vittoria mette in ordine tutti i pezzi, dà un senso al cammino fatto finora. Averla vinta chiude il cerchio di tutto quello che c’è stato prima. 

Sull’arrivo con il fiato corto e l’emozione: prima vittoria al Giro
Sull’arrivo con il fiato corto e l’emozione: prima vittoria al Giro
Già una volta prima di oggi avevi esultato, invece la vittoria ti fu portata via…

Se parlate di Torino nel 2016, la sentivo mia, ma la valutazione dei giudici è stata diversa (Giacomo tagliò per primo il traguardo, ma venne declassato per aver chiuso Modolo alle transenne, ndr). Ci sono state parecchie occasioni in cui ho sentito di poter vincere eppure ho sbagliato qualcosa nel finale. Però sapevo di avere il potenziale di poter vincere una tappa al Giro. Oggi non ero particolarmente teso, mi sono concentrato sulla mia volata. Poteva essere oggi, come un altro giorno

L’allungo di Affini ti ha offerto un riferimento?

Il mio obiettivo di oggi era riuscire a esprimere il mio potenziale senza rimanere chiuso. In realtà questo finale era quello che meno mi piaceva, per la strada larga e dritta, mentre io preferisco gli arrivi tecnici. Ho preso come riferimento prima Gaviria e poi Affini, che mi ha dato un punto di riferimento e che ha fatto una sparata davvero notevole. Il mio obiettivo era non rimanere chiuso. Ho preso probabilmente un po’ troppa aria, ma è andata bene così.

I compagni lo hanno abbracciato e hanno festeggiato con rara commozione
I compagni lo hanno abbracciato e hanno festeggiato con rara commozione
C’erano tutti i tiuoi tifosi, ma questa volta non c’era tuo padre…

E’ vero, il mio fan club è un insieme di amici e parenti che mi seguono ogni volta che possono. Oggi mancava mio papà Franco perché ha subìto un’operazione pochi giorni fa, niente di grave, ma è ancora in ospedale. Una menzione speciale va a lui, spero di avergli dato un motivo per sorridere.

E alla fine è arrivata anche la tappa al Giro.

Perché non avessi mai vinto è una bella domanda, alla quale non saprei dare una risposta. In volata non è mai semplice trovare la quadra. Il mio motto è fare il meglio, se taglio il traguardo sapendo di aver fatto il massimo, allora non ho rimpianti. Oggi per vincere ho rischiato di perdere, perché mi sono esposto al vento molto presto e mi è andata bene.

I tifosi erano con lui, mancava solo suo padre Franco
I tifosi erano con lui, mancava solo suo padre Franco
Si può dire che ora il grande obiettivo di stagione, soprattutto dopo il secondo posto alla Gand, sia il mondiale nelle Fiandre?

Ho assolutamente la motivazione di farmi trovare nelle migliori condizioni possibili nel periodo del mondiale. Farò un programma di avvicinamento adatto a questo. Ho visionato il percorso, mi piace molto, però devo farmi trovare al top della condizione per farmi trovare competitivo ai mondiali.

Cassani, che continua a sfilare accanto a loro da giorni e per tutto il giorno, avrà certamente annotato il suo nome. Fece di Giacomo il leader per i mondiali del 2016 a Doha, quando era ancora un ragazzo di 27 anni, pieno di promesse, ma molto meno solido di adesso. Un posticino per lui nel personale elenco degli azzurri, probabilmente a prescindere da questa vittoria, crediamo fosse già stato previsto. Diciamo che ora probabilmente potrebbe essere un posto più comodo.

Quando Egan si perse con la bici da crono: Ellena racconta…

21.05.2021
4 min
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L’unico sterrato che finora abbia mai respinto Egan Bernal, ricorda Giovanni Ellena, è quello che si trovò sotto le ruote con la bicicletta da cronometro in un giorno del 2016.

«Mi telefonò da un punto sperduto a 10 chilometri da casa – ricorda il direttore sportivo piemontese della Androni – dicendomi che non riusciva più a tornare a casa. In effetti aveva imboccato una strada che di colpo era diventata sterrata e che non lo avrebbe mai ricondotto all’hotel in cui viveva. Così andai a riprenderlo con la Peugeot di mia figlia. Non ricordo perché non avessi l’ammiraglia, ma ricordo benissimo il percorso di ritorno con quella macchina così piccola e la bicicletta da cronometro caricata dentro».

Nei mesi alla Androni Giocattoli, Egan ha vissuto a lungo in PIemonte
Nei mesi alla Androni Giocattoli, Egan ha vissuto a lungo in PIemonte

Il sorriso giusto

Negli ultimi mesi secondo Ellena qualcosa è cambiato. Aveva incontrato il suo ex corridore nei giorni del Trofeo Laigueglia, quando aveva approfittato del passaggio in Italia per visionare qualche tappa del Giro, e lo aveva trovato teso e incupito. Adesso invece è evidente che Egan abbia ritrovato la voglia di divertirsi, il sorriso giusto e soprattutto stia finora tenendo a bada il mal di schiena.

«Nei giorni scorsi – prosegue Ellena – è venuto qualche volta all’ammiraglia per parlare scambiare qualche battuta. Ci siamo anche scritti dei messaggi. Io credo che aver corso a marzo la Strade Bianche gli abbia dato la fiducia per fare quella tappa verso Montalcino, avendo per di più accanto una squadra così forte che gli ha permesso di gestire a proprio piacimento la tattica. Ha la faccia di quando finalmente può fare le cose a suo modo e si ha la sensazione che si stia davvero divertendo».

La coppia colombiana, Bernal-Sosa, ora entrambi alla Ineos
La coppia colombiana, Bernal-Sosa, ora entrambi alla Ineos

Istinto da biker

Neppure Ellena si è troppo meravigliato dell’ottimo comportamento del colombiano prima sullo strappo di Campo Felice e poi sugli sterrati toscani.

«Non dimentichiamoci – dice – che viene dalla mountain bike. Ha partecipato anche ai mondiali e non solo per onor di firma, ma prendendo medaglie. Al punto che quando arrivò da noi, mantenemmo per lui una posizione più alta e vicina a quella della bici da fuoristrada. Soltanto dopo il Lombardia del 2016, che lui non corse a causa della caduta al Beghelli, lo portammo da un biomeccanico e passò definitivamente alla posizione da strada, abbassandosi di quasi 2 centimetri nella parte anteriore».

Il colombiano è di ottimo umore: si vede anche dal modo di correre
Il colombiano è di ottimo umore: si vede anche dal modo di correre

Quella tacchetta

La biomeccanica è un pallino di Giovanni Ellena, così anche lui sentendo parlare di mal di schiena e degli spessori che il colombiano ha sotto la scarpa destra, ha un po’ storto il naso.

«Volendo essere puristi – dice – qualche appunto si potrebbe fare. Però la sensazione è che per ora le cose funzionino e, se sta bene lui, sta bene anche a noi. E’ nuovamente un piacere vederlo correre e credo anche che per lui si possa tirare fuori la definizione di fuoriclasse. A ben vedere, è un corridore che può vincere i tre grandi Giri e anche classiche dure come la Liegi. A questo si aggiunga la sua grande intelligenza. Aveva sempre detto di voler correre la Strade Bianche, ma sono certo che in quel giorno di marzo mentre pedalava verso il podio, si è reso conto che quel percorso gli sarebbe andato bene anche al Giro d’Italia. E per lo stesso motivo, fatte tutte le proporzioni, a marzo ci abbiamo portato anche Cepeda. Finì fuori tempo massimo, ma almeno l’altro giorno a Montalcino si è salvato alla grande».

Verso Montalcino, le ultime dagli sterrati e dai meccanici

19.05.2021
4 min
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E oggi si riparte. Dopo il giorno di riposo il Giro d’Italia affronta la super chiacchierata tappa Perugia-Montalcino, quella con gli sterrati. Incredibile come la Strade Bianche, che si tiene a marzo, abbia lanciato questo genere di percorso e di corsa. In tutto il mondo l’appeal è fortissimo.

E’ di ieri la notizia che in Belgio ci sia una sorta di rivolta popolare con la televisione di Stato perché abbia scelto di non trasmettere in chiaro il Giro d’Italia con un Evenepoel così in palla e tappe come quella in Toscana.

Quattro settori di sterrato

Ma davvero cosa ci possiamo attendere da questa tappa? Molto, sia dal punto di vista delle emozioni, che da quello paesaggistico, che ovviamente dal punto di vista strettamente agonistico.

Da Perugia a Montalcino i chilometri da affrontare sono 162 e di questi 35,1 sono su sterrato. Si concentrano dal chilometro 92, in località Torrenieri, al chilometro 153, quando il gruppo entrerà nell’abitato di Tavernelle. E anche il dislivello non manca, si superano i 3.000 metri e l’arrivo è in cima ad uno strappo. I 35 chilometri di sterrati si dividono in quattro settori. Il più lungo è il secondo (in apertura) e misura 13,5 chilometri.

Fondo perfetto

Dal Comitato di tappa giungono voci di un grande lavoro sulle strade. Alcuni settori, sono stati abbondantemente risistemati, come il primo. C’era un discesa un po’ dissestata e anche per non compromettere troppo il Giro (ricordiamo non è una classica di un giorno) si è “levigato” il fondo. Come? Prima con delle piccole ruspe a sistemare gli avvallamenti più importanti, poi con il riporto di molta “breccia” e infine con il rullo. Inoltre la pioggia della scorsa settimana è stata una vera manna in quanto ha compattato tutto. Si è pensato persino allo sfalcio dei rovi e dei cespugli ai lati per allargare la visuale. Insomma gli sterrati sono in ottime condizioni.

Montalcino poi si è vestita a festa. Come tutte le altre città del Giro, un suo monumento è stato illuminato di rosa, solo che qui si è andati oltre. Si sono addobbati persino i tipici cipressi. E poi i fiocchi per la città, gli eventi gravel e in e-bike di contorno che vanno avanti da settimane, la gara juniores di domenica scorsa vinta da Svrcek.

Gomme più robuste

Ma se questo è quello che succedeva a Montalcino, ieri nella zona di Perugia, dove soggiornavano le squadre, i meccanici lavoravano sodo, tuttavia meno del previsto. A quanto pare infatti, si è intervenuto quasi esclusivamente su ruote e gomme.

«Noi – ci ha detto Matteo Cornacchione meccanico della Ineos-Grenadiers di Bernal – utilizziamo le ruote Shimano Dura Ace da 40 o da 60 millimetri di profilo a seconda di ciò che vuole il corridore. L’unica cosa che abbiamo cambiato sono state le gomme: usiamo i tubolari Continental Rbx, cioè Roubaix, sempre da 25 millimetri. Semplicemente hanno una sponda e una carcassa più robuste. Li utilizziamo nelle classiche del Nord e abbiamo l’esperienza della Strade Bianche. Per il resto le bici sono totalmente identiche ad una tappa normale».

E dello stesso parere è anche Nazareno Berto, storico meccanico della carovana ed ora in forza alla Bardiani Csf Faizanè.

«Si è lavorato solo sulle ruote – dice Berto – I ragazzi useranno tubolari Pirelli da 28 millimetri, mentre di solito montiamo quelli da 25. L’unica differenza per gli sterrati è l’utilizzo delle ruote basse, che poi sono quelle da 30 millimetri le Deda Elementi SL30TDB, per tutti».