L’estate rovente della bicicletta riserva delle sorprese (tecniche)

04.09.2024
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La tecnica della bicicletta non si ferma neppure in un momento dell’anno dove molte delle novità sono state presentate e viste. Non c’è più stagione e il mondo dei professionisti è un costante banco di test, anche e soprattutto di prodotti che vedremo tra qualche tempo.

Tour de France e Olimpiadi, ma anche Vuelta, Deutschland Tour e curiosità interessanti arrivano anche dal Tour de France Femmes.

Una Lapierre tutta nuova?

L’abbiamo intravista durante il Tour de France Femmes, prima in dotazione ad Evita Muzic, che ha ben figurato all’Alpe d’Huez con il quarto posto, ma utilizzata anche da Grace Brown e compagne. Lapierre non è più nel WorldTour maschile, ma prosegue la sponsorizzazione delle ragazze del Team FDJ-Suez.

La bicicletta mantiene le caratteristiche classiche che hanno reso celebre l’azienda francese, ovvero i foderi obliqui staccati dal piantone e una forma “sottile”. Il nuovo modello mutua la zona dello sterzo dalla versione aero Aircode, quindi più abbondante rispetto alla Xelius tradizionale. Si nota un importante fazzoletto di rinforzo nella zona del nodo sella ed il reggisella non è rotondo. Vedremo nei prossimi mesi se questa novità verrà confermata.

Evenepoel e le sue scarpe

Quelle che hanno attirato maggiormente la nostra attenzione sono state le scarpe utilizzate durante la Grande Boucle, un modello non ancora presente nel listino ufficiale Specialized. Profilo laterale sottile e ribassato, pianta e sezione frontale larga. Un solo rotore Boa laterale che agisce su una fibbia superiore e un velcro nella sezione mediana/frontale che tira su una sorta di bandella sdoppiata.

Alle Olimpiadi invece non sono state utilizzate, perché il corridore belga ha utilizzato le S-Works con le stringhe.

Finalmente si vedono le Vision 37

Sono state utilizzate durante le corse estive più impegnative in fatto di dislivello positivo, viste sulle bici del Team Bahrain-Victorious. Sono le ruote più basse e leggere del lotto SL grazie ai 1.290 grammi dichiarati e sono con cerchio tubeless.

Le ruote Vision usate dagli Astana, se pur simili per estetica, a nostro parere non sono lo stesso modello, sembrerebbe con cerchio predisposto per tubolare e la versione da 40.

Qualcosa dal passato

Di tanto in tanto ci sono ancora atleti che utilizzano la guarnitura 53-39, una combinazione quasi scomparsa dai radar. E’ il caso di Rudiger Seling dell’Astana che usa questi rapporti sulla sua bicicletta.

Abbiamo scovato anche un Jonathan Milan che durante le sue vittorie al Lidl Deutchland Tour ha utilizzato i vecchi shifters Sram e non l’ultima versione del pacchetto Red.

Gomme TT usate da Yates e non solo lui
Gomme TT usate da Yates e non solo lui

Gomme TT per tutti i giorni

Adam Yates è solo un esempio di corridori che utilizzano gli pneumatici in versione time trial anche per le gare in linea, naturalmente sulla bicicletta tradizionale. La realtà dei fatti dice che molti atleti di team differenti adottano questa soluzione, soprattutto quelli con gomme Continental tubeless.

Le motivazioni principali potrebbero essere legate ad una maggiore scorrevolezza e peso leggermente inferiore a parità di sezione. Di sicuro i professionisti non si pongono il problema dei costi e dell’eventuale sostituzione di una gomma che sfiora i 100 euro (o poco meno) al pezzo.

Un paio di Swiss Side con cerchio dal profilo ridotto
Un paio di Swiss Side con cerchio dal profilo ridotto

Swiss Side, nuova ruota per scalatori?

Qualcosa avevamo visto al Tour de France, ma una sorta di conferma arriva dalla Vuelta anche grazie al primato di Ben O’Connor. L’azienda svizzera ha messo a punto una ruota con cerchio dal profilo ridotto (38 millimetri), che non sacrifica i concetti aerodinamici sui quali si basa Swiss Side.

La ruota menzionata farebbe parte della famiglia Hadron2 e volendo fare un accostamento, anche in termini di resa tecnica, non si discosterebbe dalla DT Swiss ARC38. Le due aziende rosso-crociate collaborano attivamente insieme, condividendo tecnologie e fasi di produzione.

La monocorona di Roglic alla Vuelta

E’ stata una delle scelte tecniche che ha permesso a Roglic di vincere il Giro d’Italia 2023. Lo sloveno è amante della monocorona anteriore e di un pacchetto di pignoni ampio (in fatto di dentature e sviluppi metrici) per il posteriore. La scelta per la sua bicicletta viene replicata alla Vuelta, nella tappa con il durissimo arrivo a Caitu Negru. 46 denti per la corona anteriore e la scala 10-44 per i pignoni, scelte che non avremmo mai immaginato qualche stagione addietro. Per le tappe “normali” Roglic è solito utilizzare la doppia corona 52-39 e una scala pignoni 10-33 (Sram).

Dotazione tutta nuova (o quasi) per Bettiol

Dopo le Olimpiadi di Parigi il campione Italiano ha ufficializzato il passaggio dalla EF Education-Easy Post al Team Astana. Il cambio è stato di quelli importanti anche sotto il profilo tecnico. Oltre la metà della stagione, Bettiol è passato da una bicicletta Cannondale ad una Wilier Filante SLR. Le due bici hanno in comune le selle Prologo, le trasmissioni Shimano Dura Ace e le ruote Vision gommate Vittoria.

Sono cambiati anche il casco (da Poc a Limar) e l’abbigliamento (da Rapha a Biemme). Curioso e sicuramente non immediato il passaggio tra i pedali SpeedPlay e gli Shimano.

Evenepoel e quella bici da crono non estrema: una carta vincente

31.07.2024
5 min
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Specialized S-Works Shiv, una taglia xs per Remco Evenepoel, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi 2024. Il modello è il medesimo di sempre, quello utilizzato anche nelle corse a tappe e per il mondiale, ma i dettagli e le variabili fanno la differenza.

Con il contributo di Giampaolo Mondini, uomo di raccordo fra Specialized e i team, cerchiamo di entrare nel dettaglio della bici del giovane campione belga, un mezzo che a tratti sembra minimale ed essenziale, ma in realtà è frutto di una ricerca durata anni.

La bici (vincente) della prima crono al Tour de France
La bici (vincente) della prima crono al Tour de France
La Specialized di Evenepoel è la medesima che ha usato al Tour?

No, o meglio, il modello è sempre S-Works Shiv, ma cambiano alcuni dettagli, su tutti le livree grafiche. Anche al Tour de France ha usato due bici differenti tra la prima e la crono di Nizza. Nella prima ha usato quella con grafica silver/iridata, nella prova contro il tempo dell’ultimo giorno ha usato un telaio più leggero di qualche grammo, verniciatura differente, ma uguale nelle forme.

Copertoncini in tutte le occasioni?

Sempre. Specialized Turbo Cotton TT con sezione da 26 e camere d’aria in lattice, non in butile, non in poliuretano. Anche il gonfiaggio è sempre lo stesso. Siamo intorno alle 6-6,2 atmosfere, range utilizzato anche a Parigi sotto la pioggia.

La Shiv TT della crono finale a Nizza
La Shiv TT della crono finale a Nizza
Rispetto a molte altre, la Shiv dà l’impressione di essere più sfinata, a tratti una bici minimale. Cosa ne pensi?

E’ la prima bici da crono ad essere stata sviluppata in modo specifico per i perni passanti e per i freni a disco, un fattore che condiziona sicuramente alcune scelte di design. Si parla di una bici da crono e quindi le forme sono strettamente funzionali alla ricerca aerodinamica e alla resa del mezzo meccanico.

Quindi nel dettaglio?

Il posteriore è alleggerito, molto di più rispetto ad un ipotetico valore medio della categoria, soluzione ricercata e utile per i percorsi tortuosi, guidabilità e agilità. Il piantone scaricato verso la sezione bassa non è solo una questione estetica. Aggiungo che Evenepoel è solito non adottare profili estremizzati per la ruota anteriore. Questo influisce sull’impatto estetico, che risulta “più magro”, ma anche sulla prontezza della bici.

La bici da crono utilizzata da Evenepoel alle Olimpiadi
La bici da crono utilizzata da Evenepoel alle Olimpiadi
Pensi che una sorta di estremizzazione meno accentuata abbia aiutato Evenepoel anche sulle strade di Parigi? Tutt’altro che un biliardo.

Quando si parla di una bici da crono non è esclusivamente il frame-kit, anche la componentistica fa la differenza. Credo che, oltre ad uno stato di forma fisica eccellente, la Specialized usata a Parigi è l’espressione di un collimare perfetto tra le varie parti in gioco. Anche delle abilità di guida.

Quanto tempo è necessario per saper sfruttare le potenzialità di una bici del genere?

Evenepoel la usa almeno due volte a settimana, anche quando piove. Non è un dettaglio e di sicuro spiega anche questa abilità, una certa naturalezza nello sfruttare a pieno la bici. E poi c’è tutta la fase di test eseguiti nel periodo invernale.

Ci puoi spiegare?

Ogni inverno Evenepoel dedica almeno due giornate piene nella galleria del vento a Morgan Hill. A queste si aggiungono i giorni in velodromo per validare le scelte o per effettuare dei cambiamenti. Nel 2024 abbiamo aggiunto dei giorni di prove al Politecnico di Milano. E’ un percorso lungo e complesso.

Fra il 2023 e il 2024, il cockpit è stato cambiato
Fra il 2023 e il 2024, il cockpit è stato cambiato
Rispetto ai primi test, avete cambiato qualcosa?

La bici è rimasta quella, ma rispetto al 2023 è cambiato il setting del corridore. Pedivelle più corte, le famose 165 e un nuovo cockpit, più leggero ed efficiente. Le nuove soluzioni vanno di pari passo, poco tangibili in termini di watt, rilevanti proprio per quello che concerne l’efficacia.

Il corridore ha un feeling migliore?

La posizione che lui riesce a tenere è funzionale all’aerodinamica e alle sue caratteristiche. E’ più basso sul manubrio e al tempo stesso non influisce in modo negativo sulla respirazione diaframmatica e sul movimento delle gambe.

Nella prova a cinque cerchi, Evenepoel è stato molto abile nella guida
Nella prova a cinque cerchi, Evenepoel è stato molto abile nella guida
Se volessimo quantificare il valore di questa bici?

Il costo di una Specialized Shiv è quello relativo al listino, perché ogni bici usata dai corridori deve essere disponibile per il mercato: è una regola UCI. Altro discorso è il valore del progetto. Le cifre diventano folli, ma sono un investimento sulle tecnologie, sull’immagine su tutto quello che Specialized mette a disposizione. Galleria del vento, componenti e accessori, biciclette ovviamente. Le risorse umane, perché sono tanti gli attori coinvolti. Le analisi Retul con tutto quello che riguarda anche il risolvere le problematiche derivate da infortuni. Dietro l’ipotetica semplicità di una bici, c’è un universo celato. Lo è per le bici “normali”, ancora di più per le crono.

Cronache di Oss, nostro inviato (tanto) speciale alla Unbound

08.06.2024
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EMPORIA (USA) – Il fatto è che avrei così tante robe da dire… Di solito mi trovo anche ispirato, perché mi piace quando mi emoziono. Però in questo caso, ho talmente tante cose da scrivere che non so da dove partire e come incastrarlo. Perché il gravel è un altro mondo. Mi piacerebbe dire da dove arrivo, ma sarebbe un preambolo che esula dalla gara. E poi sulla gara in sé, sulla Unbound Gravel, rischio di dire cose che magari per me sono scontate e magari non vanno direttamente al punto. E finisce che si sparpagliano in un vomito di parole un po’ confuse…

Nel nord del Kansas si è pedalato su strappi brevi e lunghe pianure (foto UnboundGravel)
Nel nord del Kansas si è pedalato su strappi brevi e lunghe pianure (foto UnboundGravel)

Un pallino americano

Dell’Unbound avevo sempre solo sentito parlare. E’ la più grande gara gravel d’America e forse del mondo. Avevo letto tanti articoli, racconti di ex professionisti che l’avevano provata. Ma anche tanti amici che l’hanno fatta come amatori, soltanto per una challenge, come la chiamano in America.

Una sfida contro se stessi e contro un percorso per nulla scontato. Mettersi alla prova sulla distanza classica di 200 miglia, se non sei allenato e non hai dimestichezza con il ciclismo, è una cosa tanto grande. Ma anche fare solo le 50 o 100 miglia è tanta roba. Ecco, insomma, ne avevo solo sentito parlare.

Perciò, da quando abbiamo voluto il progetto Gravel, nella mia testa l’Unbound è sempre stata un pallino. E’ tutto molto grande, americano: tutto molto «Wow!». Tanti ne decantano la grandezza e la maestosità.

Oss si era spostato negli Usa una decina di giorni prima della Unbound, per prendere il fuso e abituarsi agli orari
Oss si era spostato negli Usa una decina di giorni prima della Unbound, per prendere il fuso e abituarsi agli orari

Un giorno da eroi

Prevale l’eroismo nel fare questa cosa pazzesca. E oltre a questo, ovviamente, gli sponsor come Specialized ne hanno capito il valore e devono assolutamente esserci. Anche se loro vogliono primeggiare, essere davanti, essere presenti e protagonisti nel panorama gravel americano. E con questa Unbound si va dritti al cuore del discorso. Con questa mega gara popolare, magari ancora poco famosa, poco connessa da un punto di vista mediatico. Non c’è una diretta tv, ci sono quelle Instagram, forse su YouTube. Forse degli highlights vanno in televisione, ma su canali secondari.

In Europa, zero. Quasi non se ne sente parlare, se non perché quest’anno ha vinto Lachlan Morton. Ma tolti alcuni media specializzati, è un evento che di qua quasi non esiste. Però, fatto questo preambolo, davanti a un evento così grande che poi è sfociato in una gara, tra i racconti e quello che ho sempre sentito e quello che gli sponsor e la squadra mi chiedevano, un racconto ve l’ho promesso e vorrei farlo. Per cui, eccoci qua…

Nella prima metà di gara il gruppo è rimasto compatto, ma dopo le 140 miglia è iniziato lo sparpaglìo (foto UnboundGravel)
Nella prima metà di gara il gruppo è rimasto compatto, ma dopo le 140 miglia è iniziato lo sparpaglìo (foto UnboundGravel)

Cambio di pelle

Le aspettative erano buone e si sono confermate, non voglio dire il contrario. Ma quello che mi ha stupito molto è il fatto che il livello sia completamente cambiato. Vi faccio un esempio, magari dico cose a caso che in un articolo non vanno bene, ma serve per capire. Un anno fa, quando si parlava di gravel e di UCI Gravel Series piuttosto che altre tipologie di gara, si era capito che il settore fosse in crescita. Però c’era ancora un modo di correre piuttosto blando, per cui si riusciva a fare le gare anche in maniera un po’ goliardica. Si stava insieme, non c’era la necessità di riprendere in mano tutto il mondo degli allenamenti o dei rifornimenti e come farli.

Non era una dimensione troppo seriosa. Era un po’ a tarallucci e vino, tipo nozze coi fichi secchi. E poi alla fine chi stava bene faceva la sua volata o andava in fuga. Però la gara era basata ancora sull’avventura, sul partecipare e concludere un’impresa. Il fatto che ora il movimento sia cresciuto così tanto, rende tutto molto più professionistico. Quindi in questa Unbound mi sono trovato davanti a squadre organizzate, con atleti super allenati ed esperti, tecnicità da tutti i punti di vista. Ho visto anche dei body con un camelback integrato, molto fuori dalla logica gravel. Ho visto tanta aerodinamica, che sta diventando importante anche in questo settore.

Vincitore della Unbound 200 miglia è stato Lachlan Morton. Secondo Chad Haga a un solo secondo (foto UnboundGravel)
Vincitore della Unbound 200 miglia è stato Lachlan Morton. Secondo Chad Haga a un solo secondo (foto UnboundGravel)

La più veloce della storia

Fate conto che quest’anno, l’Unbound 2024 è stata la gara più veloce nella storia… dell’Unbound. Si corre dal 2006 e nei primi anni non c’era così tanta importanza per l’agonismo. I racconti dei miei ex colleghi professionisti erano tutti simili. Cioè ci si allenava 15 ore, si andava all’Unbound di 200 miglia, quindi 320 chilometri. E un atleta medio del WorldTour la faceva… fumandosi una sigaretta. Per dire che era abbastanza semplice. Riuscivi a vincere, riuscivi a farti la volata, aspettavi chi era meno allenato.

Invece quest’anno, le prime ore le abbiamo fatte a 40 e passa di media, tutti in gruppo. E poi un po’ alla volta c’è stata la scrematura. Ma chi ha vinto la gara, alla fine aveva 36 di media. Io ho finito 43° circa, a quasi 40 minuti da Morton e a quasi 33 di media. Quindi è abbastanza folle pensare a quanto tutto sia cresciuto in modo esponenziale da un anno all’altro.

Il percorso era asciutto, non c’erano tratti di fango. Siamo andati verso nord rispetto al solito, quindi era un percorso un po’ più duro. C’erano 3.500 metri di dislivello, pazzesco, è stata durissima. E non è che ci fosse una salita da 1.000 metri di dislivello, erano tutti strappi da un chilometro, 500 metri, 300 metri… Tutto così e quindi difficile per me.

Anche la gara delle donne ha battuto ogni record della Unbound. Vince la danese Rosa Kloser in 10.26’02” (foto UnboundGravel)
Anche la gara delle donne ha battuto ogni record della Unbound. Vince la danese Rosa Kloser in 10.26’02” (foto UnboundGravel)

Sveglia alle 3,30

Per cui, riepilogando, Unbound Gravel: 200 miglia – 326 chilometri – sterrata per il 98 per cento. C’erano solo due/tre piccole connessioni di asfalto, ma veramente irrisorie. Partenza all’alba, alle 5,50 del mattino gli elite e poi nell’arco di 20 minuti partono tutti, quasi attaccati, suddivisi per scaglioni di categoria. Alzarmi alle 3,30 per fare colazione è stata dura, anche se nei giorni di avvicinamento avevo cercato di tenere orari vicini a quello.

Al mattino c’era pochissima luce. Non era tanto freddo, quindi tutti in maniche corte e braghe corte. Tutti attrezzati con camelbak o borracce da litro e in tasca almeno un paio di penne, si chiamano così gli attrezzi per aggiustare i tubeless con i vermicelli. Se hai un buco nel tubeless, ci ficchi dentro questa penna. Tiri indietro e ti resta il vermicello fatto di gomma un po’ appiccicaticcia. Così riesci a tappare il buco e poi a rigonfiare la ruota.

Tranne pochi raccordi in asfalto, il fondo della Unbound è tutto sterrato (foto UnboundGravel)
Tranne pochi raccordi in asfalto, il fondo della Unbound è tutto sterrato (foto UnboundGravel)

Persi nel deserto

C’era da portare l’attrezzatura da sopravvivenza, perché a un certo punto ti trovi veramente nel nulla. Per oltre 50 miglia, dovunque guardi, non c’è niente. Chiaramente è facile raggiungere qualsiasi punto con la macchina, però tu sei in mezzo al niente e quindi se vuoi sopravvivere devi anche arrangiarti. Non è ovviamente il deserto del Sahara, però quasi…

Il regolamento dice che il percorso non deve essere segnato, per cui io avevo la traccia sul Garmin e gli altri sui loro dispositivi. Bisogna portare il telefono, perché in casi di emergenza estrema, bisogna averlo per collegarsi con qualcuno, ammesso che ci sia campo, perché non è scontato che ci sia. E’ capitato di trovarsi in mezzo al niente senza campo, senza rete.

Anche solo finire la Unbound significa aver vinto la sfida con se stessi (foto UnboundGravel)
Anche solo finire la Unbound significa aver vinto la sfida con se stessi (foto UnboundGravel)

Nove ore e 10.000 calorie

Le luci non le aveva nessuno, però bisognava organizzare i rifornimenti. Nessuno può avere un supporto sul percorso, se non in due punti prestabiliti. Infatti dopo 70 e dopo 140 miglia ci sono due rifornimenti. Un parcheggio gigante, spesso in un villaggio, con le tende dei vari sponsor e delle squadre. Ti puoi fermare o prendere al volo la sacca con 2 litri d’acqua e il cibo e le borracce. E davvero c’è stata da valutare anche la parte approvvigionamenti.

Io ho mangiato circa 12 gel. Sei borracce di acqua con 70 grammi di carbo che erano in bustina e ovviamente pieni di sali minerali, potassio, magnesio e tutto il resto. Sui cinque litri d’acqua. E ho contato nel finale circa diecimila calorie consumate. Ho fatto circa 9 ore 47’27” su 325 chilometri. Tanta roba, tantissima.

La maglia iridata non tradisce: al via c’era anche Matej Mohoric, che però si è fermato (foto UnboundGravel)
La maglia iridata non tradisce: al via c’era anche Matej Mohoric, che però si è fermato (foto UnboundGravel)

Più di una Sanremo

Non ho mai fatto una distanza del genere, intesa anche come timing. La Sanremo si avvicina, ma ormai si fa in meno di 6 ore. Quindi una distanza che non era mai stata fatta dalle mie gambette. E’ stata molto veloce all’inizio. Ci sono stati un paio di punti dove era particolarmente roccioso, quindi c’erano delle discese pericolose. Salti, fossi, delle pozzanghere, però con un fango abbastanza neutro, che non si attaccava tanto alla bici. Ci sono state cadute e anche forature.

Poi dalla seconda metà della gara, sui 100-140 km all’arrivo, il gruppo si è proprio spappolato nel tratto dove c’erano parecchie salite. Ognuno ha preso il suo posto ed è diventata una lotta con se stessi. Una lotta contro la fatica, per cercare di andare avanti il più possibile e gestire l’alimentazione. 

Una grande festa

Comunque tutti vogliono finire la corsa, perché quando finisci un’avventura così grande, è comunque molto soddisfacente. Quasi tutti hanno pubblicato che i più leggeri hanno fatto sui 250 watt medi e quelli più pesanti come me, sugli 80 chili, che hanno fatto 300 watt per quasi dieci ore. Il livello è altissimo e fa paura. Alla fine, all’arrivo, c’erano degli stand giganti, era tutto un barbecue, tutto un tacos. Quindi cucina messicana, americana, pasta all’italiana. E dovunque tanti atleti, tutti sfiniti, tutti sfatti, però un bel clima di… yeah!

Ho percepito un clima molto agonistico e un po’ mi dispiace, nel senso che mi sono sempre aspettato un clima più godereccio. Invece mi sono trovato proprio un clima da WorldTour. Da andare a letto presto, mangiare bene, poche distrazioni. Non che si dovesse fare chissà cosa, però mi immaginavo che ci fosse un po’ più una giostra, un ambiente più godereccio. Però è stato tutto molto bello. Lungi da me essere polemico, essere del tutto negativo: anzi, tutt’altro.

Daniel Oss ha concluso la sua prima Unbound Gravel in 43ª posizione, sfinito e felice
Daniel Oss ha concluso la sua prima Unbound Gravel in 43ª posizione, sfinito e felice

Una gara fighissima

E’ stata un’esperienza fantastica sotto tanti punti di vista. La cosa più bella, che forse più mi ha colpito, è il coinvolgimento di tantissima gente che non ha nulla a che fare con la parte racing, ma che è lì per godersi il weekend, la settimana e questa avventura contro se stessi. Mi ricordo in alcuni punti, quando stava per finire la gara, trovavo sul percorso gente che faceva un altro giro e quindi venivano doppiati. E quando li passavo, ci scambiavo qualche battuta.

«Dura, è?». E loro tutti gasati: «Sì, è dura!».  Quindi felici di fare una cosa talmente faticosa e questo mi ha colpito tantissimo. La felicità di trovare le forze per fare una cosa più grande di loro. 

E comunque è un’organizzazione bellissima, gara fighissima. Tante cose belle, anche gli stand, le grigliate, la gente felice. C’era felicità, c’era voglia di far fatica. C’era tutto questo ambiente mega festoso, ma allo stesso tempo sportivo, quindi alla fine della gara ci stava anche la birretta. Però erano tutti galvanizzati, carichi, felici di essere stati parte di questa cosa che era l’Unbound, davvero una gara fighissima.

Roglic e Specialized, il feeling cresce. Specie a crono

12.04.2024
5 min
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Quando si cambiano bici e materiali, serve sempre un po’ di tempo perché ci si adatti alla perfezione, specie nel ciclismo attuale in cui ogni minimo dettaglio può fare la differenza. Primoz Roglic durante l’inverno è passato da Cervélo, la bici che utilizzava all’allora Jumbo-Visma, alla Specialized in Bora-Hansgrohe.

Già qualche tempo fa vi avevamo parlato di questo cambio di materiali, bene: come sta andando? Ne parliamo con Giampaolo Mondini, storico uomo Specialized e referente tecnico tra squadre e appunto il brand che rappresenta.

Innanzitutto però, merita spazio un altro aggiornamento, quello che riguarda le condizioni della maglia rosa uscente. Dopo i fattacci dei Paesi Baschi, in cui prima aveva battuto il dorso e poi il ginocchio nel giorno della maxi caduta, possiamo dire che Roglic sta meglio del previsto. Si era temuto per una rotula fratturata e invece lo sloveno ha riportato “solo” delle forti contusioni. E questa è una bella notizia in vista del Tour de France.

La Specialized S-Works Tarmac SL8 di Primoz Roglic
La Specialized S-Works Tarmac SL8 di Primoz Roglic
Giampaolo, come sta andando questo “matrimonio” tra Roglic e Specialized?

Ho visto Primoz qualche settimana fa. Abbiamo percorso insieme la tappa del Tour, la prima, quella italiana. Posso dire che in discesa andava come una freccia. Ormai questi ragazzi hanno la velocità addosso! C’erano lui e anche Nico Denz. Abbiamo fatto il Barbotto e poi fino a San Marino. Proprio in quel frangente abbiamo parlato del suo adattamento e mi ha detto che si sta trovando benissimo con la bici.

In questo passaggio da Cervélo a Specialized avete riportato fedelmente le sue misure o ci sono stati degli adattamenti?

Le misure sono rimaste esattamente quelle, specialmente sulla bici da strada, mentre qualche piccolo intervento è stato fatto sulla bici da crono (in zona manubrio, ndr)

Partivate da 3-4 posizioni ci avevi detto l’ultima volta, che tipo d’intervento avete apportato?

Abbiamo fatto altri test, anche in galleria del vento, proprio prima di provare la tappa del Tour. Li abbiamo fatti a Milano. Dopo la Parigi-Nizza, Primoz è andato direttamente a Milano, appunto, e quindi è sceso in Romagna dove ha provato la prima tappa del Tour e poi anche la seconda.

Primoz Roglic (classe 1989) su Specialized, il feeling di guida è sembrato buono sin dalle prime uscite. Angoli uguali a quelli del 2023
Primoz Roglic (classe 1989) su Specialized, il feeling di guida è sembrato buono sin dalle prime uscite. Angoli uguali a quelli del 2023
Hai detto che si trova benissimo, cosa gli è piaciuto dunque di questa Specialized SL8?

La reattività della bici. Ci si trova a suo agio, ha avuto subito un buon feeling e la trova veloce. E lo stesso vale per la bici da crono. Anzi, forse su quella va ancora meglio.

Perché?

In termini di guida ci si trova molto bene e infatti proprio ai Paesi Baschi a nostro avviso ha vinto anche perché nelle curve più strette è riuscito guidare molto bene. Era una crono molto tecnica e ha fatto veramente la differenza sugli altri, posto che chiaramente è andato forte anche nei tratti in cui bisognava spingere. Abbiamo i parametri, li abbiamo visti. Però proprio riguardando i vari parziali ha guadagnato nel tratto di discesa.

Discorso gomme. Primoz veniva da un team molto attento alla questione degli pneumatici. Utilizzava tubeless Vittoria che spesso sono stati sviluppati proprio in collaborazione col team giallonero, adesso è passato ai vostri copertoncini. Cosa puoi dirci in merito?

Primoz è un corridore sensibile su queste cose. Cosa posso dire: non ha mai protestato. Ha iniziato ad usarli sin da subito, si è informato però. Gli abbiamo mostrato i nostri numeri, gli abbiamo fatto vedere quali sono le combinazioni migliori ed è andato. Alla fine i nostri clincher in cotone sono quelli che danno la prestazione migliore, pertanto li ha abbracciati subito.

Parliamo della sella. Due modelli differenti: tra la sua vecchia Fizik e la vostra Specialized Phenom qualche aggiustamento, magari piccolo, ci sarà stato…

Il discorso non è tanto alzare o abbassare la sella, il ragionamento che noi facciamo è diverso. Quello che guardiamo è se gli angoli che aveva sono stati riprodotti rispetto alla bici precedente. Poi abbiamo riadattato il tutto con il nostro sistema Retul. Gli abbiamo consegnato un “prodotto” finito: a quel punto è lui che ci dà i feedback. Se poi Roglic, ma questo vale anche per altri atleti e atlete, vuole cambiare qualcosa, ne discutiamo. Cerchiamo però di non lasciare il corridore libero di decidere se cominciare ad alzare o abbassare la sella, arretrarla o spostarla in avanti…

Secondo Mondini, Roglic ha fatto un bel salto di qualità in termini di guida con la bici da crono
Secondo Mondini, Roglic ha fatto un bel salto di qualità in termini di guida con la bici da crono
Come mai?

Perché oggi ogni cosa è ponderata in un certo modo. Si cambia? Bene, ma perché? Cosa comporta questo cambiamento? E non siamo noi ad imporre queste regole, è il team. E in accordo col team, ogni cambiamento è deciso insieme. Nel caso della sella, per esempio, se s’inizia a spostarla va da sé che cambino gli angoli. E se non li ricontrolli poi cambia tutto il resto. Faccio un esempio: Barbara Guarischi, per vari motivi ha dovuto cambiare un paio di selle durante le classiche. Tra una corsa e l’altra non c’è stato tempo, ma adesso deve rifare un controllo Retul per verificare questi cambiamenti e riportare gli angoli nella posizione ottimale. Questi check ormai sono fondamentali.

Insomma va tutto bene con Roglic e da quello che capiamo non è neanche un pignolo che fa impazzire i meccanici…

No, no… ce ne fossero come lui! Il processo di adattamento sta andando avanti regolarmente. Ma in generale ormai certi cambiamenti in corso d’opera si fanno sempre meno. Lavoriamo sodo sulle posizioni nei mesi tra ottobre e dicembre e durante la stagione non abbiamo più grossi problemi. Può capitare che un corridore abbia un’infiammazione, abbia subito un infortunio e allora bisogna rimetterci mano, ma è un’altra motivazione. In quel caso l’intervento prima ancora che biomeccanico è medico. Tornando a Roglic, secondo me, se non ci fosse stata quella caduta, Primoz avrebbe avuto grosse possibilità di vincere il Giro dei Paesi Baschi.

Grandi gambe e grande bici: la SL8 di Kopecky per il pavé

10.04.2024
5 min
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ROUBAIX (Francia) – Specialized S-Works Tarmac Sl 8 è la bici che ha vinto la Parigi-Roubaix Femmes. Veloce su asfalto, rapidissima nel velodromo, filante sul pavé. Questa in sintesi la specialissima di Lotte Kopecky.

Il setup della sua bici parte da lontano. Come usano fare tutti i team di vertice, già in inverno la Sd Worx-Protime ha svolto dei sopralluoghi tecnici. E alla fine si è arrivati alla bici perfetta, visto che ha vinto. Chiaramente sabato l’iridata aveva gambe infallibili, ma l’efficienza del mezzo si sa che in questa gara tanto particolare ha il suo bel peso.

Kopecky in azione sul pavè. Da notare come anche Vos abbia Sram, ma comandi molto più dritti
Kopecky in azione sul pavè. Da notare come anche Vos abbia Sram, ma comandi molto più dritti

Solo colore?

La prima novità è che Lotte ha utilizzato un telaio diverso da quello che siamo abituati a vedere di solito con la livrea iridata, come la sua maglia. Stavolta la belga aveva una bici nera.

In Sd Worx-Protime ci hanno detto che era identica a quella che utilizza solitamente, ma magari poteva essere un telaio più robusto o al contrario leggermente più “morbido”. Ricordiamo che in casa Specialized c’è anche la versione un po’ più accessibile di questa bici: una versione che utilizza una fibra meno rigida dello stesso telaio ed è quella che che non ha il nome S-Works, ma solo Tarmac.

Attenzione: questa è una nostra supposizione, sia chiaro. Sul telaio la scritta S-Works c’è ed è in bella vista e dalla squadra hanno parlato solo di una colorazione diversa, uguale per Kopecky come per le altre atlete. Pertanto ci atteniamo alle fonte ufficiale.

La Specialized Sl 8 di Kopecky. Ruote Rapide CLX dal profilo differenziato classico 51 mm anteriore, 60 mm posteriore e canale interno da 21 mm
La Specialized Sl 8 di Kopecky. Ruote Rapide CLX dal profilo differenziato classico 51 mm anteriore, 60 mm posteriore e canale interno da 21 mm

Rapporti standard

Anche nella Parigi-Roubaix, corsa in pianura, l’iridata non ha rinunciato alle sue pedivelle da 165 millimetri: scelta che magari sarebbe stata più normale in caso di salite. Pedivelle corte, che stanno utilizzando anche Remco Evenepoel (anche lui su Specialized) e in qualche occasione Tadej Pogacar. 

Kopecky ha leve fisiche lievemente inferiore ai due colleghi uomini, ma può beneficiare del colpo di pedale da pistard. Anche se è molto potente, la belga non rinuncia “all’agilità”, sia pure con tutte le proporzioni del caso, dato che comunque spinge rapporti lunghi.

A proposito di rapporti, la campionessa del mondo ha scelto una cassetta Sram 10-33 e una monocorona anteriore da 50 denti. Altre atlete che avevano Sram hanno preferito la cassetta 10-28: ipotesi corretta visto che non c’erano salite e potevano beneficiare di una cassetta più progressiva. Kopecky, invece, si è tenuta questa “ancora di salvataggio” del 33, magari per favorire eventuali ripartenze da ferma. 

Copertoncino da 32

C’è poi la questione delle gomme, sempre delicata quando si parla di pavè e Roubaix in particolare come abbiamo visto anche ieri. In questo caso sono emerse tutta la sua capacità di guida e la personalità nel fare determinate scelte. Tutte le ragazze del team utilizzavano il copertoncino Mondo da 35 millimetri, Lotte aveva il 32.

Questa è una copertura particolare, tornata in auge da poco in casa Specialized. La stessa gomma il giorno dopo l’abbiamo visto anche tra gli uomini. Il copertoncino Mondo è realizzato con la mescola Gripton (di Specialized). E’ una miscela T2 e T5, come le gomme al vertice della gamma di Specialized. Però ci ha un po’ colpito il fatto che non avesse la spalla rinforzata contro le forature. Tutto sommato non ci sarebbe stata male in un copertoncino che nasce per l’endurance.

Il copertoncino Mondo da 32 mm con doppia mescola: scorrevole al centro, più grippante ai lati
Il copertoncino Mondo da 32 mm con doppia mescola: scorrevole al centro, più grippante ai lati

Nel segno della continuità

Riguardo alle misure della bici, nulla è stato cambiato, così confermano in casa Specialized. Ogni angolo rispetta la norma. Però c’è un dettaglio che ci ha incuriosito. Quando la bici era sul podio abbiamo notato che la sella sembrava essersi spostata di un paio di millimetri rispetto al serraggio sul carrello. I segni erano visibili.

E’ stata una scelta ponderata, cioè fatta prima del via, o magari la sella è “scivolata” indietro per via di sobbalzi e vibrazioni? In ogni caso parliamo davvero di micro aggiustamenti.

La posizione delle leve dei freni era invece nel limite dei 5 gradi. Sembrano parecchio ruotati all’interno, ma la bici è stata controllata (tra l’altro si nota anche il tagliando rosso appeso al manubrio). Quello che invece è diverso è proprio il manubrio. Solitamente Kopecky utilizza un modello integrato (piega e attacco). Per la Roubaix invece ha scelto un set tradizionale, probabilmente per avere una presa alta migliore e utilizzare i secondi comandi, quelli con i bottoncini. E proprio questo le ha consentito di intervenire in prima persona per eseguire una regolazione con una brugola alla vigilia del primo settore di pavé.

Aru torna in Sardegna con un’Academy e porta le bici nelle scuole

25.03.2024
6 min
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«Voglio restituire quello che la mia terra mi ha dato»: una frase carica di emozione e piena di significato quella che Fabio Aru ha pronunciato quando gli abbiamo chiesto il perchè di questa suo progetto. Stiamo parlando della Fabio Aru Academy, una squadra nata dalla volontà del sardo di dare la possibilità a ciclisti dai 6 anni in su di pedalare e praticare ciclismo in Sardegna. 

Cosa fa oggi Fabio Aru?

Per scelta appena terminata la carriera, non ho voluto seguire la strada di entrare in un team. Ci sono tanti ex atleti professionisti che magari intraprendono la carriera del direttore sportivo piuttosto che altri ruoli nei team professionistici. Sono ruoli che danno anche tante soddisfazioni, perché mi capita di parlare spesso con dei miei ex colleghi. Io ho preferito avere dei ruoli in alcune aziende che rappresento e faccio una serie di attività, dalla prova dei materiali agli eventi che facciamo. Questo mi permette di essere più presente a casa rispetto all’essere via 200 giorni all’anno. Mi dà anche la possibilità di conoscere anche un altro ambiente. Sono ambassador di Specialized Italy, Assos per quanto riguarda l’abbigliamento, Ekoi per quanto riguarda gli occhiali. Sono ambassador di Forte Village che è un resort in Sardegna per cui faccio anche delle academy da maggio fino a ottobre. Infine l’anno scorso è nata ufficialmente la Fabio Aru Academy.

L’Academy va dai più piccoli fino ad arrivare agli juniores
L’Academy va dai più piccoli fino ad arrivare agli juniores
Parlaci di questa Academy…

Già nel 2017, assieme ad alcuni amici del mio paese, era nata l’idea di dedicarsi al settore giovanile, sulle basi della mia prima storica società ciclistica, la Mountain bike Piscina Irgas. Inizialmente c’era un team satellite e si chiamava Accademia Fabio Aru. Da quando ho smesso c’è stata comunque l’idea e l’ambizione di creare la Fabio Aru Academy. Abbiamo così dato vita a questo progetto con tanto impegno e ci sta portando delle belle soddisfazioni.

Cosa ti ha spinto a creare questa realtà?

L’idea che ha dato il via a tutto è stata quella di restituire qualcosa alla mia terra, al mio paese, alla mia gente. Infatti la Fabio Aru Accademy ha base a Villacidro, che è il mio paese natale, proprio perché so quanti sacrifici ho dovuto fare per andare a prendermi il sogno di diventare ciclista. Logicamente la Sardegna è una terra bellissima, però ricordiamo che essendo un’isola, dal punto di vista dei viaggi è tutto più complicato rispetto a un giovane che nasce in Lombardia o in Piemonte, nel senso che magari con due ore di macchina riesci a fare una certa attività. So quanto è stato difficile per me anche dal punto di vista economico, per cui ho voluto cercare di aiutare il più possibile dei ragazzi che coltivano la mia stessa passione, supportandoli in questo percorso.

Tra le specialità non può mancare la MTB
Tra le specialità non può mancare la MTB
Che età hanno i ragazzi della Academy?

Partiamo dai G1, quindi praticamente dai 6 anni fino agli juniores. Abbiamo un paio di ragazzi U23, che fanno qualche gara anche fuori. Quindi abbiamo una parte di giovanissimi, G1 e G6, che è quella più importante e poi una parte tra esordienti e allievi e juniores, anch’essa molto importante.

Che specialità fate fare ai giovani atleti?

Più o meno il percorso che ho fatto anche io quando ero giovane. Ho iniziato con la mountain bike e con il ciclocross prima di trovare la disciplina a cui ero più adatto, cioè la strada. Secondo me, non smetterò mai di dirlo, è importante soprattutto nelle categorie dai giovanissimi ma anche dagli esordienti e allievi, fare un po’ di multidisciplina. Fare soprattutto le discipline dell’offroad, quindi MTB e ciclocross. Lo stanno dimostrando i tempi moderni con Van der Poel, Van Aert, Pidcock e potrei fare almeno una decina di nomi di atleti che venendo dalla MTB, hanno acquisito delle capacità di guida superiori alla media degli stradisti. Mi capita certe volte anche usando la bici da strada di trovare delle curve con un po’ di brecciolino e di intuire in anticipo come si comporterà la bicicletta.

Il tuo è un esempio che oggi ha acquisito sempre più conferme…

Dieci anni fa, uno stradista che si cimentava in una gara di ciclocross non era visto benissimo. Però oggi dai dati che abbiamo tutto questo funziona ed è diventato un aspetto prezioso su cui lavorare. Lo stesso Pogacar ha fatto delle gare di ciclocross e ne ha anche vinte, quindi possiamo dire che la multidisciplina porta dei grandi risultati.

E la strada, invece, questi giovani la praticano?

Sì, fanno anche strada. Logicamente si alternano tra strada e mountain bike durante il periodo primaverile-estivo e poi ciclocross durante la stagione invernale. Concentriamo gli allenamenti e ci sono due tecnici che seguono i ragazzi: gli esordienti, gli allievi e gli junior. In più abbiamo 3-4 tecnici che seguono i giovanissimi. I ragazzi sono sempre seguiti, facciamo due allenamenti a settimana per i piccolini mentre i grandi fanno ovviamente qualcosa in più

Per quanto riguarda il calendario, dicevi che logisticamente non è così facile gestire le trasferte…

Tra le gare in Sardegna e quelle fuori riusciamo a farne una trentina all’anno. Partecipiamo a tutte le competizioni organizzate dalla Federazione. A livello nazionale abbiamo partecipato per esempio al Meeting dei Giovanissimi con i più piccoli, abbiamo fatto una tappa del Giro d’Italia Ciclocross, abbiamo partecipato ai vari campionati italiani su strada, in mountain bike e nel ciclocross. C’è anche una rappresentativa regionale che talvolta convoca alcuni dei nostri atleti per gare di livello nazionale e questo fa sì che il calendario sia fitto. Supportiamo i nostri giovani anche nelle trasferte, che siano via mare o in aereo.

Un bell’impegno…

Non è semplice, ma cerchiamo di non fargli mancare niente. Il ciclismo è uno sport dispendioso, anche quando si tratta di categorie giovanili. Abbiamo una serie di bici per tutti, logicamente con un piccolissimo contributo. Ovviamente quello delle famiglie è un supporto molto importante trattandosi di categorie giovanili. Non siamo una squadra professionistica dove tutto è dovuto, però sono contento perché stiamo riuscendo sempre di più a dare un grande supporto ai ragazzi.

Fabio ci tiene ad essere presente il più possibile agli incontri con i più piccoli
Fabio ci tiene ad essere presente il più possibile agli incontri con i più piccoli
Com’è vista la Fabio Aru Academy in Sardegna?

Devo dire che pian piano stiamo raggiungendo tutti gli obiettivi che ci siamo posti. Abbiamo appena inaugurato la nuova sede a Villacidro: 200 metri quadri che utilizziamo anche per alcuni allenamenti indoor durante le giornate più brutte. Anche se siamo in Sardegna, ogni tanto capita che piova (ride, ndr). Stiamo ricevendo supporto anche dalle istituzioni, anche se non è proprio così semplice. Logicamente l’aiuto dei nostri sponsor è il motore di tutto con Assos, Specialized, Ekoi, Crai. In più sin dall’anno scorso abbiamo lanciato un progetto nelle scuole. Cinque giornate, in cui abbiamo organizzato una mattinata incentrata sul ciclismo e sullo spiegare come funziona. Siamo riusciti a coinvolgere 1.600 ragazzi e questo non ha prezzo. Loro sono il futuro e noi dobbiamo dargli la possibilità di innamorarsi di questo sport. 

S-Works SL8: veloce e precisa, la stabilità è il valore aggiunto

20.03.2024
6 min
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Rispetto alla S-Works SL7 cambia molto, quasi tutto. Il design, anche se al primo impatto le somiglianze ci sono, cambiano soprattutto le performances, perché nella SL8 collimano aerodinamica e leggerezza. L'ultima versione della Tarmac è anche molto, molto leggera, un peso ridotto che però non influisce in modo negativo sulla stabilità, su un avantreno che non risulta nervoso e troppo impegnativo. L'abbiamo provata a fondo.

La Tarmac S-Works SL8 di Specialized è una delle protagoniste del mercato. Rispetto alla versione precedente è cambiata radicalmente nelle performance, pur tenendo fede ad una design che è una sorta di “all in one”.

E’ leggera come una bici specifica per gli scalatori, ma porta in dote anche dei concetti aero non banali che la rendono veloce come una aerodinamica vera e propria. Non adotta delle geometrie estremizzate ed è molto agile. E poi le ruote Roval Rapide CLX II con il profilo differente (51/60 millimetri) che sono un tappeto di velluto. Entriamo nel dettaglio del test.

La SL8 è molto diversa dalla precedente 7
La SL8 è molto diversa dalla precedente 7

Tarmac SL8 Dura-Ace

E’ la stessa bicicletta utilizzata dai corridori del Team Soudal-Quick Step ed il frame-kit (incluso anche il cockpit integrato) è il medesimo in dotazione a Primoz Roglic e compagni. Come sottolineato al momento del suo lancio ufficiale, la S-Works SL8 è l’erede della SL7, anche se le differenze esistono e sono importanti. L’avantreno è stato completamente cambiato, così come la forma ed i volumi di alcune tubazioni. Rispetto al passato anche la nuova metodologia di posa del carbonio ha permesso di abbassare drasticamente il valore alla bilancia, aumentando al tempo stesso il rapporto rigidità/peso.

La bici del test, una taglia 54, ha un peso rilevato di 6,35 chilogrammi (senza pedali). Ha il nuovo cockpit integrato Roval tutto in carbonio, il reggisella specifico e la sella S-Works Power. La trasmissione è Shimano Dura-Ace 52/36 e 11/30, con il power meter 4iiii. Le ruote sono le Roval Rapide CLXII 51/60 tubeless ready, gommate S-Works Turbo Rapidair 2BR da 26 millimetri. L’abbiamo utilizzata nella configurazione tubeless.

Meglio della SL7

Non è solo questione di meglio o peggio, ma sono l’equilibrio e la precisione, insieme alla stabilità, che mettono la SL8 sul gradino superiore. La Tarmac precedente faceva emergere un po’ di nervosismo in alcuni frangenti, che si traducevano in consumo di energie. Paradossalmente la S-Works SL8 è più docile, armoniosa ed è una lama quando si tratta di cambiare traiettoria continuamente ed in modo repentino, fattori che nell’insieme permettono al corridore di fidarsi al 110% del mezzo meccanico.

Al tempo stesso possiamo scrivere che in salita paga poco o nulla nei confronti della Aethos, soprattutto quando le pendenze sono al di sotto della doppia cifra e si riesce a fare una buona velocità. Nei tratti vallonati, in pianura ed ovviamente in discesa, è decisamente più veloce.

Non è una bici comoda per concetto
Non è una bici comoda per concetto

Il comfort? Da spiegare

Il comfort di marcia non è legato ad una bicicletta comoda per concetto, ma ad un progetto che rende funzionale la sua prestazione complessiva. Il comfort è il risultato di più fattori che collimano tra loro e che abbiamo menzionato in precedenza: stabilità e agilità, leggerezza e una rigidità percepita non eccessiva, capacità di bloccare le vibrazioni e di non portarle verso la sella.

A questi si unisce la versatilità del mezzo che è facile da rilanciare e aiuta a mantenere alta la velocità senza troppi sacrifici, ma anche una grande capacità di adattarsi a differenti tipologie di allestimento (ad esempio le altezze delle ruote), senza mai cambiare il carattere vero e proprio del frame-kit.

Ruote e manubrio integrato

Le ruote Roval, che da sempre fanno parte del portfolio Specialized sono quel plus tecnico che non guasta, perché se la ruota è in grado di cambiare la resa tecnica del mezzo, qui siamo ad un livello molto alto. Hanno il profilo differenziato tra anteriore e posteriore (anche la spanciatura del cerchio è differente), oltre ad un meccanismo interno del mozzo che si basa sul progetto DT Swiss. Scorrevolissime prima di tutto e nonostante i due profili già elevati non impiccano il corridore nelle curve in discesa alle alte andature. Usate con la configurazione tubeless sono un punto di riferimento anche quando la qualità dell’asfalto tende al pessimo.

La ruota posteriore da 60 è impegnativa quando la strada sale, la velocità si abbassa e per rilanciare in modo perentorio bisogna avere tanti watt nelle gambe. In frangenti come questo entra in gioco la sua briosità e la prontezza in fase di cambio di ritmo che viene fuori quando si usano ruote dal profilo più basso. Forse meno veloci, ma che paradossalmente fanno diventare la S-Works SL8 ancora più brillante.

Il nuovo manubrio integrato Roval, vantaggioso quando si arpionano gli shifters ed è fondamentale scaricare le pressioni che si generano sui polsi. Ergonomico e con una curvatura mediamente compatta che non obbliga a sprofondare verso il basso e verso l’avantreno, quindi utilizzabile e sfruttabile da diverse tipologie di utenza.

In conclusione

Il nostro test parte da lontano, perché prima di metterci in sella abbiamo affrontato anche il bikefitting Retul. Scrivere che la SL8 è la migliore Tarmac di sempre non è un azzardo, ma non è neppure scontato. Lo riteniamo un vero progetto “tutto in uno”, frutto del percorso intrapreso dalla SL7 (che in fatto di aerodinamica ha strizzato l’occhio alla Venge) e dalla lavorazione del carbonio utilizzata per la Aethos.

La S-Works SL8 non è una di quelle biciclette che buttano giù di sella dopo tante ore e dopo parecchi metri di dislivello positivo. Non è una di quelle bici che funzionano bene solo quando la corda è costantemente tesa. E’ una di quelle bici gratificanti e piacevoli quando l’andatura è bassa ed anche il “giro di scarico” diventa anche un piacere che va ben oltre l’agonismo.

Specialized

Il sistema Retul dei pro’: lo abbiamo provato anche noi

26.02.2024
7 min
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Il sistema Retul è alla base del posizionamento in bici adottato dai team, dai tecnici e dai corridori che usano le bici Specialized. Siamo stati a Milano, nelle sede di Specialized Italia per toccare con mano.

Grazie a Silvio Coatto, docente della Specialized University, siamo entrati nel cuore del sistema, con qualche curiosità e sovrapposizione di fitting tra professionisti ed amatori.

Silvio Coatto ci illustra il sistema Retul
Silvio Coatto ci illustra il sistema Retul
Definiamo il sistema Retul in poche parole!

Retul è un software+hardware di acquisizione dati del movimento 3D in bicicletta. E’ un tracciamento ottico basato su 8 marker e si basa sulla luce ad infrarossi emessa dai diodi, che sono gli emettitori di luce. I 4 filtri di vetro sulla parte anteriore della telecamera, chiamati Tracker, triangolano la posizione dei LED tridimensionalmente. Riassumendo, Retul è un sistema tecnologico che traccia e registra il movimento di un ciclista sulla bici. Questo software ci permette di valutare in diretta i cambiamenti e ci aiuta a migliorare performance e comfort in sella.

L’abbiamo definito un sistema “dinamico ed interattivo”
L’abbiamo definito un sistema “dinamico ed interattivo”
Quanto tempo è necessario per un posizionamento Retul?

Normalmente si parla di un paio d’ore, poi si consiglia sempre di fare un check di almeno mezz’ora dopo qualche uscita.

Si parla anche di plantari. Quanto influiscono nell’efficienza del gesto?

Molto, anche se è difficile fornire una percentuale riferita ad un giro in bici o ad un allenamento. Possiamo ragionare sul numero di pedalate moltiplicate per il tempo di un’uscita. Ad esempio, ad una media di 80 rpm e 3 ore di in bici, siamo a 14.400 spinte sui pedali. I piedi rischiano di essere molto stressati, per via anche di suole super rigide che hanno oggi le scarpe.

Quindi?

Quindi riuscire a distribuire il carico sul 100% della superficie del piede stesso aiuta a limitare al minimo questo stress, diminuendo la stanchezza e lasciando un po’ di energia da spendere in altre situazioni.

Ogni quanto si dovrebbe fare una valutazione biomeccanica complessiva?

Se non ci sono infortuni o problematiche recenti, la cosa migliore sarebbe farlo una volta all’anno.

Con il passare degli anni, cambia la nostra posizione sulla bicicletta?

Direi di sì, non viene stravolta chiaramente, ma la vita di tutti i giorni e la possibilità di potersi allenare di più o di meno possono portare a delle variazioni. Ad esempio, chi ha la possibilità di fare stretching in modo adeguato riesce ad allungarsi in modo maggiore. Chi ha sempre pedalato col tempo potrebbe procedere verso una posizione più comoda, mentre chi è meno esperto potrebbe andare verso una posizione più aggressiva perché migliora le sue doti di guida e magari ha ancora delle ottime doti muscolari/flessibilità.

In base alle tua esperienza e all’infinità di dati che hai a disposizione, quali sono le problematiche più comuni in fatto di posizionamento sulla bici?

Dando per scontato la taglia corretta della bicicletta, la sella è la base di tutto il lavoro che facciamo. Alcuni ciclisti la scelgono per estetica o non capiscono quanto incida sul loro modo di pedalare, andando ad influire negativamente sui movimenti. Altro problema, sempre legato all’estetica, è il fatto di non voler alzare il manubrio. In molti hanno la convinzione che il manubrio completamente ribassato sia sinonimo di aerodinamica ed efficienza

Invece?

Talvolta si estremizza e si ottiene il risultato opposto. Diverse persone pedalano in posizioni troppo vicine al loro limite di mobilità sul bacino, mettendo in crisi ginocchia, schiena, spalle e collo. Uno dei problemi più grandi da affrontare è l’emulazione al pari dell’estetica. Dal lato pratico e funzionale è meglio pensare ad essere ben posizionati in sella, il che significa anche meno problemi fisici.

L’analisi di un lato del corpo e poi del successivo
L’analisi di un lato del corpo e poi del successivo
Durante una valutazione Retul, c’è un passaggio tanto fondamentale, quanto più complicato rispetto agli altri?

Il sistema Retul rileva costantemente 38 dati, distanze e angoli. Tutti vanno sempre interpretati. Ci sono chiaramente dei range e si cerca di rimanere all’interno di essi. Direi che il passaggio fondamentale per il fitter è collegare la valutazione fisica fatta in precedenza con i valori visualizzati a video. E’ fondamentale capire “la causa” di un determinato valore in modo da trovare la soluzione.

Ci fai qualche esempio?

Un ginocchio può muoversi troppo lateralmente per colpa di una sella sbagliata, sella troppo alta, collasso piede e dell’avampiede, una differenza di lunghezza delle gambe, oppure delle tacchette posizionate male. Se non abbiamo fatto una buona valutazione fisica andiamo avanti a tentativi e rischiamo di amplificare il problema o di crearne uno nuovo. Il feedback del ciclista è molto importante ma, durante il fit, è abbastanza raro che sia preciso e sicuro, sempre meglio aspettare quello delle successive uscite su strada.

L’esperienza del fitter va di pari passo alla tecnologia fornita dal Retul
L’esperienza del fitter va di pari passo alla tecnologia fornita dal Retul
Nel post valutazione è necessario prendersi del tempo per capire la nuova posizione in bici ed eventualmente metabolizzarla?

Sì, soprattutto se i cambiamenti sono importanti ed eventualmente si può ragionare su due step. E’ fondamentale uscire limitando i carichi e dando al proprio corpo il tempo di adattarsi alla nuova posizione a al nuovo materiale. C’è anche chi parte a 1000 senza problemi e chi ha bisogno di un mese per adeguarsi.

Quindi Retul è un sistema che lascia spazio alla valutazione e all’esperienza del bike fitter?

Certo, moltissimo spazio al fitter. Retul è un attrezzo, tecnologico e molto preciso, ma sempre un attrezzo e non può valutare la condizione fisica del rider. La valutazione fisica è importante, ma il fitter deve anche ragionare su cosa andrà a fare il ciclista con quella bici e cosa fa nella vita di tutti i giorni, informazioni che può elaborare solo una persona.

Remco Evenepoel è uno degli atleti di punta di casa Specialized
Remco Evenepoel è uno degli atleti di punta di casa Specialized
Un argomento sempre attuale, posizione in bici di un pro’ vs amatore, cosa cambia?

Cambia solo ed esclusivamente la posizione del manubrio, lato sella direi niente. Anche se la tendenza è cambiata negli ultimi anni, vedi le posizioni crono molto più alte, i pro’ sono sempre più distesi e lunghi, più bassi, pur utilizzando anche degli spessori sopra la serie sterzo. Lasciando stare che sono più giovani e più performanti fisicamente, metterei in primo piano solo la qualità della loro vita. Hanno dei preparatori, disponibilità di materiali e conta anche la dieta che seguono. Mediamente beneficiano di una quantità maggiore di ore di sonno, fanno costantemente stretching e massaggi. Direi che sono aspetti che gli permettono di essere più aggressivi nella posizione in bici rispetto all’amatore medio che lavora 8 ore al giorno.

Masnada riparte e finalmente può parlare di obiettivi

25.02.2024
4 min
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Sulle strade dell’Oman, prima della Muscat Classic e poi della corsa a tappe successiva, si è rivisto in gruppo Fausto Masnada. Il bergamasco era tornato a correre alla fine della scorsa stagione dopo tre mesi di stop a causa dell’intervento al soprasella. Tredici giorni di corsa tra settembre e ottobre ci avevano riconsegnato un Masnada sorridente e speranzoso. Ora che l’inverno è alle spalle, e la stagione 2024 è iniziata, è il momento di tirare le prime somme sul suo ritorno

«Sono in Francia – racconta Masnada nella giornata di venerdì – dove correrò Faun Ardèche e Faun Drome Classic. Saranno due gare più impegnative rispetto all’Oman, poi farò due corse a tappe a marzo. Insieme alla squadra (Soudal-Quick Step, ndr) abbiamo deciso di aumentare i giorni di corsa e fare un calendario più ricco».

Le corse in Oman hanno rappresentato il primo appuntamento ufficiale del 2024 per Masnada
Le corse in Oman hanno rappresentato il primo appuntamento ufficiale del 2024 per Masnada
Segno che ti senti bene, no?

Vero. L’inverno è stato positivo, non ho avuto alcun intoppo. Sono anche riuscito a fare un bel blocco di lavoro in altura. In Oman non è andata male, anzi. Ho fatto i miei migliori valori negli ultimi due anni. Mi aspettavo di essere un po’ in difficoltà, soprattutto nell’arrivo in salita di Green Mountain.

I numeri migliori negli ultimi due anni, promettente…

Non sono emersi da test, ma sono frutto della comparazione dei valori che avevo negli anni scorsi al Tour of Oman. Il miglioramento mi dà fiducia e mi fa capire che la direzione in cui sto andando è quella giusta. Dal mio punto di vista devo impegnarmi al massimo per essere professionale e farmi trovare pronto. Il ciclismo è sempre più competitivo, non è facile vincere, ma per riuscirci si devono fare le cose al 100 per cento. 

Masnada ha modificato la posizione in sella, ricercando una maggiore performance
Masnada ha modificato la posizione in sella, ricercando una maggiore performance
Hai fatto modifiche alla bici?

Dopo l’intervento al soprasella ho fatto un reset della posizione: sia per la sella che per la scelta dei materiali. Prima era tutto un adattarsi e convivere con il dolore, nel mettermi in sella sceglievo il comfort e non la performance. Ora posso concentrarmi nel cercare la performance. Utilizzo una sella diversa, la Romin Evo Pro MIMIC da 143 millimetri, sempre di Specialized, si tratta di un modello da donna. La parte operata è rimasta comunque delicata e questa sella ha la particolarità della tecnologia Mimic, quindi mi dà un maggior comfort. 

Rispetto alla fine del 2023 come ti senti?

Già dopo l’intervento mi sentivo bene, avevo ripreso a pedalare ed ero a un buon livello. Alla luce di questo si è deciso di lavorare per altri obiettivi nel 2024. 

Che inverno è stato?

Normale. Ho terminato le corse in Giappone, ho fatto lo stacco invernale e sono tornato ad allenarmi normalmente. Non ho passato molto tempo in palestra, visto che nel periodo in cui ero fermo ho lavorato tanto con i pesi. Mi mancava il feeling con la pedalata, quindi ho cominciato fin da subito a uscire in bici. 

La sella che Masnada usa da dopo l’operazione è la Romin Evo Pro MIMIC 143 mm
La sella che Masnada usa da dopo l’operazione è la Romin Evo Pro MIMIC 143 mm
Sei riuscito a inserire anche un blocco in altura…

Il programma è stato completo e corretto rispetto a quanto pattuito con la squadra. Non ci sono stati problemi e sono molto felice del mio livello di condizione. Il blocco in altura mi ha dato qualcosa in più e in Oman questo si è visto. 

Che corse a tappe farai a marzo?

Ne ho un paio. Una tra Tirreno-Adriatico e Parigi-Nizza e poi il Catalunya. La squadra fa un calendario impegnativo, da team WorldTour ed è giusto così. Non corriamo in gare che possono essere considerate di secondo livello. Questo vuol dire che per vincere, in certi appuntamenti, bisogna essere davvero pronti. Ma sto lavorando al fine di tornare ai miei livelli migliori. 

La condizione di Masnada è in crescendo in vista delle prossime gare di marzo
La condizione di Masnada è in crescendo in vista delle prossime gare di marzo
A fine marzo farete un primo bilancio?

L’idea è di capire come starò al termine di questo primo blocco di gare. Se mi sentirò bene potrei andare in altura per preparare una grande corsa a tappe, ma non saprei ancora quale. Magari prenderò il via alle classiche, non so…

Se dovessimo chiederti qual è il tuo sogno in questo 2024?

Tornare al Giro, finirlo e vincere anche una tappa. E’ il mio obiettivo primario, dopo due anni di problemi voglio tornare sulle strade della corsa rosa. Il ciclista lavora così, con obiettivi a breve, medio e lungo termine. E’ l’unico modo di andare avanti in uno sport così difficile. A volte poi non riesci a raggiungere questi traguardi, e lì è il momento di concentrarsi su quelli successivi. Da qui fine marzo ne ho uno, vedremo se riuscirò a raggiungerlo.