Amadio l’ha appena accennato, Bennati l’ha detto chiaramente, ma forse non tutti l’hanno sentito o voluto capire. Dietro il malcontento per le prestazioni di Bettiol e Mozzato a Parigi c’è una semplice constatazione: abbiamo corso in tre perché il nostro ranking non è all’altezza delle Nazioni più forti. I punti si fanno nei Grandi Giri e anche nelle classiche monumento e noi, persi Nibali e Aru, non abbiamo più trovato sostituti all’altezza. Ci sarebbe stato anche Colbrelli, che però si è fermato per i noti problemi di salute. Sin da Tokyo, Sonny aveva fatto un bel cerchio rosso sul giorno di Parigi. Per cui oggi è con lui che facciamo il punto della situazione azzurra (in apertura è proprio con Bennati, in una foto Limago | Creative Agency).
«Io non ho mai fatto le Olimpiadi – dice il bresciano da casa – ma posso dirvi che con Cassani avevamo parlato proprio di Parigi. Non mi aveva portato a Tokyo nel 2021, nonostante andassi fortissimo in salita. Però ricordo che ne parlammo, vi dico la verità. Fui io a dirgli che avrei preferito non andare, perché il percorso mi sembrava troppo duro. Lasciate stare che Van Aert fece terzo, ma lui quell’anno volava. Io magari sarei stato con Bettiol, che poi ebbe i crampi. Magari venivano anche a me o saremmo arrivati in quel gruppetto e sarei arrivato fra l’ottavo e il decimo posto. Per questo dissi a Cassani che sarei rimasto a casa e sposammo l’idea di andare a Parigi. Che ne sapevo di quello che mi sarebbe successo? Andai anche a fare le visite al Coni perché ero nelle liste olimpiche. Ci tenevo molto, le Olimpiadi mancano alla mia carriera, perché per uno sportivo sono indimenticabili. Ma nel 2021 ci concentrammo sul mondiale…».
A Parigi siamo andati in tre, perché il nostro ranking non era all’altezza.
Purtroppo è così. Le Olimpiadi sono già difficili a pieno organico, che sono 4 corridori. Ma se corri in 3 e uno è Viviani che si è trovato lì per la pista, su un percorso che non era per lui, allora si fa dura. Che poi Elia ha fatto la sua parte. Ma se siamo andati in tre non è solo per quest’anno, ma anche per i precedenti. Mancano un po’ più di continuità e magari corridori da corse a tappe, perché i punti pesanti si prendono nei Giri. Senza più Nibali e Aru, dobbiamo aspettare Pellizzari e Piganzoli e ovviamente il nostro Tiberi, che al momento credo sia la punta italiana. Invece nelle classiche siamo anche in tanti, però quando inizia la vera corsa, non ci siamo. Ganna ha fatto secondo alla Sanremo ed è stato un grandissimo numero. Penso che corridori per le corse del Nord li abbiamo, perché quest’anno Bettiol è stato preso nel finale del Fiandre e poteva andare sul podio. E invece quel giorno è venuto fuori Mozzato, che ha fatto secondo.
La sensazione è che manchino l’incisività, la forza e il coraggio di provare qualcosa fuori dagli schemi.
Che sia una corsa prestigiosa, che sia anche una corsa più piccola, vincere è sempre difficile e in questo nuovo ciclismo ancora di più. Si va a mille, è tutto esasperato. Non devi tralasciare niente. Posso capire la vita che fanno i corridori e la pressione che hanno, perché l’ultimo anno l’ho fatto come Dio comanda e ho avuto i miei risultati. Però non è facile, perché se non sei alle gare, sei in qualche ritiro in altura. Se vuoi fare la differenza servono rinunce, sacrifici e un impegno fuori dal comune. O sei Van Der Poel, Van Aert, Pogacar e Remco, che però li conti su due mani, oppure non è per niente facile. Per un ragazzo che approda in questa nuova avventura è molto difficile, che sia nel WorldTour o una professional. Poi ci sono team e team. E alcuni non sono attrezzati o sul pezzo, come ero io col Bahrain.
La squadra giusta rende le cose più facili?
Se sei arrivato fino lì e sei professionista, devi essere anche professionista nella vita. E’ un attimo restare senza squadra, è un attimo non fare il risultato o essere messo da parte da un team perché non ti sei allineato a questa disciplina. Diventare professionista vuol dire anche esserlo sul lavoro, sull’alimentazione e la preparazione. Su tutto quanto. Sapete quante volte mi svegliavo la mattina e avevo la classica nausea? Magari pensavo che avrei preferito fare tre ore anziché sei, ma non è così che funziona.
L’Italia porta sempre avanti il tema della gradualità, all’estero si bruciano le tappe: chi ha ragione?
Quando andiamo nelle corse minori, facciamo fatica. Ci sono squadre under 23 che non sposano il progetto continental e si lamentano, quella mentalità di lavorare per il risultato va cambiata. Sto vedendo dei giovani che sono già professionisti e hanno la mentalità da grandi. L’asticella si è alzata molto. In Italia vedo ragazzini di 12-13 anni con la bici da professionisti. Quello che vorrei far capire è che il professionismo si fa da professionista, non da giovane. Fino a una certa età deve essere un gioco, altrimenti a un certo punto è normale che arrivi al bivio e mandi tutto a quel paese.
Ormai la soglia del professionismo si è abbassata agli juniores.
Mi sto guardando attorno per fare una squadra di giovani e sto vedendo i costi di una squadra di juniores. Alcuni ragazzi prendono anche i soldi, juniores che guadagnano 1.000-1.500 euro al mese. Vuol dire che con 100.000 euro gli juniores quasi non li fai più e questa è una mentalità da cambiare. Come bisogna cambiare il fatto di non andare all’estero.
Tu hai rinunciato a Tokyo, Bennati dice che se un corridore convocato non si sente all’altezza, dovrebbe chiamarsi fuori…
Bisogna sempre guardare il punto di vista del corridore che, se sta bene, vuole onorare la maglia azzurra. Certo, la giornata storta ci può stare, non esiste la bacchetta magica. Ma se nelle settimane prima vedi che non vai come deve andare, a quel punto bisogna essere onesti e dire di no. Chiamarsi fuori perché la figuraccia in corsa sarebbe la tua personale, ma anche per l’Italia. Scegliere gli uomini per le Olimpiadi è difficile perché devi programmarla mesi prima, però il corridore deve essere onesto. E anche in corsa devi dire se stai bene o se stai male…
Ha fatto bene Pogacar a non andare a Parigi?
Forse dopo una stagione così intensa, capisco che abbia avuto voglia di staccare la spina e pensare alle ultime gare di stagione. Ha vinto prima del Giro. Poi avrà fatto qualche giorno di scarico e si è allenato in altura diretto verso il Tour. Sapete, non è semplice anche se sei Pogacar. La testa conta molto, è quello che conta di più.