Quella ottenuta a Sibiu è stata per Giacomo Nizzolo la prima vittoria del 2024 e chi conosce la carriera dell’ex campione europeo non può non stupirsi di un simile ritardo. Soprattutto considerando il ricco palmarés diluito negli anni del corridore milanese, approdato quest’anno alla Q36.5. Il suo inverno era stato traumatico, un incidente in allenamento il 23 dicembre gli era costato la frattura della tibia della gamba destra, il che ha enormemente rallentato la sua preparazione tanto che è tornato a correre solo a fine aprile.
La volata vittoriosa a Sibiu, battendo di un nulla il forte canadese PickrellLa volata vittoriosa a Sibiu, battendo di un nulla il forte canadese Pickrell
«Questo ha reso la mia stagione complessa – spiega Nizzolo al suo ritorno in Italia – sono partito tardi e con qualche dubbio su quanto sarei riuscito a recuperare, considerando i miei 35 anni. Sapevo però che con l’applicazione sarei tornato a buoni livelli. La vittoria in Romania è stata una bella soddisfazione che mi ha dato morale, ma so che c’è ancora tanto da fare per tornare il “vero” Nizzolo».
Quanto è stato importante l’apporto del team nel tuo ritorno alla vittoria?
Tantissimo, innanzitutto prima, lungo tutto il cammino di ripresa. Non è un team nuovo per me, tanti dello staff sono gli stessi con cui lavoravo ai tempi della Qhubeka, è come una famiglia. In squadra i meccanismi cominciano a funzionare ed è normale perché finora ho collezionato appena 18 giorni di gara. Già nella seconda semitappa del primo giorno avevamo lavorato bene, ma allo sprint ero stato beffato dal canadese Pickrell. Nella tappa finale ci siamo presi la responsabilità della corsa sin dalle prime battute perché volevo fortemente la vittoria.
Nizzolo sul gradino più alto del podio, dal quale mancava dal Tro.Bro Leon del maggio 2023Nizzolo sul gradino più alto del podio, dal quale mancava dal Tro.Bro Leon del maggio 2023
Com’era il percorso, adatto a te?
Era abbastanza particolare, c’era un piccolo strappo a 600 metri dal traguardo, con 200 metri in pavé, bisognava arrivarci nella posizione giusta e la squadra ha lavorato duramente per questo. In questo modo mi sono preso la rivincita sul canadese dell’Israel, è stato davvero un buon gioco di squadra.
State quindi facendo adesso quel processo di amalgama che solitamente si fa a inizio stagione.
Giocoforza è così. Bisogna conoscersi, entrare in sintonia, muoversi in pieno accordo. Abbiamo potuto gareggiare troppo poco insieme perché questo potesse avvenire, inoltre serviva anche che raggiungessi un certo livello di condizione. Quelle del Sibiu Tour sono state le prime vere volate a cui ho potuto partecipare e per questo il bilancio può essere considerato molto positivo.
Due anni di contratto per il milanese, che svolge anche un ruolo di maestro per i più giovaniDue anni di contratto per il milanese, che svolge anche un ruolo di maestro per i più giovani
Quando sei arrivato alla Q36.5 la dirigenza aveva parlato di te come uomo che doveva portare punti alla squadra (e quindi vittorie) ma anche come maestro per i più giovani. Come ti trovi in questo ruolo?
E’ stato una delle ragioni che mi ha spinto ad accettare la proposta. Io in generale cerco di dare sempre supporto ai più giovani, anche come esperto di dinamiche in gruppo, anche se quelli che passano oggi non sono come eravamo noi alla loro età. Ormai arrivano che sono già pronti, conoscono molto di come funziona questo mondo, sanno che cosa fare ma cerco comunque di essere utile e questo mi dà soddisfazione perché riesco a farmi ascoltare.
Nel team c’è qualcuno che ti ricorda Nizzolo?
Bella domanda alla quale vorrei dare una risposta compiuta più avanti nel corso della mia stagione, perché lavoriamo da troppo poco tempo insieme. Posso dire che un ragazzo c’è, nel quale mi rivedo, ma sono tante le cose da valutare e soprattutto le esperienze da condividere per dare un giudizio.
Nizzolo ha iniziato a correre solo a fine aprile, ora vuole rimpinguare il suo numero di giorni di garaNizzolo ha iniziato a correre solo a fine aprile, ora vuole rimpinguare il suo numero di giorni di gara
Dove ti vedremo prossimamente?
Il mio calendario ora si va infittendo: sarò alla Vuelta Castilla y Leon, a Villafranca, al Giro di Danimarca, poi si vedrà ma credo che gareggerò anche ad Amburgo. Sono tutte corse che si adattano alle mie caratteristiche, le prove ideali per continuare a salite di condizione. D’altronde ho bisogno di un calendario così ricco e ne ha bisogno anche la squadra, visto che per forza di cose sono uno dei corridori più freschi attualmente nel team.
Nel guardare la classifica dell’ultimo Sibiu Tour non bisogna lasciarsi ingannare. E’ vero, il vincitore è stato Florian Lipowitz, tedesco della Red Bull Bora Hansgrohe, ma al cospetto di questo e di altri team WorldTour, protagonista è stata anche la Petrolike e in particolare il suo leader Jonathan Caicedo, vincitore di una tappa e secondo nella classifica della montagna. Non contento, l’ecuadoregno ha anche colto un positivo 5° posto al successivo Giro dell’Appennino, confermando di vivere un particolare momento di forma.
Sin dagli esordi del team Petrolike, la presenza in esso di Caicedo era risultata abbastanza sorprendente, perché il sudamericano è a tutti gli effetti un corridore da WorldTour, che non sfigurerebbe in un grande giro, come cacciatore di tappe o tra i principali scalatori del gruppo. Eppure ha fatto una scelta controcorrente. Il manager del team Marco Bellini, da sempre vicino alle avventure in giro per il mondo di Gianni Savio, spiega da dove la sua scelta è nata.
La vittoria in solitudine nella terza tappa della corsa rumena, poi chiusa al 27° postoLa vittoria in solitudine nella terza tappa della corsa rumena, poi chiusa al 27° posto
«La Petrolike è nata con un programma quinquennale molto ambizioso, che entro il 2026 deve portare il team fra le principali Professional internazionali. Proprio in questi giorni stiamo stabilendo gli ulteriori passi da effettuare. Sin dall’inizio si era pensato di investire su due corridori sudamericani in grado di portare risultati, di spiccare per promuovere il marchio del team e il profilo di Caicedo, come quello del più giovane Camargo rispecchiava le nostre esigenze».
Caicedo chiaramente risulta quasi fuori contesto visto il suo valore, come ha accettato questa situazione?
Chiaramente c’è stato un discorso economico alla base, ma non solo. Sono due elementi di livello inusuale nell’attività del continente e si è visto nella portata e nel numero dei risultati portati a casa. Caicedo ha iniziato forte vincendo la Vuelta al Tachira, la Vuelta Bantrab, poi è stato protagonista al Giro di Colombia, fino al successo in Romania. Camargo ha avuto problemi fisici, ma ci aspettiamo molto da lui nella seconda parte di stagione.
Caicedo aveva iniziato il 2024 aggiudicandosi la Vuelta al Tachira, oltre alla quarta tappaCaicedo aveva iniziato il 2024 aggiudicandosi la Vuelta al Tachira, oltre alla quarta tappa
Quella rumena era corsa di una categoria superiore rispetto a quelle che avete affrontato…
Io, tra i vari team in cui ho militato, ci sono stato almeno sei volte e sapevo le sue caratteristiche, adatte ai nostri corridori. Ho notato però, rispetto al passato, come il livello generale sia più alto e come ormai sia un traguardo ambito anche dai team della massima serie, per questo i risultati ottenuti acquisiscono un valore maggiore. Caicedo nell’occasione ha confermato di essere uno scalatore di vaglia, come se ne vedono pochi in giro per le gare, di qualsiasi livello esse siano.
Allargando un po’ il discorso alla squadra, Caicedo è visto solo come un leader per conquistare punti o anche come un riferimento per i più giovani?
Domanda interessante che mi consente di fare un distinguo: l’obiettivo primario della Petrolike è essere uno strumento di crescita per i migliori prospetti messicani e consentire loro di trovare posto in grandi team. Per questo servono sì esempi, ma anche corridori in grado di insegnare ed è questo un elemento di discussione in questi giorni. Abbiamo bisogno di corridori che possano fare un po’ da “chioccia”, che abbiano sufficiente esperienza in questo mondo per insegnare ai talenti messicani, come ad esempio i due gemelli Prieto, appena vent’anni e tante possibilità.
Il Team Petrolike è nato quest’anno, ma ha grandi ambizioni già per il 2026Il Team Petrolike è nato quest’anno, ma ha grandi ambizioni già per il 2026
Come si stanno trovando i ragazzi al loro approccio europeo?
L’inizio non è stato facile perché nelle prime corse, in particolare Laigueglia e Croazia, hanno trovato tanto freddo al quale non erano abituati, uno sbalzo di temperatura che ha provocato bronchiti, raffreddori e un generale calo di condizione. Ora la situazione va molto meglio e i risultati lo stanno evidenziando.
La squadra ha un roster tutto centro-sud americano ma una dirigenza europea. E’ possibile che l’evoluzione della squadra passi per l’acquisizione di corridori del Vecchio Continente, magari italiani?
E’ proprio questo l’obiettivo: noi abbiamo un Caicedo che è un vincente, ma come detto prima ci serve chi stia più vicino ai giovani, svolga quel ruolo di “regista in corsa” che ci manca attualmente, per questo stiamo identificando 3-4 identikit di corridori europei che possano fare al caso nostro. Corridori che accettino di scendere di categoria abbracciando il nostro più che ambizioso progetto. Potrebbero anche essere italiani, perché no.
Per Andres Camargo un inizio stagione più difficile rispetto al connazionalePer Andres Camargo un inizio stagione più difficile rispetto al connazionale
Dove state cercando?
Un po’ dappertutto, ma dopo una scelta primaria per capire se i corridori prescelti facciano al caso nostro. E’ chiaro che deve essere gente che alla bisogna possa anche prendersi carico del team, finalizzare e portare risultati. Quel che conta è portarne qualcuno alla nostra causa, che abbracci il nostro progetto e voglia crescere insieme a noi.
Martedì nel primo pomeriggio, Giulio Pellizzari ha lasciato casa di sua nonna Clara a Casalgomberto in provincia di Vicenza per raggiungere la squadra a Bologna. Di lì è volato in Romania, in cui fra circa un’ora partirà il Sibiu Cycling Tour. Partire con il buon gusto della vittoria cambia le percezioni e la volata a due su Cretti che gli è valsa l’Astico-Brenta (foto Green Project-Bardiani in apertura) ha reso il viaggio più leggero.
La valigia pronta
Come per tanti corridori che vengono dal Centro Sud, la sua vita si divide fra vari appoggi, ma la base è a Camerino, in provincia di Macerata, con il centro storico ancora chiuso dopo il terremoto di sette anni fa e la ricostruzione che va a rilento.
«Stanno ricostruendo in altre zone – ammette Giulio con una punta di amarezza – al punto che casa mia una volta era a un chilometro dal centro, adesso invece è in periferia senza averla spostata, solo perché la città sta nascendo altrove. Me lo ricordo il terremoto, il 24 agosto 2016. Ho ancora la pelle d’oca, perché sicuramente non è stato un bel momento. Eravamo tutti insieme a casa, perché c’erano già state altre scosse. Avevo paura ad andare in camera da solo e quindi stavamo tutti in cucina. Anche se la scossa che ha dato il colpo di grazia alla città fu quella del 30 ottobre. Mi piace partecipare a tutte le manifestazioni che si fanno nelle Marche. Voglio essere presente, perché sono tanto legato alla mia terra…».
Pellizzari è al secondo anno con la Green Project-Bardiani: è nato il 21 novembre 2003 (photors.it)Il 18 giugno, Giulio ha partecipato alla GF Terre dei Varano di Camerino, qui con Francesco JajaniLa gran fondo arrivava nel centro storico, in cui la situazione non è migliorata di molto (foto Stefano Miliani)Pellizzari è al secondo anno con la Green Project-Bardiani: è nato il 21 novembre 2003 (photors.it)Il 18 giugno, Giulio ha partecipato alla GF Terre dei Varano di Camerino, qui con Francesco JajaniLa gran fondo arrivava nel centro storico, ancora impraticabile (foto Stefano Miliani)Il podio della Terre dei Varano si trova infatti api piedi di un palazzo ancora inagibile: sette anni dopo…
Le famiglie di Giulio
Casa sua è una villetta subito fuori dal centro e ha retto l’urto, il resto intorno si è sbriciolato. Giulio aveva 13 anni e già sognava di fare il corridore. Il padre Achille è poliziotto e dal Veneto si è spostato nelle Marche per raggiungere sua moglie Francesca. Un tempo correva anche lui e per questo la famiglia ha messo i ragazzi nelle condizioni di avere il meglio. Giulio infatti ha un fratello che si chiama Gabriele: correva anche lui, poi di colpo ha poggiato la bici al muro e non ha voluto più saperne.
Oggi attorno a Giulio Pellizzari, passato professionista lo scorso anno direttamente dagli juniores, c’è una gabbia dorata di affetto e supporto tecnico. Ci sono la sua famiglia, il primo mentore Massimiliano Gentili e il preparatore Leonardo Piepoli.
E poi da poco al suo fianco è saltata fuori una seconda famiglia che vive di pane e ciclismo: quella di Stefano Casagranda e Caterina Giurato, di Borgo Valsugana. Lui ex professionista e organizzatore della Coppa d’Oro, lei direttore sportivo e portatrice sana di entusiasmo. Il legame è la figlia Andrea, che corre alla BePink e da fine novembre è la sua ragazza. Quando gli chiediamo se si senta accerchiato, si mette a ridere con la leggerezza del bravo ragazzo.
Il 2° posto al Recioto ha dato a Pellizzari la consapevolezza di essere al livello dei devo team (photors.it)Il 2° posto al Recioto gli ha dato la consapevolezza di essere al livello dei devo team (photors.it)
Hai vinto l’Astico-Brenta con uno sprint a due, ma soprattutto… hai vinto!
Sugli sprint un po’ ci ho lavorato, però diciamo che me la sentivo buona perché stavo bene. Stavolta mi ero messo in testa di vincere, volevo vincere. Non volevo assolutamente tornare a casa da perdente, un altro secondo posto non mi sarebbe andato bene.
Ti sei ammalato e hai lasciato il Giro d’Italia, cui puntavi fortissimo. Ti è rimasto addosso il segno di quella delusione?
Sicuramente è stata una bella batosta, ci tenevo tanto. L’avevo preparato bene e prima del via andavo forte. Purtroppo è andata così, è stata dura ritornare in forma, sia fisicamente ma soprattutto mentalmente. Oltre alla febbre ho avuto dissenteria e quella ti svuota. La prima settimana, questa è la seconda, uscivo in bici, ma ero finito fisicamente e mentalmente. Avete presente come è fatta Camerino? Per arrivare a casa mia c’è salita e dovevano venirmi a prendere altrimenti non tornavo, su una strada che normalmente faccio a 30 all’ora…
Il Giro era l’obiettivo, adesso?
Era la gara più importante per quel periodo, adesso ce ne saranno altre. Ora c’è il Sibiu Tour, con delle belle salite. Poi andrò a Sestriere con la nazionale, dal 17 luglio al 6 agosto, e Amadori ha detto che conta su di me per il Tour de l’Avenir.
Quale sarà l’obiettivo di questo viaggio a Sestriere?
Visto che l’obiettivo è l’Avenir, andiamo con Marino e tutti gli altri che dovrebbero partecipare. Ci porta su per tre settimane al fresco, ci alleniamo bene, facciamo la vita giusta. Come nazionale, vogliamo sicuramente fare bene. Vedremo con Marino quali saranno i compiti, io però voglio farmi trovare al massimo a prescindere se dovrò aiutare un altro o fare classifica.
Come sta andando questo secondo anno da professionista?
All’inizio c’erano un po’ di dubbi che adesso se ne sono andati. A gennaio mi sembrava di essere ripartito bene, ma finché non cominci a correre, non lo sai. Al ritiro di dicembre e gennaio stavo bene, quindi ero molto fiducioso. E fino ad ora, a parte il Giro che è andato male, nelle gare sono sempre stato lì. Sto andando forte e per ora sono molto contento.
Sentivi che la vittoria era in arrivo?
Quando ho iniziato a fare le gare con le Devo Team della Jumbo e della Wanty, ho capito che ero in grado di stare al loro livello, quindi sapevo che prima o poi sarebbe arrivata.
Orlen Nations Grand Prix, Piganzoli e Pellizzari festeggiano Busatto che ha vinto la 3ª tappa (foto PT photos)Orlen Nations Grand Prix, Piganzoli e Pellizzari festeggiano Busatto che ha vinto la 3ª tappa (foto PT photos)
Che cosa è cambiato fra lo scorso anno e questo?
La scuola. Essere diventato geometra e non dover più andare a scuola tutti i giorni mi ha permesso di allenarmi di mattina. Questo è stato fondamentale. Sul fronte della preparazione, è il secondo anno che lavoro con Leonardo Piepoli e fondamentalmente il lavoro è rimasto lo stesso. Sono solo maturato fisicamente, per cui reggo meglio il lavoro e recupero prima.
Piepoli è allenatore, ma anche un sottile psicologo…
Con lui parlo praticamente tutti i giorni. Ci sentiamo, ci confrontiamo spesso e mi aiuta con la sua esperienza. Segue dei grandi corridori, quindi conosce bene il mondo del ciclismo. Ci confrontiamo anche sulle gare. Come fare? Come non fare? Non parliamo solo di preparazione.
Invece come va con i… suoceri trentini?
Stefano mi racconta aneddoti e mi prende un po’ in giro (sorride, ndr), perché è il suo modo di essere. Lui ha vinto una tappa al Giro del Trentino, io ho fatto terzo… Non la smetteva più! Ma anche io sono uno che ride e scherza, quindi non mi faccio problemi.
Giulio Pellizzari e Andrea Casagranda, che è del 2004 e corre alla BePink, sulle strade della ValsuganaGiulio e Andrea Casagranda, che è del 2004 e corre alla BePink, sulle strade della Valsugana
Caterina dice che sua figlia sta iniziando a parlare in marchigiano…
Strano, perché sono più io da lei che lei da me, quindi dovrebbe essere il contrario. Andrea mi aiuta, mi sta vicino. Sapeva quanto tenessi al Giro ed è stata importante perché mi ha tenuto su di testa. Appena mi sono ripreso, sono andato subito da lei. A volte ci alleniamo insieme e adesso che lei sta facendo il Giro d’Italia, ci sentiamo tutti i giorni. Ci tengo a sapere come va, le sensazioni. E quando faccio io le gare importanti, lei mi chiede sempre. Ora però mi metto da parte, al centro c’è lei.
Bello allenarsi in Trentino, ma che effetto fa pedalare sui Monti Sibillini, dalle tue parti?
Sicuramente fa male passare in mezzo ai paesi rasi al suolo. Per certi versi, non essendoci traffico dato che non ci vive più nessuno, è più sicuro. Ma quando vado verso Visso, Ussita e Frontignano non è bello vedere in che condizioni sono ancora i nostri posti. I paesaggi però sono spettacolari, infatti vado spesso da quelle parti.
Per Stefano Gandin questa è una stagione da all-in, da dentro o fuori. Il suo anno alla Corratec lo sta vivendo così: sul filo del rasoio. Per il 26enne veneto le possibilità rimaste per dimostrare il proprio valore erano poche, anzi quasi nulle. La Zalf era diventata una squadra fin troppo “stretta” per un elite come lui, uno che ancora voleva dimostrare il suo potenziale. L’occasione ha bussato e sul biglietto da visita aveva scritto: Team Corratec, la neonata continental che sogna in grande.
Stefano con la maglia amaranto della squadra guidata da Serge Parsani ha conquistato prima la maglia di miglior scalatore al Giro di Sicilia. Invece, poche settimane faha messo in saccoccia la prima vittoria, al Sibiu Tour (in apertura, foto Focus Photo Agency), sulle strade che hanno incoronato Aleotti per la seconda volta di fila. Nell’ultima tappa, divisa in due: al mattino cronoscalata, nel pomeriggio la frazione in linea.
La giornata era iniziata con un problema tecnico nella crono, ma nel pomeriggio si è preso la rivincita (foto Focus Photo Agency)La giornata era iniziata con un problema tecnico nella crono, ma nel pomeriggio si è preso la rivincita (foto Focus Photo Agency)
La prima vittoria tra i grandi
Vincere è sempre un’emozione particolare, soprattutto se si tratta della prima vittoria nel ciclismo dei grandi. In particolar modo se non ci credevi, o per lo meno il destino sembrava avverso.
«L’ultimo giorno di corsa al Sibiu Tour – ci spiega Stefano – avevamo in programma due semitappe, prima una cronoscalata e nel pomeriggio l’ultima frazione in linea. Io partivo per la cronoscalata con delle buone sensazioni ed intenzioni, ma durante la prova mi si è rotta la bici e ho addirittura rischiato di finire oltre il tempo massimo. Il pomeriggio avevo voglia di riscattarmi e sono partito con il coltello fra i denti, ho cercato in tutti i modi di entrare a far parte della fuga, che è uscita di prepotenza.
«Una volta tagliata la linea del traguardo ero incredulo ma felicissimo, vincere una gara con sei squadre WorldTour e tante professional non me lo sarei mai aspettato. E’ stata una vittoria che mi ha dato consapevolezza dei miei mezzi, mi ha fatto capire che posso correre tra i professionisti. Alla fine quest’anno, al netto della maglia al Giro di Sicilia e questa vittoria, ho sempre corso davanti, sono andato spesso in fuga, diciamo che mi sono fatto vedere».
Ora Gandin si trova al Giro del Venezuela: aveva già corso laggiù a gennaio nella Vuelta al Tachira (foto Anderson Bonilla) Ora Gandin è al Giro del Venezuela, dove aveva già corso a gennaio la Vuelta al Tachira (foto Anderson Bonilla)
Un’estate esotica
Ora Gandin si trova a Caracas, pronto per correre la Vuelta Ciclista a Venezuela. Domani mattina prenderà un altro aereo per arrivare a Puerto Ordaz, sede di partenza della prima tappa.
«Siamo venuti a correre in Venezuela – ci racconta Gandin dall’altra parte del telefono, con la connessione che va e viene – perché uno dei nostri sponsor è di qui, di conseguenza la squadra ci tiene a far bene. Non è una corsa molto adatta alle mie caratteristiche, ha un percorso fin troppo semplice, ma serve anche per mettere chilometri nelle gambe. Una volta finito qui, il 31 luglio andremo a Guadalupe a fare un’altra corsa a tappe di una decina di giorni. Essendo un’isola francese ci saranno tante continental, quindi il livello sarà alto.
«Fare 20 giorni di corsa fra luglio e agosto non è da tutti, anche perché ora in Europa il calendario presenta solo gare WorldTour. Da un certo punto di vista devo ringraziare la Corratec e il ciclismo, senza di loro non avrei mai avuto modo di visitare luoghi come questi».
Gandin aveva già conquistato la prestigiosa maglia pistacchio per il leader della classifica dei GPM al Giro di Sicilia Gandin aveva già conquistato la prestigiosa maglia pistacchio per il leader della classifica dei GPM al Giro di Sicilia
Tutto o niente
Quando a 25 anni ti trovi ancora nel limbo tra il dilettantismo ed il professionismo, non è facile prendere una decisione. Continuare diventa un rischio, ma smettere non è mai facile, anzi, fa male. Questa situazione ti porta a cogliere tutte le occasioni che ti si presentano davanti.
«Quando la Corratec mi ha contattato ero in Zalf – ci dice il corridore veneto – il motivo che mi ha spinto qui è stato quello di correre tanto all’estero e con i professionisti, ero al bivio. Non aveva senso correre con i dilettanti, la Zalf è una grande squadra ma ha più senso per un corridore giovane, un under 23, che ha la possibilità di mettersi in mostra fin da subito. La Corratec mi ha promesso un calendario più denso, impegnativo, l’obiettivo di questa squadra è ben figurare in mezzo a corridori più maturi.
«Mi sento di essere cresciuto, le prove con i professionisti, soprattutto quelle a tappe, ti permettono di alzare sempre più il livello. Gli anni scorsi disputavo una o due corse a tappe all’anno e le finivo stremato. Quest’anno sono alla sesta e sento di migliorare costantemente anche nel recupero. Dopo uno o due giorni sono pronto per rimettermi subito in gruppo».
La chiamata della Corratec è arrivata nel momento giusto, quello del riscatto (foto Jorge Riera Flores) La chiamata della Corratec è arrivata nel momento giusto, quello del riscatto (foto Jorge Riera Flores)
Una futura professional?
A marzo, nell’intervista fatta a Serge Parsani, era emerso come la Corratec avesse intenzione di fare la squadra professional già nel 2022, per diversi motivi questo non è accaduto. Non è quindi da escludere che la prossima stagione il neo nato team possa fare il salto di categoria.
«Si parlava già dallo scorso anno che la Corratec avrebbe voluto fare la squadra professional – dice Gandin – e qualche voce di rimbalzo è arrivata anche a noi corridori. Queste voci ci danno maggior motivazione per continuare a far bene. Qui in Corratec la mentalità e il sostegno che la squadra offre ai corridori è da team professional. Anche queste trasferte fanno capire quanto gli investimenti e la voglia di crescere siano importanti. Il mio obiettivo è quello di passare professionista, non lo nego. E se dovessi farlo con la Corratec ne sarei ancor più felice».
La Alpecin ringiovanisce la rosa e per Sbaragli non c'è più posto. E lui raccoglie la sfida di Lastrucci e riparte dalla Corratec. Con quali obiettivi?
Anche quest’anno il Sibiu Cycling Tour, vinto da Giovanni Aleotti, ha visto i corridori italiani protagonisti. In Romania, in una delle corse parallele al Tour de France, i corridori nostrani si sono sempre ben distinti e quest’anno fra i protagonisti c’è stato anche Nicolas Dalla Valle, il giovane della Giotti Victoria che ha colto un prestigioso secondo posto nella prima tappa mostrando anche nelle altre frazioni una gamba non da poco.
Si dirà: bella forza, i big sono tutti in Francia… E’ vero, ma è anche vero che la gara rumena si va via via affermando e a testimoniarlo è lo stesso Dalla Valle, alla sua terza presenza consecutiva: «In questi anni ho notato che il livello è sempre più alto, tanto è vero che quest’anno c’erano ben 6 formazioni WorldTour, il che significa che coloro che non sono andati al Tour si sono presentati in Romania vogliosi di farsi vedere e magari far capire ai loro capi che meritavano più considerazione. Risultato? Gare più qualitativamente elevate e grande battaglia in ogni frazione».
La volata della prima tappa del Sibiu Cycling Tour con Fiorelli vincitore su Dalla Valle e Piccolo (foto Max Schuz)La volata della prima tappa del Sibiu Cycling Tour con Fiorelli vincitore su Dalla Valle e Piccolo (foto Max Schuz)
Un test impegnativo per un team continental come il vostro…
Molto, ma anche gratificante. Sono queste gare che ti aiutano a crescere e che mi fanno capire che la scelta fatta è stata quella giusta. E’ una corsa impegnativa, sia per le distanze delle frazioni, alcune davvero molto lunghe sia per i dislivelli, perché anche in Transilvania ci sono belle asperità. Ne è scaturita una gara selettiva nella quale bisognava sempre essere all’erta. Io sono andato bene nella prima tappa ma avrei voluto giocarmene anche un’altra, solo che non siamo riusciti a chiudere al momento giusto e ci è partita la fuga. Poi c’è la faccenda del prologo…
Che cosa è successo?
Era una piccola crono di 2,3 chilometri, ho chiuso 13° ma avrei potuto fare molto meglio, solo che non avevamo con noi le bici da crono, quindi ho gareggiato con la bici classica. Semplicemente non l’avevamo portata. Nella frazione finale, quella della fuga di cui sopra, ho comunque chiuso 7° nello sprint di gruppo e 7° nella classifica finale a punti. Sono tutti bei segnali, che mi dicono che il passo è quello giusto.
Dalla Valle è nato il 13 settembre 1997 a Cittadella (PD). Quest’anno ha ottenuto già 6 Top 10 (foto Instagram)Dalla Valle è nato il 13 settembre 1997 a Cittadella (PD). Quest’anno ha ottenuto già 6 Top 10 (foto Instagram)
Come hai visto Aleotti?
Andava veramente forte, quella gara la conosce bene, l’ha vinta anche lo scorso anno e poi si vedeva che venendo dal Giro d’Italia aveva una marcia in più. Io comunque sono sempre contento quando un italiano vince…
Si correva in Romania, non troppo lontano quindi dal teatro di guerra ucraino: com’era l’atmosfera tra la gente del posto?
A dir la verità ho trovato una grande tranquillità, organizzazione precisa e senza fronzoli e una situazione sociale molto serena. Il giorno della partenza dalla Romania ho fatto un giro della città a Timisoara e sinceramente non si respirava un’atmosfera pesante. A metà maggio avevo corso al Giro d’Ungheria e siamo arrivati ad appena 50 chilometri dal confine, ma anche lì non abbiamo sentito particolare tensione.
In due anni alla Bardiani (qui con Roberto Reverberi) il veneto aveva ottenuto due podiIn due anni alla Bardiani (qui con Roberto Reverberi) il veneto aveva ottenuto due podi
Proprio in Ungheria eri finito secondo nella classifica degli scalatori, ma è vero che in questa stagione ti sei messo in evidenza con 6 presenze in Top 10 anche in gare qualificate come l’Adriatica Ionica Race. A che cosa si deve questa crescita?
Credo che molto dipenda all’attività che facciamo, molto intensa e con prove sia in Italia che all’estero. Il 2021 era stato un anno disgraziato, fra covid, mononucleosi, frattura a un gomito… Quest’anno stiamo facendo un calendario superlativo per un team continental come il nostro, con tante occasioni di confronto con le squadre più grandi e secondo me questo è un aspetto fondamentale. Io sento crescere la condizione corsa dopo corsa e questo mi dà sempre più morale.
Che cosa ti aspetta ora?
Luglio è un mese di stacco, nel quale andrò in altura per preparare gli impegni di agosto, quando torneremo in Romania, poi ci sarà la trafila delle gare italiane di fine stagione e lì ci tengo a fare bene, a continuare sulla scia dei risultati ottenuti ma anche con qualcosa in più perché magari sarebbe ora di mettere la firma su una corsa.
Per Dalla Valle anche un periodo da stagista alla Uae Team Emirates nel 2019Per Dalla Valle anche un periodo da stagista alla Uae Team Emirates nel 2019
La scelta di cambiare è stata quella giusta?
Il clima in squadra è ottimo, abbiamo tutto per emergere e soprattutto abbiamo chiarezza su quel che sarà il calendario, quindi possiamo allenarci con cognizione di causa. Il calendario è intenso, quando corri poco e non hai chiaro su che cosa puntare, la condizione va a scemare. Io invece voglio mettermi in mostra.
C’è una gara particolare alla quale punti?
Una specifica no, vorrei far bene nelle gare italiane di fine estate-inizio autunno, magari entrare in qualche fuga buona. A ben guardare forse però un target c’è: le gare venete di fine stagione, che sono sì impegnative, ma su percorsi che conosco bene. Dare una zampata lì sarebbe proprio un bel colpo…
Forse era lecito aspettarsi qualcosa si più a questo punto da Giovanni Aleotti. La sfortuna ha avuto la sua parte, ma nel 2024 sarà tutto più complicato
Ci sono corse che per qualche anno azzeccano la formula e diventano banchi di prova perfetti perché i corridori più giovani si esprimano. Una di queste è il Sibiu Tour, che negli ultimi due anni ha premiato Aleotti. Lo dimostra il fatto che questa volta alle sue spalle, nella classifica finale, si siano piazzati ragazzi fra i 19 e i 24 anni, che evidentemente sulle strade della Transilvania trovano le condizioni di percorso, un campo partenti e una collocazione in calendario che gli sorride.
Enrico Gasparotto è da quest’anno il direttore sportivo della Bora-HansgroheEnrico Gasparotto è da quest’anno il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe
L’occhio di Gasparotto
Il riscontro non può che venire da chi ha vissuto la corsa da dentro e la scelta è caduta su Enrico Gasparotto, che ha guidato Aleotti alla vittoria e il portentoso Uijtdebroecks sul podio. L’occhio del direttore sportivo spesso coglie ciò che da fuori non vediamo.
«Anno dopo anno – conferma il “Giallo” – vengono sempre più squadre WorldTour. Di conseguenza il livello si è alzato e questo dà valore a quello che hanno fatto questi giovani. Anche perché alcune WorldTour sono venute a caccia di punti e non per fare una passeggiata».
In una squadra di tanti giovani, un corridore esperto come Benedetti ha tenuto la rotta (foto Bora Hansgrohe)In una squadra di tanti giovani, un corridore esperto come Benedetti ha tenuto la rotta (foto Bora Hansgrohe)
Corse come la Adriatica Ionica Race avrebbero gli stessi ingredienti, ma fanno fatica…
Loro pagano la collocazione nel calendario, perché in quel periodo le squadre hanno il focus sul Tour e non vedono altro. Invece durante il Tour, c’è sempre necessità di corse. Quando correvo, andavo spesso al Giro d’Austria, sempre con i corridori giovani della squadra. Essere in calendario dopo i campionati nazionali è una bella cosa. Soprattutto adesso che hanno cancellato il Bink Bank Tour, Sibiu diventa una scelta interessante.
Cinque squadre WorldTour non rischiano di alzare troppo il livello?
Non mi pare, anche se parliamo comunque di una corsa di valore. Ci sono anche tante continental, che hanno la possibilità di valorizzare il talento dei ragazzi. La Coppi e Bartali ha anche più WorldTour e questo per gli organizzatori è sicuramente un piacere. Però sono corse che farei solo avendo buoni giovani per fare esperienza.
Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)Aleotti a Sibiu ha vinto l’arrivo in salita e la cronoscalata: il più forte era lui (foto Bora Hansgrohe)
Altrimenti?
Se avessi solo corridori esperti, probabilmente ne farei a meno. Ma per i giovani sono passaggi importanti, in linea con quello che vi ha detto Christian Schrot sull’opportunità che gli under 23 facciano attività con i pari età nella nazionale.
Perché?
Perché da giovani vincono tutto, poi capita di doverne portare uno all’Amstel e arriva 50° senza mai vedere la corsa. Ci è successo proprio con Uijtdebroecks perché questa primavera a un certo punto non avevamo corridori. In queste gare mantengono lo spunto vincente, nelle altre prendono sberle. E a forza di sberle, perdi il corridore.
Aleotti ha vinto Sibiu per due anni di seguito, cosa significa?
Gli ha fatto bene confermarsi. E’ arrivato più magro di quanto fosse al Giro e ha dimostrato di essere il più forte nelle tappe di salita. Dopo il Giro non ha mollato, ma a questi ragazzi giovani devi dare le raccomandazioni opposte a quelle che davano a noi. Loro dopo il Giro devi tenerli a freno, noi tendevamo a mollare un po’.
Sul podio finale Vanhoucke (25 anni), Aleotti (23), Uijtdebroeks (19) (foto Bora Hansgrohe)Sul podio finale Vanhoucke (25 anni), Aleotti (23), Uijtdebroeks (19) (foto Bora Hansgrohe)
E’ questo il suo standard migliore?
Giovanni è arrivato al punto di dover fare uno step up, di salire un gradino. Se lo avessi avuto con questa condizione nelle Ardenne ci saremmo divertiti, ma in quel periodo è arrivato dopo vari acciacchi. Al Giro è stato quello che portava i leader nella posizione giusta. Sa limare bene, sa guidare la bici. Lui è fatto per le classiche delle Ardenne.
Adesso riposerà?
No, adesso viene con me al Giro del Polonia. Forse ci sarà anche Higuita, che prepara la Vuelta. Saranno i nostri due leader. E sono curioso di vedere come andranno.
Continua il viaggio fra i vivai. E dopo quello olandese della Jumbo-Visma, Aleotti ci racconta come ha lavorato al CT Friuli. Non c'è poi grande differenza
In quei 19 secondi alla fine del Sibiu Cycling Tour c’è la differenza fra un atleta che non riusciva a ritrovarsi e uno che ha provato a vincere. E d’accordo che la corsa rumena non fosse il Tour de France e alla partenza non ci fossero i più grandi fenomeni del ciclismo mondiale, ma a volte i risultati vanno contestualizzati. E per Fabio Aru essere lì a lottare contro Giovanni Aleotti è stato un momento importante. Se vi interessa capire il perché continuate a leggere.
Secondo sul podio del Sibiu Tour dietro Aleotti e prima di SchlegelSecondo sul podio del Sibiu Tour dietro Aleotti e prima di Schlegel
Il ruolo del giornalista
A Fabio si vuol bene, come quando conosci qualcuno da ragazzino, ne condividi i sogni, lo vedi realizzarli, poi lentamente scivolare verso chine inaspettate. Ti fai mille domande, le fai a lui. Qualcosa puoi scrivere, qualcosa no. Ma inizialmente non conta ciò che scriverai, conta ciò che puoi dirgli cercando di dare una mano. Però alla fine il giornalista ha l’obbligo di raccontare, così questa volta la chiamata è per scrivere, con il gusto reciproco di spiegare e capire. Nei giorni scorsi, parlando con altri corridori, il punto di domanda non era tanto sulla sua capacità di allenarsi, quanto piuttosto sulle grandi attese non sempre facili da fronteggiare.
Fabio è di ritorno a Lugano dopo un paio di giorni a Torino. Il tempo mette a brutto e anche se da quelle parti non fa mai particolarmente caldo, una rinfrescata ci sta bene. Gli sarebbe piaciuto correre in Sardegna alla Settimana Italiana appena partita, ma la sua squadra non partecipa e in nazionale ci sono i corridori per Tokyo. Parlare di programmi sarà un cammino a margine.
A Lugano ha tentato l’attacco solitario a 100 chilometri dall’arrivo, restando solo per circa 40A Lugano ha tentato l’attacco solitario a 100 chilometri dall’arrivo, restando solo per circa 40
Come è andata a Sibiu?
Chapeau ad Aleotti per come è andato. Potevo giocarmi meglio la tappa in cui ho fatto secondo, ma il giorno dopo l’ho attaccato forte e non l’ho staccato. Poco da dire. E’ andato forte e io ho fatto buoni valori. Sono tornato a casa con belle sensazioni, come non succedeva da un pezzo, dopo una corsa ben organizzata e con un bel livello. In realtà ero andato abbastanza bene anche a Lugano. Sono arrivato 14° ma prima ho attaccato. Oddio, forse da troppo lontano, visto che mancavano 100 chilometri…
Stai bene?
Nelle ultime due settimane, anche in allenamento ho notato un bel cambiamento nelle sensazioni e nei valori. Ho finalmente buoni riscontri in salita. Ho pagato a caro prezzo la discontinuità degli anni passati. Non era normale finire tutte le corse con i crampi. E non crampi da disidratazione, ma da disabitudine alla fatica. La testa mi avrebbe spinto ad andare oltre, ma le gambe non ce la facevano. In più finora avevo fatto un calendario di primo piano e ho dovuto accettare il fatto di non avere ancora il livello per fare bene. Invece arrivare davanti in una corsa pur minore mi ha dato morale e mi ha permesso di correre diversamente, di non subire il ritmo degli altri.
Un bel cambiamento nelle sensazioni e nei valori?
Nelle ultime due settimane ho fatto dei record in salita. Non sono uno che pubblica su Strava, ma forse a volte a qualche tifoso farebbe piacere leggerlo. Solo che ora mi serve dare continuità. Con i miei allenatori abbiamo contato che da settembre 2019 all’inizio di quest’anno, quindi in circa 18 mesi, ho fatto solo 26 giorni di gara. Sia a livello fisico che di fiducia sono arrivato alla ripartenza con qualche lacuna.
A Sibiu ha ritrovato la possibilità di correre senza subire la garaA Sibiu ha ritrovato la possibilità di correre senza subire la gara
Come mai il campionato italiano è finito con un ritiro?
Non era quello il mio livello, sono rimasto male anch’io. Ho avuto sensazioni negative inattese, ma proprio in seguito a quel giorno ho scelto di non andare al Tour. Non so come sarebbe stato in Francia. Ora invece il trend è positivo ed ho un morale diverso rispetto a quando dovevo sempre inseguire.
Credi che questa nuova assuefazione alla fatica sia completa adesso?
Avrei avuto bisogno di trovarla qualche mese fa, ma non è arrivata. Però di ritorno da Sibiu, mi sono voluto testare su salite che conosco e sono rimasto colpito da me stesso. Parliamo di Marzio, che però è in Italia, oppure di Carona.
Bernal ha vinto il Giro dicendo che finalmente è tornato a divertirsi. Tu ti diverti ancora?
Ce ne sarebbe bisogno. Questo sport è diventato tanto più professionale, raramente ti senti dire di fare una salita a sensazione per capire come stai. Certe volte disporre di così tanti dati è deleterio. Un conto è prendere il tempo sulla salita, altra cosa dover inseguire sempre i numeri… Che tanto poi alla fine conta sempre chi scollina per primo.
La condizione di partenza non era all’altezza delle gare WorldTour: qui alla Parigi-NizzaLa condizione di partenza non era all’altezza delle gare WorldTour: qui alla Parigi-Nizza
Divertirsi in bici
L’esempio di Bernal è calzante. La schiavitù dei programmi e dei numeri non viene accettata da tutti i corridori in egual misura. Ci sono quelli che in essa trovano un riparo e una disciplina e altri che non vi trovano l’orizzonte per il quale hanno scelto di fare questo mestiere. Il fatto che sia stato David Brailsford a… staccare tutti i cavi da Bernal, consentendogli di approcciarsi al Giro con il divertimento come linea guida, certifica che il discorso sta effettivamente in piedi. L’ambiente certo non aiuta. Fra le pieghe del discorso, che è andato avanti a lungo, una parentesi si è dedicata al rapporto con i giornalisti. Non è facile essere corridori di vertice, perché si hanno sempre microfoni e obiettivi puntati e a volte può capitare di non avere cose da dire o di essere stanchi di ripetere sempre le stesse (chiedere a Caruso come sia cambiata la sua vita dopo il secondo posto del Giro). Se anche ciò genera pressioni, diventa difficile riuscire a concentrarsi sulle sensazioni e l’allenamento. Dopo un po’ tutto questo schiaccia e isolarsi rischia di sembrare il solo rimedio, purtroppo non sempre azzeccato.
Basta errori
In quei 19 secondi alla fine del Sibiu Cycling Tour c’è la differenza fra un atleta che non riusciva a ritrovarsi e uno che ha provato a vincere. Il prossimo passo, dopo qualche giorno in montagna con la famiglia, sarà stabilire un calendario da cui ripartire. Ci sarà forse la Vuelta? Fabio allontana le attese, il concetto è assai semplice.
«Memore di alcuni errori fatti in passato – dice e saluta – ho deciso che in certe corse si parte soltanto se stai bene a livello fisico e mentale. Essere meno che al meglio, non sarebbe salutare e una mazzata morale sarebbe l’ultima cosa di cui ora ho bisogno. Faremo i programmi, voglio correre. Ma al momento non so ancora dove. Tutto qua…».
C'è una polemica silenziosa attorno alla presenza di Aru al mondiale di cross. Il manager della Qhubeka ha dato via libera. I diesse no. Adesso parla Scotti
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Roberto Reverberi, uno dei direttori sportivi con tanta esperienza e tra i più stimati in Italia, è a capo della squadra professional Bardiani CSF Faizanè. Tra i corridori della sua formazione, per il Giro d’Italia, ha selezionato il neoprofessionista siciliano Filippo Fiorellispiegandone, così, il motivo…
In che modo Fiorelli è arrivato a casa Reverberi?
Un giorno Marcello Massini, il suo direttore sportivo, mi chiamò. «Lo sai che rompo poche volte – disse – e se lo faccio c’è un motivo! Ho un corridore che ha delle forti doti. Ha iniziato tardi e per questo non ha neanche avuto modo di mettersi molto in mostra». Non ce lo siamo fatti ripetere due volte. Nonostante non avesse un passato ciclistico alle spalle, lo abbiamo preso, fidandoci della grande competenza di Massini. E non ce ne siamo minimamente pentiti.
Filippo Fiorelli, per lui buon debutto al Giro d’ItaliaFilippo Fiorelli, siciliano, per lui buon debutto al Giro d’Italia
In questa prima fase che sensazioni vi ha dato?
Filippo ci ha subito dato delle piccole soddisfazioni. Le corse cui ha partecipato, essendo le prime dopo la quarantena, hanno avuto come protagonisti corridori di un certo livello e tante squadre WorldTour. Tutti affamati di risultati, con tanta voglia di gareggiare. E’ al primo anno da professionista, ciclisticamente è molto giovane. Eppure è uno dei ragazzi che ha fatto più piazzamenti e questo bisogna apprezzarlo ed evidenziarlo.
Da un punto di vista caratteriale come lo descriveresti?
Fiorelli è un ragazzo tranquillo. Per quel poco che ho potuto osservare, visti i vari problemi dettati dal coronavirus, mi è sembrato anche molto modesto e con tanta voglia di imparare. Questo è un ulteriore fattore positivo, da non trascurare per il potenziale che potrà esprimere.
Facendo invece un’analisi tecnica?
È un ciclista abbastanza completo: si difende in salita ed è veloce. I percorsi veloci che ci sono oggi, che per la maggior parte non sono per velocisti puri, possono essere adatti a lui. Sapendosi gestire in salita, rispetto a molti sprinter, in una volata con una ventina di corridori potrebbe avere la meglio. Potrei paragonarlo a Ulissi.
Cosa porterà a casa dal Giro d’Italia?
Tanta esperienza. Se dovesse portare a casa qualche buon risultato… tanto meglio, ma il suo principale obiettivo sarà quello di correre, imparare e crescere. Lo abbiamo voluto portare al Giro perché se lo merita e perché, a differenza di altri suoi compagni, ha una buona condizione dovuta forse ad un migliore allenamento.
Cosa rappresenta il Giro per la Bardiani?
La vetrina principale. La corsa in cui mettersi in mostra entrando nelle fughe di giornata. Come è già successo in passato… una vittoria di tappa non dispiacerebbe.
Ritornando a Fiorelli, cosa si aspetta da lui Roberto Reverberi?
Non escludo niente. È un buon corridore. Il fatto che non abbia una storia ciclistica alle spalle, come stiamo vedendo recentemente con molti giovani che vengono da altri sport, non è un rilevante. Anche se non ha fatto il classico percorso, iniziando con le categorie giovanili, ci potremmo anche aspettare delle belle sorprese. Ha solo margini di miglioramento. Nel giro di due anni potrebbe diventare un grande corridore.
Tra i corridori che prenderanno il via al Giro d’Italia ce n’è uno che, al primo anno da professionista, avrà la fortuna di partire proprio dalle strade di casa: Filippo Fiorelli.
Il corridore siciliano della Bardiani CSF Faizanè ha un passato ciclistico molto particolare. Ha iniziato a correre a 18 anni tra gli amatori palermitani per poi, solo due anni più tardi, trasferirsi in Toscana e iniziare il suo percorso tra i dilettanti. Solo da quest’anno è approdato infine alla corte dei Reverberi.
Questa prima stagione da professionista è stata abbastanza particolare. La quarantena quanto ha inciso sulla tua preparazione ?
Quando ho firmato il contratto e sono diventato professionista volevo subito fare del mio meglio. Purtroppo, però, a inizio stagione ho avuto dei problemi al ginocchio che non mi hanno consentito di correre immediatamente. Poi, una volta guarito, c’è stata la quarantena. Ho cercato di non lasciarmi abbattere. Ho continuato ad allenarmi in strada finché era consentito. Poi sono passato sui rulli. Non è stato sicuramente un momento bello e la ripartenza post lockdown è stata abbastanza impegnativa.
Fiorelli ha corso da dilettante alla scuola di Marcello Massini, in ToscanaFiorelli ha corso da dilettante alla scuola di Marcello Massini, in Toscana
Dopo la quarantena hai subito iniziato con gare di un certo livello e hai avuto dei buoni risultati.
La prima corsa da professionista è stata il Sibiu Cycling Tour in Romania. Sono arrivato sempre tra i primi nelle varie tappe e ho concluso la corsa con un decimo posto finale. La top 10 mi ha sicuramente soddisfatto e mi ha dato forza maggiore per affrontare le gare successive nelle quali, in molti casi, sono riuscito a fare una buona corsa.
Qual è la differenza tra una gara dilettantistica e una professionistica ?
C’è un abisso. Anche tra i dilettanti si pedala, ma è totalmente diverso lo svolgimento. Tra i professionisti la corsa è più studiata. Posso dire che, invece, i dilettanti corrono più “alla garibaldina“.
Come ti trovi alla Bardiani?
La squadra crede molto in me, questo mi dà sicuramente tanta motivazione e morale, in futuro, nei momenti più difficili. Mi trovo bene con tutti i miei compagni, ma con Francesco Romano che è siciliano come me ho legato particolarmente e spesso ci alleniamo insieme.
Cosa hai pensato quando ti hanno detto che avresti fatto il Giro?
Non ci credevo, pensavo di stare sognando e, sicuramente, non volevo essere svegliato. Il Giro alla fine servirà soprattutto per crescere e per conoscermi meglio. E’ un’esperienza unica e mai fatta prima. All’emozione generale si è aggiunto anche il fatto che la Corsa Rosa è partita da casa mia. Non avevo più gareggiato in Sicilia da quando ero amatore. Correre nelle strade dove ho messo le basi, con il tifo della mia famiglia e dei miei amici non ha avuto prezzo.
Con quali aspettative sei partito?
Non sapevo nemmeno io cosa aspettarmi. Sto dando il massimo e non mi sono mai tirato indietro. Partecipare al Giro d’Italia al primo anno di professionismo è qualcosa di incredibile e cercherò di dare il meglio di me anche per la mia squadra.
Questo anno è stato insolito, ma ne avrai altri per correre in modo regolare. Quale futuro prevedi?
Non sarò sicuramente un corridore da grandi Giri, ma in un giro a tappe corto senza salite troppo lunghe potrò dire la mia. In salita reggo e ho uno spunto abbastanza veloce, molte gare rientrano nelle mie caratteristiche. Sono solo all’inizio, potrà succedere di tutto!
Guerciotti Lembeek, un classico senza tempo, che nella versione più moderna adotta il suffisso Disc. Forme tradizionali con uno slooping leggero e un'impostazione crossistica non esasperata