PARIGI (Francia) – La città va in bicicletta. Lo slogan è “Vive la vélorution”, gioco di parole ben riuscito che trovi un po’ ovunque. Se non è in francese, è in inglese. “Love vélo”. Quando vogliono, anche i francesi usano l’inglese. Da tempo in città è in corso una campagna del Comune per spingere i cittadini ad andare in bici e per i Giochi sono arrivati altri 60 chilometri di piste ciclabili. Ce n’erano già mille. Questi si chiamano “Olimpiste”, perché con le parole si gioca, questo s’è capito, e collegano tutti i siti delle competizioni.
Anche il velodromo di Saint Quentin en Yvelines, che è quasi 20 chilometri fuori Parigi e che davanti all’ingresso ha una strana scultura con un podio dove sul primo gradino c’è un gatto, sul secondo una tartaruga e sul terzo una lumaca. L’ha realizzata Philippe Geluck, uno scultore belga che è anche fumettista e ha rappresentato sul podio “Le chat”, cioè il suo personaggio. L’opera si chiama “Il Dio dello Stadio”. Il senso è, spiegato dall’autore: “Se vuoi vincere, devi sceglierti gli avversari”. Cioè una lumaca e una tartaruga. Ci torneremo, purtroppo non in bicicletta.
L’urlo di Madiot
Non abbiamo visto né lumache né tartarughe a Parigi. Gli ultimi sono stati applauditi come i primi, sia sulla collina di Montmartre (foto Paris 2024 in apertura), dove il popolo del ciclismo ha fatto sentire tutto il suo entusiasmo, sia all’arrivo. Applausi per Jakob Soederqvist, svedese, arrivato a 14’22” da Remco Evenepoel. Applausi per Phetdarin Somrat, thailandese, arrivata a 14’19” da Kristen Faulkner. Applausi per i secondi, per uno in particolare: Valentin Madouas.
Dall’ultima fila della tribuna stampa, a un certo punto sale forte un urlo. Dice più o meno così: «Vieni piccolo mio! Per la tua famiglia! Per i bretoni! Per la Francia! Prendi questa medaglia, ce la meritiamo!». Chi urla è Marc Madiot, il suo manager alla Groupama-Fdj. Fece una cosa simile per Thibaut Pinot in vetta al Tourmalet nel 2019, ma non c’era tutta una tribuna a sentirlo.
I Giochi delle vecchie glorie
Non avrebbe potuto sentirlo nessuno se ci fosse stata la stessa pioggia che c’era durante la cronometro e che non ha condizionato solo la prova di Filippo Ganna, che ha sbandato ed è stato bravissimo a rimanere in piedi. Ogni postazione era coperta da plastica trasparente, per salvare computer e tutto ciò che avesse bisogno di elettricità dall’acqua. Nonostante ciò, sono scappati tutti. Anche Laurent Jalabert, che sprintava come ai vecchi tempi. Anche Cadel Evans, al riparo sotto un ombrello gigante offerto dalla tv australiana.
Non le uniche “vecchie glorie” incontrate. Abbiamo visto anche Jeannie Longo dare il via alla prova femminile, Peter Sagan a quella maschile e Annemiek van Vleuten assistere alle finali del nuoto. Lei ama l’acqua e sarebbe rimasta anche senza plastica e senza ombrelli ad assistere alle prove a cronometro. Quella maschile si è conclusa con l’argento di Ganna, sul podio tra l’oro Evenepoel e il bronzo van Aert. Podio curioso, perché da Pont Alexandre III si vedeva, correttamente, Ganna sulla sinistra, Evenepoel al centro e van Aert sulla destra. Cioè dove devono stare il secondo, anche se non è una tartaruga, il primo, anche se non è un gatto, e il terzo, anche se non è una lumaca. Poi vedi alzarsi le bandiere e vedi due bandiere del Belgio a sinistra e al centro e quella dell’Italia a destra. Tutte con i colori invertiti. Per vederle giuste serviva uno specchietto retrovisore, oppure guardarle in tv. La regia francese infatti aveva previsto l’inquadratura da un lato della Senna per gli atleti e da quello opposto per le bandiere.
Fra Mattarella e Remco
Sono stati Giochi pensati per la tv, non solo per le cerimonie di apertura e per le location. Comunque vive la Velorution, ma senza accento. Velo nel senso di Marco, Ct della cronometro, specialità in cui per la prima volta un italiano sale sul podio, per quella che è anche la prima delle quaranta medaglie di tutta la spedizione italiana. C’è anche il presidente Mattarella.
«Mi spiace di averla fatta aspettare sotto la pioggia», gli dice Filippo Ganna, che è un po’ triste. «A 28 anni, era la mia ultima occasione». Incarnerà il diritto di ognuno di noi a contraddirsi dopo il bronzo col quartetto. «A 28 anni, penso già al 2028». Per età, a Los Angeles, salvo imprevisti, ci sarà anche Evenepoel. Difficile pensare di vederlo nel baseball, disciplina che tornerà nel programma olimpico, almeno come ricevitore. Appena si siede in conferenza stampa, stremato, implora i presenti: «Qualcuno ha qualcosa da mangiare?». Dall’alto (la conferenza si tiene in un cinema) gli tirano una merendina e lui non riesce a prenderla. Si china per raccoglierla, gliene tirano un’altra, ma niente da fare. Battitore in prima base.
L’Italia, una squadra
Saint Quentin en Yvelines è un mondo a parte. All’ingresso trovi tifosi travestiti da tigre o da ape, forse giusto per contrastare lumache, gatti e tartarughe. I volontari creano un corridoio umano e applaudono gli spettatori che entrano come se fossero ciclisti e che poco prima hanno scommesso tra di loro sull’esito delle gare.
All’interno trovi David, il papà di Vittoria Guazzini scambiato per un olandese perché si veste di arancione per scaramanzia. Chiara Consonni che piange dopo il quarto posto nell’inseguimento e salta in braccio al fratello dopo l’argento di Simone nella madison. Nel frattempo, ha regalato all’Italia una delle immagini più belle dei Giochi con il suo: «Ma cosa abbiamo fatto?», dopo averla vinta lei, la madison, che fino a poche ore prima non era neanche sicura di fare. Ma la cosa che colpisce di più è vedere come ogni risultato dell’Italia sia stato accolto come un risultato di tutti. Non c’è stata gara in cui, a meno che non ci fossero i rulli a chiamare, tutti i convocati del Ct Villa siano stati lì a sostenere chiunque fosse in pista, in qualsiasi posizione. Sì, l’Italia è stata una squadra e forse è questo che andrebbe detto al giornalista inglese che chiede: «Ma come mai siete sempre forti, se non avete piste?».
Sembra Montichiari, ma è Saint Quentin en Yvelines. L’11 agosto il velodromo chiude e si trattiene tante emozioni. E per un attimo cala ancora un velo, un velo di tristezza. Poi esce l’Italia e vedi Elena Cecchini ed Elia Viviani che si guardano. E pensi a come, dopo la madison, lei ha guardato lui mentre piangeva. «E’ arrabbiato, ma capirà che è un campione». E cala un velo di dolcezza.