Parigi, gli ultimi appunti alla fine del viaggio

15.08.2024
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PARIGI (Francia) – La città va in bicicletta. Lo slogan è “Vive la vélorution”, gioco di parole ben riuscito che trovi un po’ ovunque. Se non è in francese, è in inglese. “Love vélo”. Quando vogliono, anche i francesi usano l’inglese. Da tempo in città è in corso una campagna del Comune per spingere i cittadini ad andare in bici e per i Giochi sono arrivati altri 60 chilometri di piste ciclabili. Ce n’erano già mille. Questi si chiamano “Olimpiste”, perché con le parole si gioca, questo s’è capito, e collegano tutti i siti delle competizioni.

Anche il velodromo di Saint Quentin en Yvelines, che è quasi 20 chilometri fuori Parigi e che davanti all’ingresso ha una strana scultura con un podio dove sul primo gradino c’è un gatto, sul secondo una tartaruga e sul terzo una lumaca. L’ha realizzata Philippe Geluck, uno scultore belga che è anche fumettista e ha rappresentato sul podio “Le chat”, cioè il suo personaggio. L’opera si chiama “Il Dio dello Stadio”. Il senso è, spiegato dall’autore: “Se vuoi vincere, devi sceglierti gli avversari”. Cioè una lumaca e una tartaruga. Ci torneremo, purtroppo non in bicicletta.

L’urlo di Madiot

Non abbiamo visto né lumache né tartarughe a Parigi. Gli ultimi sono stati applauditi come i primi, sia sulla collina di Montmartre (foto Paris 2024 in apertura), dove il popolo del ciclismo ha fatto sentire tutto il suo entusiasmo, sia all’arrivo. Applausi per Jakob Soederqvist, svedese, arrivato a 14’22” da Remco Evenepoel. Applausi per Phetdarin Somrat, thailandese, arrivata a 14’19” da Kristen Faulkner. Applausi per i secondi, per uno in particolare: Valentin Madouas.

Dall’ultima fila della tribuna stampa, a un certo punto sale forte un urlo. Dice più o meno così: «Vieni piccolo mio! Per la tua famiglia! Per i bretoni! Per la Francia! Prendi questa medaglia, ce la meritiamo!». Chi urla è Marc Madiot, il suo manager alla Groupama-Fdj. Fece una cosa simile per Thibaut Pinot in vetta al Tourmalet nel 2019, ma non c’era tutta una tribuna a sentirlo.

Madouas in marcia verso l’argento, sospinto dal tifo di Madiot in tribuna
Madouas in marcia verso l’argento, sospinto dal tifo di Madiot in tribuna

I Giochi delle vecchie glorie

Non avrebbe potuto sentirlo nessuno se ci fosse stata la stessa pioggia che c’era durante la cronometro e che non ha condizionato solo la prova di Filippo Ganna, che ha sbandato ed è stato bravissimo a rimanere in piedi. Ogni postazione era coperta da plastica trasparente, per salvare computer e tutto ciò che avesse bisogno di elettricità dall’acqua. Nonostante ciò, sono scappati tutti. Anche Laurent Jalabert, che sprintava come ai vecchi tempi. Anche Cadel Evans, al riparo sotto un ombrello gigante offerto dalla tv australiana.

Non le uniche “vecchie glorie” incontrate. Abbiamo visto anche Jeannie Longo dare il via alla prova femminile, Peter Sagan a quella maschile e Annemiek van Vleuten assistere alle finali del nuoto. Lei ama l’acqua e sarebbe rimasta anche senza plastica e senza ombrelli ad assistere alle prove a cronometro. Quella maschile si è conclusa con l’argento di Ganna, sul podio tra l’oro Evenepoel e il bronzo van Aert. Podio curioso, perché da Pont Alexandre III si vedeva, correttamente, Ganna sulla sinistra, Evenepoel al centro e van Aert sulla destra. Cioè dove devono stare il secondo, anche se non è una tartaruga, il primo, anche se non è un gatto, e il terzo, anche se non è una lumaca. Poi vedi alzarsi le bandiere e vedi due bandiere del Belgio a sinistra e al centro e quella dell’Italia a destra. Tutte con i colori invertiti. Per vederle giuste serviva uno specchietto retrovisore, oppure guardarle in tv. La regia francese infatti aveva previsto l’inquadratura da un lato della Senna per gli atleti e da quello opposto per le bandiere.

Peter Sagan dà il via alla prova su strada dei professionisti (foto UCI)
Peter Sagan dà il via alla prova su strada dei professionisti (foto UCI)

Fra Mattarella e Remco

Sono stati Giochi pensati per la tv, non solo per le cerimonie di apertura e per le location. Comunque vive la Velorution, ma senza accento. Velo nel senso di Marco, Ct della cronometro, specialità in cui per la prima volta un italiano sale sul podio, per quella che è anche la prima delle quaranta medaglie di tutta la spedizione italiana. C’è anche il presidente Mattarella.

«Mi spiace di averla fatta aspettare sotto la pioggia», gli dice Filippo Ganna, che è un po’ triste. «A 28 anni, era la mia ultima occasione». Incarnerà il diritto di ognuno di noi a contraddirsi dopo il bronzo col quartetto. «A 28 anni, penso già al 2028». Per età, a Los Angeles, salvo imprevisti, ci sarà anche Evenepoel. Difficile pensare di vederlo nel baseball, disciplina che tornerà nel programma olimpico, almeno come ricevitore. Appena si siede in conferenza stampa, stremato, implora i presenti: «Qualcuno ha qualcosa da mangiare?». Dall’alto (la conferenza si tiene in un cinema) gli tirano una merendina e lui non riesce a prenderla. Si china per raccoglierla, gliene tirano un’altra, ma niente da fare. Battitore in prima base.

Tanta pioggia sulla crono di Ganna, mentre Mattarella lo aspetta senza ombrello
Tanta pioggia sulla crono di Ganna, mentre Mattarella lo aspetta senza ombrello

L’Italia, una squadra

Saint Quentin en Yvelines è un mondo a parte. All’ingresso trovi tifosi travestiti da tigre o da ape, forse giusto per contrastare lumache, gatti e tartarughe. I volontari creano un corridoio umano e applaudono gli spettatori che entrano come se fossero ciclisti e che poco prima hanno scommesso tra di loro sull’esito delle gare.

All’interno trovi David, il papà di Vittoria Guazzini scambiato per un olandese perché si veste di arancione per scaramanzia. Chiara Consonni che piange dopo il quarto posto nell’inseguimento e salta in braccio al fratello dopo l’argento di Simone nella madison. Nel frattempo, ha regalato all’Italia una delle immagini più belle dei Giochi con il suo: «Ma cosa abbiamo fatto?», dopo averla vinta lei, la madison, che fino a poche ore prima non era neanche sicura di fare. Ma la cosa che colpisce di più è vedere come ogni risultato dell’Italia sia stato accolto come un risultato di tutti. Non c’è stata gara in cui, a meno che non ci fossero i rulli a chiamare, tutti i convocati del Ct Villa siano stati lì a sostenere chiunque fosse in pista, in qualsiasi posizione. Sì, l’Italia è stata una squadra e forse è questo che andrebbe detto al giornalista inglese che chiede: «Ma come mai siete sempre forti, se non avete piste?».

Sembra Montichiari, ma è Saint Quentin en Yvelines. L’11 agosto il velodromo chiude e si trattiene tante emozioni. E per un attimo cala ancora un velo, un velo di tristezza. Poi esce l’Italia e vedi Elena Cecchini ed Elia Viviani che si guardano. E pensi a come, dopo la madison, lei ha guardato lui mentre piangeva. «E’ arrabbiato, ma capirà che è un campione». E cala un velo di dolcezza.

EDITORIALE / La favola di Parigi, il tricolore e l’isola che non c’è

12.08.2024
6 min
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C’è tanta bellezza nelle ragazze e nei ragazzi azzurri che nelle ultime due settimane a Parigi hanno lottato per dare corpo ai loro sogni. Ci commuove vederli sul podio mentre cantano l’inno e anche quando non ce la fanno e osservano attoniti la vittoria di altri, immaginando di rifarsi la prossima volta. Ci dispiace anche per “Gimbo” Tamberi, anche se nella sua platealità non riconosciamo nulla di quello che ci fa amare lo sport.

Ascoltiamo le parole di Velasco dopo l’oro nel volley femminile (in apertura foto Simone Ferraro, Coni) e ci alziamo in piedi per applaudirlo, quando con grande calma interiore risponde che le sconfitte vanno accettate e non trasformate in ossessioni, perché altrimenti ne rimani prigioniero e non ne vieni fuori. Proviamo orgoglio nel veder sventolare quei tricolori, perché per un attimo crediamo davvero di essere parte di un popolo che ci crede. Funziona così, almeno fino al momento in cui la fiaccola si spegne, Tom Cruise se la porta in America e ti svegli il giorno dopo e capisci che è stato un sogno.

Vittoria Guazzini e Chiara Consonni, oro nella madison con il tricolore sulle spalle
Vittoria Guazzini e Chiara Consonni, oro nella madison con il tricolore sulle spalle

Il 28 agosto a Parigi inizieranno le Paralimpiadi e non avranno la stessa fiaccola degli altri perché è in volo per Los Angeles. Non è una discriminazione? Perché non dovrebbero godere della magia dei cinque cerchi e di quella fiamma a suo modo sacra?

Tutti al Quirinale

I campioni stanno tornando a casa e saranno accolti come eroi. Roncadelle, paesino bresciano di 9.000 anime, abbraccerà i suoi tre ori olimpici. A casa Consonni faranno ritorno due fratelli che da Parigi hanno portato un oro, un argento e un bronzo. Il presidente Mattarella ha esteso l’invito al Quirinale agli atleti arrivati al quarto posto, per cui ci sarà posto anche per il quartetto delle ragazze. E loro andranno, tutti quanti. Sentiranno le belle parole, restituiranno il tricolore ricevuto il 13 giugno e si concederanno le vacanze che meritano. Mentre noi per allora saremo già tornati alla normalità.

La normalità

Ritroveremo i cori razzisti negli stadi (il calcio preme con le sue assurdità dal fondo dei giornali). I social volgari. Il colore della pelle usato come un insulto. L’indignazione ipocrita quando Fiona May o Paola Egonu ci indicano come un popolo razzista e noi, che per larga parte lo siamo davvero, non abbiamo le palle per emarginare chi di quell’odio si nutre.

Torneremo al Nord contro il Sud. All’immondizia nelle strade. All’arroganza del traffico. Ai femminicidi. Alla disuguaglianza di genere come regola generale. Ai ciclisti ammazzati. Agli youtuber che insultano. Ai politici che abbiamo eletto e che, con lo stesso tricolore sulle spalle, riscrivono regole che rendono tutto incomprensibile.

Finché arrivi a dirti che forse sia normale e che il mondo dello sport, come l’isola che non c’è, sia un regno a parte, in cui vive chi crede ancora nelle fate. Non sarà invece che questa normalità fa decisamente schifo, almeno quanto la nostra incapacità di combatterla?

Elia Viviani, sorretto da Diego Bragato, dopo l’argento della madison
Elia Viviani, sorretto da Diego Bragato, dopo l’argento della madison

I cugini d’Oltralpe

Ci assale il ricordo dei giorni francesi del Tour e i pensieri che facciamo ogni volta su quel popolo che non è perfetto e che con il suo sciovinismo certi giorni ci sta sui nervi. Ogni volta però notiamo anche che hanno la bandiera sul tetto e un diverso senso della Repubblica. Scendono nelle piazze e bloccano le strade se il carburante costa troppo o se qualsiasi categoria subisce un torto. Si fermano tutti, ma proprio tutti, anche quando i trattori gli impediscono di arrivare puntuali al lavoro. E alla fine, rovesciano il cartello con il nome del paese per far capire che loro sono contro. Non sono perfetti, non vogliamo farne dei santi. Anche le loro periferie sono nel degrado. Eppure i francesi sanno che ci si può opporre ai soprusi di Stato e che, facendolo tutti insieme, si ottengono risultati.

A noi questo manca e oggi la consapevolezza ci ha portato a uscire dal seminato del mondo del ciclismo. Non che qui manchino i problemi, ma a forza di ragionare per compartimenti stagni si perde di vista il quadro generale e la necessità di fare qualcosa.

Sono tanti i Comuni francesi che hanno capovolto i cartelli in senso di dissenso contro le politiche agricole del Governo
Sono tanti i Comuni francesi che hanno capovolto i cartelli in senso di dissenso contro le politiche agricole del Governo

Non amici, ma compagni di squadra

Riprendiamoci l’Italia, prima che sia tardi. Cancelliamo dai nostri contatti i portatori di odio. Suoniamo come pazzi il clacson quando l’auto davanti getta un rifiuto in strada o qualcuno si libera di una cicca di sigaretta. Andiamo a votare. Non lasciamo tutto in mano a chi pensa a sé e non al nostro bene. Siamo noi a pagare i loro stipendi e lasciamo che ci comandino come se fossero i pastori e noi le pecore. Non dobbiamo essere amici, ma compagni di squadra.

«Ho detto alle ragazze – ha spiegato ieri Julio Velasco dopo l’oro nel volley femminile – che non c’era bisogno di essere tutte amiche. Anzi, ho fatto il contrario. Ho detto: “Se siamo amiche bene, se no va bene lo stesso. L’importante è che giochiamo insieme perché nello sport, l’aiuto che si danno i giocatori non è per amicizia, è perché il gioco è così”. Se una giocatrice va a coprire una compagna, non è che ci va perché ha un buon rapporto fuori del campo, ma perché serve alla squadra».

Mattia Furlani, di Rieti, ha colto il bronzo di Parigi nel salto in lungo (foto Simone Ferraro, Coni)
Mattia Furlani, di Rieti, ha colto il bronzo di Parigi nel salto in lungo (foto Simone Ferraro, Coni)

Il tricolore sulle spalle

Proviamo a tenere quel tricolore sulle spalle, non restituiamolo a Mattarella (siamo certi che capirebbe). Alcune delle ragazze che applaudimmo in giorni come questi sono state vittime di abusi. Tanti ciclisti e cicliste sono morti sulle strade. Tanti atleti, probabilmente tutti, sono stati feriti per il colore della pelle. Se ci sta bene tutto questo, rinunciamo a rendere questo posto un po’ meglio di come l’abbiamo trovato, torniamo pure agli ombrelloni e riponiamo il tricolore nel cassetto. Potremo tirarlo fuori al prossimo mondiale o alla prossima Olimpiade. Oppure comprarne uno al semaforo da uno dei tanti stranieri di cui altrimenti non ci accorgeremmo neppure.