Selva, il Natale in Danimarca come “coach” da velodromo

28.12.2024
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Forse nel suo immaginario Francesca Selva non poteva desiderare un Natale migliore di questo. L’idoneità sportiva arrivata qualche settimana fa dopo un inaspettato allarme fisico. Il soggiorno in Danimarca a Roskilde a casa del fidanzato. Il velodromo iridato di Ballerup a venti minuti. E la famosa madison di 100 chilometri in mezzo agli amici-colleghi nel doppio ruolo di atleta e coach.

Il legame col Paese nordico è sempre stato profondo per Selva, ma nell’ultimo anno si è rafforzato ulteriormente da quando ha conosciuto il velocista Oskar Winkler poco prima della Champions League della pista nel 2023. Nonostante i suoi soli 25 anni, la veneziana ha maturato una grande esperienza in pista, intravedendo nel suo compagno potenzialità da esprimere in modo più completo. Francesca si è messa al servizio di Oskar come allenatrice o, come dice lei, consulente e pianificatrice, tanto che sono arrivati subito un paio di risultati importanti, col beneplacito dello staff della nazionale danese. E siccome proprio in questi istanti Selva sta correndo sull’anello di Ballerup, l’abbiamo sentita alla vigilia della gara per farci spiegare come sta vivendo questa fase della sua vita.

Winkler ha vinto i titoli nazionali nell’inseguimento a squadre e nel keirin. Nel 2025 correrà anche su strada (foto Skovbolle)
Winkler ha vinto i titoli nazionali nell’inseguimento a squadre e nel keirin. Nel 2025 correrà anche su strada (foto Skovbolle)
Francesca sei una presenza fissa nel velodromo danese in questo periodo, giusto?

Sì, è vero. E’ un evento incredibile questa gara di Capodanno, come la chiamano loro. Gli uomini corrono questa madison di 100 chilometri, mentre per noi donne è più corta, e il pubblico si gode lo spettacolo. Poi alla fine si festeggia in anticipo l’arrivo del nuovo anno. Per loro è una grande tradizione. E quest’anno ha un sapore particolare…

Come mai?

Perché è l’ultima gara da pro’ di Morkov, che correrà il coppia con Mads Pedersen. Ma è l’ultima gara anche per Julie Norman Leth (un argento olimpico, due ori europei e due mondiali proprio quest’anno tra madison e corsa a punti, ndr) e per la mia storica compagna di Sei Giorni e meeting Amalie Winther Olsen (nove titoli nazionali, ndr). Insomma, stavolta non potevo proprio mancare.

Naturalmente in gara ci sarà anche il tuo fidanzato Winkler. Che tipo di corridore è?

Oskar ha un anno in meno di me. Alto, fisico potente da passista, ha ricominciato a correre circa cinque anni fa. In Danimarca c’è un regolamento diverso dall’Italia con tre categorie, dove un elite sale in base ai punteggi ottenuti anziché per età. Lui è come se fosse ripartito dagli amatori e tra strada e pista è tornato nella categoria in cui possono aprirsi porte importanti. Avendo corso quando era più giovane, ha dovuto solo togliersi un po’ di ruggine di dosso. I risultati infatti si sono visti.

Quali sono stati?

Lui nasce come velocista, tant’è che da U23 aveva corso un europeo in pista facendo il chilometro da fermo. Contemporaneamente faceva anche lo scratch, ma ha voluto dedicarsi maggiormente alle discipline endurance. Così in un anno e mezzo di lavoro è riuscito ad andare alla prova di Nations Cup a Il Cairo nel 2023. Ora Oskar è entrato nel gruppo della nazionale danese, specialmente quello del quartetto. E sapete meglio di me quanta concorrenza ci possa essere in una nazionale di così alto livello. Pochi giorni fa, ha vinto il titolo danese del keirin e dell’inseguimento a squadre. Nel frattempo la sua formazione Team Give Steel-2M Cycling è diventata continental e nel 2025 potrà fare maggiore attività su strada.

Donegà ha corso in coppia con Winkler, notando le sue potenzialità e gli aspetti da migliorare
Donegà ha corso in coppia con Winkler, notando le sue potenzialità e gli aspetti da migliorare
Tu ti sei definita sua “coach”. Come mai?

Non pensate alla preparazione atletica perché lui ha già il suo allenatore, che è uno dei cittì della nazionale. Sto seguendo Oskar più dal punto di vista della gestione psicofisica della gara e degli altri eventi. Gli ho visto vincere degli scratch con tre giri di anticipo, poi però non aveva la stessa energia per primeggiare nelle altre specialità dell’omnium. Ha corso la Quattro Giorni di Ginevra in coppia con Donegà. Anche lui mi ha detto che saper dosare la potenza, sincronizzando gambe e testa. E quando lo farà potrebbero essere dolori per tutti (dice sorridendo, ndr). Ma gli curo anche altri aspetti.

Quali?

Si sa che noi pistard facciamo una vita un po’ nomade e dobbiamo quindi sempre organizzarci da soli facendo incastrare tante cose. Ho proposto ad Oskar una serie di gare in Europa per fargli fare esperienza non solo in pista, ma anche a livello organizzativo. Così gli ho pianificato le gare e i relativi spostamenti. Avevamo un planning preciso (ride, ndr). Ad esempio l’ho voluto portare alla Sei Giorni di Fiorenzuola, anche perché era in concomitanza con la partenza del Tour de France da Piacenza. Il suo cittì mi ha detto che ho fatto bene a farlo girare. Più si confronta, più cresce.

E come ti trovi in questo ruolo?

Mi sono sempre reputata un buon corridore senza aver il talento di altre atlete. Tuttavia penso di conoscere bene questo mondo e di sapermi destreggiare in tutto, facendo pure la meccanica. Vorrei insegnargli i trucchi del mestiere e come la testa può colmare il gap con le gambe. Oppure come ci si sposta finché non fai parte di una squadra in modo stabile. Questa estate ho fatto quasi 11.000 chilometri in 40 giorni con l’auto piena di quattro bici. Da Marcon, casa mia, a Praga, poi in Belgio nella casetta della Torelli per andare in traghetto alla Ride London. Quindi rientro in Belgio e ripartenza per la Danimarca. Infine ritorno in Italia. Per queste pianificazioni mi sento molto preparata e mi piacerebbe un domani fare questo di mestiere, magari anche in un team pro’ seguendo la logistica.

Che annata è stata per te invece?

Devo dire che questi ultimi mesi, seguendo i progressi di Oskar, sono stati la mia rivincita. Lui è stato la mia motivazione per tante cose. Ho avuto una stagione difficile, dove non mi sono mai sentita bene. Prima della Tre Giorni di Londra a fine ottobre ho preso il Covid. Le gare successive le ho sofferte tutte, finché non ho fatto dei controlli. A novembre sono andato dal dottor Moretti che mi ha trovato una miocardite da Covid. Lui è il medico che aveva curato Colbrelli dopo il suo malore e per un attivo ho rivisto in me lo stesso problema di Sonny. Ho curato la miocardite facendo due settimane di riposo assoluto, poi il 7 dicembre ho avuto l’idoneità sportiva dopo tante visite.

Francesca sorride. L’idoneità sportiva è arrivata dopo una miocardite e i suoi consigli hanno portato il fidanzato in nazionale
Francesca sorride. L’idoneità sportiva è arrivata dopo una miocardite e i suoi consigli hanno portato il fidanzato in nazionale
Cosa chiedi al 2025?

Onestamente non saprei, però sicuramente di non avere più noie fisiche o di salute. Per il resto vorrei continuare come sto finendo quest’anno. Nuovi stimoli e nuove obiettivi da raggiungere. Per la prossima stagione ho deciso di tesserarmi con la società del mio paese. Si chiama ASD Velodrome Marcon e per me non poteva esserci soluzione migliore.

A Brema con Donegà: un furgone, due bici e qualche soldo in tasca

21.01.2024
7 min
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Il furgone con le scritte del VC Mendrisio e 15 ore di autostrada, che all’andata sono parse cariche di promesse e al ritorno pesanti come certe processioni che non finiscono mai. Così Matteo Donegà e lo svizzero Nicolò De Lisi hanno partecipato alla Sei Giorni di Brema (immagine Frontalvision Photo Agency in apertura). La prima edizione si svolse nel 1910, questa era la prima dopo il Covid e gli atleti non si sono tirati indietro. Addirittura la UEC è stata costretta a rimodulare il calendario degli europei per dare loro modo di raggiungere la città tedesca.

Così, dopo i reportage di Filippo Lorenzon da Gand, ci siamo affidati a Donegà per sapere come è andata in Germania. Nelle sue gambe c’erano già la Sei Giorni di Rotterdam e la Quattro Giorni di Ginevra, a breve invece partirà per la Due Giorni di Berlino. Matteo si è prestato al gioco ed è diventato nostro inviato in pista

Dopo 15 ore di viaggio, hotel raggiunto per Donegà e De Lisi
Un viaggio parecchio impegnativo?

De Lisi abita in Svizzera, a San Gallo, per cui sono arrivato da lui in auto e il giorno dopo siamo ripartiti verso Brema. Uguale al ritorno. Ne ho fatti di viaggi lunghi, ma questo si è sentito. Facevamo turni di guida di 2-3 ore. Abbiamo speso 450 euro di carburante e alla fine siamo arrivati a Brema. Dovendo portare due bici e almeno 4-5 paia di ruote, il furgone conviene. A Berlino vado in aereo, ma porto una bici sola e mi costa 120 euro in più. Per Rotterdam ho noleggiato un furgone mio e ho speso 800 euro. Averlo in prestito è stato positivo.

Che ambiente avete trovato a Brema?

Bellissimo, a me è piaciuto molto. C’ero già stato nel 2019 e avevo corso con Ferronato la gara U23, arrivando secondi. Sono passati cinque anni e mi è piaciuto tanto tornare in quell’ambiente che è stato più una festa che una gara.

Tutte le sere in bici fino alle due?

Abbiamo fatto degli orari strani, in realtà. Quando cominciavamo alle 20, finivamo intorno all’una e mezza. Un giorno abbiamo corso il pomeriggio, poi abbiamo fatto una pausa e abbiamo corso nuovamente la sera. Un’altra volta invece solo pomeriggio, dalle 16 alle 20. Cinque anni fa correvamo tutti i giorni fino alle due di notte.

La coppia Donegà-De Lisi aveva come sponsor FAHRRADja!24, e-commerce tedesca (Frontalvision Photo Agency)
La coppia Donegà-De Lisi aveva come sponsor FAHRRADja!24, e-commerce tedesca (Frontalvision Photo Agency)
Che livello c’era?

Abbastanza buono. Il giorno prima c’era stata la madison all’europeo e tanti sono venuti diretti a Brema, perché da Apeldoorn sono due ore di strada. Magari non era al livello di Gand, perché lì ci sono proprio i top, però si andava forte. 

Com’era strutturata la tua giornata tipo?

Avevamo l’hotel a 100 metri dalla pista, quindi si andava a piedi. Mi alzavo la mattina alle 9-9,30. Alle 10 colazione. Se correvamo di pomeriggio, andavo subito in pista per fare i massaggi. Il mio massaggiatore aveva sei corridori, quindi avevamo dei turni e io l’ho sempre fatto per primo. Poi aspettavo in pista, nella cabina. Facevo pranzo lì e poi correvo.

Se invece correvi la sera?

Allora la giornata era più tranquilla. Facevo colazione con più calma, andavo in pista verso le tre per fare il massaggio e alle cinque mangiavo. Se invece si correva alle due del pomeriggio, bastava fare colazione al mattino. E poi si mangiava nuovamente a cena, anche a orari impossibili.

La cabina è la casa del seigiornista fra una prova e l’altra (Frontalvision Photo Agency)
La cabina è la casa del seigiornista fra una prova e l’altra (Frontalvision Photo Agency)
Il pranzo delle cinque era come la colazione prima di una gara su strada?

All’incirca è così, perché correvamo per almeno 4-5 ore. Ogni sera si fanno dagli 80 ai 130 chilometri e sempre a ritmi belli allegri. Di solito preferisco non mangiare tantissimo per non ritrovarmi pieno nelle prime gare. E poi all’estero hanno un’alimentazione abbastanza strana.

Vale a dire?

A Brema ho mangiato soltanto pasta in bianco, mentre loro avevano una serie di condimenti che ho evitato per paura che mi tornassero su durante la gara. Quindi pasta in bianco senza esagerare e poi barrette e gel.

E durante la gara?

I massaggiatori ti fanno il riso tra una gara e l’altra, quindi di fatto mangiavo ogni mezz’ora. Ed è il regime alimentari tipico delle Sei Giorni. Rotterdam è stata più regolare perché correvamo sempre alla stessa ora, a Brema abbiamo dovuto variare di più.

Fra una prova e l’altra, musica, concerti e fiumi di birra (Frontalvision Photo Agency)
Fra una prova e l’altra, musica, concerti e fiumi di birra (Frontalvision Photo Agency)
Tanto pubblico?

Tanta gente nel mezzo della pista. Fra una gara e l’altra c’erano dei concerti, tanto che a volte facevamo pause di mezz’ora. E lì in mezzo c’era davvero una marea di gente, più che in tribuna. Non è facile riempire seimila posti se al centro della pista ci si diverte di più.

Sei soddisfatto del risultato?

Abbastanza, visto il livello che c’era. L’unico rammarico è il fatto che non avevo mai corso con De Lisi, per cui abbiamo passato la prima madison a prenderci le misure. Fare un’americana senza conoscersi non è così scontato, basta avere due tecniche diverse di cambio e perdi tempo…

Non potevate fare qualche prova?

Avevamo fatto in modo di arrivare il giorno prima per allenarci, ma quando siamo entrati in pista stavano ancora montando, quindi il rodaggio l’abbiamo fatto 10 minuti prima della gara. Comunque il podio era già deciso e anche il quarto e quinto posto. Per cui arrivare sesti su dodici coppie non è stato tanto male. Abbiamo vinto un’eliminazione e un derny e per noi l’importante era farci conoscere.

Anche meccanici e massaggiatori erano agli europei: ecco Donegà con Sven ed Etienne Ilegems, con la tuta azzurra
Anche meccanici e massaggiatori erano agli europei: ecco Donegà con Sven ed Etienne Ilegems, con la tuta azzurra
Massaggiatori e meccanici li avete trovati in Germania?

Anche quello non è stato facile, perché tanti erano a fare gli europei. Per fortuna abbiamo trovato un meccanico tedesco che ci ha aiutato per tre giorni, mentre al quarto ci siamo arrangiati. Sono capace di montarmi la bici, ma il meccanico serve. Quando fra una prova e l’altra hai 10 minuti, non riesci a cambiare il rapporto o riparare una gomma bucata.

Dieci minuti sono pochi…

Sei lì, il massaggiatore ti cambia la maglia, ti asciuga, ti lava. Magari vai in bagno e alla fine non hai tempo per pensare alla bici. E comunque averne due permette di avere i rapporti giusti. Una più dura per il derny e una meno per le prove di gruppo.

Quanto hai guadagnato a Brema?

L’ingaggio non era come immaginavo. Mi hanno dato 1.500 euro lordi per quattro giorni di gara, mentre a Rotterdam ne ho presi 4.000 per sei giorni. A Berlino, per soli due giorni mi daranno 1.000 euro. Però era la prima dopo il Covid, meglio non chiedere nulla adesso e magari spuntare un ingaggio migliore per il prossimo anno.

La Sei Giorni di Brema è stata vinta da Reinhardt e Kluge, oro pochi giorni prima nella madison di Apeldoorn
La Sei Giorni di Brema è stata vinta da Reinhardt e Kluge, oro pochi giorni prima nella madison di Apeldoorn

Fra strada e Coppa

La Sei Giorni di Brema l’hanno vinta Reinhardt e Kluge, freschi vincitori dell’europeo nella madison. In attesa di sapere se l’ex seigiornista Villa vorrà convocarlo per qualche Coppa del mondo (magari quella di Hong Kong che si corre durante le classiche), Donegà si accinge a preparare le valigie per Berlino e poi a schierarsi su strada in maglia CT Friuli. Il sogno resta quello di trovare posto come specialista in un corpo militare, ma ad ora le porte sono chiuse.

«Magari quest’anno spero di correre di più – ammette – l’anno scorso non ho fatto tantissimo su strada. Tranne la Vuelta a San Juan con la nazionale, non ho partecipato a corse a tappe. Il guaio è che essendo elite in una squadra di U23, prima fanno correre i giovani e poi se c’è posto tocca a me. Abbiamo questo tipo di accordo e a me sta bene. Ora faccio Berlino e poi vediamo. C’è chi preferisce andare ad allenarsi in Spagna, io faccio le mie Sei Giorni. Mi alleno e porto a casa anche qualche soldino in più».

Pista, quali differenze tra le varie gare? Risponde Selva

05.12.2023
6 min
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La pista non va mai in vacanza, lo si può affermare serenamente. Nei suoi tanti appuntamenti è sempre presente un certo tipo di agonismo, anche per ciò che c’è in palio. Dal prestigio personale all’affinamento della condizione, dai punti per il ranking internazionale alle qualificazioni olimpiche o mondiali.

La collezione autunno-inverno tradizionalmente è sempre stata popolata dalle iconiche Sei Giorni (come quella di Gand), cui nelle ultime tre stagioni si è aggiunta la Uci Track Champions League, voluta per rendere le gare nei velodromi appetibili ad un pubblico più ampio e meno di nicchia, come ci aveva detto il suo direttore Florian Pavia. La campagna primaverile-estiva invece lascia spazio alle prove di Nations Cup e alle gare nei velodromi scoperti. Ma esistono differenze di livello qualitativo tra queste varie corse? E se sì, quali sono? Abbiamo chiesto le risposte a Francesca Selva, che con la sua partecipazione alla Champions League se ne è fatta un’ulteriore idea. Sentiamo cosa ci ha detto la 24enne veneziana di Marcon, che in questi giorni è impegnata a Montichiari per un raduno azzurro in vista delle prossime gare e del 2024, nel quale proverà ad intensificare anche l’attività su strada.

Selva corre su strada col team irlandese Torelli. Nel 2024 vorrebbe intensificare l’attività in funzione della pista
Selva corre su strada col team irlandese Torelli. Nel 2024 vorrebbe intensificare l’attività in funzione della pista
Ormai Francesca possiamo considerarti fissa nel gruppo della nazionale?

Direi di no per il momento, perché mi devo ancora confrontare con calma con Marco (Villa, il cittì della pista, ndr). Lui però sa che io sono disponibile alle sessioni di allenamento che ci sono sempre state tutte le settimane. E sa anche che se c’è bisogno, può contare su di me. Le convocazioni in Nations Cup per Cali nel 2022 e per Il Cairo lo scorso marzo sono state le occasioni per entrare nel giro azzurro ed io voglio provare ad investirci più tempo.

Punti a guadagnarti un posto per le prossime Olimpiadi?

A chi non piacerebbe andarci? Ma non esageriamo (sorride, ndr). Non mi sono fatta alcun tipo di aspettative e false speranze. So perfettamente che c’è già un gruppo di atlete che andrà a Parigi ed è giusto così. Vedremo dopo le Olimpiadi se si potranno aprire nuove possibilità. Di sicuro so che vorrei allenare l’inseguimento a squadre e migliorare altre mie caratteristiche. E’ per questo che proverò a correre un po’ di più su strada sempre in funzione della pista. La Torelli, la mia squadra, ha ricevuto nuovamente l’invito per correre la RideLondon e nel 2024 vorrebbero farmela correre. Sono affascinata da quella gara, ma dovrò prepararmi bene.

Cosa intendi per “in funzione della pista”?

Non sono mai stata entusiasta di correre su strada, ma l’ho rivalutata dopo le gare che ho fatto tra fine luglio e settembre. In Polonia ho finito una piccola corsa a tappe e non lo avrei mai detto. Sono rimasta piacevolmente sorpresa perché non ero abituata a quel tipo di fatica. Ho capito che su strada posso migliorare la mia resistenza in pista, visto che faccio le discipline endurance. Anche se di pochi secondi, in pista necessito sempre di un momento dove poter rifiatare e a volte è quello che ti manca per fare la differenza o finire meglio la gara. Anche le tre kermesse che ho fatto in Belgio erano simili allo sforzo che faccio solitamente in pista. Facendo così, spero quindi di potermi presentare più preparata alle prossime corse nei velodromi.

Proprio a Londra si è conclusa la Champions League. Cosa prevede ora il tuo calendario?

Nel frattempo, verso fine novembre, ho disputato la “4 Giorni di Ginevra” infilandoci anche qualche giorno di recupero. La settimana prossima torno in Svizzera per la Track Cycling Challenge di Grenchen, poi andrò a Copenaghen per le gare di fine anno (28 e 29 dicembre, dove sarà presente anche Viviani, ndr). A gennaio invece sarò in Germania per le Sei Giorni di Brema e Berlino, anche se in realtà correrò le mie discipline rispettivamente solo per uno e tre giorni.

Considerando le esperienze che hai accumulato nelle varie manifestazioni in pista, ci sono differenze fra loro?

Assolutamente sì, ma vanno contestualizzate. Ho corso tante gare di classe 1 e classe 2, ho fatto la Nations Cup e ultimamente la Champions League. Tre eventi diversi fra loro per modo di correre e dove ci sono corridori con esperienze ed obiettivi diversi. Le differenze maggiori le ho notate sul piano tecnico.

Puoi spiegarcele?

Parto dalla Champions, visto che era una novità per me. Anche se non c’era la madison, la mia specialità principale, devo dire che a livello mentale è piuttosto semplice, così come per l’interpretazione. Tuttavia si ha una qualità dei partecipanti molto alta. Si viaggia con rapporti folli e si va a tutta per quei 10/15 minuti. Se ne hai da restare agganciata, meglio per te. Paradossalmente andando così forte, non devi quasi preoccuparti di tattica o errori altrui. Cose che invece si verificano nelle altre competizioni.

Selva dopo Parigi 2024 vorrebbe allenare meglio l’inseguimento a squadre e altre sue caratteristiche
Selva dopo Parigi 2024 vorrebbe allenare meglio l’inseguimento a squadre e altre sue caratteristiche
Continua pure.

Alla Nations Cup ho sempre trovato un livello poco omogeneo. Questo è dato anche dal periodo in cui si corre. Spesso le prove sono in concomitanza con l’attività su strada e quindi la qualità può variare tanto. Sia a Cali che al Cairo ricordo che nella madison c’erano 3/4 coppie forti o che comunque sapevano correre, tra le quali inserisco anche noi italiane. Le altre invece erano pericolose e si vedeva che non erano ben affiatate. Infatti la difficoltà maggiore era stare attente continuamente alle manovre delle ragazze meno pratiche. Molte di loro facevano il cambio al contrario rispetto al tradizionale e questo può influire sulla gestione della gara.

In che modo?

Se non si parte forte o davanti, poi si rischia di restare imbottigliate per troppo tempo. Per uscire dalle retrovie o per evitare le cadute si consumano tante energie psicofisiche. Ad esempio a Il Cairo abbiamo sempre corso col coltello fra i denti. Eravamo tante coppie e pure le qualifiche per la madison erano state difficili. Personalmente soffro sempre tanto una madison disordinata e, come me, credo anche altri puristi della pista.

Nelle gare di classe 1 e classe 2 invece che livello c’è?

A proposito di puristi, lì si trovano proprio quegli atleti che in pista sono a proprio agio e che amano quel tipo di ciclismo. Non sono gare facili perché molti corridori vengono per prendere punti per il ranking. Di base il livello è medio-alto, poi ci sono sempre quelle star che lo alzano ulteriormente. Ci sono differenze anche tra le corse all’aperto e indoor. Non solo per una questione climatica ma anche per il fondo in legno o in asfalto. Sembrano due mondi totalmente agli antipodi. Ecco, nonostante tutto e si vada forte anche qua, diventa più semplice correre perché ogni atleta sa cosa deve fare e come si corre.

Champions League della pista, un format per tutti

12.11.2023
6 min
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LONDRA – Battiti e watt sprigionati sia dagli atleti in pista che dal pubblico sulle tribune. La Uci Track Champions League è una centrifuga emozioni e adrenalina che ti intrattiene costantemente. E non potrebbe essere altrimenti in un evento organizzato dalla Warner Bros Discovery.

Le sue serate offrono sempre alta qualità di ciclismo e coreografie studiate ad hoc per gli spettatori. Le ultime due prove disputate nel velodromo olimpico Lee Valley di Londra hanno definito le classifiche finali. L’olandese Harrie Lavreysen e la neozelandese Ellesse Andrews hanno vinto le discipline degli sprint, mentre il canadese Dylan Bibic e la scozzese Katie Archibald quelle dell’endurance (in apertura foto UciTCL). Noi però abbiamo voluto approfondire il dietro le quinte con il trentaduenne francese Florian Pavia, il Series Director della UCI Track Champions League. Una persona disponibile e moderata, nata in Marocco, con origini di Pantelleria (tanto che suo padre parla ancora italiano) e che ha lavorato per ASO (la società organizzatrice del Tour de France) prima di passare al gruppo WBD. Sentiamo cosa ci ha detto.

Origini italiane. Il francese Florian Pavia è il Series Director della Uci Track Champions League. Nel 2024 spera di portare Viviani e Ganna
Origini italiane. Il francese Florian Pavia è il Series Director della Uci Track Champions League. Nel 2024 spera di portare Viviani e Ganna
Nel 2021 quando è nata, si diceva che la Champions League doveva sedurre il telespettatore. Ad oggi è vinta la sfida per voi?

Credo di sì. Abbiamo voluto il format per questo e lo organizzeremo fino al 2028. Volevamo rendere il ciclismo su pista accessibile per tutti. Non solo per chi ama la pista, ma anche per un pubblico molto più largo e distante dal ciclismo. La priorità resta sempre il prodotto televisivo, però va trovato sempre il giusto equilibrio tra l’esperienza nel velodromo e quella che viene percepita a casa. Su questo ci lavoriamo sempre dopo ogni evento, facendo tante prove.

In questa ricerca di equilibrio guardate più all’utente da casa?

Certamente, il nostro resta un prodotto che deve privilegiare il telespettatore. Nel velodromo abbiamo cinquemila persone, che sono comunque tantissime per un evento del genere, però da casa ne abbiamo più di centomila. I numeri sono sempre cresciuti dalla prima edizione ad oggi. In realtà sono incrementi piccoli perché avevamo già iniziato molto bene. Siamo sull’ordine del 10 per cento di crescita ogni anno in televisione.

Velocità, keirin, eliminazione e scratch sono le discipline perfette per un prodotto televisivo di massimo tre ore (foto UciTCL)
Velocità, keirin, eliminazione e scratch sono le discipline perfette per un prodotto televisivo di massimo tre ore (foto UciTCL)
E nei velodromi?

Lì invece abbiamo percentuali molto più alte. A Parigi nel 2022 avevamo avuto circa 2.500 persone, quest’anno oltre 4.000. E senza avere i grandi nomi della pista francese. Questo significa che la gente che è venuta per assistere e godersi il nostro spettacolo. Un mix tra gare e coinvolgimento generale, con giochi di luci e musica. Sono tre ore di gare che volano via velocemente. Ed il pubblico resta appassionato dall’inizio alla fine.

Come scegliete le sedi delle prove?

La scelta dei velodromi in questi anni non è stata mai casuale. Un po’ per i mercati di quei Paesi e un po’ per la tradizione che hanno su pista. Maiorca, ad esempio, è un’ottima meta anche per il buon clima. Vorremmo andare in Olanda ad Apeldoorn. Ci stiamo lavorando per farlo già nel 2024. Bisogna dire che poi abbiamo dei nostri requisiti da rispettare.

Quali sono?

I velodromi devono avere un’altezza al soffitto di almeno nove metri per poter installare la cable-cam. Poi ci vuole tutto lo spazio necessario per le attrezzature. Abbiamo un camion-regia che controlla diciotto telecamere puntate su pista e spalti. Infine, abbiamo anche un compound dentro al velodromo che si occupa di tutte le luci e gli effetti coreografici con grande coordinazione. Uno spettacolo del genere non lo possiamo allestire in qualsiasi posto.

Rispetto alla prima edizione cosa è cambiato?

Dal 2021 ad oggi abbiamo dovuto fare inevitabilmente degli aggiustamenti. Ad esempio l’ordine delle gare lo abbiamo cambiato quest’anno in modo che fossero più coerenti e logiche per la televisione. Ci siamo resi conto che la presentazione dei leader delle classifiche non potevamo più farle dopo circa 45 minuti di gare. Era una questione televisiva, ma il pubblico del velodromo non capiva. Così abbiamo deciso di farla subito ed trasmetterla in differita in un momento di piccolo intervallo.

Possono esserci novità per le prossime Uci Track Champions League?

Per le edizioni future stiamo facendo riflessioni se aggiungere delle specialità. La parte della velocità funziona molto bene. E’ in linea con la nostra idea di evento. La parte endurance invece è un po’ più difficile. Questi corridori corrono per circa dieci minuti. Metà di loro ti dice che è perfetto, l’altra metà no perché non riesce ad esprimersi al massimo. Se vogliamo mantenere tre ore di programma, non abbiamo alternative. Tuttavia per gli atleti dell’endurance abbiamo organizzato nel pomeriggio una corsa a punti (che assegna qualche punto nel ranking UCI, ndr) così possono utilizzarla come gara di riscaldamento.

Secondo voi può rubare scena e atleti alle Sei Giorni?

Penso di no. La Champions League è un prodotto totalmente differente dalle Sei Giorni. Quelle sono gare per un pubblico che segue la pista costantemente, quasi di nicchia. Ad esempio il loro format si presta poco alla televisione.

Nell’anno olimpico ci sarà la possibilità di vedere qualche nome importante?

Solitamente la qualificazione per la Champions League avviene con i mondiali, ma l’anno prossimo non sarà possibile perché ci saranno prima le Olimpiadi. Quindi dopo Parigi 2024 vedremo i risultati e distribuiremo le nostre 17 wild card. Indipendentemente da tutto, guardando in casa vostra, a noi piacerebbe molto avere corridori come Viviani o Ganna. Faremo un tentativo per portarli da noi.

Gand in vista: Martinello ci porta nel mondo delle Sei Giorni

09.11.2023
6 min
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La Sei Giorni di Gand della prossima settimana apre la stagione invernale dei velodromi. E’ un mondo tutto da scoprire, nel quale ci accompagna un vero esperto: Silvio Martinello. Oggi in realtà le Sei Giorni non se la passano benissimo, non c’è più un calendario vero e proprio. Ne sono rimaste poche e l’unica di un certo livello è proprio quella belga, che si terrà dal 14 al 17 novembre. Ma il format resta quello. Divertimento, gare, testa a testa, spettacolo.

Tra presente e passato, il campione olimpico su pista di Atlanta 1996, che di Sei Giorni ne ha vinte 28 (tre più del mitico Nando Terruzzi), ci introduce nei meandri di queste splendide kermesse sul parquet. Si evocano, a volte quasi con un filo di emozione, amici e ricordi.

Gand resiste

«Attualmente – va avanti il padovano – di Sei giorni di livello c’è solo Gand, anche Berlino è stata portata a tre giorni e Rotterdam è stata ridotta. Ci sono sempre degli ottimi corridori, ma non del livello che c’era un volta. Gand è un ambiente caldo. Conosciamo bene la tradizione ciclistica di quelle zone, sia su strada che su pista».

E il motivo per cui le Sei Giorni sono calate è sostanzialmente economico. Non è un motivo di calendario, dovuto magari anche all’avvento della Track Champions League. Villa stesso ci ha detto che avrebbero ancora la loro valenza, ma che manca il tempo per farle.

«Se avessero l’impatto di un tempo i corridori andrebbero alle Sei Giorni e non lì, ve lo assicuro. Marco Villa ha fatto una valutazione tecnica, giustamente. Ma in una sei Giorni non c’è solo l’aspetto agonistico. C’è anche quello del business. Viene da chiedersi perché sia diminuito l’interesse. Io credo per i costi: il solo affitto del velodromo per dieci giorni, tra allestimento, gare e riconsegna, è altissimo.

«Le Sei Giorni più importanti erano tutte o quasi tedesche: Berlino, Monaco, Stoccarda, Brema, Colonia, Dortmund… ognuna aveva una sua peculiarità. A Monaco il pubblico era competente e prevaleva la parte tecnico-agonistica, a Brema quello della festa. Indirettamente hanno pagato i problemi di doping che hanno avuto in Germania all’inizio degli anni 2000 e successivamente la maggiore difficoltà a reperire sponsor(specie dopo la crisi finanziaria del 2008, ndr). Una volta i corridori – e non solo loro – erano molto interessati a parteciparvi, gli ingaggi erano davvero buoni. Lo dico senza problemi».

Il derny, una delle specialità che in una Sei Giorni proprio non può mancare
Il derny, una delle specialità che in una Sei Giorni proprio non può mancare

Tutto diverso

E allora oggi chi vedremo in pista? Chi sono e come vengono formate le coppie? Secondo Martinello i metodi con cui vengono allestite le coppie è quello di un tempo, ma cambiano gli interpreti. Una volta c’erano i grandi campioni e gli organizzatori si affidavano a quelli per richiamare il pubblico e rientrare delle spese. Adesso i corridori sono sempre abili, ma hanno un appeal più locale.

«Di grandi coppie attuali – riprende Martinello – non ce ne sono, per il semplice fatto che non ci sono più le Sei Giorni. L’organizzatore pertanto ingaggia gli atleti e forma le coppie secondo criteri tecnici, ma anche di appeal. E allora si punta sull’appeal locale, dai parenti ai tifosi, e in Belgio è ancora buono. In generale oggi si punta più sui giovani e di sicuro vedremo ottime prestazioni. Andranno forte».

Villa e Martinello, indimenticabili

A questo punto si fa un passo indietro. Si parla di vecchie coppie e Martinello sfoggia, ricorda e inanella emozioni. Mostra di fatto che la pista “è casa sua”. Lui e Marco Villa negli anni ’90 soprattutto ci hanno fatto divertire. Chi scrive, per esempio, all’epoca era un adolescente e ricorda la mamma che dall’altra stanza diceva: «Spegni la tv». Ma quelle nottate a godersi i duelli Villa-Martinello contro Risi-Betschart restano indelebili.

«Io e Marco – racconta Martinello – abbiamo rappresentato una bella fetta delle Sei Giorni. E parlano i numeri. Ne abbiamo vinte 16. Prima di noi in Italia c’erano stati Ferdinando Terruzzi e Severino Rigoni, ma parliamo degli anni ’50-’60. Sin lì eravamo sempre rimasti in seconda linea».

«Le Sei Giorni erano in Germania e, soprattutto dopo il mio titolo olimpico, mi chiamavano nelle principali gare tedesche… e non solo. Non essendo tedesco, a volte ho avuto ingaggi importanti anche con altri compagni. Ho corso con il povero Kappes, con Zabel, con Aldag… ».

Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu
Due miti in una foto: Eddy Merckx e Patrick Sercu

C’era persino Merckx

Ma certo i duelli storici erano quelli con gli svizzeri Risi-Betschart, due grandissimi interpreti secondo Silvio. E poi il fatto che erano di madrelingua tedesca li avvicinava molto al pubblico della Germania. 

«Fu un dualismo importante, grande. Ci fu anche l’idea di farmi correre con Risi, ma poi non si concretizzò».

Altre coppie del passato sono state formate da stradisti e pistard. Lo stesso Martinello ha corso anche con Bjarne Riis, dopo che aveva vinto il Tour.

In passato, forse, la coppia delle coppie fu Patrick Sercu ed Eddy Merckx, neanche a dirlo: entrambi belgi.

«Ricordo – conclude Martinello – aneddoti divertenti di Sercu quando raccontava le sue Sei Giorni con il Cannibale. Diceva che Merckx voleva fare come su strada. Sapete che in pista basta un giro per vincere? Ebbene, Eddy voleva vincere con minuti di distacco anche sul parquet, non gli bastava “solo” il giro».

Villa: «Le Sei Giorni servono, quel che manca è il tempo»

04.11.2023
5 min
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Dopo il ritorno trionfale della Tre Giorni di Grenoble e con la Champions League che distoglie atleti e riflettori, la Sei Giorni di Gand lancia la stagione delle notti in pista. L’antica capitale delle Fiandre ospita l’evento dal 1922 (il velodromo di Kuipke è invece del 1927) e basta scorrerne l’albo d’oro per capire che si tratta di una manifestazione al top degli specialisti. L’ultimo italiano ad averla vinta fu Elia Viviani nel 2018, in coppia con Iljio Keisse che proprio quest’anno saluterà il suo velodromo. Andando più indietro, tuttavia, il 1998 salta agli occhi per la vittoria di Silvio Martinello e Marco Villa.

Proprio con il cittì della pista azzurra allora abbiamo voluto riprendere il discorso, partendo da due affermazioni opposte di Elia Viviani e Benjamin Thomas, entrambi grandi specialisti della pista, lanciati verso le Olimpiadi di Parigi. Viviani ha detto di voler correre di più su pista durante l’inverno, ma che le Sei Giorni non gli danno quello di cui ha bisogno, dovendo lavorare soprattutto sull’omnium. Il francese ha detto di volervi prendere parte. A dire il vero, se non fosse caduto nella penultima tappa in Cina, avrebbe corso anche a Gand. In ogni caso, ci ha detto che, avendo disputato soltanto tre madison durante la stagione, la Sei Giorni è quel che serve per riprendere l’occhio e i meccanismi della specialità.

Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Martinello e Villa hanno vinto a Gand nel 1998. Qui invece, sempre a Gand, ma nel 2001
Caro Marco, le Sei Giorni sono ancora utili per un pistard che svolge attività olimpica?

Dipende dai programmi delle Sei Giorni. Ai miei tempi nel calendario ce n’erano 12, i programmi erano diversi, l’intensità in gara era diversa. Però qualcuna fa sempre comodo, non solo a Benjamin Thomas, ma anche a noi. Stiamo facendo poche madison. Scartezzini e Consonni hanno corso abbastanza assieme. Viviani e Consonni hanno corso pochissimo e mi piacerebbe vederli fare un’americana. Un conto è farla per vincere una medaglia o da coppia che vuole vincere la gara, un conto è allenarsi. Più ne fai, meglio è. A volte essere in testa alla classifica di una Sei Giorni aiuta anche a capire come devi correrla per vincere. Un conto è fare una volata ogni tanto, quando stai bene. Un conto è fare una volata o saltarla perché devi difendere la testa della classifica in caso di qualche attacco. Quando attacca uno che è indietro in classifica, chi è davanti deve andare a prenderlo.

Quindi come valuti il ragionamento di Elia e di Thomas?

Bisogna vedere Elia in che contesto l’ha detto, cosa intendesse. Magari teneva conto anche del fatto di dover chiedere l’autorizzazione alla squadra e, volendo fare anche le Coppe del mondo, magari deve moderare le richieste. Se anche Thomas ha fatto solo tre madison, vuol dire che ha avuto gli stessi problemi di Viviani. Il calendario della pista e l’impegno con la squadra sono notevoli per entrambi.

Hai parlato di Sei Giorni che si corrono a intensità diverse.

E’ vero. L’affinità tecnica della coppia resta, ma è cambiato il modo di correre. La prima cosa che vedo è che prima si usava un rapporto più agile che permettesse di arrivare fino alle due di notte. Adesso ci sono meno gare, si finisce prima e le medie sono più alte. Quindi se prima si parlava di gare intense nel periodo di off season, adesso l’impegno è notevole. Non vai lì a girar le gambe. Si corre con rapporti più lunghi, non è più una corsa a tappe, ma una serie di gare singole, se vogliamo fare l’esempio della strada.

Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Viviani è stato l’ultimo italiano a conquistare la Sei Giorni di Gand, nel 2018 con Keisse
Ti aspetti che qualche specialista andrà a farle?

Dipende dalle esigenze e dal tempo. Vedo ad esempio che Reinhardt sta facendo la Champions League e potrebbe andare a fare le Sei Giorni. Kluge, che è il suo compagno della madison (i due sono campioni europei in carica, ndr), è meno impegnato su strada e credo che adesso anche lui abbia più tempo per la pista. Credo che in genere quelli che non sono nelle squadre WorldTour potrebbero esserci, mentre altri, come ad esempio lo stesso Benjamin Thomas, faranno le Coppe del mondo cercando di farle coincidere con i momenti senza corse su strada.

L’Italia riparte da Noto o prima da Montichiari?

Ufficialmente da Noto, però Montichiari in teoria è disponibile. Ce l’hanno riconsegnata martedì e qualche giorno fa ho fatto girare Lamon e Galli. Lamon perché è rientrato dalle ferie e voleva girare, Galli perché lo porteremo proprio alla Sei Giorni di Gand con gli under 23, dato che ci è stato anche lo scorso anno. Li accompagnerà Masotti, io penso di andare qualche giorno verso la fine, perché prima sarò a Noto.

I francesi andranno in altura sul Teide intorno al 10 dicembre.

Potrebbero avere in testa gli europei (Apeldoorn, Olanda, 10-14 gennaio, ndr), più che la prima Coppa del mondo in Australia (Adelaide, 2 febbraio, ndr) che mi sembra lontana. Noi dobbiamo giostrare le presenze degli atleti che abbiamo a disposizione, cercando di dividere tra chi farà il Tour Down Under e quindi potrà correre la prima Coppa del mondo e chi invece farà gli europei. Dobbiamo unire i programmi della nazionale e quelli delle squadre. Ad esempio la Ineos dovrebbe portare Viviani e Ganna in Australia e lo stesso la Movistar con Manlio Moro. La partenza per il Down Under è negli stessi giorni dell’europeo, quindi loro non ci saranno. Però si fermeranno qualche giorno di più ad Adelaide e la settimana dopo la corsa ci sarà la Coppa del mondo. Non credo invece che ci andranno Milan, che ha corso fino alla Cina, e neppure Consonni, che voleva partire più tranquillo. Quindi loro due potrebbero fare l’europeo.

Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Kluge e Reinhardt sono i campioni europei in carica della madison
Con i team è già tutto definito? Ad esempio con la Lidl-Trek visto che Milan e Consonni dal 2024 saranno con loro?

Abbiamo già parlato, Amadio da team manager ha avuto i suoi colloqui con Luca Guercilena, io da tecnico ho già dato il programma a Josu (Josu Larrazabal, responsabile area performance della Lidl-Trek, ndr). Nei giorni scorsi in America stavano sistemando il calendario dei ragazzi, quindi abbiamo anticipato la nostra pianificazione per condividere con loro un programma affidabile, sia per gli uomini, sia per le donne. Lo abbiamo mandato a tutti. Ho messo in evidenza le date in cui ci saranno le convocazioni e dove vorrei tutte le ragazze e i ragazzi. Sono momenti in cui non ci sono impegni su strada, per cui non dovremmo avere problemi.

Manca poco alle Olimpiadi, hai trovato collaborazione?

Molta. Anche le squadre sanno che gli atleti fanno la pista volentieri e le Olimpiadi sono un obiettivo dell’anno più che rispettabile per la loro carriera, senza trascurare gli impegni delle squadre. Si stanno dimostrando tutti collaborativi, ma non avevo dubbi.

Pinazzi e Galli, due “studenti” alla Sei Giorni di Gand

01.12.2022
5 min
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Al recente raduno per la pista a Noto ci sono stati due ritardatari, peraltro pienamente giustificati. Niccolò Galli e Mattia Pinazzi si sono ricongiunti alla comitiva direttamente da Gand, dove avevano preso parte alla Sei Giorni, una delle più importanti del calendario. Un evento reso speciale dai festeggiamenti per l’addio di Iljo Keisse, il funambolico belga che alla soglia dei 40 anni ha deciso di mettere uno stop alla propria carriera.

Pinazzi era già stato nella città belga per la kermesse su pista, per Galli invece era una prima assoluta. Per entrambi è stata un susseguirsi di emozioni e di esperienze, che saranno utili nel prosieguo della loro carriera nei velodromi. Il primo a immergersi nel racconto è Pinazzi: «Lo scorso anno, quando l’avevo disputata con Boscaro avevo faticato di più, questa volta mi sono preparato e la differenza è stata evidente. E’ un’esperienza assolutamente da fare, la pista sembra un tempio, appena ci sali ti prende un magone…».

Pinazzi e Galli nel parterre, in mezzo il loro accompagnatore Giovanni Carini
Pinazzi e Galli nel parterre, in mezzo il loro accompagnatore Giovanni Carini

Quasi come un mondiale

«Io ho meno esperienza, con Mattia abbiamo condiviso la conquista del titolo europeo del quartetto ad Amadia fra gli under 23 – interviene Galli – Gand è stata la prima Sei Giorni importante e prima della partenza ero emozionatissimo. Temevo soprattutto che il livello sarebbe stato altissimo, come un mondiale e in effetti è così, ma anche se eravamo chiaramente indietro nella preparazione ci siamo difesi bene».

I due ragazzi azzurri erano impegnati nella prova per under 23, che ogni sera precedeva quella riservata agli Elite. Erano per così dire chiamati a “scaldare” il pubblico: «Ma non pensate che il programma fosse tanto diverso – chiarisce Pinazzi – anche noi ogni giorno avevamo prove sul giro lanciato o da fermo, gara a punti, americana… Insomma tutto il programma che poi affrontano anche i grandi».

La caduta nella madison della terza sera, costata la classifica ai due azzurri
La caduta nella madison della terza sera, costata la classifica ai due azzurri

Un’esperienza da rifare

A fine esperienza qual è il giudizio, soprattutto da parte di un neofita come Galli? «Assolutamente da rifare – dice – ci mancherebbe… E’ molto impegnativa, si fatica tanto, ma credo che dia molti benefici a lungo andare e sono convinto che ripetendo l’esperienza le cose andrebbero anche meglio».

La coppia azzurra ha chiuso a Gand al 7° posto (vittoria per i locali Milan Van Den Haute e Jasper Bertels), facendo meglio di quanto era avvenuto lo scorso anno: «E senza la caduta nell’americana del terzo giorno sarebbe andata anche meglio – spiega Pinazzi – perché abbiamo dovuto perdere giri in quell’occasione. Alla fine possiamo ritenerci soddisfatti anche perché io arrivavo alla gara già abbastanza rodato al contrario di Niccolò, per questo è stato lui quello che ha maggiormente sorpreso.

«Quando siamo tornati – prosegue il parmense – ho chiesto a Villa di poter verificare se c’era qualche possibilità di fare altre Sei Giorni. Mi piacerebbe tra qualche anno fare quella degli elite, non solo è uno spettacolo assoluto, ma insegna davvero il modo di correre su pista».

Grandi feste per Keisse, finito terzo insieme a De Buyst. Bis per Ghys con De Vilder (foto BeelWout)
Grandi feste per Keisse, finito terzo insieme a De Buyst. Bis per Ghys con De Vilder (foto BeelWout)

Keisse, l’addio di un mattatore

Galli ha vissuto questa esperienza come un paese delle meraviglie: «Non è paragonabile ad alcuna altra manifestazione. Quando corri ti sembra di essere in una bolgia, con gli spettatori anche nel parterre e un tifo incredibile. La pista poi è impressionante, per questo credo che sia un’esperienza che ti dà tanto».

A rendere il tutto ancora più speciale i festeggiamenti per Keisse, un autentico personaggio delle piste, di quelli capaci non solo di vincere, ma anche di fare spettacolo, di caricare il pubblico e per questo particolarmente amato: «C’era un tifo da stadio – ricorda Pinazzi – tutti i corridori a rendergli omaggio insieme al pubblico. Si vedeva che era particolarmente emozionato, sono momenti che non si dimenticano».

Keisse, 39 anni, chiude con 4 titoli europei e 25 Sei Giorni vinte, 6 solo a Gand (foto Cor Vos)
Keisse, 39 anni, chiude con 4 titoli europei e 25 Sei Giorni vinte, 6 solo a Gand (foto Cor Vos)

Un problema di cultura

«Per me – interviene Galli – è stato speciale. Keisse lo vedevo sempre in tv, sono cresciuto con idoli come lui che mi hanno fatto amare la pista. Il fatto di essere lì, condividere quei momenti, potergli stringere la mano è stato speciale. Non ha perso la sua umiltà e credo che il pubblico lo abbia amato e ringraziato anche per questo».

Sarebbe possibile qualcosa del genere anche in Italia? Noi con Milano eravamo quasi la culla delle Sei Giorni nel secolo scorso, poi con il crollo del Palasport non se ne è fatto più nulla, se non in sporadici casi: «Secondo me sarebbe difficile ricreare qualcosa del genere – ammette Pinazzi – perché lì c’è un’altra cultura, il ciclismo è quasi una religione. Per noi che corriamo, avere una gara qui sarebbe una manna dal cielo».

Cavendish caduta 2021

A Gand un weekend da incubo per Cavendish

24.11.2021
5 min
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Ci sono weekend che non vanno mai come vuoi. Per Mark Cavendish quello appena passato è stato davvero da incubo, fra un contratto con la Quick Step che non giunge a buon fine e una serata finale alla Sei Giorni di Gand finita in ospedale.

Andiamo con ordine. Il patron del team Patrick Lefevere era stato chiaro: «Voglio che si giunga a una soluzione entro la settimana, non possiamo continuare, la cosa mi sta dando sui nervi». Lefevere si era recato alla Sei Giorni proprio per parlare con il suo ragazzo: nessuno nell’ambiente ritiene che non si arriverà a un accordo, ma il tempo passa e gli animi si accalorano. Il problema? Cavendish vuole un aumento di stipendio, Lefevere vuole invece aumentare gli incentivi e non la base contrattuale: «Mi ha anche chiesto di lavorare con me per un futuro da dirigente in società: possibile che mi tocchi pagare per insegnare a qualcuno? Non ha senso…».

Tutto per colpa di una borraccia…

Evidentemente non era un Cavendish sereno quello che ha preso il via per l’ultima americana. La situazione era appassionante, con 4 coppie in lotta per il successo, davanti a tutti i due campionissimi danesi Morkov e Hansen, poi i belgi De Ketele e Ghys, Cavendish con l’altro belga Keisse, il tedesco Kluge con il padrone di casa De Buyst. Nel pieno della lotta è accaduto che qualcuno, prendendo il rifornimento, ha fatto cadere il liquido dalla borraccia: «Si è formata una pozza d’acqua, sulla quale è passato prima il mio compagno Thijssen – racconta Michele Scartezzini, l’unico italiano in gara – ma è rimasto in piedi, dietro De Ketele ha sbandato, Hansen è caduto e su di lui è piombato Cavendish franando sulla pista».

Il grande giorno di De Ketele

Una botta tremenda: «Ci sono voluti molti minuti perché tornasse in piedi, l’ho visto avvicinarsi al suo box da solo, non sembrava tanto claudicante, ma evidentemente non respirava bene”. In ospedale la diagnosi è stata due costole rotte e un lieve pneumotorace. Stop alla preparazione e tensione per il gallese sempre più alta.

Keisse ha continuato da solo, Hansen è tornato in gara ma non era più lui e e ha potuto dare uno scarso contributo alla coppia nella lotta per il successo, tanto che i danesi hanno perso 6 giri rispetto a De Ketele e Ghys, alla fine vincitori a pari giri con Kluge e De Buyst. Per De Ketele è stata un’apoteosi, nella sua ultima Sei Giorni di Gand, chiusa in un’atmosfera di festa dove miglior saluto non poteva avere.

Gand pubblico 2021
Parterre pieno a Gand, ma per i tifosi era vietato bere. Altrimenti doveva accomodarsi in tribuna
Gand pubblico 2021
Parterre pieno a Gand, ma per i tifosi era vietato bere. Altrimenti doveva accomodarsi in tribuna

Per Scartezzini anche una vittoria

Per Scartezzini non è stata la settimana che si aspettava: «Ho visto sin dal primo giorno che le cose non andavano, soprattutto che Gerben (il suo compagno Thijssen, ndr) non era in grande condizione, al contrario di quel che mi aveva detto i giorni prima e che lui stesso pensava. Nell’americana della prima sera a un certo punto mi sono ritrovato solo: si era fermato perché non ce la faceva… In una Sei Giorni vai avanti in classifica solo se si funziona in due».

Il vicecampione del mondo della madison ha quindi pensato soprattutto alle prove individuali, per testarsi in vista della ripresa della Champions League del prossimo fine settimana: «Ho anche vinto una corsa a punti, la condizione non è male, devo dire che questi giorni sono stati comunque utili».

Scartezzini Thijssen 2021
Scartezzini e Thijssen ai box: il belga è stato appena preso dall’Intermarché Wanty Gobert
Scartezzini Thijssen 2021
Scartezzini e Thijssen ai box: il belga è stato appena preso dall’Intermarché Wanty Gobert

Si riparte, destinazione Lituania…

Scartezzini, che per la cronaca ha chiuso al penultimo posto insieme al compagno di squadra belga a 57 giri ai vincitori, ha vissuto una Sei Giorni un po’ diversa dal solito: «A Gand eravamo abituati a vedere sempre il pienone, invece lo si è registrato solo nel weekend, inoltre devo dire che l’organizzazione è stata molto attenta nella gestione della sicurezza. Si poteva entrare solo con il Green Pass, la vendita di birra era permessa solo nelle zone attigue alle tribune ma non sul parterre, dove normalmente avveniva e questo ha un po’ cambiato le cose».

Appena tornato a casa, un paio di giorni di riposo e poi di nuovo in sella, pensando alla prossima tappa della Champions League che sabato lo vedrà impegnato a Panevezys in Lituania. L’azzurro è intenzionato a migliorare la sua dodicesima posizione in classifica: «Riparto con una maggiore consapevolezza, anche nella gestione dei rapporti a Gand la situazione è migliorata, segno che la gamba è più tonica. Sono curioso di vedere quel che succederà». Degli avversari, nessuno era a Gand, magari è un vantaggio…

Sei Giorni Gand 2019

Scartezzini verso Gand: «La Sei Giorni più bella»

15.11.2021
5 min
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In volo al mattino, in pista alla sera e fino a notte fonda. Michele Scartezzini ha già le valigie pronte per Gand, per prendere parte alla Sei Giorni più importante della stagione. 12 coppie che si daranno battaglia fino a domenica prossima, per la sfida su pista più sentita della stagione, l’ultima vestigia della stagione gloriosa delle Sei Giorni, come aveva raccontato Silvio Martinello qualche giorno fa.

Per Michele Scartezzini è la quarta volta a Gand, dove se non sei uno specialista vero e affermato non ti chiamano. D’altronde la sua stagione, da componente del gruppo del quartetto oro a Tokyo e Roubaix e da viceiridato nella Madison è stata ampiamente positiva e tale da richiamare l’attenzione degli organizzatori e prima di prendere l’aereo i ricordi fioccano: «La prima volta è stata nel 2017 con Elia Viviani, stavamo andando benissimo ma il terzo giorno ebbi problemi fisici che ci costrinsero al ritiro. Poi ho gareggiato due volte con Francesco Lamon, con un 7° e un 8° posto. Questa volta con il giovane belga Gerber Thijssen speriamo di far meglio».

Il corridore di Isola della Scala è perfettamente d’accordo, quella di Gand è la migliore Sei Giorni attualmente in calendario: «E’ durissima, considerando che ogni sera si fanno dai 100 ai 120 chilometri e bisogna considerare che la pista è piccola, solo 166 metri. Si comincia alle 20:00 per finire alle 2 del mattino e non si è a letto prima delle 4-5. Ogni serata è infarcita di gare, l’unico momento per recuperare è dopo la lunga Madison delle 22:30. Ma il pubblico ci tiene molto e si fa sentire per tutto il tempo».

Scartezzini Lamon 2017
Scartezzini per tre volte presente a Gand, miglior risultato il 7° posto con Lamon
Scartezzini Lamon 2017
Scartezzini per tre volte presente a Gand, miglior risultato il 7° posto con Lamon

Ogni serata ha un menù completo

Che tipo di gare sono comprese nel programma? «Di solito si comincia con una corsa a punti, poi ogni serata è intrisa di gare, dal giro lanciato a coppie ai 500 metri a cronometro sempre a coppie, dall’eliminazione alle sfide dietro derny, dallo scratch al supersprint, una gara a 12 corridori con eliminazione ogni 3 giri finché non ne rimangono 6 che si giocano tutto in 10 giri. Sono tutte sfide molto adrenaliniche e divertenti per chi guarda».

Quando si parla di Sei Giorni c’è un concetto che deve essere chiaro: non è tutto solo agonismo. I ciclisti sono vicinissimi al pubblico, le gare devono attirarlo. Una volta, nei tempi d’oro della pista, c’erano corridori che guidavano con i piedi o che nel mezzo della gara si fermavano ai tavoli del ristorante per rubare una bottiglia di champagne e passarsela in gruppo. Oggi si è un po’ meno guitti, ma il legame c’è sempre, magari con una “ola” nel bel mezzo dello scratch lanciata proprio dai corridori…

Quel che è sempre rimasto è il cameratismo tra i protagonisti. Una volta si smontava alla domenica in una città e due giorni dopo erano di nuovo in gara da un’altra parte d’Europa. Oggi il calendario è molto meno pieno, ma i legami restano: «Ci sentiamo spesso fra noi – testimonia Scartezzini – Jonas Rickaert ad esempio (belga che a Gand sarà in gara con lo svizzero Silvan Dillier, ndr) mi ha chiesto di portargli un manubrio che aveva commissionato in Italia, gli farò volentieri da corriere».

Viviani Kejsse 2018
Elia Viviani e Iljo Keisse, vincitori nel 2018 davanti a De Ketele e Ghys (foto Luc Claessen)
Viviani Kejsse 2018
Elia Viviani e Iljo Keisse, vincitori nel 2018 davanti a De Ketele e Ghys (foto Luc Claessen)

Quanto servirebbe un calendario più ricco…

Il portacolori delle Fiamme Azzurre è testimone diretto della lenta involuzione delle Sei giorni: «Iniziai a disputarle nel 2009: al tempo ce n’erano tante: Brema, Rotterdam, Berlino… Alcune sono rimaste, altre no ed è un peccato. Per noi che privilegiamo la pista è una fonte di guadagno, sarebbe giusto rilanciarle. Ora l’Uci sta investendo sulla Champions League, io ne faccio parte e proprio per gareggiare nel circuito dovrò rinunciare alla Sei Giorni di Rotterdam, ma sarebbe bello se ci fosse maggior sostegno per queste gare perché regalano spettacolo».

D’altro canto le Sei Giorni non sono solo corsa, come detto, ma un’occasione per la gente per vivere serate diverse: «Anche a Gand il pubblico è la parte essenziale. Il parterre è affollatissimo e non nascondo che a fine serata sono tanti quelli che hanno alzato il gomito e sono vicinissimi ai nostri box. Certe volte viene da pensare che un affollamento simile sia assurdo, soprattutto ora, ma per noi ciclisti la sicurezza è garantita. Resta il fatto che ogni manifestazione simile è soprattutto una festa».

Thijssen 2021
Con Scartezzini farà coppia Gerber Thijssen, belga di 23 anni, oro europeo 2017 nell’Eliminazione
Thijssen 2021
Con Scartezzini farà coppia Gerber Thijssen, belga di 23 anni, oro europeo 2017 nell’Eliminazione

Favoriti i danesi Morkov-Hansen, c’è Cavendish

A Gand saranno in scena 12 coppie: il numero 1 di pettorale è andato a due componenti del quartetto danese, gli esperti Michael Morkov e Lasse Norman Hansen (vincitori venerdì della Tre Giorni di Copenhagen) i belgi faranno il tifo per Kenny De Ketele (una delle colonne del circuito, quello che fa un po’ da “capobanda” anche quando c’è da attirare l’attenzione con qualche simpatica “mattana”…) e Robbe Ghys, ma protagonista assoluto sarà l’altro belga Iljo Keisse, altro personaggio storico, alla sua ultima apparizione a Gand e che sarà accoppiato a un certo Marc Cavendish…: «So che per Iljo faranno grandi celebrazioni – racconta Scartezzini – l’ultimo giorno ci sarà una vera festa in suo onore».

Michele correrà con il giovane Thijssen: «So che ci tiene tanto, mi ha contattato più volte, per sapere come sto, già pensa alle strategie di gara. Sicuramente non parto per fare la comparsa, mi piacerebbe intanto migliorare il mio miglior risultato a Gand, poi vedremo domenica a che punto saremo. E’ spettacolo, sì, ma è pur sempre una gara…».