L’annus horribilis della Vollering, tra inediti e mugugni

30.11.2024
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Nel ciclismo spesso è questione di tempi. Analizzando a freddo la stagione di Demi Vollering tutto gira intorno alla primavera. Perché l’addio dell’olandese alla Sd Worx e il suo passaggio alla FDJ Suez ha radici antiche. Lo rivela Stephen Delcourt, il diesse del team francese in un’intervista a Velo: «Un anno fa mai avremmo pensato che la numero 1 del ciclismo mondiale sarebbe venuta a correre con noi. Poi in primavera abbiamo iniziato a parlare, abbiamo visto che condividiamo valori e sogni e in un mese abbiamo raggiunto l’accordo».

In primavera. Significa che il disagio della Vollering veniva da lontano, dall’inizio stagione. Non è una storia nella quale ci sono particolari responsabilità a margine di questo divorzio, è solo che gestire due leader come lei e la Kopecky, caratterialmente ma soprattutto come ambizioni, caratteristiche, capacità, voglia di vincere era impresa sempre più difficile. Il fatto però che già in primavera, mentre la belga metteva la sua firma sul prolungamento del contratto, la Vollering fosse già aperta a nuove soluzioni ha scavato un solco.

La Vollering in Tv, al fianco della Kopecky. Difficile descrivere i loro veri rapporti (fDe Meuleneir/Photo News)
La Vollering in Tv, al fianco della Kopecky. Difficile descrivere i loro veri rapporti (fDe Meuleneir/Photo News)

Due leader, due strategie diverse

Demi, che pure è sotto contratto con la SD Worx fino al 31 dicembre, ha un carattere sensibile, profondo. Non è capace di indossare maschere, lo ha ammesso anche la Cecchini per anni sua compagna di squadra e tutt’ora molto amica. Per questo a fine stagione l’olandese non ha nascosto le sue sensazioni, raccontando come il 2024 sia stato un anno difficile a dispetto di un corposo numero di vittorie con la perla della Vuelta.

«Per tutto l’anno abbiamo corso con due strategie – ha raccontato – una legata a Lotte e una a me, ma così è difficile guidare la squadra. Io ho bisogno di un piano chiaro da seguire. Col passare delle settimane ho però cercato di mantenere buoni contatti con tutti in squadra e soprattutto con la Kopecky, ma progressivamente ci siamo allontanate e lei ha chiuso i canali della comunicazione. A quel punto ho capito che era finita».

La vittoria alla Vuelta Espana è stata la principale delle 16 ottenute da Vollering nel 2024
La vittoria alla Vuelta Espana è stata la principale delle 16 ottenute da Vollering nel 2024

I segnali negativi

Un altro segnale è arrivato quando Anne Van Der Breggen ha annunciato il suo ritorno alle corse: «Non discuto le sue scelte, ci mancherebbe, ma mi sono sentita frustrata nel venirlo a sapere dai social e non da lei stessa, quando avevamo costruito un bel rapporto allenatrice-atleta. Lei non mi ha detto nulla. Per me è stato doloroso, nella squadra dove sono cresciuta, io ho cercato di mantenere un atteggiamento positivo ma è stato difficile».

Da qui si è dipanata una stagione difficile che ha avuto due momenti topici, il Tour e i mondiali. Nel primo caso l’amarezza per la sconfitta è stata mitigata dalla prestazione nell’ultima tappa, quella rimonta fantasmagorica che l’ha portata a soli 4” dalla Niewiadoma. Nel secondo invece la debacle è stata totale, una delusione per lei e per i tifosi, che hanno rumoreggiato contro Demi ma anche la gestione della gara, al punto che la selezionatrice Gunneswijk è stata portata alle dimissioni.

Vollering e Niewiadoma: sorrisi di circostanza al Tour
Vollering e Niewiadoma: sorrisi di circostanza al Tour

L’eccessiva brama di vittoria

Molti tifosi hanno rimproverato la Vollering per non essersi sacrificata per le compagne, soprattutto la Vos, che avrebbe potuto giocarsi il titolo allo sprint con cognizione di causa mentre il suo spunto era inferiore alle avversarie. Ma quel mondiale per lei era troppo importante: «Si correva non lontano da dove ho preso casa, conoscevo bene quelle parti e poi, dopo l’epilogo del Tour, volevo vincere a tal punto che mi sono bloccata, non ho ragionato e ho sbagliato tutto. Alla fine mi sono vergognata di come ho corso, le tante emozioni negative mi hanno fatto a pezzi».

D’altro canto quella maglia le sarebbe servita per mandar giù le delusioni, soprattutto quel Tour difficile da interpretare. Nel quale un’azione che poteva diventare epica, nell’ultima tappa è diventata una sconfitta per soli 4”. Anche in questo caso non c’è una verità assoluta, ma molto cambia in base al punto di vista. Ad esempio la Niewiadoma, l’autrice della beffa, ha raccontato l’atmosfera che si respirava negli spogliatoi: «Sono arrivata nel tendone per spogliarmi dopo l’arrivo sull’Alpe d’Huez e ero pronta a far festa. Ho visto intorno Demi e le altre e mi sono complimentata con entusiasmo genuino, ma da lei nessuna risposta, anzi sentivo una brutta atmosfera, carica di risentimento. Mi sono cambiata fuori, poi ho saputo che accusavano me di averla fatta cadere e perdere terreno nella quinta tappa, invece tutti hanno visto che non è così.

Il forcing dell’olandese sull’Alpe d’Huez, a dispetto di lancinanti dolori alla schiena
Il forcing dell’olandese sull’Alpe d’Huez, a dispetto di lancinanti dolori alla schiena

Questione di karma…

«Forse però alla SD Worx – ha detto ancora Niewiadoma – dovrebbero pensare che quel che fai poi il destino te lo rende. Io non dimentico quando alla prima edizione si misero a tirare come forsennate per approfittare della caduta della Van Vleuten. Che poi rientrò e batté tutte. Ma tutto torna indietro».

Vollering non ha risposto direttamente, ma ha raccontato scenari sconosciuti di quel che ha passato che ingigantiscono la sua impresa finale: «Quando sono caduta, la bici mi era accanto, eppure c’è voluto almeno un minuto perché riuscissi a ritrovarmi e recuperarla. Non sentivo la gamba – ha raccontato a NRRC – pensavo di essermi rotta l’anca, invece mi ero fratturata l’osso sacro. Tra l’altro sentivo il pantaloncino bagnato, poi ho saputo dal medico che la frattura del coccige provoca il rilascio involontario di pipì.

L’olandese ai mondiali di Zurigo, chiusi al 4° posto con tanta delusione, per lei e i tifosi
L’olandese ai mondiali di Zurigo, chiusi al 4° posto con tanta delusione, per lei e i tifosi

La storia della… capra

«L’ultimo giorno, i dolori erano fortissimi, sul Glandon già sentivo la schiena darmi problemi e quando ho iniziato l’Alpe d’Huez, pensando a quanto mancava ero disperata. Durante la salita non pensavo altro che al dolore, a quando sarebbe finita. E’ stata un’esperienza terribile».

Ora Demi è pronta per ripartire, per formare una nuova famiglia agonistica, in un team che attraverso lei punta al massimo, nelle classiche come nei Grandi Ggiri. Lei ha sfruttato le vacanze per ritrovare serenità fra gli affetti cari, andando in vacanza con il suo fidanzato Jon e facendo anche incontri curiosi come quello con una capra caduta in un pozzo. Lei non ci ha pensato due volte: ha messo da parte la bici e si è calata nella fossa per riportarla su. Perché Demi è anche questo…

Dopo il Giro d’Italia, torna su pista a casa. Kopecky verso Parigi

16.07.2024
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L’AQUILA – Volente o nolente Lotte Kopecky è stata una protagonista assoluta il Giro d’Italia Women. Volente perché sappiamo quanto sia forte e grintosa la belga. Nolente perché neanche lei e il suo clan non si aspettavano una prestazione simile. «Il programma iniziale era un po’ diverso, non credevamo di ritrovarci a dover lavorare in questo modo per questa tappa», ci aveva detto Elena Cecchini al via da Pescara, tappa finale.

Il programma era un po’ diverso sebbene l’iridata fosse venuta al Giro in buona condizione, ma non ottimale. Era venuta, per sua stessa ammissione, con l’obiettivo finale delle Olimpiadi di Parigi. Questo non significa che fosse arrivata in Italia per allenarsi e basta, sia ben chiaro. 

Appena due settimane prima del Giro Women la portacolori della Sd Worx aveva rivinto il titolo nazionale sia a crono che su strada.

L’imperiosa volata di Foligno. Dopo aver perso il primo sprint dalla Consonni, qui Lotte ha vinto con 4 bici di vantaggio
L’imperiosa volata di Foligno. Dopo aver perso il primo sprint dalla Consonni, qui Lotte ha vinto con 4 bici di vantaggio

Obiettivo Parigi

E infatti dopo l’arrivo finale, al netto della comprensibile delusione per la sconfitta impostale da Elisa Longo Borghini, una parte di Kopecky era soddisfatta: «Ho dato il massimo e arrivare così vicina è una testimonianza del duro lavoro della mia squadra e del mio. Sono orgogliosa di ciò che abbiamo ottenuto e questo mi dà grande fiducia per andare avanti e quindi per le Olimpiadi».

«Io non sapevo davvero cosa avrei potuto raccogliere durante questa corsa. E’ andata bene. Ho vinto una tappa, la maglia rossa e ho lottato fino alla fine per la classifica generale.

«Se penso che sono venuta qui per soffrire, per migliorare la mia forma… allora dico di aver avuto successo. Ora sono delusa – ha continuato Lotte nel dopo L’Aquila – avrei potuto vincere il Giro, ma ho bisogno di guardare il quadro in modo più ampio e allora posso dire di tornare a casa con più fiducia».

Kopecky (classe 1995) sui rulli in cima al Blockhaus. La belga era forse la più fresca al traguardo quel giorno
Kopecky (classe 1995) sui rulli in cima al Blockhaus. La belga era forse la più fresca al traguardo quel giorno

Giro in crescita

Analizziamolo quindi il Giro di Lotte Kopecky. Il suo e quello di Longo Borghini sono stati due approcci simili, almeno per quanto riguarda le gare precedenti. Andando a ritroso: campionati nazionali per entrambe, Tour of Britain per Kopecky, Tour de Suisse per Longo, e quindi Giro Women. 

Nonostante il caldo intenso della corsa, che vedeva le ragazze davvero cotte una volta all’arrivo, la belga reagiva subito. Tante volte, specie sul Blockhaus, l’abbiamo vista tagliare il traguardo che stava ancora bene. Si vedeva dal volto, dalla sua determinazione glaciale e dal fatto che dopo pochi secondi era già sui rulli. Emblematico è stato il caso proprio del tappone del Blockhaus.

Tutte, Elisa anche, sono rimaste sull’arrivo, Lotte no. Lei è entrata subito nell’area dietro al palco delle premiazioni a fare scioglimento sui rulli. Segno di una grande lucidità e una grande capacità di recupero.

«Non avevo mai fatto una scalata tanto lunga – ha detto la belga con soddisfazione – questo significa che sto bene».

Kopecky è arrivata con una buona dose di lavoro sulle gambe e all’inizio della corsa rosa non era iper brillante. Poi con il passare delle tappe la situazione si è stabilizzata per tutte e contestualmente sono emerse la sua classe e la sua brillantezza, tanto da vincere a Foligno in volata quasi per distacco. Fino al capolavoro del Blockhaus.

Solo a L’Aquila Lotte ha dimostrato di essere umana anche lei, pagando nel finale gli sforzi del giorno precedente sulle montagne.

Lotte e il suo staff sono rimasti piacevolemte sorpresi dalla prestazione del Blockhaus. «E’ stata più dura del Tourmalet», ha detto il suo diesse
Lotte e il suo staff sono rimasti piacevolemte sorpresi dalla prestazione del Blockhaus. «E’ stata più dura del Tourmalet», ha detto il suo diesse

Kopecky soddisfatta

Il calendario della belga a Parigi sarà piuttosto fitto: farà le due prove su strada e poi si sposterà in pista. Dopo questa mole di lavoro le serve in primis recuperare e trovare l’ultimo colpo di brillantezza. Bisogna che metta la gemma nella corona. Per il resto tutto è stato fatto. E anche bene.

«Come ho detto tante volte – prosegue la belga – ero qui con l’obiettivo primario dei Giochi Olimpici. Io correrò sia su strada che su pista. Ora vado a casa. Farò qualche giorno di riposo e poi dalla prossima settimana (cioè questa, ndr) inizierò un training camp in pista che mi servirà per ritrovare brillantezza e quindi si partirà per Parigi.

«Non andrò in altura (anche perché non ci sarebbe tempo, ndr). Dal punto di vista della mia condizione e di come è andato il Giro d’Italia Women in questo senso sono soddisfatta. Anzi, molto soddisfatta. Penso di essere pronta per Parigi».

Troppa Kopecky per questa Balsamo. Roubaix all’iridata

06.04.2024
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ROUBAIX (Francia) – Se domenica scorsa al Giro delle Fiandre ci aveva colpito lo sguardo di Elisa Longo Borghini prima della partenza, stamattina a Denain quegli stessi occhi li aveva Lotte Kopecky. La campionessa del mondo è sempre molto concentrata e determinata, ma stavolta faceva veramente paura.

Body iridato strettissimo che esaltava ogni fibra muscolare. E quegli occhiali, appoggiati sul casco mentre gironzolava tra il bus e il podio firma, lasciavano intravedere uno sguardo agghiacciante.

«Questo era uno dei grandi obiettivi della stagione – ci ha detto la sua compagna Barbara Guarischi dopo l’arrivo – la volevamo tantissimo e la volevamo con Lotte. Oggi abbiamo corso da squadra vera. Sempre unite, sempre compatte».

Spettri fiamminghi?

Eppure la corsa non sembrava stesse prendendo una piega troppo positiva per la Sd Worx-Protime. Lorena Wiebes faceva fatica e Kopecky, come avevamo già visto nelle ultime gare fiamminghe, continuava a scattare, ma senza fare la differenza. Per poi spegnersi nel finale.

«No – continua Guarischi – la corsa è andata come volevamo. Riscatto? Direi che è vero che qualcosa non ha funzionato bene nelle ultime gare, ma proprio per questo come ho detto prima ci siamo comportate come una vera squadra. Le gambe non sono sempre le stesse e ogni gara ha una storia a sé. Oggi però non ci sarebbe sfuggita. Speravamo di avere Wiebes davanti nel finale, così da far correre più coperta Lotte, anche perché c’erano ragazze molto veloci, ma col senno del poi è andata bene così».

Una volta entrate nel velodromo, tra le “altre ragazze veloci” c’era anche Elisa Balsamo. La sua presenza in quel drappello ci ha fatto sperare che il suo spunto riportasse la Roubaix Femmes in Italia dopo il successo di Elisa Longo Borghini due anni fa. Ma dal bordo della pista abbiamo rivisto lo sguardo feroce, o meglio l’espressione visto che questa volta gli occhiali erano abbassati, di Kopecky.

In questa foto tutta la potenza di Lotte Kopecky
In questa foto tutta la potenza di Lotte Kopecky

Feeling Koepcky

Per un po’ ci è sembrato uno sprint a due: Elisa contro Lotte. Prima della curva finale Balsamo si volta, come cercando Kopecky. L’iridata è dietro, poi sale sulla curva e si butta giù come un falco. Nel rettilineo finale va il doppio delle altre. Dal vivo, e per di più di profilo, questa differenza di velocità è stata stupefacente.

«Oggi mi sentivo davvero bene – ha detto Kopecky – sentivo un grande feeling con la bici, con il fisico e con la squadra. Sono state tutte molto brave. Elena Cecchini mi ha portato in testa nel primo tratto di pavè. Che dire, sono contenta. Tenevo moltissimo a questa gara».

Kopecky è stata una vera sfinge anche quando a 60 chilometri dall’arrivo ha avuto un guasto meccanico. Ci ha messo un secondo a rientrare e a tornare in testa al gruppo. Di nuovo ha mostrato quella sua determinazione famelica.

Marianne Vos in grande spolvero. In tante foto Balsamo le appare vicina
Marianne Vos in grande spolvero. In tante foto Balsamo le appare vicina

Podio d’onore

Dopo il podio, Elisa Balsamo si ferma a parlare con noi. E’ stanca, un po’ felice, un po’ delusa. Una vincente come lei non può gioire del tutto per un secondo posto. Anche se è un secondo posto di quelli pesanti.

«E’ normale che dopo l’arrivo ci sia un po’ di disappunto – racconta con la sua innata gentilezza l’atleta della Lidl-Trekun secondo posto alla Roubaix per ora mi fa pensare che devo credere di più in me stessa. Ad inizio gara non avrei mai detto che sarei stata qui a giocarmela. Vorrà dire che ci riproverò l’anno prossimo».

Balsamo passa poi a raccontare della corsa e di quanto sia stato buono il lavoro della sua squadra. Ormai sempre più una squadra faro. Anche senza le due vincitrici della precedenti Roubaix, Longo Borghini e Deignan, hanno preso in mano la gara e non hanno sbagliato di molto a conti fatti. 

«Voglio dire un grande grazie a tutte le ragazze e ad Ellen (Van Dijk, ndr) in particolare, che oggi è stata davvero forte. Tutte noi abbiamo fatto un ottimo lavoro. E’ stata una corsa molto dura. Nel finale temevamo che rientrasse Wiebes. Per radio ci hanno avvertito che erano a 18”. A quel punto Ellen si è messa a tirare e vedendo che non guadagnavano più, siamo rimaste abbastanza tranquille».

Il vento ha inciso non poco. E La stessa Guarischi, che ha lavorato le prime due ore, ha detto che alla fine proprio il vento ha reso ancora più stressante la corsa ben prima del pavè.

Dopo il piccolo cedimento nel Carrefour de l’Arbre Balsamo si è incollata a Giorgi, poi terza
Dopo il piccolo cedimento nel Carrefour de l’Arbre Balsamo si è incollata a Giorgi, poi terza

Due momenti

Ma torniamo ad Elisa Balsamo. E continuiamo l’analisi della sua Roubaix. Le facciamo notare che ci hanno colpito due momenti in particolare: quando si è staccata nel Carrefour de l’Arbre e quando nel velodromo si è voltata mentre veniva lanciata la volata. Un gesto che abbiamo visto a 4 metri di distanza, non di più. E che sicuramente aveva un significato. Che cercasse proprio Kopecky?

«No – spiega Elisa – in realtà volevo prendere la ruota di Marianne Vos perché pensavo fosse la più veloce. Ma poi si sa: nelle volate dopo una gara così lunga e tosta, non conta tanto chi è più veloce ma chi è più fresco».

Stremata, Balsamo aspetta la compagna Ellen Van Dijk, dopo il traguardo
Stremata, Balsamo aspetta la compagna Ellen Van Dijk, dopo il traguardo

«Per quanto riguarda il Carrefour de l’Arbre invece, quando mi sono staccata, ero semplicemente un pochino oltre il limite. Dovevo per forza mollare un po’. Mi sono gestita». Ecco dunque spiegata anche la sua volata. Una Balsamo con le gambe giuste, tanto più in un velodromo, lei che è anche pistard, non fa uno sprint simile. Era quasi seduta.

Dopo una vistosa scodata in uscita di curva sempre su quel settore di pavè, pensavamo avesse un guasto meccanico, una foratura. Invece è stata questione di gambe. Però anche in quel frangente Elisa si è mostrata campionessa. Non è andata nel panico. Si è voltata, ha visto Giorgi risalire forte e si è fatta bastare quella manciata di secondi per “recuperare”.

50 vs 52

Le abbiamo anche chiesto se la sua scelta di usare la monocorona da 52 denti non sia stata troppo azzardata, rispetto alla 50, sempre mono, di Kopecky. Come a dire che quei due denti in più le avessero un po’ “cucinato” le gambe. 

«No, no – spiega Elisa – col senno del poi credo fosse la scelta giusta, come per tutti gli altri materiali. La squadra ha fatto un grande lavoro in questi giorni anche in questo senso. Sono assolutamente contenta di questa scelta».

E a proposito di materiali, va segnalato che proprio Lidl-Trek e Sd-Worx sono state le uniche squadre a portare al traguardo sei atlete su sette, piazzandone due nelle prime dieci. Come tra gli uomini, più si alza il livello, più certe differenze sono marcate.

Kopecky è la Van Aert delle donne? Lo chiediamo a Bastianelli

16.02.2024
6 min
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Lotte Kopecky è la Wout Van Aert delle donne? Ormai affermalo non è più così un azzardo. La belga della Sd Worx oltre a vincere le classiche, qualche corsa veloce e ad essere una donna squadra, ci sta abituando ad andare anche molto forte in salita. Esattamente come il suo illustre connazionale. Entrambi fanno una doppia attività, uno il cross, lei la pista.

Ma se il nostro parere può essere corretto finché si parla di risultati, per far sì che trovi un riscontro tecnico ha bisogno anche di un parere più “tecnico”da dentro”. E chi meglio di Marta Bastianelli, delle Fiamme Azzurre, ce lo può dare? L’atleta laziale ha corso fino a pochi mesi fa ed è notizia freschissima che da quest’anno lavorerà accanto al cittì Sangalli. Conosce tutte le ragazze del gruppo e ha un’esperienza unica. Proprio con Kopecky tra l’altro ha battagliato in molte classiche e le loro caratteristiche non erano poi così differenti.

Quindi Marta, cosa ne pensi. E’ azzardato il nostro paragone tra Kopecky e Van Aert? 

No, no… Lotte è cresciuta molto, non solo dall’anno scorso. Era già una grande atleta. Fino a qualche tempo fa aveva sempre corso “da sola”, in quanto era in squadre più piccole tipo la Lotto, era più difficile per lei mettersi in mostra.

Van Aert fa terzo ad Hautacam, Pirenei, al Tour. Kopecky lo scorso anno è andata forte sul Tourmalet e quest’anno ha vinto in salita…

E quello è stato uno step. Partiamo dal fatto che è una grande atleta. Ha un grande motore. E’ indiscutibile. Sicuramente ha lavorato tanto per migliorare anche in salita. Ma poi c’è un’altra cosa da dire: lei, complici anche gli Europei in pista, sta attraversando un periodo di grande forma. E questo, soprattutto in questa fase della stagione, le consente di fare una grande differenza contro atlete che sono alla prima gara della stagione.

Tiene meglio le botte di acido lattico, chiaro…

Esatto. E c’è un’altra cosa da dire. Quella salita all’UAE Tour, analizzandola da Marta, quindi da non scalatrice, è stata fatta in maniera che lei potesse rimanere a ruota. Se fossi stata io al suo posto, in estrema forma, probabilmente l’avrei retta anch’io. E’ stata fatta ad una velocità controllata, con dei wattaggi sicuramente altissimi, ma regolari. Wattaggi che a ruota, un’atleta in grande condizione riesce a tenere. Ciò non toglie che comunque sia migliorata tanto in salita, altrimenti non vai forte in quel modo sul Tourmalet. Però penso che se al UAE Tour fossero salite con scatti e controscatti, avrebbe sofferto un pochino di più.

Insomma che Kopecky vada così forte anche in salita, per te non è poi così una sorpresa?

No, l’ho sempre detto che era una grandissima atleta. Non a caso è la campionessa del mondo. Ha vinto la corsa iridata praticamente da sola… E anzi, mi viene da pensare che tutto questo sia soltanto l’inizio. Gli altri anni andava forte sui “suoi” percorsi, altrove tirava subito i remi in barca. Io almeno l’ho sempre vista così e di conseguenza non conosco i suoi limiti e fino a che punto possa arrivare. Mi aspetto che possa comunque migliorare ancora di più in salita. Tuttavia mi viene anche da pensare che perderebbe un po’ di esplosività.

Marta Bastianelli a ruota di Lotte, era il Fiandre 2023
Marta Bastianelli a ruota di Lotte, era il Fiandre 2023
Secondo te è dimagrita un po’ per fare questi exploit anche in salita?

Sì, l’ho vista molto bene fisicamente già dallo scorso anno, però non è quel quel magro da spaventarsi. E’ un magro bello da vedere, un magro definito. Lei a livello personale è sviluppata bene anche mentalmente: ha seguito una linea precisa, equilibrata e di conseguenza il fisico le ha risposto immediatamente. Sì, fisicamente c’è e la vedo molto bene.

La vedi anche per le corsa a tappe a questo punto?

Credo di sì. Però se fossi in lei non ci insisterei. Non starei a concentrami sui grandi Giri, quelli da 10 giorni, ma più sulle corse di 3-4 tappe, che poi saranno sempre di più. Mi sembrano più adatte alle sue caratteristiche. Poi è ovvio, se un giorno volesse puntare al Tour Femmes, è in una squadra che le può permettere tutto, tanto più che non deve più scontrarsi con la Van Vleuten. Ma non starei snaturami troppo.

In genere le grosse trasformazioni, quando le abbiamo viste, non sono andate benissimo…

Anche Van Aert o Van der Poel, vanno forte dappertutto, ma poi restano loro stessi quando davvero devono puntare. Van Aert ha quelle caratteristiche che si adatta un po’ a tutto, perché è un grande campione, ma non si stravolge. Migliorare sì, diventare una scalatrice no. Secondo me non avrebbe senso.

Tanto più che il livello nelle donne si sta alzando e la specializzazione è sempre più. Inevitabile…

Un’atleta che ha fame di risultato vuole andare bene ovunque. Io anche ero così. L’anno che ho vinto il Fiandre, facevo le volate, volevo arrivare tra le prime tre nella tappe al Giro, però ad un certo punto mi sono resa conto di dover essere carne o pesce. 

UAE Tour: verso Jebel Hafeet ritmi alti ma regolari. Kopecky resta a ruota e nel finale sfodera la sua potenza
UAE Tour: verso Jebel Hafeet ritmi alti ma regolari. Kopecky resta a ruota e nel finale sfodera la sua potenza
Marta, prima hai detto: «Lotte è in una squadra che le consente di fare tutto». Quanto conta davvero il team nella sua situazione? E quanto incide la competizione interna?

Parliamo di una grande squadra che la pensa in un modo molto simile ad un team maschile a partire dai materiali, dall’allenamento, dall’alimentazione, dalla nutrizione. La Sd Worx non lascia nulla al caso. Lavora tanto e ci crede tanto. Dalla prima all’ultima atleta. Mi ricorda un po’ la Quick Step dei tempi d’oro che, al netto di alcune situazioni particolari, aveva gli atleti più forti e vincere per loro era più facile. 

Cosa ti aspetti dal 2024 di Kopecky? Le Olimpiadi saranno un cardine per lei?

Mi auguro per che possa essere un anno da godersi nel migliore dei modi con la maglia da campionessa del mondo. E che si tolga tutte le le soddisfazioni possibili con quella maglia. L’Olimpiade è una gara strana per tutti, abbiamo visto cosa è successo a Tokyo. La gara è più difficile da gestire e nessuno vuole andare a chiudere. Ci sono situazioni che vanno oltre la prestazione e la forma fisica, quindi vedremo. Di certo quello di Parigi è un percorso che si adatta parecchio alle sue caratteristiche, così come alle caratteristiche delle italiane. Ora stiamo parlando di Lotte e non vado fuori tema, ma ci tengo a dire che le azzurre non sono da meno in questo anno così importante. Spero possano togliersi e farci togliere, grandi soddisfazioni

Tu ci hai corso di fianco in gruppo: Lotte è una leader come Van Aert?

E’ stata sempre un’atleta eccezionale. Nei miei confronti ha sempre portato tanto rispetto. Veniva a salutarmi, a chiedermi questo o quello e anche quando ho smesso mi ha scritto. E questo è bello perché mi rendo conto che oltre i risultati, rimane molto la persona che sei stata.

Da un punto di vista tecnico invece hai notato delle differenze rispetto a qualche tempo fa? Magari pedala più agile. Ha alzato la sella…

Lotte ha un colpo di pedale che ha preso tanto dalla pista. E’ molto agile. Almeno così l’ho vista in questa gara all’UAE Tour anche in salita. Ma era una caratteristica che aveva anche in passato e in altre corse. In generale è leggera. La vedo molto bene in bici. La vedo proprio se stessa.

Cecchini, la vita da atleta è un mosaico di mille attenzioni

10.01.2024
5 min
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Prima Persico e Consonni. Poi Bertizzolo, Gasparrini e Bertogliati. Infine il cittì Paolo Sangalli. Ci serve un parere a confutazione: bussiamo alla porta di Elena Cecchini. Da più parti arriva la conferma di come il ciclismo femminile stia aumentando le intensità e le percorrenze, con crescente pressione sulle ragazze, spinte ad aggiungere attenzioni ed elementi alla loro professionalità. In qualche modo si ha la sensazione che mentre le più esperte siano pronte per fronteggiare l’incremento, le giovani rischino di scottarsi la mano. Bertogliati ad esempio non è certo che tutte le ragazze siano pronte per arrivi impegnativi come Tourmalet, Alpe d’Huez e Block Haus.

Fra le squadre il divario è palese e allora abbiamo chiesto un parere alla friulana, punto di forza della SD Worx che nel 2023 ha dominato in lungo e in largo, dimostrando di non avere problemi nel gestire alti carichi di lavoro. Per i quali peraltro, come ci avevano raccontato Barbara Guarischi e poi la stessa friulana, si allenano con attenzione certosina. Che cosa pensa Elena delle osservazioni che abbiamo raccolto?

«Oltre alla distanza e alle ore – ragiona ad alta voce – cresce anche l’intensità durante la gara. Le classiche di inizio stagione sono estenuanti, perché alle tre ore e mezza o anche quattro ore di gara si unisce il fatto che non c’è mai un momento tranquillo. Noi in squadra facciamo volume, ma ancora più importante è l’intensità. Puoi fare 5-6 ore in bici una volta ogni dieci giorni o due volte al mese, però sicuramente non deve essere quella la base dell’allenamento».

Guarischi, qui proprio con Cecchini e Wiebes, è arrivata nel 2023 alla SD Worx e ha notato subito la differenza nei carichi di lavoro
Guarischi, qui proprio con Cecchini, è arrivata nel 2023 alla SD Worx e ha notato subito la differenza nei carichi di lavoro
Sofia Bertizzolo dice che proprio a causa dell’indurirsi delle tappe, le atlete di classifica non potranno lottare ogni giorno anche per le tappe, lasciando via libera alle fughe. Secondo te è possibile?

Dipende tanto da come sono disegnate le gare a tappe. Al Giro del 2021, la Van der Breggen attaccò il secondo giorno, diede tre minuti a tutti e poi tirò i remi in barca fino all’ultima tappa, perché il percorso le permise di risparmiarsi. Al Tour dell’anno scorso invece non c’erano molte situazioni di risparmio, per cui la fuga può anche andare, ma se si muove una di classifica, non puoi restare a guardarla. Perlomeno, se anche non vuoi attaccare in prima persona, devi seguirla. E poi non dimentichiamo che certe dinamiche sono possibili per gli uomini perché loro hanno 20 giorni di gara. Noi nei grandi Giri ne abbiamo 7-8, per cui se sei in una condizione fisica impeccabile, qualche volta puoi anche permetterti di sprecare.

Hai la percezione dell’accelerazione di cui parla Bertogliati?

La percepisco e vedo che non è una crescita omogenea, come penso non ci sia quasi in nessun altro ambiente. Se guardiamo anche altri sport, vedi quelli super attrezzati e quelli che a livello individuale fanno più fatica. Probabilmente dipende dal fatto che il bacino è limitato, le ragazze non sono abbastanza. C’è una grande richiesta a livello di gare, ma fra le squadre c’è una forte disparità tra le migliori al mondo e quelle che stanno cercando di diventarlo. Non si può fare tutta l’erba un fascio, perché secondo me le donne si impegnano sempre, specie adesso che a livello salariale iniziamo ad avere buoni riscontri. Ora una ciclista sa che può vivere di quello e cerca di farlo al meglio. Per cui nella mia squadra vedo che le giovani iniziano a guadagnare e non hanno problemi a investire per andare in altura oppure al caldo d’inverno, per arrivare alle gare nella miglior condizione possibile.

Niamh Fisher-Black è arrivata alla SD Worx nel 2022 a 21 anni e si è subito ambientata. Qui vince allo Svizzera 2023
Niamh Fisher-Black è arrivata alla SD Worx nel 2022 a 21 anni e si è subito ambientata. Qui vince allo Svizzera 2023
C’è il rischio che per ampliare il bacino si rischi di premere troppo sulle più giovani?

Credo che le ragazze giovani vengano comunque rispettate, anche se chiaramente dipende dalla squadra. Se ha atlete esperte, può permettersi di non fare pressione sulle ultime arrivate. Ma io sono del parere che prima inizi a fare esperienza e meglio è. Per cui benengano i development team, però noi abbiamo avuto ragazze come Fisher Black o la Schakley che sono passate dagli juniores e dopo un solo anno erano con noi e si sono adattate benissimo. Hanno capito come funziona. Non abbiamo la fretta degli uomini, in cui a 18-19 anni devi essere già pronto e se non vinci, non sei nessuno, come purtroppo pensano in tanti. Nelle donne, visto il tipo di corse e di attività, prima di capire se una ragazza ha dato tutto oppure ha margini, si possono aspettare anche i 24-25 anni.

Tutto questo innalzamento di prestazioni ha avuto un impatto sulla quotidianità di Elena Cecchini?

Sicuramente, ma quella che è cambiata è stata in primis la vita a casa, non solo in ritiro. Le squadre si sono attrezzate, abbiamo tutte delle nutrizioniste, delle chef, abbiamo il dottore a casa. La cura del dettaglio e dell’alimentazione è fondamentale, ma anche quanto dormi. L’allenamento di per sé è l’ultima cosa ed è anche quella più facile per noi atleti. Sei talmente tanto abituato a stare in bici, che fare un’ora di più non ti pesa.

All’attacco ai mondiali di Glasgow, Cecchini riceve ordini dal cittì Sangalli, fermo a bordo strada
All’attacco ai mondiali di Glasgow, Cecchini riceve ordini dal cittì Sangalli, fermo a bordo strada
Questo rende più facile, tra virgolette, fare l’atleta o lo rende più impegnativo?

E’ un equilibrio. Secondo me ci sono delle giornate in cui te lo rende più facile, sei più predisposto e magari hai il piano alimentare o un protocollo da seguire. Per esempio io lavoro con Erica Lombardi e per me è molto facile avere questo equilibrio. Ma quando ci sono giornate in cui le dico che voglio fare di testa mia, lo faccio senza problemi. Non dimentichiamoci che la componente più importante rimane sempre la testa. E se ci sono giorni in cui una cosa non la vuoi fare, non la fai. E’ salutare e importante trovare sempre un equilibrio e soprattutto circondarsi di gente che capisca che non siamo delle macchine, ma siamo degli esseri umani. Nonostante le distanze superiori e le salite impossibili, rimaniamo degli esseri umani.

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Persico, nuove figure e un inverno inedito per ripartire più forte

17.11.2023
6 min
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Tirare troppo la corda, anche quando si arriva da un buon periodo, rischia di produrre un effetto boomerang sugli impegni successivi. Il ciclismo attuale non regala nulla a nessuno e se si vuole restare in scia ai treni più veloci, ogni tanto si deve scendere a qualche compromesso. Se n’è accorta Silvia Persico che non ha mai mancato di dirci quanto fosse arrivata stanca oltremodo a fine stagione.

La bergamasca del UAE Team ADQ si è divisa tra club e nazionale, tra ciclocross, strada e gravel indossando sempre le vesti da leader. La sua generosità l’ha portata a vincere e cogliere piazzamenti di rilievo, ma anche a chiudere il 2023 con l’esigenza di dover ricaricare le batterie psicofisiche in maniera totale per poter iniziare la prossima annata al meglio, grazie anche a nuove figure. Persico è in una fase invernale inedita, nella quale dovrà rinunciare a qualcosa. Tutto finalizzato per stare più spesso assieme alle big con cui ha dimostrato di saper duellare. L’abbiamo sentita per conoscere quali sono i suoi programmi.

Magnaldi e Persico alla presentazione dei due Tour. Uno dei tanti impegni istituzionali cui partecipare (foto UAE Team ADQ)
Magnaldi e Persico alla presentazione dei due Tour. Uno dei tanti impegni istituzionali cui partecipare (foto UAE Team ADQ)
Silvia come stai trascorrendo questo periodo di off-season?

Con molta più calma rispetto agli anni precedenti anche se non sono mancati gli impegni istituzionali. Sono stata al bootcamp della squadra ad Abu Dhabi, poi a Parigi per la presentazione del Tour, infine ho fatto un po’ di vacanze tra Spagna e Malta. Ho ricominciato da poco più di una settimana con palestra, qualche pedalata e corsetta a piedi. Mi ci voleva proprio uno stacco di un mese senza bici.

Praticamente non ti era mai successo prima.

Esatto, ho sempre fatto un breve periodo di riposo e ricominciavo col ciclocross. Bisogna dire però che fino a due anni fa era una attività meno intensa di quella di adesso, anche se io ho sempre dato il massimo. Però quest’anno all’inizio ho fatto molta fatica e ad un certo punto non vedevo l’ora che finisse il 2023 perché ero molto stanca. Mi sono portata addosso un accumulo di stress iniziato lo scorso dicembre.

Non hai pensato che potevi chiudere in anticipo la stagione o mollare un po’ in qualche occasione?

Sì, avrei potuto, ma non è nella mia indole. Quando mi prendo un impegno, voglio sempre dare il massimo. Adesso mi rendo conto che la mia stagione è stata condizionata da questo. A fine gennaio al mondiale di ciclocross (dove ha chiuso quarta, ndr) stavo bene, ma subito dopo no. C’era il UAE Tour, la corsa di casa per la nostra squadra, e ho voluto accelerare i tempi per riprendermi. Sforzo che ho pagato dopo anche se laggiù ho chiuso terza nella generale. E’ stata un’annata strana, fatta di alti e bassi.

Ti aspettavi di più?

Onestamente sì, visto che venivo da un bel 2022. I risultati non mi sono mancati, ma non mi sentivo soddisfatta. Ho fatto un periodo nelle classiche col quarto posto al Fiandre e la vittoria alla Freccia del Brabante, però avvertivo un principio di stanchezza. Infatti le Ardenne le ho sofferte un po’ di più e alla Vuelta ho chiesto di non essere la leader. In estate sì, mi aspettavo di fare qualcosa in più, anche se sono molto contenta, ad esempio, di aver aiutato Erica al Giro Donne a curare la classifica (Magnaldi chiuderà quinta e Persico ottava, ndr). L’Italiano perso al fotofinish brucia, ma so che ci può stare. Ad agosto invece ero saltata di testa, mentre a settembre ho recuperato un po’ per gli ultimi appuntamenti (quinta al Romandia e all’europeo, ndr). Ho chiuso col mondiale gravel con lo spirito di divertirmi (finirà comunque seconda, ndr).

Nonostante tutto, hai ottenuto una vittoria e quattordici top five dimostrando che sei sempre stata davanti. Qual è la ricetta per trasformare quei piazzamenti in qualcosa di più?

Ci sono tanti dettagli che si possono migliorare. Devo prendere spunto dagli errori di quest’anno per evitare di commetterli ancora. Credo che fare un inverno più tranquillo possa tornarmi utile in termine di energie totali. Il cross al momento non rientra nei miei programmi. Sicuramente so che c’è da lavorare tanto e incrementare le ore di allenamento, curando maggiormente alimentazione e stretching. C’è anche un aspetto psicologico. Ad agosto ho iniziato un percorso con Manuela Ansaldo, una mental coach di Roma, per lavorare principalmente sulla Silvia persona prima della Persico atleta. E poi ho cambiato coach.

Racconta pure.

Quest’anno la squadra ha deciso che noi ragazze non potevamo essere più seguite da chi era anche diesse. Quindi dopo otto anni non mi allenerà più “Capo” (Davide Arzeni, ndr) e mi spiace perché era stato lui a non farmi smettere di correre tanto tempo fa. In compenso però conosco già il nuovo preparatore, Luca Zenti, che era nel nostro staff e con cui avevo lavorato per un periodo ristretto. Mi ha già dato tabelle interessanti anche nella corsa a piedi, che è quella che mi aiuta più di tutte a rilassarmi e scaricare tutto. Credo che sia giusto cambiare ogni tanto, perché può essere tanto stimolante.

Persico esulta ed SD Worx battuta. La Freccia del Brabante è sua grazie a sangue freddo e volata di rimonta.
Persico esulta ed SD Worx battuta. La Freccia del Brabante è sua grazie a sangue freddo e volata di rimonta.
Quali sono gli obiettivi della nuova Silvia Persico per l’anno prossimo?

Quello principale è guadagnarsi un posto per le Olimpiadi, poi fare un calendario più mirato. Più Fiandre che Ardenne, quantomeno per fare risultato. Vedremo come sarà il Giro d’Italia Women ma so già che vorrei correre il Tour Femmes per puntare alle tappe, perché sarà quasi impossibile per me fare classifica visto il percorso. Poi vorrei fare anche quelle gare di livello inferiore per staccare un po’ mentalmente. Sicuramente quest’anno la SD-Worx aveva una marcia in più, però per ridurre il gap con loro bisogna fermarsi, rifiatare e non farsi prendere dalla foga. Al Brabante l’ho fatto ed è andata bene. Il punto di partenza è quello.

Cecchini stregata dal gravel, per “colpa” di Pontoni!

08.11.2023
5 min
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«Caro Daniele mi hai fregato!». E’ questa la battuta che Elena Cecchini ha rivolto al cittì del cross – e del gravel – Daniele Pontoni. Una battuta che si riferiva proprio al gravel, specialità dalla quale l’atleta della  SD Worx sembra sia rimasta stregata.

I fatti. E’ estate e Pontoni chiede ad Elena se le va di provare il gravel. In palio dapprima la maglia azzurra agli europei e poi forse anche quella per i mondiali. Gli appuntamenti arrivano a fine stagione e Cecchini accetta. Curiosità, e il fatto di non fermarsi troppo presto per lo stacco invernale, inducono la friulana ad accettare. Da quel momento si apre un mondo.

Due friuliani in foto: Cecchini con il cittì Pontoni. Amicizia di lungo corso ma prima esperienza di lavoro insieme
Due friuliani in foto: Cecchini con il cittì Pontoni. Amicizia di lungo corso ma prima esperienza di lavoro insieme
Elena, e così Pontoni ti ha fatto innamorare del gravel, ti abbiamo visto pedalare sullo sterrato anche dopo questi due appuntamenti in azzurro…

Diciamo che mi è piaciuta tutta questa cosa! Le cose sono andate così: durante l’inizio dell’off-season volevo fare un’uscita e ho deciso di farla in gravel. Io ho fatto la mia primissima esperienza con questa disciplina giusto in Belgio, per l’Europeo. Lì c’erano anche i cugini De Marchi. Così ho chiesto a loro se in Friuli c’erano dei bei percorsi per fare gravel. 

E loro?

Mi hanno risposto: «Sì, sì… è bellissimo, abbiamo dei percorsi stupendi». In quei giorni ero ad Udine e così mi sono scaricata una traccia di una sessantina di chilometri e sono andata. Mi sono divertita molto. Ho intersecato spesso le strade che facevo su strada, ma con queste deviazioni gravel.

Quindi si può rifare?

Sì, sì… Alla fine la verità è che questa specialità è arrivata nel momento giusto. Ero a fine stagione, io dovevo comunque risalire in Olanda per fare alcune cose con la squadra e l’europeo non era troppo distante. Da sempre ho fatto solo strada e pista e non sapevo quanto questo potesse aiutarmi. Ma Barbara Guarischi, che è in squadra con me, mi ha detto di venire, di provare, che ci saremmo divertite. Lei aveva fatto questa esperienza anche lo scorso anno (era la tricolore in carica, ndr). Così mi sono ritrovata a debuttare all’europeo. Ed è stata una tra le gare più dure che abbia fatto in vita mia per l’intensità con cui si è corso.

Esordio col botto per Cecchini, terza all’europeo alle spalle della compagna di club Wiebes (prima) e della crossista Fem Van Empel (seconda)
Esordio col botto per Cecchini, terza all’europeo alle spalle della compagna di club Wiebes (prima) e della crossista Fem Van Empel (seconda)
Per il prossimo anno pensi che potresti valutare qualche evento?

In effetti ho dato uno sguardo al calendario, perché con il ranking se sei messa bene in classifica parti più avanti e questo ti consente di fare un grande sforzo in meno. Se in primavera o in qualche momento idoneo della stagione si potrà fare qualche gara magari ci si potrà organizzare.

Quindi l’interesse c’è…

Vediamo! La squadra ha dato l’okay. Specialized chiaramente è interessata, nessuno ci ha messo i bastoni tra le ruote, abbiamo tutte una certa libertà. E poi ho notato che è un ottimo allenamento per la strada: si fa parecchio endurance, perché comunque le gare durano ore, ma con tanta intensità. Un’intensità così prolungata non è cosa da poco. E ancora dico che in generale mi è piaciuto moltissimo. Mi è piaciuto anche l’ambiente.

Cioè?

E’ stato anche bravo Pontoni secondo me. Conosco Daniele da una vita, anche se non avevo mai lavorato con lui. E credo che lui si stata la chiave di volta di tutto. In nazionale si respirava davvero un clima di divertimento, pur mantenendo quella serietà necessaria visto che in palio c’erano delle medaglie. Pontoni ha creato un bel gruppo, nonostante fosse molto eterogeneo: c’erano stradisti, biker, crossisti… Forse ci ha aiutato anche il fatto che la componente friulana era corposa. Ma nel complesso tutti ci siamo divertiti tantissimo.

Anche tecnicamente Elena potrà trarre vantaggio da questa specialità (foto Instagram)
Anche tecnicamente Elena potrà trarre vantaggio da questa specialità (foto Instagram)
Insomma ci sono aspetti fisici e tecnici importanti in tutta questa vicenda. Ci puoi dire la cosa che ti è piaciuta di più in tutta questa nuova avventura?

Mi è piaciuto il fatto che da tanto tempo non riuscivo a divertirmi così in gara. Mi spiego: correndo solo su strada sei più concentrata, hai inevitabilmente qualche pressione in più. Queste volte invece sono stata più spensierata. Se sbagliavo una curva non era un dramma, non era un problema. Su strada questo non sempre è possibile in quanto è il mio lavoro. Ma questa esperienza mi insegnato questo nuovo approccio mentale alla gara.

Quindi agli aspetti fisici e tecnici dobbiamo aggiungere anche quelli mentali. E invece una cosa che non ti è piaciuta?

Non mi è piaciuto il fatto che si tratta di corse ufficiali in cui si assegnano maglie e medaglie e dopo 3 minuti partono atleti uomini “non-pro”. Ciclisti senza una licenza da professionisti, che poco dopo si sono mischiati nella nostra corsa. A quel punto per tutte noi si è trattato di sopravvivere alle loro ruote. Per fortuna al mondiale eravamo solo donne e infatti è andata meglio, anche da un punto di vista tattico. C’è stata una gara più lineare. Almeno so che l’UCI ci sta lavorando. Di certo questo gravel è una disciplina coinvolgente e che attira tante persone.

Dettagli, pazienza, fortuna: la via di Bastianelli per tornare al top

04.11.2023
7 min
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«No, non credo che mi mancheranno i ritiri. Vi giuro di no. Sono stata ad Abu Dhabi con la squadra – racconta Marta Bastianelli – e sono stata benissimo. Abbiamo fatto la festa di chiusura che chiamano Bootcamp ed eravamo tutte lì. C’erano le ragazze che venivano dalla Cina, qualcuna non era potuta andare in vacanza e sarebbe partita subito dopo. Mi sono un po’ rivista in loro e ho riconosciuto lo stress che per un’atleta è all’ordine del giorno. Stavano già pensando ai raduni, alle gare, ai calendari. E guardandomi intorno mi sono detta che tutto quello non mi mancava. Magari è un momento, sicuramente avrò un po’ di nostalgia, vedremo come sarà…».

Con il UAE Team ADQ ai Bootcamp di Abu Dhabi, per Marta Bastianelli un bel modo di salutare la sua squadra
Con il UAE Team ADQ ai Bootcamp di Abu Dhabi, per Bastianelli un bel modo di salutare la sua squadra

Sempre a mille

Marta dice tutto d’un fiato. Il primo inverno da non atleta – anche se questo risulterà il suo status fino al 31 dicembre – lo sta trascorrendo tra tributi, feste, premiazioni e anche il ritiro di Abu Dhabi del UAE Team ADQ con cui ha chiuso la carriera. Perciò in realtà le possibilità di fermarsi per ora sono state poche e non aumenteranno certo con l’inverno.

«Tra una cosa e l’altra – racconta – sono sempre a mille. Ho fatto tantissime feste, premiazioni a destra e anche a sinistra. Seguo Clarissa più di prima nelle sue tante attività. E’ una vita nuova e bella, per certi versi da scoprire. Come atleta, vivi in una bolla e tutto gira attorno alla tua attività. Quando però finisce, scopri che c’è anche l’ordinario della vita normale che è bello da seguire, specialmente per chi ha una famiglia».

Il Giro d’Italia è stato l’ultima corsa di Marta Bastianelli in maglia UAE Team Adq
Il Giro d’Italia è stato l’ultima corsa di Marta Bastianelli in maglia UAE Team Adq
Quindi non pensi che quando cominceranno i ritiri ti verrà un po’ di magone, a posto così?

La cosa che ultimamente mi pesava di più era proprio viaggiare, stare fuori tanto tempo. Poi col fatto che abitiamo in una posizione un po’ scomoda rispetto agli aeroporti, ogni volta per partire c’era da fare due ore e mezza di macchina. Al rientro si faceva sempre notte e tutto questo, sommandosi, cominciava a pesare. Il resto era il lavoro, una cosa che mi è sempre piaciuta. Perciò diciamo che per il momento non mi manca nulla, ma se succederà non ci sarà da stupirsi e sarà anche giusto. In fondo la bicicletta è stata la mia vita.

La tua ultima corsa è stata il Giro d’Italia: poi sei riuscita a osservare e valutare la stagione e il movimento femminile?

Una stagione sicuramente a livelli molto alti. Non ho fatto il Tour Femmes perché l’anno scorso ho visto che in Francia c’era stato uno switch nel livello delle prestazioni. Fu un passo ancora più avanti, si era alzata l’asticella e a detta di tutte le atlete con cui ho parlato, il Tour è stato di nuovo il palcoscenico per far capire la crescita del movimento. Mi hanno raccontato che il livello è stato veramente notevole: medie altissime, tensione a mille. Anche il Giro è stato una grande corsa, io poi l’ho vissuto in maniera molto più tranquilla rispetto all’anno scorso, però il Tour credo sia stato il passaggio per fare il punto di tutta la stagione.

Nei panni di opinionista con Giulia Cicchinè e Ilenia Lazzaro, Marta Bastianelli ha commentato su Eurosport una tappa del Tour Femmes
Nei panni di opinionista con Giulia Cicchinè e Ilenia Lazzaro, Bastianelli ha commentato su Eurosport una tappa del Tour Femmes
Cosa hai visto?

Il 2023 è stato dominato dalla SD Work, da campionesse come Vollering e Kopecky. Sono ragazze con uno storico importante. Anche negli anni scorsi, Kopecky l’ho sempre vista come un’atleta forte, quindi per me i suoi risultati sono stati una conferma. Stesso discorso per Demi Vollering. La gente si chiede quanto vadano forte, ma secondo me bisogna guardare anche le individualità. Marlene Reusser era con me alla Alé-Cipollini. Era fortissima, ma non sapeva correre. Nel momento in cui ha imparato, è diventata la campionessa che tutti vediamo.

Si è capito anche che interpretano il ciclismo a un altissimo livello di professionismo.

Sicuramente hanno un contesto di squadra che le porta ad essere professioniste in tutto e per tutto, un po’ come la Deceuninck di qualche anno fa, che vinceva tutto. Però bisognava capire come lavorassero dietro le quinte, come si allenassero, chi li seguiva. Ormai anche nel nostro movimento nulla è più scontato. Quasi tutte le squadre sono super organizzate, investono tantissimo. Vedo che la mia ci mette a disposizione tutto e anche di più. Nella SD Worx si sono ritrovate cinque delle migliori al mondo. Sono certa che tra qualche anno ritorneremo in alto anche noi, perché l’Italia è sempre stata la nazionale di riferimento.

Demi Vollering e Lotte Kopecky: due grandi talenti che nel 2023 hanno monopolizzato la stagione
Demi Vollering e Lotte Kopecky: due grandi talenti che nel 2023 hanno monopolizzato la stagione
Insomma, struttura, soldi e soprattutto talento?

Esatto. Se ti alleni insieme a loro, se mangi con loro, ti accorgi che queste ragazze sono talenti come ne nascono raramente. E’ come se avessero messo cinque Pogacar nella stessa squadra. Hanno la semplicità tipica di chi certe cose le fa naturalmente, in più sono nelle condizioni di lavorare insieme nel modo più professionale. Magari al loro interno qualche momento di tensione ci sarà, ma sono bravissime ed è bravissimo chi le guida.

In che modo le altre possono batterle?

Lavorando allo stesso modo, con la struttura giusta, avendo pazienza e senza lasciare nulla al caso. Credo che usciranno di certo altre giovani e cresceranno bene. Per cui il primo passaggio è lavorare nel migliore dei modi. E se loro per vincere fanno 10, le altre dovranno fare 15 per arrivare allo stesso livello. In Italia ad esempio abbiamo atlete di primissimo livello, che possono vincere sui traguardi più prestigiosi. A volte però serve anche avere un po’ di fortuna.

L’Italia ha grandi talenti inseriti in grandi squadre: per Marta Bastianelli si può ancora vincere, ma serve anche la fortuna mancata nel 2023
L’Italia ha grandi talenti inseriti in grandi squadre: si può vincere, ma serve anche la fortuna mancata nel 2023
E’ un problema che non ci siano più squadre WorldTour italiane?

Secondo me, le nostre ragazze restano forti in qualunque squadra le metti. Questa è una considerazione personale, ma il nostro mondo è diverso dal maschile. La donna prima di tutto deve essere tranquilla di testa. Non deve mettersi a pensare ai soldi che guadagnerà, ma deve avere intorno la tranquillità legata alla squadra e alle compagne con cui lavora: il resto viene dopo. Quindi secondo me le nostre atlete, messe nella squadra giusta, possono lavorare ugualmente bene e i risultati lo hanno dimostrato. Però è vero che a livello di gruppi sportivi sta succedendo come nel maschile, per cui i piccoli fanno tanta fatica a rimanere in vita. Le gare che fanno sono sempre di meno e sono sempre limitate e di questo mi dispiace. Sicuramente per crescere qualcuno ha bisogno di fare ciclismo in modo meno esasperato. Ormai invece si sta mondializzando tutto e per queste squadre più piccole la vedo dura, come per le continental maschili.

Che effetto ti hanno fatto tante premiazioni e manifestazioni di affetto?

Mi hanno invitato al Giro d’Onore e sono molto fiera che la Federazione mi riconosca questo premio come ha fatto il Coni attraverso le Fiamme Azzurre (in apertura con Giovanni Malagò, nella foto di Claudio Peri, ndr). Non amo incensarmi, ma ne vado veramente fiera. Sicuramente non possiamo piacere a tutti, però ho avuto un bel ritorno per la mia carriera e mi auguro che in qualche modo anche io potrò ricambiare e restituire il tanto che ho ricevuto.

A Notaresco, che l’ha adottata, Marta ha ricevuto dal sindaco Di Gianvittorio la Cittadinanza Onoraria
A Notaresco, che l’ha adottata, Marta ha ricevuto dal sindaco Di Gianvittorio la Cittadinanza Onoraria
Quante volte sei uscita in bici dal Giro in avanti?

Questa è una cosa stranissima. Da quando ho smesso, la bici da strada non ho voluto più vederla per due mesi almeno e non so perché. Quasi me la sono presa con lei. Facevo lunghe camminate e poi andavo anche in mountain bike. Ho ripreso a usarla da poco. Non vado ovviamente tutti i giorni, la uso in modo diverso e ho scoperto che andando senza stress, mi diverto di più.

SD Worx imbattibile? Cecchini ci spiega come lavorano

02.10.2023
5 min
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Elena Cecchini ci ha portato di nuovo nel mondo della SD Worx, lo squadrone WorldTour del ciclismo femminile. Se quest’anno il faro tra gli uomini è stata la Jumbo-Visma, la stessa cosa ha fatto il team olandese fra le ragazze: 63 vittorie tra cui il Tour de France Femmes, tante classiche e da ieri hanno primeggiato persino nel gravel! Prima Wiebes, terza Cecchini nel campionato europeo in Belgio.

«Di questo europeo gravel, me lo aveva chiesto a luglio Daniele Pontoni – ha detto Cecchini – che conosco da quando sono una bambina. Alla fine è stata un’esperienza interessante e un modo anche per non concludere troppo presto la stagione, visto che la squadra aveva chiuso col Romandia (metà settembre, ndr). Io ero un po’ scettica, ma poi anche Barbara Guarischi ci andava e allora ho colto questa occasione. In allenamento, nei giorni prima dell’europeo mi sono divertita. Le sensazioni erano buone, ma non mi aspettavo di andare così».

I risultati, tanti ed importanti, che hanno portato a casa le ragazze della SD Worx sono frutto di grandi atlete chiaramente, di tanto lavoro ma anche di tanta meticolosità come tra l’altro ci diceva qualche giorno fa Barbara Guarischi, che giusto quest’anno si è unita alla compagine olandese. Lei ha così potuto notare questo cambiamento. Con Elena già avevamo fatto un viaggio nel mondo SD Worx, ma era più un viaggio a tutto tondo, stavolta parliamo di preparazione.

Elena Cecchini (classe 1992) in azione ieri all’europeo gravel di Oud-Heverlee in Belgio
Elena Cecchini (classe 1992) in azione ieri all’europeo gravel di Oud-Heverlee in Belgio
Elena, partiamo proprio dalle parole di Guarischi, circa la meticolosità che c’è in SD Worx. Barbara ha parlato anche di carichi di lavoro importanti. E’ così?

Non penso che ci siano carichi maggiori, ma sicuramente da noi c’è un’intensità media più alta che in altre squadre. Siamo 14 atlete il cui valore è alto e magari negli allenamenti si fa di più. E non mi riferisco tanto agli specifici, che sono liberi anche perché ognuna di noi ha il proprio coach, quanto alle andature medie.

Il passo è sempre buono insomma…

Esatto. Penso non tanto al ritiro di dicembre quanto a quelli di gennaio e febbraio che sono volutamente impegnativi. Il fisico si adatta a tutto, ma serve consapevolezza sui carichi da fare. Io non posso fare gli stessi lavori di chi ha più talento di me. Bisogna conoscersi e trovare il proprio limite. E questo per me è un aspetto chiave di questa squadra: ci lasciano libertà, appunto con il preparatore, e per me è qualcosa che funziona.

Quindi preparatore personalizzato, però poi andate tutte forte allo stesso momento quando serve. I coach personali si coordinano con quelli della squadra?

Se c’è bisogno sì. Poi oggi con TrainingPeaks accedono ai tuoi dati sia i tecnici della SD Worx che quelli personali. Funziona così: prima della stagione io atleta dichiaro gli obiettivi che vorrei centrare, il team li valuta, si tira giù un calendario e poi la palla passa al preparatore per far sì di essere al meglio per quegli obiettivi. Che poi solitamente sono due picchi intervallati da una parte di scarico nell’arco della stagione. Questo ti aiuta moltissimo nel responsabilizzarti.

Come hai detto tu prima: serve consapevolezza.

Questo è buon modo di lavorare. Per me non esiste una preparazione migliore o peggiore, giusta o sbagliata, semplicemente devi credere in ciò che fai e perché lo fai. Credo sia questo un passaggio importante del nostro metodo di lavoro.

Elena, proviamo ad entrare un po’ più nel dettaglio. Facciamo una “settimana tipo” di un’atleta SD Worx a febbraio, quando i carichi di lavoro sono importanti.

La nostra settimana è fatta di due blocchi di lavoro di tre giorni intervallati da uno di scarico o riposo. Però, se si è stanche, il secondo blocco potrebbe diventare due giorni di carico e uno di scarico.

La SD Worx in allenamento a gennaio durante il ritiro. Vista la qualità delle atlete i ritmi sono sempre sostenuti
La SD Worx in allenamento a gennaio durante il ritiro. Vista la qualità delle atlete i ritmi sono sempre sostenuti
Lunedì?

Tre ore. Si tratta di un allenamento intenso con delle volate.

Martedì?

Quattro ore con lavori in soglia o sopra la soglia. Anche in salita può capitare.

Mercoledì?

Cinque ore, è il classico allenamento di endurance che comprende anche due o tre salite lunghe, quindi dai 20′ in su.

Giovedì?

Scarico o riposo. E’ una nostra scelta. Io solitamente faccio riposo assoluto, ma può capitare anche che faccia un’oretta facile, facile. Dipende dal livello di stanchezza.

Venerdì?

Di nuovo tre ore. E’ un giorno duro in quanto intenso. Facciamo degli sforzi corti che non sono proprio delle volate, ma ripetute un po’ più lunghe. Non so, 8×30” a tutta… magari senza un recupero fisso, ma nell’arco delle tre ore.

Sabato?

Quattro ore con ripetute in salita al medio o anche di più, dipende dal livello di stanchezza anche in questo caso.

Infine domenica?

Cinque ore: quindi di nuovo la distanza. Ma se si è stanche si anticipa il giorno di riposo.

Secondo Elena non si tratta solo di preparazione, certi risultati arrivano grazie al buon clima che c’è in squadra
Secondo Elena non si tratta solo di preparazione, certi risultati arrivano grazie al buon clima che c’è in squadra
Guarischi parlava di questa meticolosità, ma tu che di squadre importanti ne hai viste è davvero così? E’ questo il segreto della SD Worx?

Io credo che andiamo forte non perché siamo meticolosi come la Jumbo-Visma, per dire, ma perché nel complesso lavoriamo duro e siamo consapevoli. Io credo che conti moltissimo la sintonia del gruppo. Tra di noi siamo molto chiare. C’è una bell’atmosfera, ci sacrifichiamo l’una per l’altra e ci divertiamo anche. Mi rendo conto che la mia non è una riposta molto scientifica! Ma se la mettiamo su questo piano posso assicurarvi che ci sono squadre molto più meticolose della nostra

A questo punto non ti possiamo non chiedere quali sono queste squadre…

La Canyon Sram per esempio (squadra in cui Elena è stata per cinque stagioni prima di passare alla SD Worx, ndr). Lì sono molto più meticolosi nella cura della crono per esempio, nella programmazione che è più a breve scadenza e cadenzata. C’è una tipica mentalità tedesca. Anche loro vincono, ma anche perché hanno atlete fortissime.