Ernie e protrusioni, che ruolo ha la bici? Parola all’osteopata

02.12.2023
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Siamo partiti dall’intervista di Venchiarutti. I ciclisti possono arrivare ad avere problemi con ernie e protrusioni? La risposta è sì. Ma le cause è bene distinguerle. Se si parla di cadute, le dinamiche sono infinite e possono portare ad uno sviluppo successivo di problemi anche cronici. Se invece si parte dal presupposto che una posizione scorretta in bici possa portare a ernie allora il cerchio si stringe di molto, anzi se si guardano i pro’ quasi non esiste.

Per analizzare l’argomento in modo esaustivo si devono approfondire due branche ampie. Ortopedia per quanto riguarda le cadute e osteopatia per quanto riguarda le posizioni scorrette. Per quest’ultima ci siamo affidati al parere esperto di Gianluca Carretta, osteopata di campioni come Nibali, Basso, Cancellara e Armstrong e tanti altri.

Gianluca Carretta
Gianluca Carretta ha lavorato con tantissimi pro’
Gianluca Carretta
Gianluca Carretta ha lavorato con tantissimi pro’
Un corridore che cade e ha un infortunio alla schiena capita che impieghi meno tempo a riprendere in modo più efficace rispetto a un corridore che sviluppi delle ernie o delle protrusioni che diventano quasi un problema cronico…

Bisogna distinguere bene le due situazioni. Sono spesso diverse. Quella cronicizzata, che è la componente discale. L’altra che invece normalmente è dovuta a problemi disfunzionali da caduta. Vale a dire che la caduta normalmente lascia situazioni particolari a livello delle componenti articolari, che portano ad una sintomatologia acuta, però più facilmente risolvibili. Questo perché la struttura resta integra nel momento in cui il corridore ritrova un equilibrio e torna completamente a posto. Invece i problemi legati alle discopatie sono legati a fatti degenerativi, il che vale a dire che il disco perde progressivamente acqua. 

In che modo?

Tende a disidratarsi a ridursi di spessore e questo può portare a dolori che normalmente sono in effetti un po’ più difficili da risolvere, ammesso che la sintomatologia non sia dovuta alla presenza anche di protusione o di ernie, vale a dire fuoriuscita di questo materiale nucleare che sta al centro del disco. 

Il peggiore dei casi per un ciclista?

L’ernia diventa molto invalidante, perché normalmente può entrare in contatto con la radice nervosa. A quel punto lì può creare un’infiammazione lungo il decorso del nervo in questione, che può essere nervo sciatico nella stragrande maggioranza dei casi, piuttosto che nervo crurale e anche altri. 

Le differenti patologie che possono colpire le vertebre
Le differenti patologie che possono colpire le vertebre
Quali sono le cause di protrusioni ed ernie?

Difficilmente le cause sono traumatiche, nel senso che è difficile che un disco tra virgolette, possa ledersi, cioè rompersi con un trauma. Personalmente non credo di averle mai viste in più di trent’anni di carriera. Io però non sono un neurochirurgo, parlo da osteopata. Sicuramente un ortopedico ha delle casistiche completamente diverse, magari più legate appunto a queste situazioni strutturali. Però personalmente ritengo che il disco difficilmente possa rompersi da trauma, quindi i problemi che portano i danni normalmente sono di tipo posturale.

Quindi?

Quindi le posture scorrette o una predisposizione magari dovuta al fatto che le curve, in questo caso la curva lombare, è piuttosto rettificata e questo porta a una compressione dei dischi anomala che può essere dovuta al sovraccarico. Questo non per il peso del carico ponderale, ma per errori che involontariamente si commettono e portano a dei microtraumi sul disco. Alla lunga questo può essere sottoposto a pressioni, rompere questi anelli contenitivi e causare fuoriuscite.

Hai mai trattato pro’ con queste casistiche?

Se pensiamo a ciclisti professionisti, no. Non ricordo di aver visto situazioni diciamo tra virgolette drammatiche. Mi sono imbattuto in tutte forme di disfunzione. Anche perché un ciclista professionista è comunque un soggetto giovane, per cui è difficile che i dischi vengano usurati al punto da produrre un ernia. Negli amatori invece è un discorso più ricorrente. Lì ne ho visti tanti, però si parla magari di cinquantenni che sottopongono la schiena non solo al carico della bicicletta, ma ai carichi del lavoro quotidiano. Un amatore che lavora in ufficio e sta seduto 8 ore al giorno, potenzialmente è molto a rischio perché purtroppo le posizioni a sedere tendono a invertire completamente la curva lombare, quindi sottopongono i dischi a pressioni anomale e predispongono a queste forme di tipo degenerativo. Il pro’ ha il massaggiatore, il fisioterapista, il biomeccanico e tutta una serie di prevenzioni che rendono impossibile questa degenerazione.

La protrusione e le ernie sono condizioni dolorose che spesso nascono da abitudini scorrette protratte nel tempo
La protrusione e le ernie sono condizioni dolorose che spesso nascono da abitudini scorrette protratte nel tempo
La bici quindi non è una causa di queste sintomatologie?

Nell’immaginario popolare lo stare in bicicletta può essere potenzialmente dannoso per la schiena, ma in realtà nel momento in cui sei più meccanicamente in posizione ideale e quindi scarichi il peso del corpo correttamente tra sella e manubrio, è difficilissimo che questo provochi predisposizioni verso protrusioni ed ernie. 

Venchiarutti ci ha detto proprio questo, quando pedalava stava quasi meglio…

Questo è qualcosa che io sento ricorrentemente in alcuni pazienti. Ci sono pazienti a cui il neurochirurgo o il neurologo sconsigliano di andare in bicicletta quando poi in realtà in bicicletta starebbero benissimo. E quindi non vedo il motivo del non andare. Poi è chiaro che la bicicletta non cura. Però se io ho un’ernia e questa tocca la radice nervosa nel momento in cui sono in bicicletta, io non riesco a pedalare perché ho la gamba che mi va in tilt. Quindi in quel caso non ci sarebbe il dubbio. 

Se la bici non fa né bene né male, cosa bisogna fare per prevenire?

Bisogna fare la ginnastica posturale, ginnastica in acqua, si devono rafforzare la struttura e il tronco con allenamenti specifici.

Sulla schiena di Bernal, qui prima della rieducazione in acqua, i segni degli interventi spinali
Sulla schiena di Bernal, qui prima della rieducazione in acqua, i segni degli interventi spinali
In conclusione, quando si parla di protrusioni ed ernie ci sono due strade differenti che vi ci portano…

Se parliamo di lesioni vere, di rottura di un qualcosa il discorso diventa ortopedico. Se parliamo invece di disfunzioni, potenzialmente sono problemi che alla lunga ma molto alla lunga, se non si interviene per risolverli, possono rappresentare un fattore presupponente verso i problemi discali. Il ciclista sviluppa un numero illimitato di movimenti. Basti pensare che 90 pedalate al minuto, in un’ora sono 5.400 movimenti. Basta una piccola retrazione, cioè un accorciamento di un muscolo, o una leggera differenza nella pedalata che diventa asimmetrica o anche il fare poco stretching…

Che cosa può succedere?

Questi tre casi possono portare a problemi. Perché ogni movimento che si fa in qualche modo viene frenato da questi muscoli che potenzialmente possono andare a interferire sulle articolazioni. Quindi non ci sono solo i traumi, ma tanti altri componenti. Si passa anche per la masticazione, una vescica sotto un piede che ci porta a camminare male. Però parliamo di problemi che portano al dolore immediato e che sono risolvibili, se individuati bene, in qualche giorno al massimo qualche settimana. 

Crono: perché schiena e muscoli posteriori sono tanto importanti?

17.08.2023
4 min
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Parlando con i corridori ma anche i tecnici, è emerso come la schiena e la muscolatura posteriore giochino un ruolo fondamentale nella posizione della crono. Tutta questa catena, dalle spalle ai polpacci, è chiamata fortemente in causa. E lo è sia per la spinta che per l’equilibrio.

Diego Bragato, responsabile del Settore Performance della Fci, conferma tutto ciò. Lui lavora moltissimo con i ragazzi della pista e del quartetto i quali, ovviamente, hanno una posizione da crono piuttosto estrema. Ma anche sulla strada non si è certo da meno. Mattia Cattaneo, per esempio, dedica molto tempo alla muscolatura della schiena. E lui stesso ci spiegava come grazie a certi lavori specifici riuscisse ad adottare una posizione più estrema con relativa facilità.

Diego, gli atleti ci dicevano che a crono la parte posteriore della muscolatura e della schiena contano moltissimo. Incide anche nella guida. E’ così?

E’ vero, ma direi che è tutta la parte centrale del corpo e non solo quella posteriore che gioca un ruolo fondamentale nel gesto della pedala e in particolare della pedalata a crono.

Perché?

Perché una muscolatura tonica stabilizza l’atleta sulla bici. E un ciclista più stabile guadagna due volte. Una muscolatura forte stabilizza le spinte sui pedali, soprattutto quando si hanno posizioni estreme e si spingono i rapporti lunghi di oggi. Se il “core” è dunque forte, il bacino è più stabile e c’è meno dispersione di forza. Insomma, si spinge di più. Secondo aspetto: un atleta più forte e stabile evita d’innescare una serie di problematiche secondarie come infiammazioni, dolori…

Che poi è un po’ quello che giusto ieri ci diceva Yankee Germano, parlando dell’arretramento più corto anche sulle bici da strada…

Le posizioni a crono invece sono più estreme. Devi essere più flessibile, quindi avere una mobilità maggiore, ma anche più stabile… E conciliare le due cose non è facile.

Squat (in foto, dal web) e stacchi sono ideali anche per i glutei
Squat (in foto, dal web) e stacchi sono ideali anche per i glutei
E allora quali sono i muscoli più chiamati in causa nella crono?

I primi restano i quadricipiti, ma cresce l’apporto del grande gluteo e di tutta la parte dorsale. Sia per il discorso delle spinte che della guida.

Come ci si lavora dunque?

Con esercizi a corpo libero, esercizi per il core. Ma proprio perché è un tema molto importante andiamo a monte. In Federazione spingiamo molto affinché su stabilità e mobilità si lavori sin da ragazzi. La mobilità è la prima cosa che dalla nascita in poi si va a perdere, pertanto va curata. Poi serve il potenziamento. Quindi i classici stacchi, lo squat… e infine la parte specifica per il core, come gli addominali.

Stacchi e squat… come li fai fare?

Io preferisco farli fare con il bilanciere libero, tanto più se l’argomento sono la crono e la stabilità. Perché stando liberi non solo devi comunque fare il tuo esercizio di forza, ma devi continuamente controllare il movimento con tutti i muscoli. Magari ho meno carico rispetto a chi lavora con i macchinari, ma farò un lavoro più completo.

Trazioni a braccia larghe per far lavorare di più la muscolatura della schiena
Trazioni a braccia larghe per far lavorare di più la muscolatura dorsale
E questi esercizi vanno bene anche per la parte posteriore?

Sì, anche se poi per bicipiti femorali e glutei si lavora pedalando: partenze da fermo, SFR… sono movimenti che ti permettono di lavorare su una spinta completa. Io le chiamo progressioni di forza.

Diego resta la parte alta: la schiena che a quanto pare serve moltissimo per l’equilibrio…

Per la schiena si fanno le classiche trazioni alla sbarra, gli esercizi a corpo libero, i dorsali… specie lavorando con ampie aperture.

Come mai con ampie aperture?

Perché una presa più larga, specie con i palmi rivolti verso l’esterno e non verso la faccia, fa sì che si usino meno i bicipiti e più i muscoli dorsali e scapolari. L’obietto di tutto questo tema alla fine è uno: trovare il miglior compromesso tra forza e una posizione estrema come quella richiesta dalla crono.

Con la schiena non si scherza: Fondriest lo sa bene. E Vdp?

28.01.2022
5 min
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Un bel mistero avvolge la ripresa di Van der Poel che ha lasciato il ciclocross per recuperare e dirigersi verso la stagione su strada. Non è stata ancora fissata alcuna data per il debutto. Mathieu ha subìto un intervento al ginocchio, per la conseguenza di una caduta in allenamento, e adesso sta facendo i suoi esercizi per rinforzare la schiena. Il pasticcio, se di pasticcio si è trattato, si è innescato probabilmente al momento di riprendere dopo la caduta di Tokyo.

Anche Van der Poel a Tokyo ha battuto il coccige: è mistero sul suo ritorno
Anche Van der Poel a Tokyo ha battuto il coccige: è mistero sul suo ritorno

L’esperienza di Fondriest

La schiena è una cosa seria. E così… masticando la storia dell’olandese della Alpecin-Fenix, siamo arrivati alla porta di Maurizio Fondriest (in apertura nell’inverno da campione del mondo), cui la schiena non trattata a dovere ha condizionato la carriera e che è per giunta anche un uomo immagine di Alpecin. Sono altri tempi e altre sono le conoscenze in materia, ma la schiena resta sempre una cosa seria.

«E’ davvero una cosa seria – sottolinea il trentino – che si innesca su eventuali predisposizioni dei singoli. Io ad esempio anche da piccolo avevo dei dolorini. Da militare facevo fatica a stare tanto in piedi. Diciamo che la schiena era la parte debole del mio corpo, ma i guai cominciarono nel 1988 quando caddi al Giro del Trentino e battei il coccige. Vai giù, batti forte, ci sta che il coccige faccia male. Ma ripartii e quell’anno vinsi anche il mondiale. Eppure l’anno dopo cominciarono i problemi, con un dolore fisso nella zona lombare. Sono cose che ricostruisci dopo, perché quando ci sei dentro non te ne rendi conto. Erano anche anni in cui non si faceva un gran lavoro su addominali e dorsali come oggi. Io andavo in bici d’estate e sciavo d’inverno. Mi era sempre bastato, per questo oggi ai miei ragazzi raccomando di lavorare bene in palestra…».

Mathieu, viene da chiedersi, lavora tanto in palestra oppure preferisce lavorare solo sulle sue bici da strada, da cross e sulla mountain bike? Il discorso va avanti, il ricordo prosegue.

Che cosa successe?

Nell’inverno del 1990 ero in vacanza in Messico e a saltare nelle onde presi il colpo della strega. Tornai in Italia piegato e iniziai la preparazione con la schiena in crisi. Pedalavo con un chiodo conficcato nel gluteo. Facevo stretching, mi allungavo, ma il dolore non diminuiva. Cavoli, mi dicevo, ho appena firmato con la Panasonic, non posso dirgli che sono malato. Ma proprio gli olandesi mi portarono da un osteopata.

Per fortuna…

Infatti le cose un po’ migliorarono. Poi andai da un fisioterapista in Belgio e quello trattò il gluteo e mi fece saltare dal dolore e si raccomandò che andassi regolarmente in palestra. E qui commisi l’errore fatale, ora posso dirlo.

Vale a dire?

Feci due giorni di esercizi e poi dissi basta. Non credetti che con quel lavoro specifico avrei risolto i miei problemi e sbagliai. Se il mal di schiena discende da un problema scheletrico, lavorando sui muscoli puoi rinforzare la zona. Oggi faccio 4 giorni a settimana di lavoro specifico, allora ero giovane e forte e pensai che ne sarebbero bastati due in tutto. Fu un errore, ma non c’era minimamente in giro la stessa competenza di oggi.

Van der Poel è rientrato nel cross senza aver sanato il problema alla schiena e ha dovuto fermarsi del tutto
Van der Poel è rientrato senza aver sanato il problema alla schiena e ora è fermo del tutto
A Mathieu può essere successa la stessa cosa?

Ho sentito in Alpecin, ma sono super abbottonati. Non so bene le origini del problema. Magari si tratta di altro. Però una cosa che vedo ancora spesso lavorando a contatto con gli atleti è voler riprendere subito dopo un incidente. Lui è ripartito subito su strada e poi nel cross, ma non è più stato lo stesso. Quando nel 1994 fui operato per un’ernia, sui giornali si parlò di recupero record, ma a cosa servì alla fine? Feci altri risultati per il mio carattere, ma continuai a fare danni al mio corpo.

Effettivamente la voglia di rientrare lo ha portato a correre nel cross e forse poteva farne a meno…

La foga di tornare si ritorce contro. Quando la schiena fa male, perdi anche forza nelle gambe. E poi mettiamoci che per il suo modo di correre, sempre così prepotente, se hai un minimo cedimento, rischi di pagarlo caro. Questi ragazzi, come Mathieu e lo stesso Van Aert, hanno un superfisico, ma a forza di insistere potrebbero pagarla. E’ bene che abbiano deciso di fermarlo per curare a dovere il recupero.

Mauduit su Pinot: il mal di schiena, le capre, il ritorno

12.08.2021
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«Oui, Pinot rientrerà in gara al Tour du Limousin», ci dice non senza gioia Philippe Mauduit, diesse della Groupama-Fdj. Già, ma che fine ha fatto Thibaut Pinot? Le ultime due volte che avevamo visto il transalpino le cose per lui non erano andate bene: una brutta Tirreno, morale basso e qualche chiletto di troppo, e la mazzata del Tour of the Alps, dopo il quale dovette alzare bandiera bianca in vista del Giro.

Da allora, era fine aprile, il francese non ha più corso. Il suo inverno era stato dominato dal mal di schiena e da quel fastidio che, specie quando andava sotto sforzo, tornava puntualmente a farsi sentire. Pertanto non era neanche riuscito ad allenarsi bene.

Philippe Mauduit, diesse della Groupama-Fdj
Philippe Mauduit, diesse della Groupama-Fdj
Philippe, come sta Pinot?

Thibaut adesso sta finalmente meglio. Ha attraversato un periodo molto difficile dovuto a questo forte dolore alla schiena. Un dolore che non passava mai. Abbiamo fatto esami su esami, abbiamo ascoltato degli specialisti… ogni volta sembrava stesse un po’ meglio. Ma poi nulla.

Come avete affrontato il problema?

Gli specialisti ci dicevano che il suo problema, per una persona normale, si risolve in 6-8 settimane, ma per un atleta professionista che non sta mai fermo ci sarebbero potuti volere anche 6-12 mesi. Non sapevamo nulla neanche noi. E solo adesso possiamo dire che tornerà in gara.

Okay il mal di schiena, ma cosa ha avuto di preciso Thibaut?

Lui era caduto nella prima tappa del Tour (quello 2020, ndr). Lo avevano preso molto forte con la ruota anteriore nella parte bassa della schiena andando a toccare in modo molto violento dei nervi e dei legamenti nella zona del sacro-illiaco. Facemmo subito degli esami, ma poiché l’ematoma era enorme questo nascondeva tutto. Così, con uno sforzo estremo, Pinot riuscì ad arrivare a La Rochelle, dove c’era il primo giorno di riposo. 

Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Pinot dopo la caduta nella prima tappa del Tour de France 2020
Thibaut Pinot, caduta Nizza, Tour de France 2020
Pinot dopo la caduta nella prima tappa del Tour de France 2020
Però quel Tour lo ha finito…

Lui insistette molto perché ci teneva, il Tour passava dalle sue parti. Subito dopo si fermò un po’. Sembrava stesse migliorando e ci disse che voleva andare alla Vuelta. «Magari punto a un paio di tappe e alla maglia di miglior scalatore», ci disse. Invece si bloccò subito. Inoltre le prime tre tappe erano già abbastanza impegnative. A quel punto facemmo il primo vero stop. L’ematoma si era ritirato, ripetemmo gli esami e nel punto in cui aveva subito la botta c’erano dei segni di frattura e quando s’infiammava diventava molto doloroso.

Hai parlato di specialisti: ne avrete girati tanti…

Sì, si… c’era anche chi si proponeva per curarlo! Sapete, con un campione così in tanti si sono fatti avanti. Ma noi siamo andati per la nostra strada. Il primo a vederlo fu il medico di un team di rugby, proprio a La Rochelle, quella è la mia zona e ho delle conoscenze. I giocatori di rugby ne prendono tante di botte. E la sua diagnosi alla fine fu corretta. Ma non si sbilanciò proprio perché l’ematoma nascondeva tutto. Comunque ci disse che era stata interessata la zona ileo-sacrale. Più in là siamo andati a Parigi, dallo specialista che segue la nazionale di calcio, lo stesso che rimise in piedi Zidane e abbiamo seguito i suoi consigli.

Quali? 

Che la prima cosa che serviva era del riposo…

Tuttavia alla Tirreno Pinot non andava proprio. Anzi lo avevamo visto anche un po’ giù di morale…

Ma non aveva scelta povero Thibaut – dice con tono affranto Mauduit – dopo la Tirreno lo abbiamo fatto riposare pensando al Giro. Quando è tornato al Tour of the Alps sentiva dolore. Ci ha provato lo stesso, ma quello non era il suo livello. E quindi sì: è stata una grande delusione. Non dico depressione, ma se come lui hai la passione per quello che fai e non ci riesci, non è facile. Il tuo corpo ti dice stop, però non ti dice quando riprendere. E’ difficile vivere così.

Però guardiamo avanti, alle cose belle, come il rientro al Tour du Limousin (17-20 agosto). Come ha lavorato in questi ultimi mesi Pinot?

Dopo il riposo ha ripreso a pedalare ed è andato in altura con la squadra sulle Alpi. Lì ha fatto uscite di 4-5 ore e ha detto che si sentiva bene. Anzi, era già a livello di alcuni suoi compagni, ma è normale: un campione riprende a velocità supersonica. Così abbiamo detto che si poteva provare al Limousin, corsa ideale: impegnativa, ma non durissima e senza scalate di 20′.

Thibaut ha una vera passione per gli animali, eccolo con le sue caprette (foto Instagram)
Thibaut ha una vera passione per gli animali, eccolo con le sue caprette (foto Instagram)
E avete tirato giù un programma da qui a fine stagione?

Diciamo un “programmino”. Molto dipende proprio da cosa ci dirà questa corsa. Dopo praticamente un anno di problemi, dobbiamo essere molto attenti a porre degli obiettivi.

Lui fermo e Gaudu che esplodeva, cosa vi diceva Thibaut?

Cosa ci diceva… non era facile per lui vedere i compagni correre e non sapere quando poter tornare in gara. Si scriveva con i compagni e anche con me. Ma non aveva senso parlare di bici con lui, magari era troppo stressante. E così gli chiedevo dei suoi animali.

Animali?

Sì, Thibaut ha una fattoria e ha tantissimi animali: mucche, vitelli, asini, capre… e questo di sicuro gli ha fatto bene.

Bernal, il mal di schiena e il ballo degli spessori

05.05.2021
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Davvero una strana storia quella di Bernal, degli spessori sotto la scarpa destra e della sua schiena, che di colpo all’ultimo Tour ha iniziato a fargli male. Si è ritirato alla 17ª tappa, ha lasciato che il dolore passasse, poi lo hanno portato in Germania dallo stesso biomeccanico che si occupava di Froome. Sembrerebbe tutto risolto, ma della sua schiena si continua a parlare. Perciò siamo andati un po’ a ritroso nella sua storia, cominciando dalle parole di Paolo Alberati, mentre studiavamo insieme proprio il profilo Strava del colombiano per capire in che modo si stesse allenando per il Giro. Però intanto guardate la foto di apertura e il dettaglio a seguire: visto che spessore?

«Circa la sua schiena – le parole di Alberati – m’è venuto un ricordo. Anzi, è venuto a Giovanni Stefanìa che al passaggio da junior a professionista, si accorse di un problemino di postura e gli mise uno spessorino sotto la scarpa. Non vorrei che glielo avessero tolto e da lì sia partito il mal di schiena. Sarebbe strano, perché una volta che hai un atleta in equilibrio, non ha senso rimetterlo in ballo. Ma se fosse successo questo, la cura è stata rimetterci quello spessore…».

Tirreno-Adriatico 2021, il rialzo è evidentissimo: circa un centimetro
Tirreno-Adriatico 2021, il rialzo è evidentissimo: circa un centimetro

Il primo spessore

Insomma, la cosa si fa interessante. Perciò la prima cosa da fare è sentire Giovanni Stefanìa, toscanissimo di genitori pugliesi, biomeccanico molto bravo e collaboratore fra gli altri di Bartoli nel centro di Lunata. Ragione per cui, nel periodo in cui Michele seguì la preparazione di Bernal, anche a Giovanni capitò di averci a che fare.

«Gli feci una visita posturale – ricorda – e confermo che gli misi uno spessorino. Tra noi biomeccanici, chi ricorre a certe soluzioni è un… delinquente (sorride, ndr). In Toscana si dice che gli spessori si mettono sotto ai piedi del tavolo, quando dondola. Si mette solo se c’è una dismetria vera, che magari si verifica per infortuni. Egan aveva un problema di questo tipo e come prima cosa gli diedi da fare degli esercizi posturali, i cui effetti ovviamente vanno verificati nel tempo. Lo spessorino che misi sarà stato di 2-3 millimetri con cui andò a posto. Ricordo che quando vinse il Tour si continuò a sentirlo e non ha avuto alcun problema. Da quel che ho capito il dolore è venuto fuori dopo, nell’inverno successivo. Si sarà davvero allenato troppo? Il corpo fino a 25 anni cresce, carichi di lavoro troppo pesanti non gli fanno bene. Spero però che quello spessore non sia stato tolto. I corridori che stanno comodi non vanno toccati. Mi viene in mente quando provarono a raddrizzare Sagan e ottennero il solo risultato che non andava più avanti».

Un messaggio da Genova

A questo punto, invitiamo nel discorso un nostro affezionato lettore: Davide Podestà di Genova. Ex corridore, laurea in Scienze Motorie, massaggiatore… Uno molto attento, insomma. Che nel leggere i nostri pezzi dalla Strade Bianche, un giorno mandò una foto mettendo in evidenza lo scarpino destro di Bernal. «C’è uno spessore lì sotto – scrisse nel messaggio – sarebbe curioso sapere se Bernal ha risolto così».

In realtà lo spessore c’è e non è così sottile. Dalla squadra non dicono molto sul precedente, ma quello messo ora è alto quasi un centimetro. La domanda semmai è come mai la dismetria fra le gambe di Bernal, che inizialmente non sembrava così marcata, ora sarebbe arrivata a 17 millimetri, come detto lo scorso anno dal bollettino della squadra?

Il caso Pantani

Ci rifacciamo di passaggio a un caso ben noto che riguarda un altro vincitore di Tour, che in realtà il Tour lo vinse dopo il terribile incidente per il quale la sua gamba sinistra rimase più corta della destra di 8 millimetri: Marco Pantani. La sua rieducazione fu seguita da Fabrizio Borra, lo stesso che di recente ha realizzato il tutore per il polso di Nibali. Parlando di altre rieducazioni, qualche settimana fa ci raccontò nuovamente del lavoro in acqua fatto con Marco per dare al corpo i necessari equilibri e sottolineò che non si raggiunse la perfezione soltanto perché la gamba era rimasta più corta.

«Avevamo studiato diverse soluzioni – ricorda – ma alla fine lavorando di frequente sulle capacità di compenso del corpo, non utilizzammo nessun spessore. Il mio lavoro quando andavo a seguirlo alle gare era proprio su gestire queste cose…».

Non c’è una regola

A questo punto però cresce la curiosità sulla gamba di Bernal e sul perché si sia deciso di aumentare l’altezza dello spessore.

«Quei 17 millimetri sono tanti – dice ancora Borra – e non c’è una regola ben precisa… L’errore che fanno tanti è mettere spessori senza però valutare bene le capacità di compenso del corpo. Prima si lavora sul potenziale massimo di adattamento fisiologico e poi si vede quanto manca. In questi casi è fondamentale che il Posturologo, l’Osteopata ed il Biomeccanico lavorino tutti insieme sulle risposte dell’atleta».

Non esageriamo

Mentre il prossimo step sarà cercare di capire che tipo di lavoro ci sia stato prima di quello spessore così alto, cioè se Bernal stia anche seguendo un programma di lavoro posturale che permetta al suo corpo di convivere con quella grave asimmetria, da altre informazioni raccolte risalta che l’uso dello spessore non sia la soluzione finale. E soprattutto che non si va mai a correggere l’intera differenza. Se si parla di 17 millimetri, visto che nel ciclismo la gamba non arriva mai a completa distensione e si può contare anche sul gioco della caviglia, lo spessore può essere ben inferiore (come i 3-4 millimetri di partenza) dato che la differenza sarà spalmata su tutta la lunghezza della gamba.

«Quei pochi millimetri – dice Paolo Alberati – sono un “segnale” per la struttura biomeccanica dell’atleta e servono a compensare anche differenze maggiori. Esperienza e scienza dicono questo».

Equilibrio a rischio

Come dire, facendo la somma delle voci raccolte e dei cambiamenti, che andare a compensare così tanto a 24 anni con degli spessori, dopo che per tutto questo tempo l’atleta ha costruito equilibri e compensazioni, potrebbe mandare in confusione la sua biomeccanica.

Nel 2017 ha usato lo spessore di Stefanìa, idem nel 2018. L’anno dopo, il 2019, senza spessore. Nel 2020 con un piccolo spessore, che sembra un cuneo. Nel 2021 con uno spessore molto alto. Avrà davvero risolto così, come ha chiesto Podestà?

Egan ha lavorato tanto sottoponendosi nuovamente a carichi importanti, come vi abbiamo raccontato. Durante il Giro, il confronto con gli avversari fornirà tutte le risposte. Noi a questo punto seguiremo il suo percorso con un motivo di attenzione in più.

Le cadute di Nibali e dei suoi avversari. Quale bilancio?

18.04.2021
7 min
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Quante cadute nella carriera di Nibali. Alcune lo hanno coinvolto in prima persona e altre lo hanno riguardato in quanto legate ai suoi avversari. Quella di pochi giorni fa è l’ultima di una lunga serie. Lo Squalo, già operato, dopo la scivolata in allenamento che gli è costata la frattura composta del radio del polso destro, ha una placca che gli consentirà di pedalare sui rulli a breve, ma certo pensando all’imminente Giro d’Italia perde non poco.

Tirreno Adriatico 2021
Vincenzo Nibali (36 anni) è alla sua 17ª stagione da professionista
Tirreno Adriatico 2021
Vincenzo Nibali (36 anni) è alla sua 17ª stagione da professionista

A favore e contro

Facciamo un breve preambolo. Spesso si è detto che Nibali abbia ottenuto le sue vittorie in virtù delle cadute di avversari importanti. 

Si è sentito dire: «Ha vinto il Tour perché si sono ritirati Froome, prima, e Contador, poi». «Ha vinto il Giro del 2016 perché Kruijswijk si è schiantato addosso ad un muro di neve scendendo dal Colle dell’Agnello». E fu additato persino per il Giro (dominato) del 2013: «Lo ha conquistato perché Wiggins si è fermato». Di fronte a queste frasi, che certamente indicano fatti reali ma non concreti ai fini della corsa, urge fare un’analisi.

Sulle strade italiane Wiggins si è trovato spesso ad inseguire
Sulle strade italiane Wiggins si è trovato spesso ad inseguire

Wiggins già staccato

Partiamo proprio dall’ultima frase. Wiggins in quel Giro d’Italia alzò bandiera bianca dopo 12 tappe, alla 13ª non partì in seguito alla caduta verso Treviso. Ma va detto che quando Sir Bradley se ne tornò in Inghilterra aveva già 2’05” di ritardo proprio dallo Squalo, in maglia rosa. Ma che le cose per lui non girassero nel modo giusto si era capito anche prima, nella crono di Saltara (8ª tappa) quando avrebbe dovuto spaccare il mondo, invece arrivò secondo dietro Dowsett e con appena 10″ di vantaggio su Nibali. Forse la caduta fu un pretesto…

Nella tappa del pavè abilità di Nibali (in giallo) nello schivare le cadute
Nella tappa del pavè abilità di Nibali (in giallo) nello schivare le cadute

Tour 2014, era già primo

Tour de France 2014. Saper correre in bici, districarsi sul pavè, stare davanti fa parte del ciclismo. Nibali e la sua Astana avevano preparato al meglio la temibile tappa con i settori in pavè della Roubaix. Certo, tutto deve andare bene, ma spesso la fortuna aiuta gli audaci, in questo caso i più freschi e lucidi. Inoltre, cosa da non trascurare, lo Squalo era già in giallo quel giorno in quanto aveva vinto la seconda tappa.

E Contador? Lo spagnolo cadde nel giorno della Planche de Belle Fille. In una discesa, tra pioggia e nebbia, battè schiena e ginocchio, salvo poi scoprire che era la sua tibia ad aver fatto “crack”. L’Astana dello Squalo rallentò persino il ritmo pur di verificare le condizioni di Alberto. Ma poi dovette andare.

In quelle tre settimane Nibali volò letteralmente. Vinse tre tappe e si presentò a Parigi con 7’37” sul secondo, Jean Cristophe Peraud.

Kruijswijk, finì addosso ad un muro di neve scendendo dall’Agnello al Giro 2016
Kruijswijk, finì addosso ad un muro di neve scendendo dall’Agnello al Giro 2016

L’olandese e l’Agnello

Giro 2016. Uno dei più drammatici. Il siciliano non ingranava. L’olandese Kruijswijk invece tappa dopo tappa faceva la formichina e guadagnava terreno. A tre tappe dal termine vantava un qualcosa come 4’43” su Nibali. Il corridore della Nl-Jumbo però aveva smesso di essere il più brillante come nelle frazioni precedenti, inoltre non avendo una grande squadra aveva speso molto.

L’esatto opposto di Vincenzo. Le sue gambe tornarono forti proprio sul versante in salita dell’Agnello. A volte ad un campione basta poco per prendere fiducia e poter tornare a disporre di tutti i suoi cavalli. Mettiamoci poi che aveva anche una super squadra ed ecco che l’impresa si realizzò il giorno dopo verso Sant’Anna di Vinadio. Nibali sesto, rifilò oltre un minuto all’olandese e prese la maglia rosa a 24 ore dal termine del Giro.

All’ospedale di Bergamo con Tiralongo dopo la caduta al Lombardia del 2013
All’ospedale di Bergamo con Tiralongo dopo la caduta al Lombardia del 2013

I “regali” di Nibali

Finita? Neanche per sogno! Perché se queste sono le “fortune” di Nibali, vogliamo parlare delle sfortune? “Giriamo la frittata”: quante volte gli avversari “hanno vinto perché Nibali è caduto”?

Mondiali di Firenze 2013 (foto in apertura). Nibali ha sulle spalle pressioni enormi, eppure nel finale è lì a giocarsi la corsa con gli altri favoriti. Solo che lui nella prima parte di gara era caduto. Era stato costretto a recuperare, sprecando energie preziose e a correre tutta la gara con evidenti segni e dolori. Quello sforzo presentò il conto nel finale e si dovette accontentare del quarto posto.

Qualche giorno dopo sempre per caduta, fu costretto a lasciare il Giro di Lombardia quando era davanti con i migliori. E un qualcosa di simile, ma senza ritiro, avvenne nella Liegi del 2015 quando fu costretto a rincorrere sulla Redoute.

Nibali fermo sul ciglio della strada a Rio 2016 (screenshot a video, foto indisponibili)
Nibali fermo sul ciglio della strada a Rio 2016 (screenshot a video, foto indisponibili)

La beffa olimpica

Rio de Janeiro 2016. Dopo le critiche per essersi allenato al Tour, lo Squalo si presenta in Brasile in forma perfetta. Nonostante le pressioni enormi, un po’ come per i mondiali di tre anni prima, Vincenzo fa il suo. Corre davanti, stacca tutti in salita e si butta giù in picchiata. E cade. E’ chiaro, il discorso fatto prima per Froome vale anche per lo Squalo, ma quando si è a tutta un errore ci può stare. «Non ero lì per il secondo o terzo posto», aveva detto Nibali.

Si parlò molto di quella scivolata. Lo stesso Vincenzo ci tornò su. Disse che gli era partito l’anteriore, finì nella canalina al lato ma era ancora in piedi, fu proprio il ciglio, dove si sedette successivamente, a catapultarlo a terra. Lo toccò con il pedale destro.

Furono messe sotto accusa le ruote superleggere che lo Squalo ed altri della nazionale avevano usato per l’occasione. Ruote che comunque gli azzurri avevano provato e riprovato. Si disse che il feeling non poteva essere lo stesso rispetto al set usato abitualmente con la squadra.

Vincenzo Nibali, caduta Alpe d'Huez, Tour de France 2018
Vincenzo Nibali e la sua caduta sull’Alpe d’Huez al Tour de France 2018
Vincenzo Nibali, caduta Alpe d'Huez, Tour de France 2018
Vincenzo Nibali e la sua caduta sull’Alpe d’Huez al Tour de France 2018

Quel Tour fa ancora male

E veniamo all’ultima cocente caduta, quella della Tour de France 2018. Nel tempio della montagna, nel “ring” degli scalatori più forti del pianeta, Nibali e gli altri big si stanno sfidando. Verso l’Alpe d’Huez, uno spettatore “tira giù” Nibali. Lui cade, e male, di schiena sulla radiolina. Fa fatica a respirare e a risalire in sella. Ma una volta in bici parte come una locomotiva e nel pieno della bagarre rientra sui migliori, riprendendogli un distacco abissale. I tifosi si fregano le mani. Ci si aspetta un super Tour da Vincenzo. Ma i sogni vengono infranti sulla linea d’arrivo.

Quando Michele Pallini, il suo massaggiatore, è costretto ad aiutarlo per farlo scendere dalla bici capisce subito che qualcosa non va. I dubbi dello stesso Pallini trovano conferma qualche ora dopo all’ospedale di Grenoble: frattura di una vertebra (che tra l’altro ha lasciato qualche strascico). Lo Squalo torna a casa.

La riabilitazione del siciliano è già iniziata (foto Instagram)
La riabilitazione del siciliano è già iniziata (foto Instagram)

Verso il Giro 2021

E veniamo alla più recente caduta. Quella di qualche giorno fa in allenamento. Un’altra scivolata che di fatto complica moltissimo il cammino dello Squalo verso il Giro. Vincenzo non è più un ragazzino ed essere al 101% è fondamentale per lui per poter combattere con gente che ha anche 15 anni in meno. Questi sono giorni cruciali in vista della corsa rosa. C’è chi fa le Classiche delle Ardenne, chi il Tour of the Alps, chi il Romandia.

Si parla di corse che determinano la rifinitura di un lungo processo di lavoro, di gare che danno la cosiddetta brillantezza. Stare a casa non è il massimo. Non solo non si “cattura” quella brillantezza, ma s’interrompe bruscamente il programma di lavoro e il volume programmato. Vincenzo ha già ripreso la riabilitazione, stringendo oggetti e chiudendo “maniglie”. Per il momento si deve accontentare.

Allora, possiamo dire o no che allo Squalo nessuno ha regalato nulla? Voi che ne pensate: il bilancio con il destino com’è?

Martinelli, un mal di schiena da… eccesso di velocità

07.04.2021
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Un post di Davide Martinelli su Instagram dopo Harelbeke ha un po’ scosso i tifosi di ciclismo. Tradito dalla schiena, il bresciano è stato costretto ad abbandonare le corse del Nord, rinunciando alla Gand e poi anche al Fiandre. Alla fine però il dio del ciclismo gli ha voluto bene e ha portato al rinvio della Roubaix, che fra le tante sarebbe stata la sua preferita. Così Davide ha riposto i sogni, ha alzato bandiera bianca con meno rammarico, si è sottoposto a una serie di terapie e poi finalmente è tornato in bicicletta. Ma il risvolto insolito dei suoi acciacchi è che il dolore alla schiena è stato provocato dalla Milano-Sanremo.

«Da quelle sette ore con le mani basse sul manubrio – racconta – a una velocità altissima. Complice il vento a favore, abbiamo fatto i 45 di media. E a forza di stare giù bassi, tutti gli osteopati che ho sentito e anche i medici mi hanno parlato di infiammazione del nervo toracico lungo, che provoca dolore all’altezza della scapola».

Ritirato dopo Harelbeke. con il dolore alla schiena
Ritirato dopo Harelbeke. con il dolore alla schiena

Resa ad Harelbeke

Quando senti parlare un corridore di mal di schiena, immagini le vertebre lombari e il classico dolore da sovraccarico, invece il caso di Martinelli è diverso, ma di certo il dolore non è stato per questo minore.

«Ho fatto la Tirreno – dice – come prima corsa a tappe dell’anno, a causa delle cancellazioni in Spagna e qualcosa mi è mancato. Alla Sanremo, a parte il problema alla schiena, mi sono ritrovato in finale con le forse un po’ troppo giuste, perché la Tirreno l’abbiamo corsa fortissimo e forse non è stata la miglior preparazione per la Sanremo e quello che veniva dopo. Ugualmente sono arrivato a De Panne in buone condizioni, tanto che nel finale ho anche provato un attacco. Però fino a quel punto sentivo qualche dolorino, ma niente di preoccupante. Del resto fra la Sanremo e le prime corse in Belgio, avevo fatto solo scarico e quando fai due ore al massimo, i problemi non vengono fuori. Invece ad Harelbeke dopo 100 chilometri ho dovuto fermarmi».

Dal 2020, Davide è all’Astana, dopo i primi 4 anni nel gruppo Quick Step
Dal 2020, Davide è all’Astana, dopo i primi 4 anni nel gruppo Quick Step

Tecar e fisio

Il rimedio, dopo una prima fase senza bici, ha visto il ricorso alla Tecar e a svariate sedute di fisioterapia.

«Ora sembra tutto in via di risoluzione – racconta – e ho ripreso ad allenarmi abbastanza bene. Devo ammettere che è stato brutto vedere in televisione il Fiandre e prima ancora la Gand-Wevelgem. Quei ventagli sarebbero stati un momento bellissimo in cui buttarsi cercando di combinare qualcosa. E poi mi sarebbe piaciuto dare man forte alla mia squadra, perché senza vari corridori infortunati, la mia presenza avrebbe aiutato l’Astana a uscirne meglio. Ma ora c’è una stagione da reinventare, non si può aspettare la Roubaix di fine anno, spero di trovare le occasioni per fare la mia parte e ottenere semmai qualche risultato anche per me».