Nome e carattere italiano ma corre per l’Australia. E’ Sarah Gigante

30.01.2024
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La prima gara del WorldTour femminile ha incoronato un’atleta di casa, anche se il suo cognome tradisce le origini italiane. Sarah Gigante ha colto la sua vittoria più importante nella sua finora giovane carriera sulle strade di casa, al Santos Women’s Tour Down Under, ma guardando indietro nel tempo ci si accorge che siamo di fronte a una ragazza che ha molto da dire: uno di quei nomi da segnare in rosso sul taccuino di atlete da seguire.

Melbourne, nei giorni dell’intervista è il centro del mondo sportivo. Almeno per noi italiani: Sinner è pronto a entrare in campo per fare la storia del tennis tricolore quando Sarah risponde alla chiamata per la programmata intervista che prende il via proprio dalle sue origini italiane.

«Mio nonno era italiano – ammette – non ne so così tanto della sua provenienza, in famiglia mi dicono che veniva da un paese chiamato Circello, vicino Benevento. Sfortunatamente però non l’ho potuto frequentare abbastanza per imparare almeno un po’ di italiano».

Il trionfo all’Emakumeen Nafarrokao Elite Classic in Spagna nel 2022, unica sua vittoria in Europa
Il trionfo all’Emakumeen Nafarrokao Elite Classic in Spagna nel 2022, unica sua vittoria in Europa
Che rapporto hai con l’Italia, hai mai corso qui?

Sì, ho corso il Trofeo Binda due volte. La prima con il mio vecchio team, Tipco, una banca sponsor della Silicon Valley. Siamo arrivati in Italia dal Belgio. Eravamo quasi gli unici sull’aereo perché l’Italia era un punto caldo per il Covid e tutti dicevano: non ci andare. Ma siamo arrivati lì e poi neanche abbiamo corso perché la gara era stata cancellata. Quella è stata la mia prima esperienza in Italia, un po’ traumatica. Nel 2021 sono arrivata a Cittiglio una settimana prima direttamente dall’Australia, ho potuto allenarmi nella zona e l’ho adorata assolutamente.

Qual è la tua storia ciclistica?

Sono cresciuta in una famiglia sempre molto attiva. Insieme facevamo un viaggio di nove giorni attraverso lo stato di Victoria chiamato “il grande giro in bicicletta vittoriano”. E avevo solo cinque anni. Erano circa 700 chilometri in nove giorni. Ci accampavamo nelle diverse città dello Stato e poi i camion prendevano i nostri bagagli. Io andavo su una bici da rimorchio con mia mamma davanti, poi l’ho fatto su un tandem quando avevo sette anni, quindi doppia bici. Poi ho detto che volevo farlo con la mia bici, ma era così difficile per una bambina piccola che mamma pensò che sarebbe stato meglio iscrivermi ad un club di ciclismo per prepararmi. Quindi abbiamo cercato su Google i club ciclistici per bambini ed è apparso il club ciclistico Brunswick. Da allora in poi non ho più smesso.

Sarah dietro la mamma, a 5 anni, nel corso dell’annuale escursione attraverso lo Stato di Vittoria
Sarah dietro la mamma, a 5 anni, nel corso dell’annuale escursione attraverso lo Stato di Vittoria
Il Tour Down Under è stata la tua prima vittoria nel WorldTour: che effetto ti ha fatto?

E’ stato incredibile ottenere la mia prima grande vittoria in casa perché lì avevo la famiglia, gli amici, ma anche solo i tifosi in generale, anche se non li conoscevo. Molti di loro scandivano il mio nome, il che era davvero speciale. E’ stato davvero bello vincere dalla mia parte del mondo.

Lo scorso anno hai gareggiato pochissimo, perché?

Mi sono infortunata due volte di seguito e non ero davvero in forma per la prima metà dell’anno. Una volta andata in Europa, sono stata selezionata per una gara solo ad agosto. Ho fatto il Giro di Scandinavia, ma poi ho perso la selezione per il resto.

Che differenze trovi tra Movistar e AG Insurance?

Sono entrambe squadre davvero fantastiche e penso che entrambe abbiano i propri punti di forza. Ma per ora sono davvero contenta di AG Insurance Soudal perché ovviamente posso correre di più. In Australia hanno mostrato una grande coesione, la mia vittoria ha avuto un forte significato per tutte e devo dire loro grazie. Quindi è stata una sensazione davvero speciale vederle correre per me, anche se mi avevano appena incontrato.

Gli esordi della Gigante nel ciclismo che conta, nelle file dell’Holden Team Gusto, squadra di casa
Gli esordi della Gigante nel ciclismo che conta, nelle file dell’Holden Team Gusto, squadra di casa
Ti senti più adatta alle classiche d’un giorno o alle corse a tappe?

Mi piacciono le gare di un giorno, ma penso sicuramente che preferirò le gare a tappe. E’ solo che non ho ancora avuto l’opportunità di provarne una davvero lunga, mettermi alla prova al Giro o al Tour. Quindi spero che quest’anno saprò di più se sono adatte a me. Ma ho la sensazione di essere un vero motore diesel e non mi sento così stanca solo allenandomi giorno dopo giorno. Quindi spero che questo mi renderà adatta per le corse a tappe.

Nelle cronometro hai dimostrato il tuo valore con due titoli nazionali, com’è il tuo rapporto con le salite?

Adoro arrampicare. Quando la strada va in salita e tutti iniziano a soffrire. Amo il dolore. E sì, adoro le gare più dure.

Il podio della gara mondiale junior 2018. Nell’individuale la Zanardi beffò l’australiana all’ultimo sprint
Il podio della gara mondiale junior 2018. Nell’individuale la Zanardi beffò l’australiana all’ultimo sprint
Nel 2018 sei stata argento ai mondiali juniores su pista nell’individuale a punti, perdendo solo all’ultimo giro da Silvia Zanardi. Perché non hai continuato nelle gare su pista?

Ricordo bene quella gara, Silvia mi ha battuto nell’ultimo sprint e ha conquistato il meritato oro. Ma ero davvero contenta dell’argento perché venivo da un brutto infortunio, mi ero rotta entrambe le braccia un paio di mesi prima. Quindi quello era un argento davvero speciale. Non ho continuato a fare pista perché appena sono entrata nella categoria under 23 a inizio gennaio ho vinto i campionati nazionali élite di corse su strada.

E come ha influito ciò sulle tue scelte?

E’ stata una sorpresa completa. Allora ero così distratta da tutte le opportunità che improvvisamente ho avuto sulla strada. Gareggiare con la squadra nazionale alla Cadel Evans Great Ocean. Andare all’estero con la mia squadra dell’epoca, la Holden Team Gusto. Poi grazie alla vittoria del titolo, mi è stata assegnata la borsa di studio della Fondazione Amy Gillett, quindi ho potuto andare in Belgio con la nazionale. Non avevo tempo per la pista.

La Gigante ha partecipato a Tokyo 2020, sfiorando la Top 10 a cronometro
La Gigante ha partecipato a Tokyo 2020, sfiorando la Top 10 a cronometro
Che calendario ti aspetta adesso e che obiettivi hai?

Sono davvero contenta di come è andato il Down Under per me e per la squadra e possiamo trarre molta fiducia da questo. Ma è anche bello non avere pressioni per le altre gare di questa fase stagionale, possiamo conoscerci meglio e poi anche fare un buon allenamento. Avrò un paio di settimane a casa prima di andare in Europa per la presentazione della squadra, poi inizierò a correre al Trofeo Binda che adoro.

Nei tuoi sogni ci sono le Olimpiadi a Parigi?

Mi piacerebbe andare di nuovo alle Olimpiadi. Mi piacerebbe davvero correre a Parigi e voglio tornare più forte ora che sono un po’ più esperta e con più esperienza. Penso che sarebbe difficile essere scelta per Parigi, però. L’Australia ha corridori davvero bravi e ovviamente l’anno scorso non ho quasi corso, quindi sì, penso che sia difficile, ma mai dire mai.

Il Down Under lancia Williams: gallese e fiero di esserlo

28.01.2024
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Il Santos Tour Down Under, gara di apertura del WorldTour, spesso regala nomi nuovi all’elenco di vincitori, ma Stephen Williams non può essere considerato fra questi, perché un suo pedigree se l’è costruito negli ultimi anni. Prima alla Bahrain Merida e poi, dallo scorso anno, alla Israel Premier Tech, trionfando in importanti corse a tappe come ad esempio il Giro di Norvegia dello scorso anno. Ha 27 anni, è in quella sorta di “terra di nessuno” fra i giovani talenti e gli esponenti di un ciclismo un po’ diverso da quello attuale.

Williams è innanzitutto un gallese purosangue e ci tiene a essere considerato tale. Eppure la fama che la vittoria australiana gli ha dato lo coglie quasi di sorpresa ed essere intervistato dagli antipodi lo lascia ancor più interdetto.

Il gallese ha vinto già corse a tappe in Francia, Croazia, Norvegia e Australia
Il gallese ha vinto già corse a tappe in Francia, Croazia, Norvegia e Australia
Qual è la tua storia di ciclista?

Sono arrivato a questo sport abbastanza tardi. Avevo 15 anni quando ho avuto la mia prima bici da strada e mi ha cambiato la vita. Ho smesso di giocare a football, cricket e mi sono concentrato esclusivamente sull’andare in bicicletta, iniziando a fare attività agonistica quando avevo forse 16 anni, quando ero junior. Prima in un team Continental nel Regno Unito, poi in una formazione di sviluppo nei Paesi Bassi, la Grayson Academy. Nel 2019 ho firmato per la Bahrain Merida. Ho trascorso quattro anni lì, il che è stato pieno di alti e bassi. Alla fine del 2022 sono entrato a far parte della Israel Premier Tech.

Il tuo successo al Tour Down Under è stato un crescendo con la vittoria nell’ultima tappa. Eri partito da Tanunda con l’obiettivo del successo finale?

Inizialmente, ovviamente, sapevo che sarei arrivato con buone gambe, ma sapevo che il percorso era ovviamente adatto più a Corbin Strong. Era partito lui come leader della squadra, ma ha iniziato a stare male e il percorso molto selettivo di tutta la corsa a tappe non l’aiutava a recuperare. Così la squadra si è stretta intorno a me per il resto della gara.

Sapevi di poter fare bene?

Ho sempre saputo nel profondo della mia mente che sarei potuto essere competitivo, sia che si trattasse di un successo di tappa o di una classifica generale. Penso che all’inizio fosse un po’ 50 e 50, perché a inizio stagione, non sei mai veramente sicuro della forma che hai. Col passare dei giorni però ho capito che avrei avuto buone possibilità di vincere la gara.

Williams con il team che l’ha portato al successo in Australia, in un format a lui adatto
Williams con il team che l’ha portato al successo in Australia, in un format a lui adatto
Non capita spesso di vedere un corridore con la maglia di leader vincere la tappa finale, che cosa hai provato quel giorno?

E’ stato fantastico. Non c’è modo migliore per finire una corsa a tappe. E’ stato un privilegio essere messo in quella posizione dalla squadra e farcela in quel modo in cima al Monte Lofty è stato davvero speciale.

E’ la tua quarta vittoria in una breve corsa a tappe. Pensi che sia quella la tua dimensione ideale?

Sì, penso che al momento sia quello il mio target, insieme alle gare di un giorno piuttosto impegnative. Penso che le gare a tappe di una settimana siano sicuramente quelle in cui mi sento più capace di ottenere risultati in questo momento. Ovviamente, quelle in cui ho avuto successo chiaramente non hanno avuto una cronometro. Quindi questo è qualcosa di cui devo assolutamente essere consapevole per andare avanti. E’ qualcosa su cui devo migliorare per assicurarmi che, se mai mi trovassi in questa posizione in futuro, sarò in grado di trarne vantaggio e non perdere tempo inutilmente.

Il britannico ha sempre messo la sua firma’. Nel 2018 ha vinto la tappa di Pian delle Fugazze al Giro U23 (photors.it)
Il britannico ha sempre messo la sua firma’. Nel 2018 ha vinto la tappa di Pian delle Fugazze al Giro U23 (photors.it)
Sei al secondo anno all’Israel dopo una lunga esperienza alla Bahrain: quali sono le principali differenze fra i due team?

Penso che non ci siano troppe differenze, davvero. Entrambi i team sono molto professionali, molto ben gestiti e organizzati. Per me la cosa principale era solo ottenere un calendario di gare coerente, gare per le quali potessi prepararmi e andare con una buona base. Non ho mai avuto quel ritmo in Bahrain, ma qui dove sono adesso, sento che le cose stanno andando bene e sono in grado di esibirmi ad alto livello in gara e di fare bene.

Ti senti più gallese o britannico e che effetto ti ha fatto vestire la maglia del Galles ai Giochi del Commonwealth?

Sono un gallese molto orgoglioso. Mi è piaciuto correre ai Giochi del Commonwealth, anche se i risultati non sono stati dalla nostra parte. Ma è stato un privilegio sentirmi parte del mio popolo, simboleggiarlo. Sfortunatamente nel 2018 avevo dovuto rinunciare. Decisi di restare in Europa mentre i Giochi si svolgevano in Australia, due anni fa essendo in Inghilterra è stato più facile. Ora, con la squadra gallese, abbiamo un ottimo gruppo di ragazzi e un’ottima selezione di uomini e donne che rappresentano il Paese, che sono così bravi di per sé. E non c’è niente di meglio che rappresentare il tuo Paese in una delle più grandi manifestazioni multisportive.

Nell’ultima tappa ha rintuzzato l’attacco di Del Toro, trionfando con la maglia di leader
Nell’ultima tappa ha rintuzzato l’attacco di Del Toro, trionfando con la maglia di leader
Quanto è popolare il ciclismo in Galles?

Molto. Penso che il fermento che è arrivato dal 2018 con Geraint Thomas vincitore del Tour de France sia stato enorme e fondamentale per i giovani ciclisti in Galles. Ma anche i successi in pista con Eleanor Barker, penso che sia stato anche qualcosa di enorme nello sviluppo dei giovani ciclisti e nella possibilità di utilizzare la pista nel Galles del Sud e tutti gli altri impianti indoor in Galles. Il numero di praticanti è sicuramente in aumento e spero di vedere molto presto altri giovani talenti arrivere dal Galles nei prossimi anni.

Dopo la lunga trasferta australiana, che gare ti aspettano e con quali obiettivi?

Tornerò in Europa dopo la Cadel Evans Ocean Race e poi farò gare in Francia, Drome e Haut Var. Un paio di settimane di lavoro prima della Volta a Catalunya, poi andremo direttamente alle classiche dell’Ardenne. Abbiamo sicuramente una squadra forte lì e speriamo di poter fare qualcosa come squadra e raccogliere dei bei risultati.

Il tallone d’achille di Williams restano le crono. Per ora le ambizioni nei grandi giri vanno ridimensionate
Il tallone d’achille di Williams restano le crono. Per ora le ambizioni nei grandi giri vanno ridimensionate
Ti senti competitivo per un grande Giro, ossia di poter puntare alla classifica finale?

E’ qualcosa che voglio assolutamente provare a realizzare, sia nel prossimo futuro che tra qualche anno. Ma penso che, viste le mie caratteristiche al momento, sia più probabile andare a caccia di tappe nelle giornate difficili. E’ sempre stato nella mia mente da quando sono diventato professionista, quindi spero di poter raggiungere un livello in cui possa provare a puntare alla classifica generale quando sono coinvolte prove a cronometro. Ma c’è da lavorare.

Su Vine lo sguardo di Covi, maestro di gara

06.02.2023
5 min
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Facciamo un salto indietro in queste settimane di attività subito frenetica e torniamo alla trasferta australiana, dalla quale tutto è cominciato. Il ritorno del Santos Tour Down Under ha regalato soddisfazioni anche al ciclismo italiano, ma ha visto primeggiare Jay Vine, il nuovo acquisto del Uae Team Emirates. Parlare di lui come di un corridore saltato fuori dall’ormai famoso concorso Zwift è a questo punto pleonastico, stiamo parlando di uno scalatore fatto e finito che in pochi giorni ha portato a casa il titolo nazionale a cronometro e la prima corsa a tappe WorldTour.

Qualche giorno fa il suo diesse Marco Marcato aveva parlato di come Alessandro Covi lo avesse protetto in alcuni frangenti della corsa, soprattutto quand’era in gruppo insegnandogli a “limare”: uno degli aspetti tecnici sui quali l’australiano deve ancora lavorare. Era quindi giusto sentire il corridore italiano su come ha visto il suo compagno di squadra.

«Era la prima volta che correvamo insieme da compagni di squadra – racconta Covi – ma avevo avuto già occasione di conoscerlo lo scorso anno. Si è integrato subito nell’ambiente, non avrà problemi».

Jay Vine ha vinto il titolo nazionale a cronometro, davanti a Durbridge e O’Brien, entrambi Jayco
Jay Vine ha vinto il titolo nazionale a cronometro, davanti a Durbridge e O’Brien, entrambi Jayco
Dal punto di vista caratteriale che tipo è?

Ci sono due aggettivi che secondo me lo definiscono per quel che ho visto: tranquillo e umile. E’ uno che lavora bene, è sempre molto concentrato, si vedeva che volesse far bene nella gara di casa. Nelle gerarchie iniziali il capitano dovevo essere io, ma la caduta nel prologo mi ha subito tolto di classifica così abbiamo lavorato tutti per lui. Era d’altronde già in condizioni di forma notevoli, ha fatto la differenza.

Si è parlato molto del tuo apporto come suo luogotenente, soprattutto in gruppo. Ha davvero ancora qualche difficoltà a limare?

Io dico che in gruppo ci sa già stare. Basti vedere il fatto che sa interpretare bene i ventagli, si fa trovare sempre nelle prime posizioni, ha un ottimo controllo della corsa. E’ chiaro che con il passare dei giorni e delle settimane andrà sempre meglio. Forse deve ancora trovare la giusta serenità in gruppo. C’è un episodio al riguardo che mi è rimasto impresso…

Vine protetto dai compagni. L’australiano ha ancora qualche difficoltà nello stare in gruppo
Vine protetto dai compagni. L’australiano ha ancora qualche difficoltà nello stare in gruppo
Racconta…

In una tappa c’erano da prendere le borracce per la squadra e, vista la mia situazione di classifica, mi sono prestato volentieri per il compito. Quando l’ho portata a lui, era molto timoroso per la situazione del gruppo e non mi ha neanche guardato per non perdere di vista gli altri. E’ una piccola cosa, ma fa capire come stia attento a non sbagliare nulla e questo è l’atteggiamento giusto.

Molti sottolineano il fatto che venga da un percorso professionalmente diverso e questo lo penalizzi.

Secondo me invece si vede che ha esperienza giovanile dalla sua, sa andare in bici, è nuovo nel WorldTour, ma sa già come porsi. Tra l’altro ringrazia sempre, in squadra si è ben integrato anche per questo. Ovvio che in alcuni frangenti chi è più capace può aiutarlo, ma si è visto anche nella tappa dove ha chiuso terzo e che gli ha dato la vittoria finale che sa già cavarsela anche da solo.

Per Covi buone sensazioni in Australia, con il 4° posto nella prima tappa
Per Covi buone sensazioni in Australia, con il 4° posto nella prima tappa
Veniamo a te: come esci dall’Australia?

Abbastanza soddisfatto, la condizione è in crescita. Sapevo di dover lavorare ancora molto e correre per Jay è servito anche a me, poi quando si vince va tutto bene.

Molti si aspettavano da te un acuto. Sui social spesso si parla del ruolo marginale riservato ai corridori italiani, anche Tiberi ha detto la sua parlando di carattere e carisma da mostrare in gara. Tu cosa ne pensi?

Io credo che il primo fatto che fa la differenza siano sempre le gambe. La corsa la fa chi è più adatto e il caso di Vine ne è la conferma, era il più in condizione ed era giusto correre per lui. Certamente quando militi in una squadra forte, con tanti corridori vincenti, trovare spazio non è facile, devi essere davvero al massimo, ma l’occasione capita e devi farti trovare pronto.

Covi ora punta sulle gare spagnole e poi preparerà il Giro, da correre da protagonista
Covi ora punta sulle gare spagnole e poi preparerà il Giro, da correre da protagonista
Secondo te però c’è da parte dei team una certa preferenza per il corridore di casa?

Quel che conta è che il team vinca, quindi si corre per chi può arrivare al risultato, non si guarda certo la carta d’identità… E’ chiaro che anche il carattere conta, saper stare nel gruppo: se aiuti e lavori, quando sarà il tuo turno stai sicuro che gli altri lavoreranno per te…

Ora che cosa ti aspetta?

Gareggerò in Spagna a Murcia e Andalucia, dove sono stato protagonista lo scorso anno, poi farò le gare italiane e dopo la Sanremo comincerò a preparare il Giro d’Italia. Per me quest’anno niente classiche del Nord, in quel periodo sarò in altura, proprio perché voglio preparare bene la corsa rosa.

Marcato e le capacità di adattamento di Vine

30.01.2023
4 min
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Jay Vine non smette di stupire e di vincere. E’ già una storia il suo passaggio avvenuto non dalle categorie, ma tramite Zwift. Sono ancora fresche le sue imprese alla Vuelta. Ma quel che colpisce è come si pone di fronte alle novità. Jay viene, osserva, vince. Cambia squadra e alla prima gara… vince di nuovo.

Marco Marcato, diesse della UAE Emirates, ha guidato l’australiano al Tour Down Under e ci aiuta a scavare questa caratteristica di Vine, la sua capacità di adattamento e, chiaramente, le sue qualità.

Marco Marcato (classe 1984) è un direttore sportivo della UAE Emirates dallo scorso anno
Marco Marcato (classe 1984) è un direttore sportivo della UAE Emirates dallo scorso anno
Marco, dicevamo delle capacità di adattamento di Vine. Cosa ne pensi?

E’ stata una piacevole sorpresa. Sapevamo delle sue qualità ma da qui a pensare che potesse vincere subito una gara WorldTour con la nuova squadra ce ne vuole. Tanto più su un percorso così filante come quello del Down Under. C’erano salite brevi, mentre lui è più da salite lunghe. Ripeto: è stata una piacevole sorpresa.

Segno ulteriore che Vine si sa adattare e anche che stava bene…

Quello sicuro. Jay ha passato l’inverno in Australia al caldo. Era abituato dunque a certe temperature e rispetto agli altri corridori non ha dovuto adattarsi o far fronte al fuso orario. Sapevamo che poteva fare bene.

E non a caso lo avete messo in testa alla lista. Lui aveva il numero 1 finale sul dorso, quello che di solito spetta al capitano…

Beh, correva in casa, aveva appena vinto il titolo nazionale a crono, aveva buone sensazioni e così abbiamo deciso di puntare su di lui. Anche se Hirschi e Covi potevano fare bene. Ma Alessandro è caduto nel prologo ed è subito uscito di classifica. Poi quando nel finale della tappa decisiva davanti c’era anche lo svizzero, abbiamo deciso il tutto e per tutto puntando su lui.

Secondo Marcato, Vine (classe 1995) ha mostrato grande sicurezza anche nelle interviste
Secondo Marcato, Vine (classe 1995) ha mostrato grande sicurezza anche nelle interviste
Come ti è sembrato con le responsabilità da leader? 

Conoscevamo le sue qualità come detto. Sapevamo i suoi numeri, ma una corsa in bici non è fatta solo di valori fisici, ci sono altri fattori. Molti altri fattori. Lui è stato bravo ad integrarsi subito e a sfruttare al massimo le possibilità che si sono create strada facendo. Poi magari lo ha aiutato il fatto di correre in casa. Senza un Tadej (Pogacar, ndr) o un Almeida ci stava che potesse essere il leader. Io sono convinto che adesso prenderà più consapevolezza e correrà ancora di più da protagonista.

Marco, hai detto giustamente che in corsa non ci sono solo i numeri del fisico, ma anche altri fattori: ebbene, come si muove Vine tra questi “altri fattori”?

Lo conosco da poco. La prima volta che l’ho avuto tra le mani è stato a dicembre, ma da quel che ho visto mi è sembrato un ragazzo metodico, professionale al massimo. Per esempio, mi ha chiesto di vedere il finale della tappa di Campbelltown. L’ha visionata quattro volte. E non tanto per la salita, quanto per la discesa. E questo approccio mi è piaciuto parecchio. Essere professionali al 100% nel ciclismo moderno è importante. Fa la differenza fra l’arrivare davanti e il vincere. Il ragazzo ha testa.

Quindi il leader lo sa fare?

Sì, ha carisma. Ringrazia sempre, si è mosso da leader. E anche nelle interviste rilasciate mi è sembrato consapevole di questo suo ruolo, senza mai mettere in secondo piano la squadra. Sa che ne ha bisogno.

L’australiano non è un grande limatore (complice anche il suo passato) ma si fida dei compagni
L’australiano non è un grande limatore (complice anche il suo passato) ma si fida dei compagni
Vine è uno scalatore o c’è di più? Al netto che ha vinto il campionato australiano a crono…

Si sta scoprendo. Non ha tantissima esperienza e forse neanche lui conosce i suoi limiti. Per esempio proprio a cronometro con noi è migliorato tantissimo nella posizione. Ha dimostrato anche in questo caso che sa evolversi, che sa adattarsi. In gruppo invece spreca ancora un bel po’.

E gli avevi affidato un uomo?

Un uomo specifico no, ma la squadra gli è stata vicino e lui si è fidato della squadra. Covi e Bax, i più limatori che avevamo in Australia, li seguiva da vicino. E non è così scontato. Ci sono molti ragazzi che non sono limatori, ma non si fidano dei compagni più scaltri. Jay si fida e questo è un vantaggio per lui.

Alla luce di queste prestazioni cambierà il suo calendario?

Non cambiamo programma (Vine dovrebbe fare il Giro, ndr). E’ importante rispettare le direttrici e i calendari, anche perché se poi lo cambi ad uno, per forza devi intervenire anche su quello di altri. Se poi ci sono delle necessità diverse, degli infortuni… è un altro discorso. Ma seguire e fidarsi di una programmazione a lungo termine è importante. 

Tiberi è partito col piede giusto e ha tanta fame di successi

28.01.2023
4 min
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Quando sai che tutti gli occhi sono puntati addosso, tutti si aspettano squilli di fanfare per mostrare finalmente tutto il tuo talento, iniziare con il piglio che Antonio Tiberi ha avuto nel Santos Tour Down Under è un segnale importante. Il frosinate, sul quale la vittoria del titolo mondiale a cronometro junior nel 2019 è suonato quasi come un fardello pesante da portarsi dietro, è guardato sempre più come una sorta di salvatore della patria, uno dei giovani chiamati a rilanciare il ciclismo italiano. E non sempre è facile affrontare le gare con questa responsabilità.

Tiberi punta forte sulla Cadel Evans Ocean Race, prima classica del calendario WorldTour
Tappa finale, Vine e Yates si giocano tutto. Tiberi è in fondo, chiuderà quarto a 3″

Tiberi è partito forte: due Top 10 e l’ottava piazza nella classifica generale, unita alla seconda fra i giovani: «Sono parecchio soddisfatto, non solo per i risultati ma anche per come ho sentito girare la gamba. Ho avuto la conferma che la condizione è buona, che la base per lavorare c’è. E’ stata un’esperienza molto istruttiva, sia per quel che è andato bene, sia per quel che c’è ancora da fare».

Tra l’inizio e la fine della corsa di 6 giorni, hai sentito differenze?

Non tanto, significa che la forma era buona già di per sé. Era una corsa breve, con tappe non molto lunghe (la più estesa era di quasi 155 chilometri, ndr), giuste per l’inizio stagione, per consentire di recuperare la stanchezza per il giorno dopo.

Per l’australiano Vine una vittoria pesante, con 11″ su Yates e 27″ su Bilbao. Tiberi chiude 8° a 1’07”
Per l’australiano Vine una vittoria pesante, con 11″ su Yates e 27″ su Bilbao. Tiberi chiude 8° a 1’07”
Guardi al bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

Entrambi. I risultati che ho ottenuto mi devono far pensare a quanto mi è mancato per fare di più, per arrivare alla vittoria. Nella quarta tappa ad, esempio, che poi è stata quella decisiva per la vittoria finale di Jay Vine, quando è andato via insieme a Yates e Bilbao io ero proprio lì, attaccato, ma mi è mancato quel quid necessario per restare alla loro ruota. Significa che devo migliorare nella resistenza quando si è a tutta, quando si vivono gli attimi cruciali di una corsa. C’è un margine da colmare e voglio farlo.

Tu sei al terzo anno alla Trek Segafredo. La sensazione è che il team sia orientato a darti molto spazio, cosa che a molti altri italiani in team WorldTour non accade se non per ruoli di secondo piano…

Questo è un tema molto dibattuto sul quale mi sono fatto una mia idea. Innanzitutto premetto che ogni team è gestito in maniera diversa, io posso parlare del mio dove ho capito che il ruolo devi guadagnartelo, ma questo non avviene solo in corsa. E’ un processo che dura tutto l’anno, bisogna darsi da fare anche in ritiro, pedalando ma anche fuori dalle corse. Bisogna far vedere di esserci, di avere quella fame necessaria per emergere. Ci si deve guadagnare la fiducia degli altri, dirigenti come compagni di squadra, dimostrare sempre quel che si vale e soprattutto quel che si vuol fare. Se dimostri di avere potenzialità, l’attenzione viene di conseguenza.

Il laziale si sta guadagnando la fiducia del team. In Australia corre da prima punta
Il laziale si sta guadagnando la fiducia del team. In Australia corre da prima punta
Parole forti, che sembrano quasi una presa di posizione anche in vista della prima classica del WorldTour, la Cadel Evans Ocean Race

Non so ancora se sarò la prima o la seconda punta della squadra, quel che è certo è che la gamba è abbastanza buona per poter far bene, per essere nella mischia quando si entrerà nella fase calda della corsa. L’intenzione è di essere preservato nelle energie fino ad allora, poi vedremo che cosa succede.

Che corsa è, hai già avuto modo di studiarla?

Ho visto il percorso ed è impegnativo. La prima parte presenta una sola salita lunga, dove però si va su di rapporto e non credo che ci sarà selezione. Penso che quando entreremo nel circuito finale però la situazione cambierà: c’è uno strappo di un chilometro e mezzo con pendenze che toccano addirittura il 25 per cento, farà molto male… Poi bisognerà vedere anche se ci sarà vento perché potrebbero crearsi dei ventagli. Insomma, non ci sarà spazio per distrazioni, bisognerà essere presenti a se stessi dal primo all’ultimo metro e correre col coltello fra i denti.

Decisiva è stata la quarta tappa, a Campbelltown con Bilbao vincitore su Yates e Vine
Decisiva è stata la quarta tappa, a Campbelltown con Bilbao vincitore su Yates e Vine
Dopo la trasferta australiana che cosa ti aspetta?

Al ritorno a casa il programma non prevede gare fino al Uae Tour, quindi penso di partire per trovare un posto caldo ideale per allenarmi e arrivare all’altro appuntamento del WorldTour con una forma ancora più affinata. Poi il programma prevede Laigueglia e Coppi e Bartali. Di occasioni per emergere ce ne sono tante, dipende tutto da me.

Si parte da Australia e Argentina: come cambia la preparazione?

08.01.2023
5 min
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Tra pochi giorni si riparte, la stagione 2023 inizierà, come non succedeva da due anni, dall’Australia e l’Argentina. Con il calendario che torna nuovamente a dimensioni pre-Covid cambiano, o meglio tornano, i vecchi sistemi di preparazione. Arrivare pronti a gennaio non è semplice, ce lo ha spiegato anche Ulissi presentandoci il Santos Tour Down Under. Come organizzano la preparazione le varie squadre, in che modo gli allenatori lavorano per ottimizzare i carichi di lavoro? Paolo Slongo, tecnico della Trek-Segafredo ci aiuta a comporre questo puzzle.

Al ritiro di Calpe a dicembre, Slongo con Elisa Longo Borghini, che segue da parecchi anni
Al ritiro di Calpe a dicembre, Slongo con Elisa Longo Borghini, che segue da parecchi anni

Obiettivi diversi

Ormai nel ciclismo si lavora per programmi, gettare delle basi fin dall’inverno è molto importante. D’altronde le case si costruiscono da fondamenta solide. 

«Il discorso ruota intorno a due punti – esordisce Paolo Slongo – il primo è capire gli obiettivi della squadra. Il Tour Down Under e la Vuelta a San Juan sono corse importanti, iniziano a dare i primi punti. In secondo luogo i team devono fare i conti anche con i corridori a disposizione. C’è chi punta a fare bene in quelle corse, come Porte quando era con noi. Ci sono anche corridori che non hanno obiettivi di classifica ma ripartono per fare chilometri e giorni di gara. Se si guarda ai dati che Porte registrava al Down Under si capisce come fosse già estremamente competitivo. Sono numeri che altri corridori facevano solo da marzo in poi».

Durante il ritiro di dicembre la Trek-Segafredo ha diviso i propri corridori in quattro gruppi, a cui si aggiunge il quinto delle donne
Nel ritiro di dicembre la Trek ha diviso i corridori in quattro gruppi, a cui si aggiunge il quinto delle donne

Programmazione da lontano

Lo stesso Diego Ulissi, nel corso della nostra precedente intervista, ci aveva raccontato come la sua presenza in Australia fosse programmata già da ottobre, prima ancora di chiudere la stagione. 

«E’ vero – riprende Slongo – anche noi in Trek dopo il Giro di Lombardia facciamo una riunione per decidere le prime gare della stagione che verrà. Si sentono prima i ragazzi e si cerca di capire chi è motivato per partire fin da subito e chi no. Noi membri dello staff possiamo dare un parere su chi debba iniziare a correre prima, ma se il corridore non è convinto si rischia di fare un lavoro controproducente. Solitamente si mandano a queste corse i corridori che, per un motivo o per l’altro, hanno terminato la stagione anzitempo».

Chi come Baroncini ha interrotto prima la stagione riparte a correre da subito, Filippo sarà in Australia
Chi come Baroncini ha interrotto prima la stagione riparte a correre da subito, Filippo sarà in Australia

Gruppi differenti

Da qui nascono le esigenze di squadra, lo staff programma il primo ritiro, ed il precedente lavoro a casa, in base al calendario dell’atleta. 

«Quando si parte a correre da gennaio – spiega il preparatore della Trek – si gettano le basi fin dai primi giorni di novembre. L’atleta è chiamato a fare tanta base fin da subito per poi accelerare quando si va in ritiro a dicembre. Chi, al contrario, inizia a correre a febbraio riprende la bici praticamente un mese dopo e lavora molto meno a casa. Questa differenziazione è dovuta al fatto che il mondo del ciclismo è cambiato, dieci anni fa si arrivava alle prime corse meno preparati e si costruiva la condizione in corsa».

I corridori come Ciccone che faranno il Giro avranno un inizio più soft e cominceranno a correre più avanti
I corridori come Ciccone che faranno il Giro avranno un inizio più soft e cominceranno a correre più avanti

Gestione del ritiro

Quando si prende l’aereo per volare al caldo nei primi ritiri in terra spagnola il lavoro è ormai già ben avviato, o meglio programmato. Gli atleti, a seconda delle esigenze delle squadre, vengono divisi in gruppi. Nicola Conci ci aveva spiegato che la Alpecin divide i corridori in tre gruppi: velocisti, uomini delle Classiche e scalatori. 

«In Trek – ci racconta Slongo – i gruppi di lavoro sono quattro: velocisti, corridori delle classiche, chi fa il Giro ed infine i giovani o convalescenti da vari infortuni. Un altro esempio che posso fare è legato anche alle nazionalità: da noi in Trek ci sono tanti danesi, da loro fa molto freddo e fanno fatica ad allenarsi, quindi mandarli a correre in Australia o Argentina è utile per lavorare meglio».

Tiberi segue il percorso di crescita e per la prima volta andrà a correre fuori dall’Europa
Tiberi segue il percorso di crescita e per la prima volta andrà a correre fuori dall’Europa

Gli allenamenti

Cerchiamo di capire, infine, come si differenziano quindi i vari giorni di allenamento. 

«Chi corre in Australia ed Argentina – conclude Slongo – arriva al ritiro di dicembre con un livello di preparazione più alto. Loro fanno un tipo di lavoro più mirato, di maggiore intensità: soglia, fuori soglia ed anche piccole gare da 4-5 chilometri in salita. Insomma li si abitua al ritmo gara. Il gruppo delle classiche, che iniziano a febbraio, lavora anche lui sulla qualità ma per molte meno ore, questi inizieranno a “spingere” nel ritiro di gennaio. I corridori più difficili da gestire sono quelli che corrono al Giro d’Italia. Non possono spingere forte fin da subito per non entrare in condizione troppo presto. Diciamo che il loro primo obiettivo è la Tirreno-Adriatico.

«I ragazzi con in programma il Tour de France, invece, sono più semplici da gestire, loro si “autogestiscono”. Chi vuole partire forte fin da subito può correre in Australia o Argentina, anche perché avrà il tempo di riposarsi e recuperare energie successivamente. Altri corridori con in programma il Tour preferiscono correre nelle Ardenne e riposarsi nel periodo di maggio».

Roberto Damiani

Damiani aiutaci a capire questo Viviani

22.09.2020
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Roberto Damiani era al Tour sull’ammiraglia di Elia Viviani ed ha avuto tutto il tempo di osservarlo e riflettere con lui sulla strada che dalla Francia lo avrebbe portato al Giro d’Italia. La trasferta non è andata come il veronese avrebbe voluto e, a ben vedere, è stata l’intera ripresa post Covid a non aver dato le risposte giuste.

«E questa sicuramente – spiega Damiani a bici.PRO – è stata la prima valutazione che abbiamo fatto. Elia ha sempre corso parecchio e ha fatto le cose migliori dopo un grande Giro. Per questo eravamo in Francia a stringere i denti, sperando che tutto quel masticare sarebbe servito per il Giro».

Elia Viviani, Tour de France 2020
In difficoltà sulle salite del Tour, ha stretto i denti fino a Parigi
Elia Viviani, Tour de France 2020
In difficoltà sulle salite del Tour, ha stretto i denti fino a Parigi

Scelte tecniche impopolari

Fra i motivi di disagio di Viviani, l’assenza di Fabio Sabatini ha inciso molto sulla sua tranquillità negli sprint. La Cofidis aveva deciso di affiancare degli uomini di qualità a Guillaume Martin e l’ultimo uomo del treno è stato sacrificato. Viviani ha compreso, non ne è stato entusiasta, ma da professionista ha fatto buon viso a cattivo gioco.

«Ma è chiaro – prosegue Damiani – che questa assenza ha ridotto il suo potenziale e le sue certezze in volata, in un 2020 in cui l’assenza di vittorie ha tolto qualche sicurezza. Non avere un treno da seguire è un fattore decisivo. Gli ho chiesto più di una volta quanto gli mancasse Morkov. Gli bastava guardare la sua ruota e lanciarsi quando lui si spostava. Elia ha i suoi schemi e perderli fa la differenza. E poi l’anno in più porta via la sfrontatezza dei bei tempi, la condizione non ottimale fa sì che il rischio sembri più un pericolo che un’occasione. Al Giro ci aspettiamo tutti qualcosa di meglio. Al Giro avrà tutto il suo treno».

Il doppio impegno di Consonni

Il lombardo ha concluso il Tour del debutto in buone condizioni, per cui l’impiego al Giro che inizialmente era soltanto un’ipotesi è diventato realtà.

«Perché Consonni ha recuperato bene – spiega Damiani – e soprattutto non è detto che i reduci dal Tour faranno il Giro per finirlo. Fisseremo una riga e quando l’avremo superata, decideremo di giorno in giorno. E’ meglio riuscire a gestire la fatica che mollare per sfinimento.

«Simone si è rivelato un ottimo corridore. E’ molto cresciuto e soprattutto è una persona onesta. Davanti alla condizione imperfetta di Viviani, avrebbe potuto voler fare la sua corsa, invece non c’è mai stata una spaccatura. Il terzo posto nel giorno del suo compleanno a Lione, Elia si era già chiamato fuori. E’ stato di un’onestà esemplare, tanto che nella tappa dello sterrato, si è rialzato, lo ha aspettato e hanno fatto la salita insieme».

Elia Viviani
Agli Europei su pista del 2019 ad Apeldoorn, Viviani ha vinto l’oro nell’eliminazione
Elia Viviani
Agli Europei su pista del 2019 ad Apeldoorn, Viviani ha vinto l’oro nell’eliminazione

La tensione del campione olimpico

Si sbaglierebbe a credere che il campione di Rio 2016 abbia vissuto il Tour con serenità, anche se il clima che ha respirato attorno a sé lo ha infine tranquillizzato.

«Ma all’inizio della corsa – ancora Damiani – era parecchio teso, molto in discussone con se stesso. Elia è il tipo che non si adagia sulle vittorie, fatta una, via la prossima. Ma è rimasto stupito nel sentire la fiducia della squadra, che non lo ha mai discusso e anzi lo ha coinvolto in ragionamenti sul mercato. Lo stesso Laporte, che nel 2019 ha vinto nove corse, ha sempre detto che sarebbe venuto al Tour per aiutare Viviani. Ed è stato di parola».

La strada insomma è ripida, ma non impossibile. Dopo il Giro, l’inverno che conduce alle Olimpiadi non ha ancora una forma. Hanno ragionato appena un po’ sull’ipotesi di andare al Tour Down Under per iniziare, ma nessuno alla fine di settembre avrebbe avuto voglia di guardare oltre. Per il futuro c’è tempo. Non troppo, a dire il vero…