Temperoni: «In Rytger sono cresciuta tanto, ma mi fermo un anno»

22.11.2024
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Quest’anno tra le juniores del team danese Rytger-Carl Ras, la ligure Beatrice Temperoni ha vissuto la particolare unicità di correre per una formazione estera proprio come il suo coetaneo e conterraneo Lorenzo Mark Finn.

Il 2024 ha rappresentato un’esperienza tecnica e di vita che ha fatto crescere la 18enne di Sanremo (in apertura foto Ossola), malgrado una serie di intoppi fisici che ne hanno minato la stabilità morale, oltre al cammino agonistico. A fine stagione ha dovuto prendere una decisione non scontata, tuttavia lasciando aperta una porta per il futuro.

Beatrice Temperoni ha corso nel team danese Rytger-Carl Ras, ma ha deciso di prendersi un anno sabbatico nel 2025
Beatrice Temperoni ha corso nel team danese Rytger-Carl Ras, ma ha deciso di prendersi un anno sabbatico nel 2025

Dal Poggio alla Danimarca

Quello di Temperoni è un passato importante nelle categorie precedenti. Il suo crescendo di risultati è stato forgiato nella multidisciplinarietà. Nel 2019 da esordiente di primo anno ha vinto il tricolore nel ciclocross, nel cross-country e su strada. Tre anni più tardi da allieva ha raccolto il bronzo agli EYOF (il Festival olimpico estivo della gioventù europea) dietro la britannica Cat Ferguson e la spagnola Paula Ostiz, ovvero prima e seconda ai mondiali juniores di Zurigo e appena passate entrambe alla Movistar. Perché il ciclismo a Beatrice è passato letteralmente dentro casa ancora prima di scorrerle nelle vene.

«Avete presente la fine della discesa del Poggio – racconta – dove la strada si immette nuovamente sull’Aurelia prima del traguardo? Ecco, dove c’è il primo cancello che si vede io abito lì. Il ciclismo quindi per me è qualcosa di forte e andare alla Rytger è stata una bella opportunità, anche se non l’ho colta subito. Infatti il diesse Morten Ravnkilde mi aveva contattata proprio dopo gli EYOF, ma essendo al primo anno da juniores ero timorosa di fare quel passo. Lui e la squadra mi hanno capito e si sono rifatti avanti a maggio del 2023. Nel frattempo avevo maturato più esperienza e convinzione, così ho accettato di buon grado, mossa da tante motivazioni».

Vita mediterranea e nordica

La scelta di Temperoni comprendeva tanti aspetti organizzativi e logistici. Far conciliare gli impegni scolastici al Liceo Scientifico Sportivo di Taggia con quelli ciclistici tra allenamenti e gare.

«A scuola – prosegue Beatrice – alcuni insegnanti erano contenti per questo cambio di vita. Ad esempio la professoressa d’inglese era felice perché certamente avrei migliorato la lingua. Altri insegnanti invece non capivano che il mio era come un lavoro. D’altronde le formazioni juniores sono molto professionali in tutto, lo sapete bene. Insomma, qualcuno mi veniva incontro per programmare verifiche ed interrogazioni, qualcun altro no. Io però ho sempre fatto tutto per restare al pari, studiando durante i ritiri o dopo le gare».

Nella formazione danese c’era la campionessa norvegese Kamilla Aasebo, talento che correrà nella Uno-X (foto Rytger)
Nella formazione danese c’era la campionessa norvegese Kamilla Aasebo, talento che correrà nella Uno-X (foto Rytger)

Parallelamente Temperoni si confrontava col suo preparatore Alessio Mattiussi, mentre proseguiva l’inserimento nel Team Rytger.

«Alessio mi mandava le tabelle attraverso Training Peaks e i miei diesse mi tenevano monitorata, decidendo a quale gara mandarmi. Prima però ci sono stati i ritiri della squadra, utili per ambientarsi con le compagne e adattarsi alle abitudini danesi. I primi tre ritiri li abbiamo fatti nella zona di Copenaghen. Uno per conoscersi, prendere misure di bici e abbigliamento. Il secondo e il terzo sono stati improntati sul team building. Uscite in bici a giochi di squadra simili a caccia al tesoro. Lassù ho sofferto tantissimo il clima rigido considerando che sono abituata al caldo e che quando da me c’è freddo ci sono almeno 15 gradi. Infine a marzo siamo stati a Gran Canaria con un meteo ottimo per allenarsi in vista delle prime gare».

Alla Bizkaikoloreak nei Paesi Baschi, Temperoni è stata supportata da una buona condizione (foto Luis Iturrioz Bilbao)
Alla Bizkaikoloreak nei Paesi Baschi, Temperoni è stata supportata da una buona condizione (foto Luis Iturrioz Bilbao)

Crescita personale

Viaggiare apre la mente, specie quando hai 18 anni e lo stai facendo per lavoro. Temperoni accumula competenze e conoscenze.

«Sono cresciuta veramente tanto – spiega ancora Beatrice – perché dovevo interfacciarmi con tanta gente. Mi sono trovata spiazzata per i loro gusti alimentari perché mischiano tutto e mai come in quei momenti rimpiangevo la cucina italiana (dice sorridendo, ndr). Poi ho imparato ad organizzarmi per gli spostamenti. Ho preso molti aerei da sola per raggiungere la squadra per alcune corse. Come per andare nei Paesi Baschi che difficilmente ci sarei andata per conto mio o se fossi stata in Italia. E’ stato un assaggio di professionismo e personalmente consiglio a tutti i ragazzi di accettare le eventuali proposte che arrivano da team stranieri. Sia da juniores che da U23, è una esperienza formativa».

Anno sabbatico

Il 2024 però riserva a Beatrice sfumature inaspettate e momenti difficili che fanno da contraltare a buone prestazioni. A fine stagione, con la possibilità di passare elite, c’è un’altra scelta da prendere.

«Ero partita motivata – va avanti – ma il primo aprile sono caduta in gara rompendomi clavicola e qualche costola. Di quel giorno ho ricordi confusi perché avevo battuto anche la testa. E’ stata la mia prima caduta su strada e ho battezzato l’asfalto alla grande. Sono rimasta fuori dalle corse per due mesi, perdendo la possibilità di correre il Tour du Gévaudan Occitanie con la nazionale che mi aveva già convocata. Appena rientrata ho preso la febbre. Ho trovato una buona condizione tra fine giugno e luglio, dove ho conquistato qualche buon piazzamento. Ad agosto però ho avuto altri nuovi problemi personali e da lì ho perso gli stimoli.

Nei ritiri danesi, Temperoni ha conosciuto meglio le loro abitudini e… il freddo (foto Rytger)
Nei ritiri danesi, Temperoni ha conosciuto meglio le loro abitudini e… il freddo (foto Rytger)

«Il mese scorso – conclude Temperoni – ho deciso di prendermi un anno sabbatico dalle gare. Quest’anno a scuola avrò la maturità e voglio concentrarmi su questo obiettivo, anche perché poi la prossima estate voglio fare i test per entrare all’università. Vorrei diventare fisioterapista e la facoltà ce l’avrei a Finale Ligure. E’ stata una scelta difficile e sofferta, ma ponderata. Mi sono consultata col mio preparatore per continuare a seguire un programma di allenamento finalizzato al mantenimento della forma. Devo ritrovare qualche motivazione in più, ma vorrei tornare nel 2026. Avrò solo vent’anni e tutto il tempo per recuperare il terreno perso».

Dopo Bonifazio, numeri e sensazioni di Maestri, andato in fuga

23.03.2024
5 min
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Ieri vi abbiamo parlato della Sanremo di Niccolò Bonifazio. Il corridore della Corratec-Vini Fantini era rimasto in gruppo e aveva corso “coperto”. Ciononostante abbiamo visto dati e tempi da capogiro. Stavolta analizziamo la Classicissima di Mirco Maestri, che invece è andato in fuga.

Il corridore della Polti-Kometa ha quindi preso tanta aria e ha corso in modo differente. E’ dunque interessante sapere come è stata gestita la sua gara. Di certo Maestri è stato più costante di Bonifazio, il quale ha dato tutto tra Berta e arrivo. Arrivo su cui Mirco è transitato in 44ª posizione a 1’16” da Philipsen. Quindi 42” prima di Bonifazio.

Mirco Maestri (classe 1991) era alla sua ottava Sanremo
Mirco Maestri (classe 1991) era alla sua ottava Sanremo
Mirco, insomma ancora una Sanremo in avanscoperta…

Su otto Classicissime a cui ho partecipato, sette le ho fatte in fuga. Stavolta all’inizio avevo delle sensazioni un po’ strane: il gruppo non ci dava grosso spazio, poi siamo andati, ma è stata una faticaccia. Credevo ci venissero a prendere prima della Cipressa. Mi sono dovuto dare da fare nella fuga.

Nel senso che hai tirato forte?

Intendo che mi sono fatto ascoltare perché c’era questa ansia di voler andare a tutta, perché avevamo solo un minuto e mezzo o due. Io gli dicevo: «E’ inutile spingere di più, perché l’andatura la fa il gruppo. E’ meglio che ci teniamo “le banane” nel sacco. Risparmiamo energie per quando scendiamo dal Turchino. Poi una volta sull’Aurelia diamo tutto quello che abbiamo». Il vento un po’ ci avrebbe aiutato. 

In effetti quel paio di minuti non era rassicurante come vantaggio…

Ma è così. E sempre agli altri in fuga dicevo: «Vedrete che comunque non ci vengono a riprendere presto. Non riapriranno la corsa a 150 chilometri dall’arrivo».

Il file della velocità (linea verde) tenuta da Maestri in relazione all’altimetria del percorso (in grigio). In basso il tempo di gara
Il file della velocità (linea verde) tenuta da Maestri in relazione all’altimetria del percorso (in grigio). In basso il tempo di gara
Insomma hai giocato d’esperienza…

Bisogna rischiare e fidarsi delle sensazioni. Poi avevo un compagno di fuga come Tonelli con il quale ci si conosce da una vita. Siamo stati bravi calcolatori. Ci siamo confrontati spesso ed è stata la scelta migliore.

Passo indietro: dicevi che le sensazioni non erano super nei primi chilometri: perché?

Venivo da una Tirreno impegnativa e da una Milano-Torino in cui forse non avevo recuperato benissimo, quindi non ero proprio tranquillissimo di testa. Avevo paura di non averne abbastanza perché conosco il livello e il dispendio energetico che ci vuole per questa corsa. Soprattutto se affrontata all’attacco. Però più passavano i chilometri, più stavo meglio. Sono una sorta di diesel e corse come la Sanremo sono ideali per me.

Mirco, parliamo invece un po’ di numeri: i battiti medi sono stati 124, quelli massimi 163. All’inizio salivano troppo o al contrario non salivano?

I battiti erano nel range. Però ci abbiamo messo una quindicina di chilometri ad andare in fuga ed è stato abbastanza stressante. Si andava veramente forte. Nella prima mezz’ora abbiamo fatto 54 di media. I primi 20-25 minuti sono stati tosti per andare in fuga. Ed ogni anno è peggio!

DATOVALOREDATOVALORE

Tempo
6h 15’43”FTP normalizzata w373

Km
285Watt Cipressa453
Velocità media
45,5 km/h
Watt Poggio438
Watt medi280FC media124
Watt max1.474FC max163
Watt sui 5′477Rpm medie89
Watt sui 10′453Calorie6.867
Watt sui 20′393Lavoro Kj6.225
La tabella con i dati forniti da Samuel Marangoni, coach di Maestri
Perché?

Perché le squadre dei grandi non solo vogliono un numero giusto di fuggitivi, ma non vogliono neanche che ci siano certi connubi di corridori. Chi può tenere troppo, collaborare. O essere pericoloso per il finale. Però anche loro ad un certo punto dovevano mollare. Altrimenti saremmo arrivati a Sanremo così!

Come hai gestito lo sforzo? Dai dati che ci ha fornito il tuo coach, Samuel Marangoni, si parla di qualcosa come 6.867 calorie.

Mi sono gestito molto a sensazione. Poi ammetto che i dati li ho visti dopo. Un po’ per non farmi condizionare, un po’ perché preferisco essere concentrato sulla gara. I battiti cardiaci per esempio non li metto mai nella prima pagina del computerino. Non li voglio vedere. Sentivo però che nei momenti di spinta, quando c’era da andare, la gamba rispondeva bene, vuol dire che i watt c’erano. E le spinte erano comunque sempre un po’ sotto controllo. In una corsa del genere devi controllarti altrimenti non ci arrivi al traguardo.

Si dice che sui Capi si capisce se un corridore sta bene o no. E’ così?

Vero, i Capi sono il primo banco di prova. E lì non menti, cominci ad avere un certo chilometraggio nelle gambe. Se lì non ne hai, si spegne tutto.

Sui Capi però aumentano vertiginosamente i watt…

Naturalmente, prima viaggi con un wattaggio costante, soprattutto se sei in fuga. Cerchi anche di spendere il giusto. Nella doppia fila classica hai dei momenti di più alto wattaggio quando sei in testa, ma poi lavori più basso. Sui Capi però passi a spingere in Z4 alta, anche Z5.

Maestri sulla Cipressa a ruota di Tonelli. Uno sforzo monster, ma la fuga ha tenuto botta grazie all’ottima gestione del passo
Maestri sulla Cipressa a ruota di Tonelli. Uno sforzo monster, ma la fuga ha tenuto botta grazie all’ottima gestione del passo
E sulla Cipressa?

Lì dai tutto quello che resta. Il tuo corpo ti dà una pacca sulla spalla e ti dice: «Non abbandonarmi!». Davvero il fisico non ne può più. Quest’anno ho avuto una giornata particolarmente buona, anche perché quando mi hanno ripreso dopo la Cipressa, col fatto che era partito il mio compagno Bais, sono riuscito a gestire e a “recuperare” prima del Poggio. In questo modo ho avuto un po’ più di gamba. Su quello strappo ormai si sale a 40 all’ora (la media di quest’anno è stata di 39,8 km/h, ndr) e l’ultimo tornante l’ho preso un po’ troppo esterno. Ho dovuto frenare ma a quel punto non sono più riuscito ad alzarmi in piedi. 

Parliamo di cadenze, ci si bada in una corsa tanto lunga come la Sanremo?

Come per le altre corse. Chiaro che se riesci ad essere un po’ più agile prima, tanto meglio visti i tanti chilometri. Salvi la gamba e nel ciclismo di oggi conta moltissimo. Io tendo ad andare abbastanza duro, però stare in fuga e girare regolari mi ha aiutato in tal senso e infatti un filo più agile del solito sono andato. Diciamo che il top è pedalare tra le 90-95 rpm. E’ stato così anche una volta sull’Aurelia, ma con un dente o due più duri.

E sulle salite?

Sulla Cipressa salivo a 80-85 rpm. Non so con che rapporto, ma con la corona grande, il 54, di sicuro. Ormai tutte le salite le facciamo a 30 all’ora o più. E in quasi tutte le corse si va via di 54.

Dentro la Sanremo. Cronaca di una giornata folle

18.03.2024
7 min
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SANREMO – Vederli a bordo strada divorare la Cipressa in quel modo è stato un cazzotto nello stomaco. Okay, noi stessi scriviamo sempre che i corridori vanno sempre più forte, che sprigionano “chili” di watt, ma quando poi tocchiamo con mano, quando li vediamo dal vivo a pochi centimetri di distanza, cambia tutto.

Questa emozione è stata possibile grazie ad Orbea e al team Lotto-Dstny. Siamo saliti in una delle loro auto, una di quelle che segue la corsa parallelamente. Un’auto che ci ha portato dentro la Sanremo nel vero senso della parola.

Setup e birra

Ecco dunque la cronaca di una giornata particolare… che non è il programma di Aldo Cazzullo su La7! Ritrovo a Pavia. Arriva il bus della squadra belga e, come da prassi, i meccanici mettono le bici sui cavalletti.

Scrutiamo incuriositi i setup. Per tutti il telaio “aero” di Orbea, l’Orca: qualcuno ha scelto ruote altissime, le Zipp 858, qualcuno quelle medie, le 454, che una volta sarebbero state loro stesse quelle alte.

Jacopo Guarnieri è felice perché non piove, ma fa anche una previsione pensando al suo leader di giornata, Maxim Van Gils. «Sono contento che ci sia il sole, però è anche vero che se questa gara ha una possibilità di non finire in volata o di vedere un arrivo solitario è proprio con la pioggia». 

Si parte. Vedere sfilare il gruppo nelle pianure dell’Oltrepò è un’immagine più iconica che vibrante. Ormai il gruppo pedala a 45-46 all’ora con una scioltezza disarmante. Sembrava che i corridori stessero passeggiando.

Nell’attesa, Eric De Clercq, il nostro accompagnatore di giornata, apre una delle borse frigo ed estrae delle lattine di birra. Naturalmente Stella Artois. Insomma, benvenuti in Belgio! E sono solo le 11,30 del mattino.

Come cavallette risaliamo sulla mastodontica Bmw X7. E’ incredibile come dalla calma assoluta, si passi alla modalità “Flash Gordon”. 

Sul Turchino

La prossima sosta è un vero totem della Milano-Sanremo: il Passo del Turchino. Lasciamo l’autostrada ad Ovada. La risalita verso il valico è una processione continua di ciclisti. Il popolo dei pedalatori si riunisce.

La salita è estremamente dolce e irregolare. Spesso scende anche un po’. Poi concede piccole strappate al 5-6 per cento al massimo. 

Una lunga curva verso destra porta alla famosa galleria del Turchino. Asfalto perfetto per questi 283 metri che separano il Piemonte dalla Liguria. La luce in fondo al tunnel è quella calda del tepore della Riviera.

All’imbocco della galleria, Eric estrae dalle solite borse frigo dei sacchetti. C’è della pasta con pollo. Sembra di stare in una curva da stadio. Tanta gente e tante bici appoggiate ai guardrail. Tutti col cellulare in mano. Noi anche ce lo abbiamo, ma dobbiamo documentare. E’ il nostro lavoro. Nell’attesa pensiamo che forse sarebbe meglio godersi il momento dal vivo e non tramite lo schermo.

Mentre ci perdiamo in queste congetture, all’improvviso dalla curva sbuca la fuga. I primi impostano una piccola accelerata. Passare in testa al Turchino fa piacere evidentemente, anche se non c’è un Gpm. Sanno di non avere possibilità di vittoria. Il gruppo non gli ha mai lasciato più di 2’40”. Si prendono un po’ di gloria.

Poi ecco il gruppo. Le urla sono quasi tutte per Pogacar. La Lidl-Trek risale abbastanza compatta nelle retrovie sul lato sinistro della strada. Probabilmente Pedersen o Milan avevano fatto una sosta fisiologica o avevano avuto un problema meccanico.

Jet sulla Cipressa

Stessa scena di prima. Saltiamo nella Bmw come cavallette. Per qualche chilometro procediamo in direzione opposta. Riprendiamo l’autostrada e rientriamo sull’Aurelia una cinquantina di chilometri prima della Cipressa. E’ un colpo da maestri. Ci godiamo il pubblico a bordo strada. La loro attesa diventa la nostra attesa. E poi gli scorci delle scogliere a picco, il blu del mare, il sole e i tre Capi.

Il Capo Berta è tosto davvero. Le pendenze toccano per un secondo anche il 10 per cento. Capiamo dunque il detto: “Sui Capi il corridore capisce se sta bene”.

L’attacco della Cipressa è mistico. La prima parte tira al 4-6 per cento. E’ una curva continua. L’asfalto è perfetto. Si va nell’entroterra. Poi un tornante riporta sul lato del mare. Lì la pendenza diminuisce. Alcuni bambini ci chiedono delle borracce. Come non dargliele! Tifano Van der Poel e Pogacar. Però lo striscione sul tornante è tutto per Matteo Sobrero.

Ecco la fuga. Pochi secondi dopo piomba il gruppo. Davanti Del Toro, Wellens e Pogacar. Fanno paura. Volano. La corona grande è d’obbligo. Qualcuno deve persino accarezzare il freno in uscita di curva per non prendere il parapetto. Così facendo deve rilanciare ancora più forte. Distinguere i corridori dalla decima posizione in poi è complicato. Sono seminascosti e davvero volano!

Davanti sono una trentina. Il resto del gruppo è letteralmente esploso. Stavolta con la Bmw ci mettiamo in corsa. Seguiamo le seconde e terze ammiraglie.

Adrenalina Sanremo

La discesa della Cipressa sembra infinita. Il mal di stomaco è in arrivo. Per fortuna arriva prima l’Aurelia. Adesso si punta il Poggio. E’ curioso come il drappello che ci precede, e parliamo dell’ottantesima o forse anche centesima posizione, proceda apparentemente piano. In realtà fila via a 46-48 all’ora. E sul Poggio gli stessi componenti toccano i 28 all’ora. E mentre salgono dal tornante sotto vediamo che osservano il mare.

In cima c’è una folla pazzesca. Riconosciamo colleghi fotografi ad ogni angolo. Arroccati sui muretti o incastrati sotto i guardrail. Intanto la corsa è in Via Roma. Da uno dei tablet dell’ammiraglia Lotto-Dstny osserviamo la volata. Per la squadra belga c’è Van Gils, ma Eric dice che non è velocissimo. Gli chiediamo allora perché non abbiano portato Arnaud De Lie. «Perché non è al cento per cento. E per queste corse devi essere al top», replica lui.

Si entra a Sanremo. Il drappello che seguivamo in discesa ci ha seminato. A 600 metri dall’arrivo c’è la deviazione delle ammiraglie. La imbocchiamo e arriviamo al parcheggio dei bus. 

La giostra sembra rallentare all’improvviso. A passo d’uomo ci apriamo un varco tra la folla e finalmente raggiungiamo i mezzi della Lotto-Dstny. 

Le Orbea sono già sotto le lance dei meccanici. Anche i corridori sono sotto l’acqua. E’ quella della doccia del bus.

E’ stato un viaggio folle, intenso. Un viaggio nel cuore della Sanremo. Un viaggio che ci ha fatto vivere quello che sapevamo, vale a dire “la corsa nella corsa”, ma che non immaginavamo quanto fosse folle. E’ stata adrenalina pura.

La Sanremo di Milan: un giorno da leone, ma che fatica…

17.03.2024
4 min
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SANREMO – Una corsa da leone. Da uno che lo staccano sulla Cipressa (foto di apertura), però non molla, rientra e tira a bocca aperta come un diavolo per portare i compagni sul Poggio. In estrema sintesi, la Sanremo di Jonathan Milan è stata proprio questa. Un conto è correrla da giovane, con le attese limitate al fare esperienza. Altra cosa è farlo nei panni di uno che ha vinto due tappe alla Tirreno-Adriatico, battendo i velocisti più forti: Philipsen su tutti. Poi magari nella testa del friulano la differenza non c’è stata neppure per un istante, ma è certo che tante interviste alla vigilia nelle due edizioni precedenti non gliele avevano fatte. Per cui ci pensi. E quando arriva la Cipressa dove tutto si accende, ti chiamano allo scoperto e la musica cambia.

Al via della Sanremo, Milan era indicato tra i possibili favoriti: forse troppo presto?
Al via della Sanremo, Milan era indicato tra i possibili favoriti: forse troppo presto?

Cipressa quasi record

Alla partenza si faceva un gran parlare di tempi. Se la salita di Costa Rainera si fosse fatta in 9’50”, Milan ce l’avrebbe fatta. Se si fosse fatta in 9’20”, invece no. Ieri la Cipressa l’hanno scalata in 9’26” perché a un certo punto la UAE Emirates non ce l’ha più fatta a dare gas e Milan ugualmente, a un tratto, ha sentito accendersi la riserva. Fino a quel punto, era parso che tutto andasse bene e chissà se fra le analisi del dopo corsa si valuterà anche la scelta di partire con il 56, che potrebbe logorare se inavvertitamente non si compensasse con i pignoni posteriori. Ma questi sono discorsi a posteriori, da approfondire al momento debito. Quel che si può dire nell’immediato è che come fanno i corridori veri, Milan si è gestito, restando con la testa sul pezzo. Pensando a cosa fare per sostenere i compagni nel tratto che restava.

«Sì, è andata così – dice con voce flebile da uomo stanco – alla fine sui Capi stavo bene. Invece un po’ prima che finisse la Cipressa, sono finito nelle retrovie. Sono rientrato prima del Poggio e sapevo che le energie erano quelle che erano, per cui ho cercato di aiutare la squadra al meglio possibile. E’ andata così, dai. Sono contento per la mia performance e anche di come abbiamo corso, perché abbiamo corso veramente bene, tutto sommato».

Milan ha vissuto la prima parte di gara ben al coperto, lo svuotamento è iniziato fra i Capi e la Cipressa
Milan ha vissuto la prima parte di gara ben al coperto, lo svuotamento è iniziato fra i Capi e la Cipressa

Su tutto il Poggio

Ai piedi del pullman ci sono ad aspettarlo suo padre e sua madre, oltre a Manuel Quinziato, il suo agente che rivendica inaspettate origini friulano: proprio di Buja. Alla Lidl-Trek non ci sono grandi sorrisi, perché arrivati con Pedersen a giocarsi la volata, pensavano tutti di portarsi a casa un’altra Sanremo, dopo quella di Stuyven del 2021. Invece proprio il belga ha tirato la volata al compagno danese, che però non è andato oltre il quarto posto, dopo Pogacar e appena prima di Bettiol.

«Sulla Cipressa non dico che si è spenta la luce – riflette Milan, che sorride – oppure diciamo che forse si è spenta piano piano. Poi per un po’ si è riaccesa e alla fine si è spenta completamente sul Poggio. Non penso che sia stato un fatto di alimentazione, oppure magari c’entra pure quello, non lo so. Quando sono rientrato, ho pensato a fare quello che serviva. Non è che ci sia stato tanto tempo per parlare o guardarsi in faccia. Sono andato davanti il prima possibile e poi ho provato a fare il massimo, quello che sono riuscito. Ho cercato di dare il mio supporto. Ho fatto un piccolo passo in più rispetto all’anno scorso, ho fatto un buon lavoro su tutto il Poggio quindi sono abbastanza soddisfatto.

«Che differenza c’è alla fine tra fare la Sanremo da Jonathan Milan il giovane e Jonathan Milan che ha vinto le tappe alla Tirreno? Forse prima qualche attenzione in più, poi però è stata uguale. Solo una grande, grandissima fatica…».

La tattica della Alpecin? Portare quei due nel finale

17.03.2024
4 min
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SANREMO – Mentre Jasper Philipsen e Mathieu Van der Poel erano “rapiti” dalle tv, nel clan della Alpecin-Deceuninck si faceva festa per l’ennesimo monumento conquistato. Ormai la squadra di Christoph Roodhooft, manager e diesse, è diventata una corazzata. Due Sanremo, due Fiandre e una Roubaix solo negli ultimi tre anni. Senza contare tutte le altre classiche. E che classiche: Strade Bianche, Amstel Gold Race, Francoforte…

Christoph Roodhooft con Dillier al bus della Alpecin-Deceuninck
Christoph Roodhooft con Dillier al bus della Alpecin-Deceuninck

Davide contro Golia

Mentre Roodhooft parla ai giornalisti, arriva Silvan Dillier. Lo svizzero è sfinito. Fa parte della guardia che entra in gioco lontano dal traguardo, quella del “lavoro sporco”, ma se i suoi capitani vincono il merito è anche di quelli come lui. Firma autografi e poi si concede all’abbraccio di Roodhooft che da serissimo si illumina finalmente con un sorriso.

«Se guardo alla lista di partenza di questa mattina – dice Roodhooft – ho pensato che forse non saremmo stati più forti di altri. C’erano delle formazioni molto ben attrezzate. Ma noi crediamo nel nostro team, nei nostri uomini e abbiamo cercato di schierare i più forti. Ad un certo punto eravamo rimasti solo con quattro atleti. Ma nel finale eravamo lì».

Il manager rimarca il discorso della squadra e dei valori in campo. In settimana, vedendo come si presentavano squadre come Lidl-Trek e UAE Emirates in Belgio ci si chiedeva come avrebbero fatto a replicare il successo dell’anno scorso. Con queste parole sembrava quasi si fosse tolto il classico “sassolino” dalla scarpa.

La generosità di VdP che sia nella salita che nella discesa del Poggio si è voltato ad “aspettare” Philipsen
La generosità di VdP che sia nella salita che nella discesa del Poggio si è voltato ad “aspettare” Philipsen

VdP in crescita

E forse anche per questo Roodhooft tutto sommato si dice contento che la corsa sia filata liscia come gli altri anni fin sui capi. Alcune squadre erano più numerose della sua. Ma c’era l’asso nella manica: Mathieu Van der Poel in veste da gregario.

«Mathieu – dice – è con noi da molto tempo. E’ una persona adulta e vuole il meglio anche per il team. E’ un uomo squadra a tutti gli effetti e vuole farne parte. Non è “un’isola”».

Tra le righe, sempre ascoltando Roodhooft si evince che forse VdP non era proprio al top ai piedi del Poggio. Probabilmente esordire con una corsa come la Sanremo non è facile neanche per un super eroe come lui. Però è stato forte lo stesso e soprattutto onesto.

«Aiutare Philipsen è stata una sua intuizione – ha continuato Roodhooft – Ora si spera possa arrivare nelle sue migliori condizioni al Giro delle Fiandre (tra due settimane, ndr). Ma ci riuscirà sicuramente… se non ci saranno problemi».

L’andamento della corsa regolare, seppur con la media record di 46,1 km/h, ha favorito lo sprinter belga
L’andamento della corsa regolare, seppur con la media record di 46,1 km/h, ha favorito lo sprinter belga

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Il portamento retto di Roodhooft fa impressione. Non sembra una persona che ha appena vinto una corsa tanto importante come la Sanremo. E tutto sommato le parole di Philipsen si sposano alla perfezione col ritratto del manager.

«Christoph – ha detto Jasper – ma anche suo fratello Philip, non si lasciano mai prendere dal panico, elaborano un piano chiaro e lo rispettano fino in fondo. Anche se le cose non vanno benissimo, come è successo quest’anno. Non si stressano e continuano a credere in quello che fanno. E questo aiuta un uomo che, come me, a volte perde fiducia e pazienza in sé stesso».

«Penso che sia un complimento anche per me e mio fratello – ha detto Roodhooft – Siamo molto felici ovviamente. Al via sapevamo di avere due corridori molto forti ed entrambi erano presenti nel finale. Vedere Mathieu Van der Poel, campione del mondo, che si sacrifica per Jasper è stato incredibile. Gli ha dato l’opportunità di fare lo sprint per la vittoria».

«Non dico che il piano fosse questo, ma ci aspettavamo sia Mathieu che Jasper nel finale». Insomma tutto secondo programma: Davide che batte Golia, due assi nella manica e una grande intesa. Come sembra facile vincere una Milano-Sanremo.

Bettiol e Ganna, due facce (rassegnate) della stessa moneta

16.03.2024
5 min
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SANREMO – Si era tagliato la barba dopo la Milano-Torino, la differenza l’avevamo notata ieri alla presentazione delle squadre a Pavia. Alberto Bettiol è un corridore tanto forte quanto imprevedibile, capace di capolavori e di corse anonime. Nelle ultime settimane, prima di Strade Bianche e Tirreno, si è allenato in Toscana seguito come un’ombra da Gabriele Balducci. Che la Sanremo fosse nelle sue corde è cosa ben nota, ma quando sul Poggio subito dietro Pogacar e Van der Poel abbiamo riconosciuto la sua maglia rosa, il pensiero che potesse essere una giornata magica ci ha assalito. E forse ha assalito anche lui. Al pari di Bettiol, nel pullman quasi di fronte c’è Ganna che maledice la cattiva sorte e ha meno voglia di parlare.

Quando Bettiol si affaccia dal pullman, il toscano ha gli occhiali scuri e il tono stanco. La sua Sanremo, la migliore della carriera, si è chiusa al quinto posto, con una volata anche buona in mezzo a mostri sacri e velocisti veri. Per cui non lo sa neanche lui come deve sentirsi: se mangiarsi le mani perché avrebbe potuto fare di più o se essere felice per aver spuntato un buon risultato. Il migliore dei nostri è stato lui

Bettiol ha capito di non poter fare la differenza sul Poggio: con il 5° posto è la sua miglior Sanremo
Bettiol ha capito di non poter fare la differenza sul Poggio: con il 5° posto è la sua miglior Sanremo
 Ti sei sentito forte o fortissimo?

Mi sono sentito forte, un buon Bettiol, ma hanno detto che è stata la Sanremo più veloce di sempre. E quando si va tutto il giorno così forte, fare la differenza su una salita di meno di 5 minuti è molto difficile. Poi ovviamente il livello è altissimo quindi non avevo lo spunto per andare via in salita, non ho avuto lo spunto per vincere in volata, sono rimasto un po’ in mezzo e sono arrivato quinto.

Quanto si andava forte sul Poggio?

Si andava forte, ma io stavo bene sul Poggio e ancora di più sulla Cipressa. Ero pronto se Tadej fosse scattato, anzi sarei stato più felice se fosse andato dalla Cipressa. Avrebbe significato arrivare in via Roma con meno velocisti come Pedersen, Matthews e Philipsen. Però alla fine lui non se l’è sentita e ha aspettato il Poggio. Io ero a ruota di Van Der Poel, l’abbiamo seguito. C’era anche Filippo (Ganna, ndr) e ripeto: il Poggio è una salita troppo regolare per fare la differenza dopo tanti chilometri. Perciò alla fine sono contento. Forse avrei potuto fare quarto, ma quarto o quinto cambia poco.

La UAE ha fatto un po’ di autocritica, perché sulla Cipressa, finito il lavoro di Del Toro, è calata l’andatura.

E’ vero, è vero. Io a quel punto mi aspettavo che Tadej partisse, visto che era quasi da solo. Da una parte è stato anche furbo, perché se fosse partito sulla Cipressa da solo, non so dove sarebbe potuto andare. Comunque io ero pronto…

Potendo rifarla, ti muoveresti diversamente?

Avevo in mente di partire subito dopo l’attacco di Tadej, ma sarebbe stato un suicidio. Non avrei avuto lo spunto perché lui ha fatto una trenata importante e allora ho ritenuto opportuno rimanere lì e aspettare che si scollinasse in pochi, magari per provare un allungo in finale. In realtà quello l’ha fatto Pidcock e prima ancora Mohoric. Mi hanno anticipato e devo dire che in discesa ho fatto fatica a tenere il ritmo dei primi.

Addirittura?

Sono sincero, anche se so andare in bici, forse devo fare qualche ripasso sulla discesa del Poggio, anche se alla fine me la sono cavata. E a quel ho pensato a fare il miglior risultato possibile. Ripeto, avrei potuto fare quarto, ma va bene così.

Quando in cima hai visto che c’erano ancora i velocisti hai pensato che fosse andata?

Philipsen e Matthews sono andati molto forte perché comunque l’andatura è stata alta. E’ stata una Sanremo velocissima e fare la differenza su una salita senza grande percentuale di pendenza è quasi impossibile, anche se sei un fenomeno come Van der Poel o Pogacar. E’ una corsa strana. Il Fiandre e il Lombardia sai dove si aprono, questa non sai chi vince fino agli ultimi metri. Abbiamo capito che si sarebbe risolta allo sprint che eravamo già nell’ultimo chilometro.

Poca voglia di parlare per Ganna: questa volta non si può dargli torto. La prima parte di stagione si chiude così…
Poca voglia di parlare per Ganna: questa volta non si può dargli torto. La prima parte di stagione si chiude così…

La iella di Ganna

Ganna scende dal pullman spingendo il trolley con lo sguardo abbastanza tetro e poca voglia di parlare. Lo aspettano la sua famiglia e il cane e quando si ferma per parlare, lo capisci che ne farebbe volentieri a meno. Le immagini non hanno mostrato esattamente quello che gli è successo e scoprirlo rende la sua corsa ancora più speciale. Pippo è andato forte, ma gli è mancato l’aggancio sulla cima del Poggio. E il motivo sono una foratura e un problema meccanico. Per cui ha fatto la discesa con la ruota bucata: detto questo, non c’era molto altro da fare.

«Sono andato forte – conferma – come avevamo immaginato e forse rode anche per quello. Purtroppo la sfortuna è sempre lì, fa niente, va bene così. Quando Pogacar si è rialzato, il Poggio si poteva riaprire. Ci ho sperato, sapevo che nel secondo scatto sarebbe dovuto andare Tom (Pidocok, ndr) e ho rispettato quello che c’era da fare. Purtroppo ho avuto un guasto meccanico e una foratura: è stata una Sanremo quasi perfetta per 280 chilometri e quando ne mancano 5 arriva una foratura. Ho fatto la discesa con la ruota bucata e il cambio bloccato. In televisione non si è vista? Eh, mi dispiace. Si chiude la prima parte, vado in altura. Non faccio le classiche perché ho altri obiettivi. Devo andare, mi aspettano. Scusate, continuo a ripensarci. Non ho tanta voglia di parlare».

Poggio in apnea e VdP gregario: la Sanremo è di Philipsen

16.03.2024
5 min
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SANREMO – Ha vinto alla Freire. Non si è mai visto. Sempre nascosto. Coperto. Coperto persino sul rettilineo d’arrivo. Ma alla fine a tagliare per primo la linea bianca di Via Roma è stato lui, Jasper Philipsen.

In belga dell’Alpecin-Deceuninck è stato autore di una corsa forse invisibile, ma magistrale dal punto di vista tattico. In quasi 300 chilometri di gara, corsi ad una media folle (46.113 km/h), non ha speso mezza pedalata in più del necessario.

Quatto, quatto… ecco Philipsen sul Poggio. Già a ruota di VdP
Quatto, quatto… ecco Philipsen sul Poggio. Già a ruota di VdP

Gamba al top

In pochi, il che è un eufemismo, lo davano tra i vincitori. Gli occhi erano tutti puntati sul duello fra Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel. Semmai il terzo uomo poteva essere Mads Pedersen. Invece, facendo come detto la formichina, Philipsen si è preso la Milano-Sanremo numero 115.

Che stesse bene, si poteva capire alla Tirreno-Adriatico. Invece proprio la corsa dei Due Mari e il terzo posto di mercoledì scorso nella “sua” Nokere Koerse hanno tratto in inganno.

«Fare la Tirreno è stato importante – spiega Philipsen – Ero raffreddato, poi il viaggio in Belgio, la Nokere, il ritorno in Italia… non mi hanno aiutato. Anzi, sono ancora un po’ raffreddato. Però da giovedì ho sentito di stare meglio. Ho sentito che qualcosa è cambiato. E credo che forse oggi ho avuto le mie gambe migliori di sempre. Se c’era un giorno in cui vincere la Sanremo era questo».

Il colpo di reni in Via Roma che ha permesso a Philipsen (classe 1998) di conquistare la sua prima Sanremo
Il colpo di reni in Via Roma che ha permesso a Philipsen (classe 1998) di conquistare la sua prima Sanremo

I segnali c’erano

Eppure quegli sprint persi ci hanno fatto riflettere sullo spunto meno brillante del solito. Il spunto abituale gli avrebbe consentito di dare una bici a tutti. Erano forse quei “grammi” in meno di muscolo necessari per superare, e bene, la Cipressa e il Poggio? Il fatto che a Giulianova, durante la Tirreno, sia stato battuto da Milan ha portato tutti un po’ fuori strada.

Quel giorno invece se si riguarda  a mente fredda l’ordine di arrivo non c’erano degli sprinter puri. Basta pensare che tra i primi dieci c’erano Girmay, Alaphilippe e Tiberi.

Vero, vinse Milan. Ma torniamo al discorso dello spunto. Jasper aveva superato la salitella come Milan, ma poi non aveva avuto la stessa potenza del friulano.

«In realtà non sono più magro, anzi peso più dello scorso anno. Ma ho più potenza. Forse è per questo che ho vinto», devia Jasper con il sorriso… Di certo ha lavorato su questo aspetto. Lui ha detto di essersi concentrato molto sulle classiche durante l’inverno. 

Il discorso del raffreddore sarà anche vero e lo stesso vale per il peso, ma è chiaro che la Sanremo l’aveva preparata in altro modo rispetto al passato. Forse perché anche in squadra sapevano che una doppietta consecutiva di VdP sarebbe stata impossibile ed era pur sempre alla prima gara della stagione. E forse perché quel 15° posto del 2023 il tarlo glielo aveva insinuato.

Philipsen e Van der Poel: un abbraccio sincero e potente dopo l’arrivo
Philipsen e Van der Poel: un abbraccio sincero e potente dopo l’arrivo

Monumento a VdP

E’ vero anche che un monumento lo deve fare al suo compagno, Mathieu Van der Poel. Il campione uscente, una volta fatta “la conta” in fondo al Poggio si è messo totalmente a sua disposizione. Ha tirato, forte, ma senza strappi. Ha tirato lungo dopo l’attacco di Pidcock e Sobrero e gli ha servito la Sanremo su un piatto d’argento.

«L’ho ringraziato per il grande lavoro fatto – ha detto e ridetto Philipsen dopo l’arrivo – E’ stato speciale così come speciale è stato il team. Sono orgoglioso di loro. Ci siamo auto regolati in corsa sulla leadership della squadra. Se dopo il Poggio fossi stato ancora lì con buone gambe avrei fatto lo sprint. In più avere un campione del mondo che lavora per te… non potevo sbagliare».

Il momento in cui Philipsen, nella discesa del Poggio, dice a Van der Poel di non tirare. Per un gesto simile serve grande lucidità
Il momento in cui Philipsen, nella discesa del Poggio, dice a VdP di non tirare. Per un gesto simile serve grande lucidità

Poggio in apnea

Ma un corridore come Jasper è sulla Cipressa e ancor più il Poggio che fa davvero il numero. Di sprinter puri in quel momento ce n’erano rimasti ben pochi davanti. Anzi, nessuno.

«Sul Poggio dovevo resistere. La UAE Emirates aveva speso molto e sapevamo che Pogacar prima o poi sarebbe partito. Io ho cercato di restare attaccato. Di non perderli di vista. Quando il Poggio è finito mi sono detto: “meno male!”.

«In discesa avevo paura di una caduta, di un buco. Ma a quel punto Mathieu è stato molto bravo. Gli ho chiesto di non spingere troppo. E lo ha fatto… nonostante fosse il capitano e anche lui avesse le gambe per vincere. Mathieu è davvero un generoso. Gli piace vincere, ma gli piace anche aiutare la squadra».

Il podio della Sanremo 2024: primo Jasper Philipsen, secondo Michael Matthews, terzo Tadej Pogacar
Il podio della Sanremo 2024: primo Jasper Philipsen, secondo Michael Matthews, terzo Tadej Pogacar

Il suo terreno

Finalmente al chilometro 286 Philipsen entra nel suo regno: il finale in pianura e lo sprint. A quel punto la sua mente diventa quella di un “killer”. 

«In realtà – spiega Jasper – proprio lì ho sentito la pressione. Avevo il campione del mondo che lavorava per me. Ad inizio stagione qualche sprint lo avevo sbagliato, c’erano Matthews e Pedersen che erano pericolosissimi e se si guardava l’albo d’oro degli ultimi anni non c’erano sprinter. Certo, non è stato un grande sprint. Dopo una corsa tanto lunga e tanto veloce credo di aver espresso dei valori da dilettante. Si è trattato più di una volata di voglia, di resistenza che di potenza».

La Alpecin-Deceuninck si porta a casa un altro monumento. Ormai sembra la Quick Step dei tempi migliori. Philipsen ammette che questo succede perché oltre che forti sanno essere compatti nei momenti complicati.

«Io credo che tutto ciò sia dovuto alla nostra forza mentale. Dopo la Tirreno è scattato un “clik”. La vittoria ha calmato tutti. Ma in generale il team ci dà grande supporto psicologico. Serviva pazienza e l’abbiamo avuta». 

La UAE le ha provate tutte? Hauptman dice di sì

16.03.2024
4 min
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SANREMO – Andrej Hauptman ha appena finito di rispondere alle domande di un collega sloveno. Il pullman della UAE Emirates è circondato di tifosi, perché nonostante tutto il vero protagonista della Classicissima è stato Pogacar, anche se non ha vinto. E’ stato lui a chiedere il forcing sulla Cipressa e sempre lui ad attaccare per due volte sul Poggio. Gli altri sono rimasti appesi, restando a ruota con il chiaro obiettivo di giocarsela in volata.

Van der Poel già sul Poggio aveva battezzato la carta Philipsen, per cui non ha risposto agli attacchi e non ha dato cambi in discesa. Hauptman ha vissuto la Sanremo dall’ammiraglia e ha diretto i suoi cercando di far riuscire il piano. Per cui il tono è un po’ dimesso, anche se nelle parole c’è la consapevolezza di aver fatto il massimo.

Qual era il piano?

Vincere la Sanremo (sorride, ndr). Scherzo, dai! No, il piano era andare sulla Cipressa il più veloce possibile, full gas. Del Toro ha fatto un ottimo lavoro, però non è bastato. Tadej ha provato, anche all’arrivo ha fatto veramente un sforzo incredibile e in volata si è piazzato dopo i migliori velocisti al mondo.

Sul Poggio, Tadej non ha tirato come lo scorso anno, a un certo punto si è rialzato chiedendo collaborazione, ma nessuno ha rilanciato…

E’ normale, sai, ognuno ha la sua tattica. Se Van der Poel sapeva che Philipsen era vicino, probabilmente non si è mosso per quello. E se due dei più grandi favoriti della corsa si fermano, si fermano tutti.

Il lavoro di Del Toro sulla Cipressa ha sbalordito: il ragazzino ha grande solidità
Il lavoro di Del Toro sulla Cipressa ha sbalordito: il ragazzino ha grande solidità
La differenza sulla Cipressa non è bastata perché la corsa non è stata dura come speravate?

Sapevamo di dover fare corsa dura per far arrivare gli altri più stanchi sul Poggio, però non era un compito facile. Sono sicuro che abbiamo fatto una bella corsa, anche se non abbiamo vinto. Però siamo stati vicini, per questo l’amaro in bocca è relativo: di più non potevamo fare. E quando fai tutto il possibile, devi essere felice per quello che arriva.

Del Toro ha vissuto un’altra giornata clamorosa.

Sì, il giovane Del Toro sembra un corridore già esperto, quando serve è sempre lì. Sono sicuro che farà ancora delle belle corse e tanti risultati. Credo che tutti i ragazzi abbiano fatto quello che avevano nelle gambe e per questo dobbiamo essere contenti.

Si è fatta la Cipressa in 9’26”, più di quello che pensavate?

Farla in 9 minuti sarebbe stato un po’ troppo super. Si deve sempre puntare in alto, ma il risultato è quello che avete visto. Finirà che i 9 minuti della Cipressa diventeranno come il muro delle 2 ore nella maratona.

E’ mancato qualcuno sulla Cipressa? Dopo Del Toro vi siete un po’ aperti…

Me lo chiedo anche io. Se non abbiamo vinto, qualcosa o qualcuno è mancato. Possiamo fare molte osservazioni mezz’ora dopo della corsa, la verità è che alla fine solo quello che vince ha fatto tutto alla perfezione. E Tadej ha provato a fare il massimo, anche a fare la differenza in discesa. Quando vedi che c’è ancor Philipsen, sai che in volata non hai possibilità, ma comunque te la giochi fino all’ultimo.

Le fughe della Sanremo: l’esperienza di Tonelli e Maestri

22.03.2023
6 min
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Nella fuga della Milano Sanremo si sono ritrovati gomito a gomito due atleti che di esperienza, nell’anticipare il gruppo, e non solo, ne hanno tanta. Si tratta di Mirco Maestri e di Alessandro Tonelli, due corridori che di chilometri in testa alla corsa ne hanno messi tanti nelle gambe. I due ora si trovano rispettivamente alla Eolo-Kometa ed alla Green Project-Bardiani, ma in precedenza hanno condiviso la stessa maglia della formazione di Reverberi.

Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019
Maestri (davanti) e Tonelli (dietro) avevano già condiviso una fuga alla Sanremo in maglia Bardiani, era il 2019

Maglie diverse, stessa situazione

Maestri e Tonelli, insieme agli altri sette corridori, si sono sciroppati 259 chilometri di fuga alla Sanremo. Una giornata in avanscoperta ma con le ore contate, una specie di “bomba ad orologeria” pronta ad esplodere. Insieme a loro scopriamo come si gestiscono e cosa si fa in una fuga così particolare come quella della Classicissima di Primavera. 

«L’avevo fatta in fuga dal 2016 al 2019 – attacca Maestri – poi per motivi diversi negli ultimi anni prima non ho partecipato e poi, l’anno scorso, ho corso in gruppo a sostegno di un mio compagno. Devo dire che una Sanremo dove la fuga prende solamente tre minuti non me la ricordo, eppure siamo andati forte, ma da dietro non ci hanno lasciato spazio. Nel 2016, per esempio, eravamo in undici e siamo arrivati a più di dieci minuti di vantaggio. Rispetto alle edizioni precedenti quest’anno abbiamo anche fatto fatica a portare via il gruppetto degli attaccanti. Infatti, io e Alessandro (Tonelli, ndr) ci siamo avvantaggiati subito ed abbiamo aspettato l’arrivo degli altri.

«Si è trattata di una mossa di esperienza – gli fa eco l’amico Tonelli – abbiamo preso quei quindici secondi sul gruppo che ci hanno fatto comodo. Una volta che il gruppo ha rallentato noi ci siamo fermati, letteralmente, ad aspettare i contrattaccanti. Quest’anno, rispetto alle edizioni precedenti, la fuga è andata via con tanta difficoltà anche a causa del cambio di percorso. Con la partenza da Abbiategrasso i primi 30 chilometri erano completamente differenti e c’era un po’ di timore».

Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga
Nella Sanremo 2022, Tonelli insieme a Rivi è arrivato fino al Poggio in fuga

La gestione

Quella della Sanremo sembra una fuga scontata, dove il gruppo ti tiene nel mirino e con due pedalate, nel momento clou, ti riprende. Ma dal racconto di Maestri e Tonelli non pare proprio così, anzi.

«La Sanremo – spiega Paperino Maestri – è una corsa nella quale non si sa mai. In gruppo diventa molto più stressante rispetto al correrla in avanscoperta, devi sempre limare e anche a tanti chilometri dall’arrivo sale lo stress. Alla fine vengono fuori due corse completamente differenti. Vi faccio un esempio: sul Turchino noi davanti andiamo forte ma non a tutta, mentre in gruppo si apre di più il gas. Questo perché la discesa che porta a Genova è insidiosa e in mezzo al gruppo si rischia e non poco (anche quest’anno, infatti sia in salita che in discesa ci sono state due cadute, nella prima è stato coinvolto Alaphilippe, ndr).

«Poi una volta arrivati sul mare inizia un’altra corsa, in fuga si va a tutta e cerchi di prendere più vantaggio possibile. La speranza è quella di arrivare sul mare con 5 minuti di vantaggio, così sei abbastanza sicuro che vieni ripreso a metà Cipressa, per cercare di rimanere agganciato ed arrivare nel finale davanti. A me non è mai successo, a Tonelli, fortunato lui – dice ridendo – sì, anzi lui è stato ripreso sul Poggio l’anno scorso!». 

«Non è così semplice – replica il corridore della Green Project – siamo consapevoli del fatto che verremo ripresi, ma per motivi diversi conviene andare avanti. Io preferisco anticipare perché sono consapevole che riesco a gestire meglio lo sforzo se lo affronto con più costanza. Nel 2018, l’ultimo anno che l’ho fatta in gruppo, sono arrivato dopo la Cipressa che ero finito. In questi anni sono riuscito a gestirmi bene, tant’è che sono arrivato fin sul Poggio lo scorso anno. A Mirco devo una fuga fino a lì, ci ha provato, ma non è mai riuscito».

Quest’anno i fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio
I fuggitivi non sono mai andati oltre i tre minuti di vantaggio

Anticipare e “sperare”

Quella della Sanremo non sarà una fuga di anticipo come quella della Roubaix, in cui dal gruppo in avanscoperta può uscire il vincitore della corsa. Tuttavia anticipare il gruppo può portare i suoi frutti.

«Ormai – dice il corridore della Eolo – anticipare e fregare il gruppo è diventato difficilissimo. Qualche anno fa non c’era tutta questa conoscenza anticipata delle condizioni di gara, il vento era la più grande incognita e tu andavi in fuga sperando giocasse a tuo favore. Perché, se lo hai alle spalle, è tutto un altro programma. Sai che il gruppo non può guadagnare troppo tempo nel breve periodo. Negli ultimi anni, ormai, si sa tutto prima, anche la direzione del vento quando si arriva sul mare. Io quando vado in avanscoperta non penso mai al fatto che sia un’operazione “suicida”, ma credo sempre di poter fregare il gruppo. Altrimenti, se non parti convinto di testa, è meglio che stai indietro».

La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino
La Sanremo in gruppo si vive con più nervosismo, lo sa bene Alaphilippe caduto sulla salita del Turchino

L’avviso di Mosca

La Trek Segafredo è una delle squadre che si è incaricata in primis di gestire l’inseguimento. Uno dei volti che appariva sempre nelle prime posizioni del gruppo era quello di Mosca, mai fuori dai primi dieci fino ai Capi. Insomma, per il corridore piemontese più di 200 chilometri ad inseguire. 

«Parlavo con lui prima del via – spiega Tonelli – e mantenere la fuga sotto controllo era parte del programma. L’anno scorso sono andato così tanto avanti, perché abbiamo giocato bene le nostre carte e sfruttato il vento a favore una volta arrivati sul mare. Quest’anno c’era ancora una volta il vento a favore, ma dietro hanno tirato costantemente in quattro e non siamo riusciti a prendere vantaggio. In fuga devi giocare sull’esperienza, è un braccio di ferro psicologico, non di forza bruta.

«Se vedi che il gruppo fin da subito ti tiene a tre minuti tu stai lì e gestisci lo sforzo. Poi nelle zone favorevoli, come il passaggio da Genova dove il gruppo si ferma, dai gas e provi a guadagnare tempo. Nel ciclismo moderno non ci sono più grandi occasioni per i fuggitivi della prima ora. Anche alla Tirreno negli ultimi anni sarà arrivata una sola volta la fuga al traguardo. Ma due corridori esperti come noi due non si fanno demoralizzare e ci proveranno sempre».

Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile
Mosca e la Trek si sono sobbarcati gran parte dell’inseguimento, così da tenere la corsa il più chiusa possibile

I pitstop

Una cosa che si nota in una gara da quasi 300 chilometri sono i continui pitstop, soprattutto nella prima parte di corsa. I corridori del gruppo si fermano spesso per i propri bisogni e hanno più tempo per gestirsi. In fuga, invece, il tempo e lo spazio sono contati. Sabato, alla Classicissima, il giovane francese della Tudor: Aloi Charrin, ha fatto un piccolo scatto per avvantaggiarsi e fermarsi

«E’ un’abilità anche quella – dice Maestri- io nel 2019, alla Tirreno, quando ho vinto la maglia della classifica a punti, ho imparato a fare i bisogni mentre sono in bici. Non è semplice, però ti lanci, fai e perdi molto meno tempo che a fermarti. Alla Sanremo, però, il ragazzo della Tudor non era capace e la situazione stava diventando un’agonia. Così gli abbiamo detto di fermarsi e che lo avremmo aspettato. Diciamo che fermarsi sul Turchino non è stata la mossa migliore, ma alla fine cambia poco scendere da 3 minuti a 2’30”. Tanto il gruppo non aveva intenzione di riprenderci a 150 chilometri dall’arrivo».