Una call su Skype per portare Attila alla Groupama

14.05.2021
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Come è stato che Attila Valter sia approdato alla Groupama-Fdj lo spiega assai bene Philippe Mauduit, il più italiano dei francesi in gruppo. L’intuizione fu di Yvon Madiot, il fratello minore di Marc e suo socio nello squadrone della maglia rosa. Il ciclismo era appena ripartito dal primo lockdown e si era già sparsa la voce che la CCC non avrebbe continuato. E così Madiot si mise a studiare e individuò il nome di quel ragazzino ungherese che di lì a poco avrebbe vinto la corsa di casa lasciandosi dietro Quinn Simmons della Trek-Segafredo.

«Iniziò a martellare Marc – sorride Philippe – sul fatto che dovessimo incontrarlo, perché ne valeva la pena. E così ad agosto facemmo una call a tre su Skype. Yvon, Attila e il sottoscritto. Parlammo per mezz’ora e vedemmo che malgrado fosse davvero giovane, aveva appena compiuto 22 anni, aveva le idee chiarissime. Alla fine la scelta di prenderlo venne quasi da sé e lui parve molto contento di accettare».

Vuelta a Burgos 2020: concentrato e furibondo dopo una caduta, in attesa dell’ammiraglia
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Soglia del dolore

Da qui a immaginare che in meno di un anno sarebbe arrivata la maglia rosa, il passo è davvero lungo per il ragazzino che aveva vinto l’ultima tappa al Tour de l’Avenir del 2019 e che al Giro dello scorso ottobre si era piazzato 11° nella classifica dei giovani.

«E’ difficile dire il suo valore – spiega Mauduit – perché 22 anni sono davvero pochi per capire. Una cosa che abbiamo notato subito però è la capacità di farsi del male quando è in difficoltà o quando ha un obiettivo. Sa andare oltre la soglia del dolore e lo fa razionalmente. Se lui si convince che può farlo, di solito lo fa. E’ grintoso. Se molla la presa, vuol dire che è davvero morto».

La seconda rosa

Le versioni sulla tappa di San Giacomo sono contrastanti. Il corridore dopo l’arrivo ha dichiarato di essere partito sin dal mattino con l’obiettivo di conquistare il primato, mentre il direttore sportivo dice di avergli raccomandato di puntare alla tappa e che la classifica semmai ne sarebbe stata una conseguenza.

«Gli ho detto di restare concentrato sulla tappa – spiega – perché in salite di questo tipo, se i primi della classifica si fossero guardati, lui sarebbe potuto partire in contropiede e magari vincere. Probabilmente quando si è reso conto che non sarebbe stato possibile riprendere Mader, si è concentrato sulla maglia rosa e ha avuto questa ricompensa eccezionale. Per me la rosa è la maglia più bella al mondo, non so se stanotte riuscirò a dormire. Credo che per la Groupama-Fdj, che pure ha tanti anni nelle gambe, la sola volta prima fu con Bradley McGee al Giro del 2004. Non sono cose banali, ragazzi. Abbiamo preso la maglia rosa!».

In partenza dalle Grotte di Frasassi, con la maglia rosa nella testa
In partenza dalle Grotte di Frasassi, con la maglia rosa nella testa

Una grande scuola

Il senso di enfasi che filtra dalle sue parole dà l’esatta dimensione del prestigio del simbolo ed è ancora più bello pensando che a pronunciarle è un francese, il cui attaccamento al giallo del Tour è notoriamente inscalfibile.

«Dovremo tutti fare lo sforzo di restare con i piedi per terra – dice il tecnico della Groupama-Fdj – perché già la maglia bianca ci era sembrata eccezionale. Così prima di mandarlo a dormire gli ho detto: “Guarda dove ti trovi guarda quali campioni hai attorno e cerca di recuperare. Perché quella gente non ti regalerà niente”. Ma è chiaro che proveremo a tenerla, non si lascia andare un onore come questo e i ragazzi daranno tutto. Sappiamo che sulle montagne troveremo probabilmente corridori più forti di noi, ma in ogni caso daremo il massimo. Nella Groupama del Giro ci sono tre ragazzi molto giovani. Due di 22 anni e uno di 23. Comunque finirà, per loro sarà una scuola straordinaria».

La rosa di Attila, l’ungherese che punta (molto) in alto

13.05.2021
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Si chiama Attila e già di per sé potrebbe bastare per descrivere la determinazione messa dal ragazzino ungherese nel prendersi la maglia rosa. Ciò che più stupisce però è la sua sicurezza nel raccontare di sé e delle sue intenzioni. Se infatti stamattina alla partenza aveva detto di voler conquistare il primato, la lucidità con cui ha gestito il finale è stata da applauso. E’ partito quarto in classifica a un minuto da De Marchi. E quando il friulano ha alzato bandiera bianca, nella sua testa è scattato il piano. Mentre i commentatori contavano i secondi di Bernal ed Evenepoel e i fotografi non avevano occhi che per loro, dalle retrovie il giovane ungherese ha stretto i denti. E anche se la sua maglia bianca non passava certo inosservata, ha remato a fatica fino al traguardo nello stesso gruppetto di Vlasov, Carthy e Yates e ha conquistato la maglia rosa con 11 secondi di vantaggio su Evenepoel.

«Mi dispiace aver dato una delusione a chi puntava su Remco ed Egan – dice quando gli facciamo notare la singolare situazione – loro avranno certamente delle altre occasioni di divertirsi. Il mio obiettivo del giorno era fare proprio questo, ma ho cominciato a crederci solo ai 2 chilometri dall’arrivo. Ho combattuto buttandoci dentro la mia vita e sono contento che alla fine sia venuta questa ricompensa».

Nella crono di Torino, per Attila un passivo di 53″, non proprio eccezionale
Nella crono di Torino, per Attila un passivo di 53″, non proprio eccezionale

Orgoglio magiaro

Ungherese classe 1998, originario di Csomor alle porte di Budapest, non stava nella pelle all’idea che il Giro del 2020 partisse dalla sua città, ma l’appuntamento è solo rimandato.

«Spero che l’anno prossimo – dice – avrò la chance di far parte ancora del gruppo del Giro, perché correremo in posti stupendi. Da noi il ciclismo è in crescita. Ci servirebbero più squadre continental per permettere ai ragazzi di crescere, ma il livello è buono. Ieri è partito il Tour d’Ungheria, una corsa che ho vinto l’anno scorso. Non siamo francesi né italiani, ma questo non significa che siamo più deboli. Siamo ragazzi forti dal cuore dell’Europa. E se anche mi toglieranno la maglia, sarò pronto a lottare per altre tappe. Le sorprese da parte mia in questo Giro non sono finite».

La resa di De Marchi ha subito riaperto la lotta per la rosa
La resa di De Marchi ha subito riaperto la lotta per la rosa

Zero calcoli

Quel che piace è il suo essere diretto. Anche nell’ammettere di non aver fatto tanti calcoli e in questo forse le sue origini sulla mountain bike hanno avuto voce in capitolo.

«Non ho guardato i numeri mentre salivamo – dice – immagino di aver fatto una prestazione buona, ma non so quanto. Non sapevo nulla e non ho guardato il computer sulla bici. Volevo la maglia rosa e sapevo di dover andare a tutta. Punto. Se mi convinco davvero di qualcosa, la mente sposta avanti il limite e a quel punto non c’è niente di impossibile. Così non mi vergogno nel dire che la mia ambizione di lungo termine è vincere un grande Giro. Quello che è successo oggi e la difesa del primato dei prossimi giorni sarà un bello step nella mia crescita, in attesa di poter venire per puntare alla vittoria».

A Sestola, Attila con i migliori: è scattata così la sua idea rosa
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Doppia dedica

Ha iniziato sulla mountain bike, approdando alla strada solo da junior. Ugualmente correva per divertirsi, mentre ora lavora sodo per migliorarsi. Da U23 è stato incluso in un progetto continental della federazione ungherese, poi è entrato nell’orbita della CCC Development e da lì è salito nella squadra WorldTour.

«Poi quando si seppe che il team chiudeva – racconta – sono entrato in contatto con questa squadra. Hanno impiegato poco a convincermi, mi hanno fatto sentire che ci tenevano ed è stata una scelta molto buona. Per questo dedico questa maglia a loro e a mio padre che mi ha permesso di seguire questa strada. E da domani credo che inizierà la seconda parte della mia carriera».

Si chiama Gino, non sa nulla di Bartali, però sa vincere

13.05.2021
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«Ieri è stato un giorno molto triste – dice Gino Mader – ma quasi subito abbiamo trovato nuovi obiettivi. Non abbiamo più Landa da proteggere e così potremo correre in modo più aggressivo. Oggi Mohoric ha fatto una corsa incredibile. Credeva in me già da ieri. Non faceva che ripetermi che questa tappa fosse adatta a me e alla fine aveva ragione lui».

Matej Mohoric si è sacrificato per Gino Mader, risultando decisivo
Matej Mohoric si è sacrificato per Gino Mader, risultando decisivo

La reazione

Sembrerebbe una storia già vista, come quella della Ineos dello scorso anno che, perso Thomas, si rimboccò le maniche e tirò fuori il Giro più bello. Ieri la caduta di Landa ha privato la Bahrain Victorious del suo leader, ma il gruppo ha saputo reagire.

«Nessuna alchimia strana – spiega Alberto Volpi, di ben altro umore stasera rispetto a ieri – si sono guardati in faccia e hanno capito di dover fare qualcosa. I più giovani magari no, ma quelli esperti sanno che queste cose accadono di continuo e si deve andare avanti. Sicuramente stiamo parlando di una squadra di valore. Uomini di qualità selezionati per stare accanto a un leader forte, che ora dovranno fare la loro corsa.

Ganna si è preso in spalla il Team Ineos dal cuore dei Sibillini fino a parte della salita finale
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«Mohoric, che oltre alle gambe ci mette tanta testa e oggi ha pilotato benissimo il ragazzino. Caruso, decimo al Tour e sapete meglio di me quale sia la sua storia. Pello Bilbao. Insomma, non proprio gli ultimi arrivati. E Mader, anche se è la prima corsa che facciamo insieme, lo ricordo lottare nelle corse a tappe da più giovane con Hindley e Pogacar. Ha dei numeri, verrà fuori».

La bici e la gioia

Gino Mader ha i capelli ricci e il suo inglese ha le durezze del tedesco. Quando gli dicono che un Gino vittorioso al Giro prima di lui faceva di cognome Bartali, lui forse un po’ arrossisce, ma neanche tanto. Spiega che quella storia del ciclismo è troppo indietro rispetto ai suoi anni e che gli piacerebbe scoprirla, ma che al momento la stessa domanda bisognerebbe farla ai suoi genitori che ne sanno certamente di più.

La sua storia recente parla di alcune beffe. Come quella alla Vuelta del 2020, battuto Gaudu all’Alto de la Covatilla. E quella di quest’anno alla Parigi-Nizza, preceduto da Roglic nel giorno delle polemiche.

Evenepoel e Bernal hanno sprintato per gli abbuoni e ha avuto la meglio il colombiano
Evenepoel e Bernal hanno sprintato per gli abbuoni e ha avuto la meglio il colombiano

«Se c’è una lezione che ho imparato – Gino sorride – è che se in corsa non sei il più forte, per vincere puoi soltanto andare in fuga. E io oggi ho dato tutto me stesso fino alla riga. Se anche sai di avere alle spalle tutti i più forti, il tuo spirito non deve esserne condizionato. Lo spirito fa la differenza. La bici mi sta dando tanto. Ricordo benissimo quando nel 2019 andammo con la Dimension Data in Sudafrica a consegnare delle biciclette ai bambini. Ricordo i loro sorrisi e pensai che anche io voglio la stessa gioia quando vedo la mia bicicletta. Voglio divertirmi a correre, voglio una vita felice e la bicicletta me la può dare».

Giro che passione

Alle spalle c’è la scuola svizzera del ciclismo, che sin da piccoli permette ai ragazzi di provare tutte le discipline e li guida poi nella scelta della più adatta.

Ora è Caruso l’uomo di classifica della Bahrain Victorious: 7° a 39″
Ora è Caruso l’uomo di classifica della Bahrain: 7° a 39″

«Ho avuto dei buoni mentori – dice – come Daniel Gisiger (professionista dal 1977 al 1988 e vincitore di due tappe al Giro, ndr) che mi ha portato in pista e poi su strada e alla fine mi ha aiutato a trovare la mia strada. Non so dove mi condurrà o come proseguirà questo Giro, Nel bus parleremo. Potrei andare ancora in fuga o tirare per un compagno, sarò ugualmente contento di farlo. Voglio godermi il Giro d’Italia, ho sempre pensato che sia la corsa più bella del mondo».