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La carezza e lo schiaffo: parlando di giovani con Visconti

16.11.2022
9 min
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Prendi le ultime giornate belle e “calde” di questo autunno. Mettici un bosco, le colline toscane. Aggiungici un campione che la sa lunga e ha appena smesso di correre e il risultato è: una passeggiata nel bosco con Giovanni Visconti. Una passeggiata in cui si parla dei giovani. Del ciclismo che sarà. Anche se si parte da quello che è stato.

Giovanni ci viene a prendere al bar L’indicatore di San Baronto. Un caffè e sa già dove condurci. Magari si becca anche qualche fungo. Il panorama si apre sotto di noi, ma presto viene inghiottito dal bosco. Castagni, qualche grosso masso d’argilla, un viandante di tanto in tanto e una panchina, che doveva essere la nostra meta, ma che non si trova più!

L’autore dell’articolo con Visconti, a spasso nei boschi che sovrastano San Baronto, nel pistoiese
L’autore dell’articolo con Visconti, a spasso nei boschi che sovrastano San Baronto, nel pistoiese
Se chiudi gli occhi cosa ti resta di questa stagione? Qual è la tua immagine?

Non è facile. Io ho finito in malo modo. Avrei voluto farlo diversamente. Quindi ho passato i primi mesi con la testa fra le nuvole. Ho seguito “poco” il ciclismo. Non che fossi arrabbiato, ma insomma… Se proprio dovessi scegliere un momento, me ne viene in mente uno. Uno che racchiude tutti i momenti: l’abbraccio tra Valverde e Nibali. E’ la chiusura di un ciclismo che era anche il mio. E questo porta con sé altri argomenti. Si è chiuso un ciclismo okay, ma di là cosa c’è?

Cosa c’è?

C’è tanta confusione. Penso che noi italiani abbiamo tutte le carte in regola per avere un ciclismo forte. Ma le carte sono disordinate. Bisognerebbe fare un po’ di ordine e far rendere questo patrimonio. Non abbiamo dei brocchi: abbiamo giovani forti nei professionisti ed altri più giovani ancora che hanno numeri pazzeschi e sono stati testati anche dalla nazionale. E non li perdi dall’oggi al domani. Per questo mi viene in mente la passerella di Nibali e Valverde, perché bisogna passare ad un altro ciclismo. Quelle immagini sono una carezza e uno schiaffo. «Caro ciclismo noi siamo Nibali e Valverde e ce ne stiamo andando. Ora fai qualcosa». 

Per Visconti l’abbraccio tra Valverde e Nibali è il simbolo del definitivo passaggio di testimone al ciclismo dei giovani
Per Visconti l’abbraccio tra Valverde e Nibali è il simbolo del definitivo passaggio di testimone al ciclismo dei giovani
Questo ciclismo che verrà ha un’eta media più bassa. E’ sempre più il ciclismo dei giovani?

Sì, sì… lo è da qualche anno già. E quando parlo di quel momento, penso al ciclismo italiano perché in altre nazioni già si puntava sui giovani. Il fatto che la carriera si sia accorciata è anche un vecchio modo di dire. Okay si è accorciata, ma cosa cambia? Buon per loro, si godranno la vita prima, ma è anche vero che iniziano prima a fare certi sacrifici. Io da junior scappavo dal ritiro a mezzanotte per andare a mangiare la pizza o dalla ragazza. Cose che oggi si sognano, almeno gli juniores forti che sanno già che passeranno pro’.

Quindi alla fine i tempi si anticipano, non si accorciano le carriere?

Esatto. Se vuoi fare il ciclista c’è da anticipare i tempi. Avranno guadagnato soldi prima, saranno maturi prima e si fermeranno prima. Le carriere finiscono prima? E dove sta il problema? Oggi sono seguiti in ogni cosa, al millesimo. L’atleta finirà un po’ più stressato di testa, ma perfettamente integro per il resto. Non so se è per il bianco e nero, ma nelle foto del passato i venticinquenni di una volta sembrano i quarantenni di oggi.

Che poi non è solo nel ciclismo. Anche nel calcio. Tu che sei del Milan lo sai bene: avete una squadra giovanissima…

Tutto va avanti. Anche le tecnologie e gli strumenti. I ragazzi di oggi crescono con queste conoscenze, non con quelle di una volta. Se a un sedicenne oggi dici che le carriere finiscono prima, quello ti guarda e ti chiede: «Ma di cosa stai parlando?». Sono discorsi nostri, che dovremmo smettere di fare. I ragazzi devono crescere con le leggi di ora.

De Pretto ha fatto uno stage con la BikeExchange. E’ uno dei talenti del ciclismo italiano. In gruppo si è mostrato subito pronto
De Pretto ha fatto uno stage con la BikeExchange. E’ uno dei talenti del ciclismo italiano. In gruppo si è mostrato subito pronto
La tua ultima squadra, Giovanni, la Bardiani Csf Faizané, ha avviato un progetto sui giovani. Li hai anche visti in gruppo: hai notato queste differenze che hai detto?

Assolutamente sì, tanto che mi risultava difficile il mio ruolo da chioccia. Perché per fare la chioccia non basti tu, ma serve anche gente che è propensa ad ascoltarti e crede in te. Che parli la tua lingua. Io un po’ riuscivo a parlarci, ma avevo addosso l’indole del vecchio ciclismo. Dovevo insegnarli qualcosa, ma per esempio non potevo dirgli che non dovevano allungare troppo in allenamento. Primo, perché ormai i 18-20enni devono andare forte. Secondo, perché sanno già come allenarsi.

Non era facile neanche per te…

Alla fine mi ero buttato sul fare gruppo, che invece deve restare. Oggi ci si messaggia. Le squadre fanno le tattiche via mail. E già da anni. Quasi non c’è più bisogno di fare la riunione prima di partire. E l’armonia, quel filo che li lega, sono necessari. I team building avventurosi servono. Invece a dicembre ci si ritrova al primo ritiro e tutti vanno come moto, perché tanto è così. Se una volta facevi il medio, ora fai soglia. Se facevi soglia, fai fuori soglia. Poi è il nuovo ciclismo e va bene, anche perché a gennaio corrono, ma medierei un po’.

Facciamo invece un po’ di nomi. Chi è tra questi che ti ha colpito. Prima “a taccuino chiuso”, tra gli altri è emerso Alessandro Covi…

Covi quando ha avuto le sue giornate di gloria ha fatto dei numeri pazzeschi. Magari ci si attendeva un po’ più di costanza. Ha iniziato forte la stagione. Idem da Andrea Bagioli. Alterna momenti in cui può lottare con chiunque, e quando dico chiunque intendo tutti per davvero, a momenti in cui dovrebbe esserci e non c’è. Penso ai due mondiali: Imola e quest’anno.

L’impresa di Covi sulla Marmolada all’ultimo Giro d’Italia
L’impresa di Covi sulla Marmolada all’ultimo Giro d’Italia
Forse non sono costanti proprio perché sono giovani…

Sì, ma anche gli altri sono giovani! I giovani di oggi sono diversi. Che poi, giovani… Questa parola, come pure neopro’, andrebbe eliminata. Il neopro’ lo fa lo junior forte. Andate a vedere Evenepoel cosa faceva da junior. Tutti vogliono fare come lui, solo che non hanno lo stesso motore. Oggi le squadre testano molti ragazzi, poi magari quelli più bravi lì tengono lì, ma gli fanno fare la vita da professionisti. I primi 10 di ogni Nazione sono pro’ e sono quelli che passano. Anche in Italia. Vanno nelle development o addirittura in prima squadra.

In gruppo come sono? Timidi, spavaldi…

Qualcuno scherza, per esempio Pinarello. Passano dopo due anni vissuti “da pro’” e sono più sicuri, più pronti. Sanno quel che devono fare. Anche nell’atteggiamento. Quando toccò a me, solo a dire che ero un pro’ mi emozionavo. E quando vedevo qualcuno che si avvicinava per la foto, mi preparavo. Ora per loro è scontato. Si aspettano che tu gli chieda la foto. Hanno immediatamente un atteggiamento da pro’ affermato. E neanche gli puoi chiedere di essere umili. Per noi era un sogno, qui il loro sogno è scontato, è un percorso.

Torniamo ai nomi, uno dei giovani che hai vissuto di più è Filippo Zana

Pippo ha dei margini enormi. Ha già fatto vedere qualche numerino, senza strafare. Per me è cresciuto nel modo giusto e ha avuto la fortuna di trovare una squadra come la Bardiani che ti fa crescere così. Guardiamo Colbrelli. Se fosse stato nel ciclismo di oggi avrebbe vinto la Roubaix? Non avrebbe avuto tempo di dimostrare di essere un ottimo corridore. Idem Zana. Filippo ha fatto tre anni in Bardiani.

Già tre anni. Il primo ricordo di lui risale al Giro d’Italia del 2020: era stanchissimo, ma lo ha finito…

Il primo anno non si è quasi mai visto, poi sempre meglio. Ma per me è ancora lontano il suo salto. E queste fondamenta che ha creato alla Bardiani se le ritroverà alla BikeExchange. Anche perché per certi aspetti in gruppo avrà vita più facile. E’ la legge non scritta che le professional non possono stare davanti. In Bardiani ci stavo solo perché si accorgevano che ero io. E queste situazioni ti rendono la vita più difficile. Penso anche a Fiorelli in tal senso. Sapete quante energie in meno spenderebbe per arrivare a fare la volata? Fagli prendere una salita davanti a Zana…

Andrea Piccolo, magari lo conosci poco, ma lo hai visto all’italiano…

La miseria che corridore! Ci messaggiamo spesso. C’è una stima reciproca. Gli mandai un complimento e mi disse che era stato un onore ricevere un mio messaggio. Lui è un fuoriclasse e te ne accorgi anche dall’atteggiamento. In gruppo è un po’ mattarello, non presuntuoso, ma ha un suo mondo. E’ diverso da altri giovani. Per esempio Bagioli è più chiuso, lui invece è più spavaldo, ma al tempo stesso tranquillo. 

E tu hai qualche nome che vorresti dire?

Non è più giovanissimo, ma dico Lorenzo Rota: ci ho anche corso insieme. Questo ha classe, ragazzi. Quest’anno ha fatto un bel salto di qualità. Deve vincere una corsa più seria che gli darà sicurezza e farà ancora meglio. Poi mi piace come persona. Si tratta di un atleta serio, dedito al lavoro… Senza contare che ha passato momenti davvero difficili. Lorenzo stava per smettere. E non una volta. E ciò dimostra come ci sia bisogno di ricambio. Non può essere che uno come lui abbia dovuto bussare a più porte per continuare. Cambia la generazione del ciclista? Allora deve cambiare la generazione di chi gli sta intorno.

E’ cambiata oggi la figura del corridore da corse a tappe?

Già da un po’, direi. Lo scalatore puro per me non esiste più. Sto seguendo i giovani e mi rendo conto che tipo di atleta serve. Quando vedi un corridore da 55 chili, ti chiedi cosa può fare. Se vai al Tour, stacchi tutti in salita, arrivi da solo e vinci la tappa okay, ma se non arrivi da solo? Ti è servito? No… In volata perdi. In pianura non puoi neanche aiutare. A crono le prendi. Il corridore modello attuale è il corridore completo. Guardiamo Vingegaard, tra i top rider è l’unico che ha il fisico da scalatore puro, ma poi a crono va forte. Pogacar non è così. Evenepoel non è così.

Sono più muscolati…

Esatto, soprattutto Pogacar ne ha di margini sul piano muscolare… E per me può ancora perdere qualche chilo. Lui ha ancora spazio per migliorare, ne sono sicuro.

La famosa panchina non si trova… e ci si siede su una roccia
La famosa panchina non si trova… e ci si siede su una roccia
Altri nomi importanti sono Baroncini e Verre: perle dell’ultima infornata under 23.

Entrambi non li conosco molto. Però a Verre ho visto fare dei bei numeri in salita. Per lui può esserci quel problema di doversi completare come corridore. Non puoi essere solo uno scalatore in questo ciclismo. Perché o trovi una squadra che ti porta in un grande Giro e cerchi di vincere una tappa (tanto la classifica non la fai), oppure sono problemi. Anche Baroncini è un grande atleta. Anche perché altrimenti non vinci un mondiale U23, tanto più come ha fatto lui. 

E Battistella?

Ecco, con lui  parliamo di un corridore importante. Che ha una certa pedalata e una certa classe. E’ uno di quei corridori che a vederli è bello. E’ completo. Però lo deve dimostrare: l’estetica non basta, ma la base c’è tutta.

Quei due anni di Martinez a San Baronto. Scinto racconta

30.04.2022
6 min
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Quel pugno stretto alla volta di Bernal sulla salita verso Sega di Ala. La vittoria al Delfinato 2020 e poi la tappa a Pas de Peyrol nel Tour dello stesso anno. I Paesi Baschi poche settimane fa. Quando pensiamo a Dani Martinez, che dallo scorso anno è passato dalla EF Pro Cycling alla Ineos Grenadiers, abbiamo davanti agli occhi l’armatura inscalfibile che solitamente si associa ai corridori del team britannico. Eppure c’è stato un periodo in cui il colombiano è stato un ragazzino da scoprire, arrivato in Italia senza sapere che cosa sarebbe diventato da grande.

Base a San Baronto

Il suo procuratore Acquadro infatti lo consegnò fra le mani di Luca Scinto, in quella fucina di ottimi corridori che è stato a lungo San Baronto. Arrivò in un giorno di gennaio del 2015, con la valigia e un mondo tutto nuovo da scoprire.

«Ci proposero lui e altri ragazzini – ricorda il tecnico toscano – Amezqueta, Rodriguez e l’anno dopo anche Florez. Di Martinez parlavano già tutti un gran bene. Aveva il contratto con il Team Colombia di Claudio Corti, che però chiuse. Quando andai a prenderlo all’aeroporto, mi trovai davanti un bambino di 19 anni, con l’apparecchio ai denti. Lo sistemammo nell’hotel di San Baronto, con cui avevamo fatto una convenzione, e lo affidammo per la preparazione a Michele Bartoli. Fu lui dopo i primi test a confermare che fosse fortissimo. Che aveva da crescere, ma non aveva numeri tanto comuni…».

E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
E’ stato Bartoli a capire subito dai test che Martinez avesse numeri non comuni (foto Instagram)
Vi fu dato perché lo faceste maturare?

Si fece un programma di crescita graduale. Però lo portai in entrambi gli anni al Giro d’Italia. Era giovane, ma qualche sprazzo lo fece vedere nelle crono. Tirò quasi tutto lui nella cronosquadre della Coppi e Bartali che chiudemmo al quarto posto. Stessa cosa al Giro del Trentino, ottavi. In salita invece stava nei gruppetti, ma ci stava perché era tanto giovane. Nel 2016 arrivò fino a Milano, il secondo anno lo fermammo dopo la tappa di Bormio vinta da Nibali, quella di Dumoulin con il mal di pancia, in cui lui arrivò a 23 minuti. Il dottore voleva farlo fermare sullo Stelvio. Era andato in crisi, ebbe un calo di zuccheri. Però fu cocciuto e arrivò al traguardo. A fine stagione avemmo la conferma che avesse davvero qualcosa di più…

Vale a dire?

Arrivò nei primi dieci alla Tre Valli Varesine e alla Milano-Torino. Quarto nella generale, con un terzo di tappa al Giro di Turchia. Con noi c’era il contratto in scadenza, arrivò la EF e se lo portò via. Non potevamo trattenerlo. Se fossimo stati cinici, lo avremmo fatto firmare al Giro, ma sarebbe stato ingiusto trattenerlo contro voglia e davanti a una WorldTour.

Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Al primo anno con la squadra di Scinto, Martinez dimostra subito di andare forte nelle crono
Pensi che quei due anni gli siano serviti?

Fu tutelato, come è giusto che sia per un ragazzino di 19 anni. Dopo il Giro lo scorso anno venne a San Baronto (foto di apertura, con Scinto e il diesse Tomas Gil, ndr) e mi disse che un po’ di scuola di Scinto servirebbe a tanti giovani. Lui si è costruito da solo, gli dicevo di essere partecipe della propria crescita e lo è sempre stato. Gli stranieri non sono mammoni come gli italiani, noi abbiamo proprio un’altra struttura mentale. Questo partì a 19 anni dalla Colombia per venire in Italia, si capisce che la voglia di sfondare fosse tanta.

Dicevi che con lui arrivarono Amezqueta e Rodriguez…

Gli altri non erano al suo livello, ma anche con loro avemmo pazienza e alla fine sono venuti fuori dei corridori dignitosi (Amezqueta corre dal 2018 alla Caja Rural, Cristian Rodriguez è al secondo anno con la TotalEnergies, mentre Florez è al secondo anno con la Arkea-Samsic, ndr). Buoni corridori, non fenomeni, che sono cosa rara ma ci sono sempre stati. Come Saronni che vinse il Giro a 21 anni. Tutti vogliono diventare corridori subito e l’ambiente li spinge ad aver fretta.

Perché dici questo?

Perché un giovane non capisce ed è normale che voglia bruciare le tappe. E se alle corse di allievi e juniores, vedi quasi più procuratori che genitori, il ragazzino magari potrebbe pensare di essere un fenomeno.

Il primo Martinez non era tirato come adesso, la crescita ha fatto la sua parte…

Non era grosso, ma ha avuto seri problemi di allergia. Tanto che, prima con il dottor Gianmattei e poi tramite Bartoli, andammo per risolverla e per fortuna se ne venne a capo. Sapevamo che fosse un corridore vero e per quello facemmo il possibile per aiutarlo. I test continuavano a dire questo e a crono ha sempre avuto dei numeri incredibili. Se quest’anno avessero deciso di portarlo al Giro, parlo da tecnico e da tifoso, al 90 per cento sarebbe salito sul podio. Al Tour sarà diverso, troverà avversari di un livello superiore.

Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Nel 2018 arriva la EF Pro Cycling e lo porta via. Qui in Colombia con Bernal e Geoghegan Hart
Cosa si prova a vederlo così forte?

Ho sempre detto che fosse un talento e sarebbe diventato un corridore. Qualcuno rideva. Ricordo di aver fatto questo discorso con Pancani. Quando fai una squadra con dei corridori giovani, devi avere pazienza. Poi arriva la WorldTour e te li porta via: è la legge del gruppo. Potresti farli firmare per cinque anni, ma non sarebbe giusto. Sarebbe da prevedere un riconoscimento, questo sì. L’ho tenuto qua, ho pagato vitto e alloggio, aveva lo stipendio un po’ sopra al minimo, gli ho insegnato un mestiere. L’UCI potrebbe prevedere qualcosa…

Con questo Scinto è sempre un piacere ragionare, ritrovando in lui il lampo dei primi tempi. Il professionismo lo ha messo da parte e lui ha scelto di ripartire dagli juniores. Eppure nel vivaio di una squadra importante, la sua passione e la capacità di coinvolgere i ragazzi sarebbero ancora un prezioso valore aggiunto. Quegli anni magici di San Baronto – tra Visconti, Gatto e Giordani – non si dimenticano. Su tutto il resto, probabilmente s’è avuta troppa fretta di appendere responsabilità.

Il debutto col Casano è da podio. Sciortino dimagrisce e scalpita

24.03.2022
4 min
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Fisico minuto, ma potente. Carlo Sciortino dà proprio l’idea del corridore esplosivo. Un Bettini, potremmo dire… ma forse è un po’ presto per i paragoni. Abbiamo incontrato il siciliano in cima ad uno strappo che porta verso San Baronto, dove domenica scorsa si è consumata l’apertura della stagione juniores alla Ballero nel Cuore.

Carlo è stato secondo, alle spalle di quel nuovo (dicono) fenomeno che è il canadese Michael Leonard. Il corridore dell’UC Casano-Matec ha cercato di tenerlo a bada il più possibile, ma nel finale non c’è stato niente da fare. Però quel che conta è che ha ben figurato sotto agli occhi del cittì Dino Salvoldi. E per questo si vocifera anche di una sua convocazione per le prime classiche del Nord.

Carlo Sciortino (classe 2004) da quest’anno veste i colori dell’UC Casano Matec
Carlo Sciortino (classe 2004) da quest’anno veste i colori dell’UC Casano Matec
Carlo, innanzitutto sei soddisfatto di questa prima uscita stagionale?

Sì, tutto sommato sono soddisfatto, perché sapevo che sarebbe stato un duello con tutto il Team Franco Ballerini, che ha lavorato veramente bene. Ma noi non siamo stati da meno, ci siamo difesi, è mancato quel pizzico di gamba in più che magari avrebbe aiutato. Alla fine era il primo appuntamento stagionale, faremo meglio nelle prossime gare.

Ti abbiamo visto lavorare in pista, a crono e ormai sei quasi stabile in Toscana: è cambiato qualcosa nella tua preparazione?

Sicuramente si fa più qualità che quantità. Abbiamo migliorato i lavori specifici e abbiamo lavorato molto sull’agilità rispetto all’anno scorso. Con tutto il Team Casano: i miei direttori sportivi Giuseppe Di Fresco, Alessandro Mansueto e Daniele Tommasini, il team manager Christian Castagna, stiamo facendo un ottimo lavoro. Senza dimenticare l’aiuto della nutrizionista Erica Lombardi che mi segue giornalmente.

In corsa c’era Dino Salvoldi, il tecnico della nazionale juniores, se dovesse arrivare una convocazione per le classiche del Nord?

Eh, non so… Dino sta facendo un ottimo lavoro, sta girando in tutte le squadre d’Italia, osservandole negli allenamenti. Di sicuro cercherei di dare il massimo e di onorare la nostra nazionale.

Alla corsa Ballero nel Cuore ritmi alti su un percorso veloce, almeno fino alla scalata finale
Alla corsa Ballero nel Cuore ritmi alti su un percorso veloce, almeno fino alla scalata finale
Quanto è importante stare in Toscana, specie per un ragazzo che come te viene dalla Sicilia? Quanto è importante proprio nel quotidiano?

Molto e me ne rendo conto, ma per ora io vado ancora a scuola in Sicilia. Salgo qui nel weekend. Nei fine settimana è molto importante allenarmi con la squadra, cosa che mi mancava in Sicilia perché nella mia zona c’è un gruppo di ciclisti, però non è la stessa cosa. Quindi sì, è molto importante, soprattutto per un siciliano come me: ti dà qualcosa in più, impari a viaggiare, fai esperienza al Nord. Anzi, direi che è fondamentale.

Che scuola fai?

Il Liceo Scientifico ad indirizzo sportivo.

Ci racconti dei tuoi viaggi?

Mi muovo con l’aereo perché è molto più comodo. Nel giro di un’ora sono da Palermo a Pisa. Poi 40 minuti di strada e arrivo a Massa. Ormai è diventato veloce viaggiare. Di solito parto il venerdì subito dopo la scuola e così arrivo in Toscana la sera stessa. Il sabato e la domenica ci alleniamo.

E quando ritorni?

La domenica sera direttamente. Non sono il solo siciliano in squadra. Siamo in cinque, viaggiamo tutti insieme ed è anche più comodo. E divertente.

Lo scorso anno, Sciortino ha partecipato al Giro della Lunigiana con la maglia della Sicilia
Lo scorso anno, Sciortino ha partecipato al Giro della Lunigiana con la maglia della Sicilia
La tua conformazione fisica fa pensare ad uno scalatore, però vai molto bene anche su altri terreni…

Sono abbastanza esplosivo, vero. Diciamo così: sono un finto scalatore! Stiamo lavorando sul fisico per dimagrire. 

Se dovessi fare un paragone con un professionista, Sciortino sarebbe…

Molti mi hanno paragonato a Giovanni Visconti, che tra l’altro è palermitano come me. E sarebbe un ottimo esempio da seguire.

Beh, era anche al via della Ballero nel Cuore…

Già lo conoscevo. Con Giovanni ci siamo allenati anche insieme, un paio di volte a Palermo. E’ sempre emozionante vederlo.

Visconti si è ritirato, il Marine c’è ancora

22.03.2022
7 min
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A San Baronto, non per caso. E’ una mattina fresca di marzo, i dintorni sono silenziosi. Lungo la strada abbiamo incontrato ben più di un ciclista, la vallata in basso respira piano. Giovanni aspetta davanti al bar, la barba, i jeans e il giubbino nero. Sono passati venti giorni dall’annuncio del ritiro, prima non era tempo di venire. Serve tempo per chiudere la pagina, anche se la sensazione è che in cuor suo il viaggio si fosse già fermato prima. L’ultima volta si prese qui un caffè a dicembre 2020. Contratto con la Bardiani, tanta grinta e voglia di fare. Ma niente è andato come avrebbe voluto. Ora Visconti (in apertura nella foto di Alessandro Federico) ha lo sguardo sereno, il volto rilassato. Ma non è stato facile.

Appuntamento a San Baronto, nel bar di mille interviste
Appuntamento a San Baronto, nel bar di mille interviste

«La prima volta a San Baronto – pensa voltandosi indietro – fu uno di quei viaggi con mio padre e la Fiat Uno. Giravamo l’inverno per fare le gare di cross e un inverno ci fermammo nell’albergo qui accanto. Mio padre aveva portato un fornellino e mi fece la pasta. Avevo 15-16 anni e una bicicletta messa male. Ora San Baronto è la mia casa. Amo la mia terra, ma qui mi sento a casa. Non sono un siciliano di mare, dopo una settimana che sono giù mi viene la voglia di tornare. Non sono come Fiorelli, che senza il mare non ci sa stare…».

Da quanto tempo avevi capito che era finita?

Da un anno e mezzo, da quando cominciai a stare male. Al Giro del 2020 mi svegliavo e dicevo a Mirenda che avevo mal di testa. Pensavo fosse la cervicale, per cui andavo dall’osteopata. Poi scoprii di avere la tiroidite, scatenata dal Fuoco di Sant’Antonio, che è davvero una brutta bestia. La prima reazione fu una magrezza eccessiva, poi il tempo di andare alla Bardiani e mi diede l’effetto opposto. Presi peso e non riuscivo a buttarlo giù, avevo sensazioni tremende. Mi sono rasserenato quando ho capito che anche guarendo del tutto, non sarebbe cambiato niente. A 39 anni e con 17 stagioni da professionista sulle spalle, ho capito che non sarebbe bastato contro questi giovani che sgommano. Fosse stato per me, avrei smesso lo scorso luglio…

Accanto a Bettini nel Giro del 2008, quando tutto sembrava possibile
Accanto a Bettini nel Giro del 2008, quando tutto sembrava possibile
Invece decidesti di continuare.

La squadra mi è stata vicino. Reverberi mi ha invogliato a crederci e ho ripreso. Un nuovo allenatore (Alberati), il mental coach, sono anche dimagrito. Sono andato a Benidorm con Fiorelli, ero 63 chili, facevamo allenamenti bellissimi. Invece ho preso il Covid e quella è stata l’ultima batosta. A Mallorca il terzo giorno ho fatto 60 chilometri da solo fra le macchine. Sono arrivato che Valverde scendeva dal podio e neanche mi hanno classificato. A Laigueglia stessa cosa. Le ammiraglie mi passavano e io immaginavo i commenti su come mi fossi ridotto. Mi sono fermato, morivo dal freddo. Un cicloturista mi ha dato una mantellina mezza rotta e mi ha scortato all’arrivo. Volevo smettere, ma Reverberi ha insistito e sono andato alla Tirreno.

Cosa è successo?

Il secondo giorno siamo passati da Capannoli, dove avevo vinto la prima da dilettante. Poi siamo passati da Peccioli, la prima vittoria da pro’. Ho pensato che non fosse un giorno a caso, ho collegato quei due momenti. Ero staccato, ma sono stato zitto finché Roberto (Reverberi, ndr) non ha detto dove fosse il furgone del rifornimento. E a quel punto ho parlato alla radio. «Io finisco qui – ho detto – chiuso il discorso». Mi sono scusato con i ragazzi e li ho incitati a non mollare. E poi mi sono ritirato. Quando sono salito sul bus, mi sono sentito sereno. Ho scritto un messaggio a Roberto, per dirgli che sarebbero venuti a prendermi mio padre e mio figlio. Non era organizzata, la mattina era venuta a trovarmi mia moglie visto che poi la corsa passava sull’Adriatico…

Alla Per Sempre Alfredo, un premio speciale: gli appunti di Martini sul suo secondo tricolore
Alla Per Sempre Alfredo, un premio speciale: gli appunti di Martini sul suo secondo tricolore
La lettera d’addio?

Avevo già iniziato a scriverla durante il Gran Camino, poi di volta in volta l’ho corretta. Questo non lo sa nemmeno Alberati, l’avevo detto solo alla psicologa, Cristiana Conti, bravissima. Le dissi che io a certe cose non credo, invece mi ha aiutato tanto.

Cosa pensi della tua carriera?

Sono fiero. Sono stato per tutta la vita un musone anche con me stesso, anche se con gli anni sono migliorato. Sono passato con l’idea, che mi hanno inculcato, di diventare il nuovo Bettini. Non ci sono riuscito e questo mi è pesato. Negli ultimi 2-3 anni ho cominciato a vedermi in modo diverso, più aperto, purtroppo però è coinciso con il momento in cui ho iniziato a stare male. Tanti però vorrebbero aver fatto la mia carriera…

Tante dimostrazioni di affetto e stima.

Mi ha scritto Quintana. Mi ha scritto Valverde. Anche Chiappucci, invitandomi a essere fiero di quello che ho fatto, perché di solito tendo a sminuirmi. Mi ha chiamato anche Stanga. «Sono Gianluigi Stanga, posso parlare con Giovanni Visconti che ho fatto passare professionista?». Mi ha spronato a fare qualcosa…

Già, cosa farai da grande?

La mattina mi sveglio, ma non ho un’idea ben precisa. Mi piacerebbe diventare un diesse importante. Ho vissuto tre generazioni di ciclismo, vedo come si lavora oggi. E’ finito il periodo della quantità, ora si fa tanta qualità. L’esempio di Guercilena, che è passato attraverso tanti ruoli, potrebbe essere quello da seguire.

Nel 2009, Visconti ha lasciato la Quick Step per tornare da Scinto
Nel 2009, Visconti ha lasciato la Quick Step per tornare da Scinto
Ti sei mai sentito il Visconti campione che tanti si aspettavano?

Ci sono stati dei momenti. Alla Quick Step, quando a 24 anni ho vinto il primo tricolore. Oppure quando ho vinto alla Sabatini con Bettini campione del mondo che lavorava per me. Poi ho fatto un passo indietro, passando in una professional. Ho vinto ancora, ma è calata la qualità. Già allora tra WorldTour e professional c’era tanto divario, ora tocca fare a botte.

Fare a botte?

Vanno bene le differenze, ma non c’è rispetto. Quando si affiancavano a me, vedevano le strisce tricolori sulla manica e si calmavano. A Laigueglia, è venuto un francesino e pretendeva che mi spostassi, perché lui doveva stare davanti e io no. I ragazzi oggi crescono così e i loro direttori hanno fatto tutta la carriera allo stesso modo. Il gruppo non è più composto di tante maglie, ma da blocchi di squadre. Davanti le WorldTour, dietro le altre. Mi ricordo quando ero alla Movistar che un paio di volte andai davanti a urlare perché facessero partire la fuga. Si fa tanta fatica a stare dietro e ottenere risultati, non avete idea quanto.

Nibali è un buon amico, ma in passato è stato la molla per migliorare
Nibali è un buon amico, ma in passato è stato la molla per migliorare
Che cosa ha rappresentato Scinto nella tua carriera?

Una figura importante, anche se a volte ha avuto dei comportamenti per cui abbiamo litigato. Anche per il Visconti del WorldTour sarebbe servita una persona come Scinto. Avendo accanto uno con la sua passione, avrei reso di più.

E Nibali?

Lo reputo un amico. Mi ha fatto crescere, è stato un bel guanto di sfida. Siamo partiti uguali, poi lui è andato su un altro pianeta. E’ stato bello correrci insieme, credo che ora siamo ottimi amici. Nel fine settimana è stato in Toscana, dovevamo andare in bici insieme, poi è saltata.

Hai più preso la bici?

La prima volta con mio padre: 31,5 chilometri in un’ora e 20′. C’era vento, me la sono goduta. Ho voluto ringraziare mio padre. Ci eravamo allontanati. La mia carriera ormai stava calando e lui è stato male anche perché mi vedeva soffrire. Ora si è liberato anche lui.

Suo padre Antonino è stato il primo a credere nelle possibilità di Giovanni
Suo padre Antonino è stato il primo a credere nelle possibilità di Giovanni
E tu sei contento?

Vedo i bambini felici. Prima ero un vecchio corridore, ora sono un giovane uomo. Anche in casa non ero sereno, tornavo sempre in condizioni pietose e mi svegliavo con le occhiaie. Avevo addosso la rabbia, un bambino se ne accorge. Ora mi alzo alle 6,30 per portarli a scuola e non ho altri pensieri. Ho voltato pagina, ma per un po’ continuerò a pensarci. Alla gente è piaciuto come sono uscito. Volevo chiudere con l’immagine del combattente. E quanto è vero Iddio, ho combattuto con tutto me stesso, ma vanno tanto forte che non mi vedevano neanche…

Resta in silenzio. Nello sguardo passano gli anni e i tanti romanzi che ciascuno di essi potrebbe raccontare. Ordina un altro caffè. Scherza con la barista. Il corridore ha dismesso i panni da gara. Il Marines lampeggia ancora nello sguardo.

Su e giù dal San Baronto per riaccendere il motore

29.04.2021
4 min
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Visconti s’era un po’ perso dietro a qualche acciacco, ma adesso che tutto sembra avviato a soluzione, il tono di voce ha riscoperto la brillantezza di prima e il motore ha ripreso a girare. Come i primi mesi con la Bardiani, quando il mondo sembrava un buffet da cui semplicemente servirsi. La storia di Giovanni è affollata di stop indesiderati, forse per questo il siciliano di San Baronto ha sviluppato il modo di farvi fronte e pedala convinto verso il Giro d’Italia.

Giovanni Visconti, San Baronto 2020
La “gippetta” verde, che poi è una Suzuki, ora è completamente restaurata
Giovanni Visconti, San Baronto 2020
La “gippetta” verde, che poi è una Suzuki, ora è completamente restaurata

«Oggi ho fatto tremila metri di dislivello sul San Baronto – dice – la corsa in Serbia non aveva grandi pendenze e purtroppo dopo la Turchia abbiamo avuto tre giorni di viaggio senza toccare la bici. Ma nel tempo che manca al Giro, conto di dare una limatina al peso e di fare il resto in corsa. Sono motivato, questo è l’importante. E quando si sta bene, si lavora con voglia».

Nuova ripartenza

Sono settimane convulse. Prima del Giro il tempo è sempre stretto per metterci dentro quello che non si avrà il tempo di fare poi.

Le prime corse di stagione sono state molto dure, qui alla Strade Bianche
Le prime corse di stagione sono state molto dure, qui alla Strade Bianche

«Si va al Giro – dice – con una squadra competitiva per le fughe. Non fughe tanto per farsi vedere, ma per arrivare. Avremo uomini come Battaglin. Carboni che va forte in salita. Occhi aperti su Zoccarato, che è un cavallo pazzo. Scatta sempre a tutta. Ti fa morire dalle risate. E’ capace di partire a 40 dall’arrivo e di rilanciare in pianura a 60 all’ora. E’ un mulo, in futuro lo vedrei bene alla Deceuninck-Quick Step al Nord. Poi c’è Marengo, che è di Torino e ha il morale a mille. Tutta gente che va bene in salita e, se becca la fuga, è anche veloce. La prima settimana magari si starà tranquilli per scaldare il motore, ma poi si attacca per arrivare».

Fiorelli cresce

Per sé tiene un ruolo importante, ma preferisce non parlarsi addosso. Quella prima settimana di attesa sarà tutta uno stringere i denti, ma quando arriverà la condizione giusta, anche Visconti sarà in prima fila. Nel frattempo, si è messo a osservare Pippo Fiorelli e un po’ ci si rivede.

Zoccarato porterà al Giro il suo estro di attaccante: ha 23 anni, è un neopro’ e ha un gran motore
Zoccarato al Giro con il suo estro di attaccante: ha 23 anni ed è neopro’

«Ha preso coraggio – dice – sa che non è facile come sembra, ma ha capito che può sognare più in grande. E’ uno che tiene i 10 minuti in salita e ha la cattiveria per essere davanti nei finali. Mi ricorda il Visconti dei primi tempi, si sta avviando verso quel tipo di corridore. Spero per lui anche meglio di me. Se crescendo perderà qualche chiletto, se arriverà sui 66-67, potrà specializzarsi nelle corse dure con arrivo di gruppetto. E’ troppo leggero per fare il velocista e non è uno scalatore, ma siate certi che al Giro lo vedrete sgomitare. In Serbia, sull’unica salita di tutta la corsa, era così forte che si è messo a scattare e alla fine l’ha buttata. Io salivo a 420 watt medi, lui intorno ai 440: il motore c’è. Ha sbagliato, ma era il più forte. Con un altro Giro, si assesta e poi diventa un brutto cliente».

Due torinesi

Il sottofondo è quello di Thomas che è uscito dalla scuola calcio. C’è tempo per altre due chiacchiere sulla Jeep verde che ormai ha finito di restaurare e sulla bicicletta per il Giro, che poi sarà la stessa usata finora.

Per Marengo, torinese, il Giro d’Italia sarà una scarica di adrenalina
Per Marengo, torinese, il Giro d’Italia sarà una scarica di adrenalina

«La bici è fantastica – dice – davvero bella. Con un paio di accorgimenti starebbe tranquillamente sotto i 7 chili, ma ha una tale rigidità per essere anche veloce, che proprio non te ne accorgi. Per il Giro forse avremo il nastro rosa e rosa saranno anche le mascherine. La squadra tiene a questi particolari e per noi è il modo di sentirci importanti. Ieri mi ha chiamato un giornalista piemontese, visto che sono nato a Torino. Voleva sapere che cosa significhi partire col Giro dalla propria città. Forse poteva chiedermelo l’anno scorso che si partiva da Palermo. Vorrà dire che la Bardiani-Csf al via avrà due torinesi. Marengo e il palermitano Visconti…».

Luca Scinto, Turchia 2017

Un bel lampo di Scinto prima delle Feste

18.12.2020
4 min
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Luca Scinto sta cucendo la squadra per il 2021. Non è facile e probabilmente lo sarà sempre meno. Un po’ perché i giovani migliori ormai prendono altre direzioni, puntando dritti sul WorldTour costi quel che costi. E un po’ perché non è semplice ripartire dopo anni in cui s’è andati in giro agitando la bandiera di Visconti. Difficile dire se sia stata più singolare la voglia del siciliano di tornare sempre nella stessa squadra o quella della squadra di insistere sempre con lui. Le frizioni degli ultimi mesi suggeriscono che forse si è cercata una riconciliazione di troppo. Ma siccome in certe dispute è bene non infilarsi e siamo certi che Scinto a Visconti voglia (a suo modo) davvero bene, il discorso cambia strada e torna sul 2021 della Vini Zabù. La squadra deve ancora definire il marchio delle bici. E Luca, che è uomo di mondo e sa che una delle prime regole per stare in gruppo è dissimulare la fatica, prende in mano il discorso e mette Mareczko sulla parte più esposta della bandiera.

Jakub Mareczko, Guanxi Tour 2019
L’obiettivo per Mareczko è migliorare in salita per arrivare meglio alle volate
Jakub Mareczko, Guanxi Tour 2019
Mareczko, obiettivo migliorare in salita
Sarete tutti per lui?

Da Kuba ci aspettiamo che porti le vittorie. Chiaro che faremo un calendario professional, mentre per il resto siamo appesi agli inviti. Abbiamo gli stessi obblighi degli squadroni, ma non gli stessi diritti. Cominceremo dall’Argentina, poi andremo a Mallorca. Non sappiamo se andremo al Giro d’Italia e speriamo che Lang ci inviti al Polonia. Chiaro che una tappa al Giro con Mareczko sarebbe come fare bingo.

Pensi che sarete invitati?

Fammi pensare in grande, in questo momento non voglio tralasciare nemmeno una possibilità. E sempre in questo momento, se ci lasciano soli non fanno un favore al ciclismo italiano. E comunque, tornando all’inizio, non saremo solo per Mareczko. Credo molto in Simone Bevilacqua, che ha bisogno di integrarsi di più, ma ha qualità. C’è Stacchiotti. Credo in Gradek, che ha 30 anni e arriva dalla CCC. C’è Schneiter, che è stato 7° al piccolo Lombardia, è cresciuto con Hirschi e ha 22 anni. Stojnic ne ha 21. Dai giovani qualcosa si tira fuori…

Sei diverso dallo Scinto che motivava i corridori fino quasi a renderli nevrotici…

Non si può più fare il preparatore e il direttore insieme. E’ complicato e ci sono troppe responsabilità. Poi però, quando siamo insieme ad allenarci, lo stile Scinto viene fuori. E viene fuori anche in corsa. Per il resto sono più tranquillo e maturo. Mi hanno accusato di essere troppo protagonista, non c’è problema. Eccomi! Mi occupo del lato tecnico e della parte economica si occupa Citracca, come è giusto, dato che la società è sua.

Simone Bevilacqua, Tour de Langkawi 2019
Bevilacqua nel 2019 ha vinto una tappa a Langkawi. Miglior risultato 2020 il 7° agli italiani
Simone Bevilacqua, Tour de Langkawi 2019
Bevilacqua vittoria a Langkawi nel 2019
Dove è finito quello Scinto che si innamorava dei corridori e faceva chilometri e chilometri per seguirli?

C’è ancora, continuo ad aiutare i ragazzi che me lo chiedono. Però ho anche capito che i corridori non sono miei, bensì dei procuratori. E alla fine, se spingi per convincerli a fare qualcosa che al momento gli è scomodo, ti vedono come quello che gli va contro e fa l’interesse della squadra. Io sono amico loro, quando vogliono capirlo.

Le regole del ciclismo sono sempre le stesse?

Se qualcuno non le ha cambiate, direi di sì. Al corridore chiedo di allenarsi. Poi di tornare a casa, pranzare perché qualcuno gli fa trovare il pranzo. Riposarsi. Fare i massaggi. E pensare al giorno dopo. Ogni altra cosa è sottratta alla vita da atleta. Sarà uno schema antico, ma fino a prova contraria è l’unico che funziona e consente di avere carriere durature. Se invece ti alleni, salti il pranzo prendendo solo un po’ di proteine e poi il pomeriggio sei in giro e la sera a cena fuori, secondo me non funziona.

Mareczko e la salita.

L’obiettivo è che migliori. Sono in contatto con il Centro Mapei, con cui si prepara. Ho parlato con Massimo Induni che lo segue e gli ho detto che cosa vorrei e dove vorrei portarlo. Non ci credo che non possa migliorare e superare certe salitelle. Sono certo che mi darà ascolto.

Sembra in corso uno scontro fra tradizione e il nuovo che avanza…

L’anno scorso in Argentina, il direttore di una squadra WorldTour venne da me e disse che aveva visto i miei corridori allenarsi la mattina, prima della tappa che partiva alle 16. Gli ho risposto che eravamo giù per allenarci e mettere fieno in cascina per quando fossimo tornati in Europa. Per questo li avevo mandati a fare un paio d’ore. E lui mi ha guardato sbalordito, dicendo che se lo avesse proposto ai suoi, lo avrebbero preso per matto.

I tuoi ti hanno mai preso per matto?

Basta che mi prendano seriamente e che mi rispettino. Se un atleta vuole crederci, gli do il massimo. Perché sono convinto che il modo migliore perché alla fine si torni tutti a casa soddisfatti è lavorare come una squadra. Se ognuno tira dalla sua parte, si rompe il giocattolo. Perciò rimbocchiamoci le maniche. Il 17 gennaio si riparte dall’Argentina.

Giovanni Visconti, San Baronto 2020

Discorsi nel bosco, seguendo Giovanni

07.12.2020
6 min
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Visconti ci aspetta vestito per il bosco. L’accordo era proprio questo: si parla mentre si cammina, anche se purtroppo non è più tempo di funghi. Parcheggiata nel giardino, Terminator e le sue gomme cattivissime aspettano solo noi. Giovanni ha chiamato così la piccola Suzuki comprata un paio di giorni fa da un cacciatore di Pomarance, dopo aver fatto qualche giro su quella di Chiarini, gran maestro di bosco e tartufi.

In breve, le immagini della mattina con Visconti

Salendo da Casalguidi, la sua casa è sulla destra. San Baronto è assorta in un silenzio che sa di solitudine. Le ultime quattro settimane per il palermitano sono state un frullatore di emozioni, a partire dalla firma con la Bardiani-Csf e di una scelta che per la seconda volta nella carriera lo porterà via da Scinto, Citracca e la Vini Zabù-Ktm. Inutile dire che la scelta abbia messo in crisi i rapporti con il toscano.

Giovanni Visconti, Paolo Bettini, Giro d'Italia 2008
Visconti tricolore, Bettini iridato: è il Giro d’Italia 2008
Giovanni Visconti, Paolo Bettini, Giro d'Italia 2008
Visconti tricolore, Bettini iridato al Giro 2008

La schiacciata del “Lomba”

Katy si affaccia per un saluto, mascherina e un tocco di gomito. I ragazzi sono a scuola, il tempo sembra reggere. Nel bar in cui ci fermiamo per il primo caffè e la schiacciata del “Lomba” da portare via, la foto di Visconti e Bettini, rispettivamente in maglia tricolore e maglia iridata, sembra quasi un invito a cominciare.

«Alla Quick Step fu un bel periodo – dice – e mi aveva voluto proprio Betto. Accadde a San Sebastian. Ero alla Milram, mi venne accanto in un tratto tranquillo nei primi 50 chilometri e mi disse: “Giovane, mi piacerebbe averti in squadra il prossimo anno”. Ero gasatissimo. Si aprivano delle prospettive bellissime e a fine anno firmai. Feci due stagioni. Vinsi il campionato italiano e presi la maglia rosa, ma ugualmente presi la decisione di tornare a casa. Prevalse la voglia di un ambiente familiare, anche se quella era la fantastica Quick Step degli italiani. Ero legatissimo a questo posto e feci un passo indietro. Tanti si sono chiesti perché. Bettini ogni volta alza gli occhi al cielo. Io dico che ormai è andata. Ho fatto una dignitosa carriera che si ferma a dignitosa. Siamo stati insieme per così tanto tempo, che forse abbiamo dato troppe cose per scontate».

Giovanni Visconti, San Baronto 2020
Prima di riprendere con la bici, camminate nei boschi anche in cerca di funghi
Giovanni Visconti, San Baronto 2020
Prima della bici, camminate nei boschi intorno casa

L’ultimo passo

Il fuoristrada segue rumorosamente uno stradello nel bosco e fra gli alberi si riconosce la piana verso il Monte Serra. Dice che quando è limpido, si vede il faro di Livorno. Poco fa abbiamo incrociato sua madre che dal paese tornava verso casa.

Che cosa avete dato per scontato?

Io che avrei dovuto avere il rinnovo del contratto già a giugno ed ero certo che non mi avrebbero tirato fino a novembre, perché pensavo di meritare un altro trattamento. Scinto invece ha dato per scontato che sarei rimasto a qualunque condizione, senza considerare che in questi ultimi due anni ho tenuto insieme la squadra. Se fossi restato, sarebbero rimasti anche altri. Non era scontato che lo facessi. Per questo quando ho letto una sua intervista secondo cui mi hanno strapagato, sono rimasto male. E’ brutto sentirlo da uno che si proclamava mio fratello. Che vedeva il mio nervosismo per la situazione e che mi diceva «Fai bene a muoverti, a cercare una sistemazione». E che da anni provava a dirmi «Anzi, se ti riesce, portami con te».

Giovanni Visconti, europei 2020, Plouay
Giovanni ha corso gli europei vinti da Nizzolo e poi anche i mondiali di Imola
Giovanni Visconti, europei 2020, Plouay
Ha corso gli europei di Nizzolo e i mondiali di Imola
Perché tornare anche dopo il Bahrain? Che cosa c’è in questa squadra?

Un richiamo. La sento come casa, non lo posso negare. In Bahrain non stavo bene, le comunicazioni arrivavano via mail, io non sono così. Ma mi rendo conto che tante cose non sono andate per il verso giusto. Ho sbagliato a permettere che il rapporto si incanalasse a questo modo. Speravo andasse meglio. Era giusto tirarmi così a lungo? Per questo mi sono mosso.

Cambio di strada

Giura di aver visto un fungo, ma il freddo ormai si è abbattuto sul monte e semmai è rimasto qualcosa al coperto delle foglie. Per questo gira con il suo bastone e le smuove, oramai più per abitudine che per la convinzione di trovarci qualcosa. 

Quando è saltato fuori Reverberi?

Bruno mi aveva già cercato all’inizio del Giro. Con Roberto scherzavamo da tanto che prima di smettere avrei corso con loro. Ma siccome chiedevo a tutti la stessa cifra, sul momento si era fatto indietro.

Giovanni Visconti_Giro 2020_ Etna
Il secondo posto sull’Etna è stato l’occasione più grande di Giovanni nel 2020
Giovanni Visconti_Giro 2020_ Etna
Il 2° posto sull’Etna l’occasione più grande del 2020
Perché la tua dignitosa carriera si ferma a dignitosa?

Perché questo mi hanno permesso le mie potenzialità. Con più fortuna, qualcuno di quei 40 secondi posti sarebbe stato una vittoria. Ne ho 9 fra Giro, Vuelta e Tour e allora il bilancio forse sarebbe diverso. Non so se rimanendo alla Quick Step sarei diventato un uomo da classiche, come diceva Bettini. A primavera non vado, forse potevo vincere il Lombardia. Nel 2008 arrivai quarto, ma non si corse per me. Sono un corridore per l’estate, ma l’estate più schifosa è stata proprio questa.

Un fatto di cuore

Negli ultimi chilometri verso l’Etna aveva la morte in faccia. Poi era subentrata la rassegnazione di aver capito che l’altro lo aveva fregato fingendosi sfinito e poi staccandolo. Ci sono corridori popolari per le vittorie e altri per la generosità, la forza di rialzarsi e lottare contro la sfortuna. Giovanni è uno di loro, per questo gli vogliono bene.

Sei uno degli italiani più seguito sui social.

E’ dura interagire con tutti, ma il ciclista è umile e non può permettersi di non rispondere. Ho spedito 300 euro di maglie autografate e video di auguri. Sono fortunato ad essere qui. A 37 anni sono ancora nel giro della maglia azzurra e so che un’immagine vincente mi aprirà le porte quando smetterò. Altrimenti sparisci. Ma io so che cosa voglio fare dopo aver smesso.

Giovanni Visconti, San Baronto, bici Cipollini del 2011
In casa ha ancora il telaio con cui corse da campione italiano nel 2011, rivincendo il tricolore
Giovanni Visconti, San Baronto, bici Cipollini del 2011
Con questa bici, Giovanni corse nel 2011 da tricolore
Che cosa vuole fare Visconti?

Il cittì della nazionale. Forse prima farò il direttore sportivo, ma come passaggio. Il mio sogno è guidare la nazionale.

Quali sono i tratti del cittì?

Deve avere passione sfrenata per il ciclismo, che deve essere stato la sua vita. Deve conoscere il ciclismo di oggi. Deve essere avanti a livello tecnico. E deve anche avere polso, per cui i corridori al momento giusto devono percepire il distacco. Ho un modello in testa: Franco.

La ripartenza graduale di Visconti su una gravel, in attesa della Cipollini Dolomia
La ripartenza in gravel aspettando la Dolomia da strada
Dal vostro punto di vista Ballerini era così?

A Stoccarda avevo il muso lungo. Avevano messo fuori Di Luca e nonostante ci fossimo Nibali ed io di riserva, Franco aveva chiamato Tosatto. Venne da me con lo sguardo duro. «Giovanni – mi disse – togliti quel muso. Non hai capito che semmai avrebbe corso Vincenzo?». Mi ammazzò, mi aprì gli occhi, mi fece bene. Un commissario tecnico deve essere così.

Giovanni, pensi di aver firmato il tuo ultimo contratto?

Credo di sì, sicuro per un anno e poi vediamo se vado bene di immaginare il secondo. Se devo correre nel 2022 è perché sarò andato forte nel 2021. Alla Bardiani è tutto organizzato come in una WorldTour. Me ne stupisco, ma forse è la normalità.