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Puccio, la Ineos, Evenepoel e le regole che non cambiano

26.08.2023
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Il Deutschland Tour va avanti e per Salvatore Puccio è l’ennesima corsa di un’estate che non lo ha mai visto staccare davvero. Una sosta dopo il Giro perso in extremis da Thomas, poi il campionato italiano, il Giro d’Austria, il Polonia e Amburgo. E mentre i suoi compagni del Giro sono andati alla Vuelta, questa volta l’umbro ha scelto un programma diverso: un solo grande Giro all’anno, ma fatto bene.

Parlare con lui è interessante per capire che cosa sta succedendo in casa Ineos Grenadiers, fra le voci dell’arrivo di Evenepoel e le partenze di alcuni elementi di spicco, che fanno pensare come minimo a un rinnovamento e un cambio della guardia.

«C’è aria di cambiamento – ammette Puccio – un po’ il solito mercato, con 7-8 corridori che vanno via. Di strano c’è che vanno via alcuni leader, ma è anche vero che la squadra va in cerca di un leader per il Tour. Crediamo e credono loro che Bernal possa ancora tornare ai suoi livelli migliori, perché è giovane e ha recuperato».

Il Deutschland Tour è iniziato con un proolgo, vinto da Ethan Vernon. Puccio è arrivato 65°
Il Deutschland Tour è iniziato con un proolgo, vinto da Ethan Vernon. Puccio è arrivato 65°
Sembra strano veder partire uno come Geoghegan Hart che ha vinto un Giro…

Credo lo abbia fatto perché voleva cambiare. La Lidl-Trek è scatenata, oggi le squadre si muovono presto. Una volta c’eravamo solo noi a poter fare mercato, adesso ci sono più squadre. Trovare un leader per il Tour non è così facile, pochi possono vincerlo e tutti quelli più quotati hanno contratti molto lunghi.

Come vivete da dentro le tante voci sull’arrivo di Evenepoel e la fusione fra le squadre?

Secondo me sono voci, delle cavolate. Il fatto che tanti siano andati via non significa che si debba liberare posto per Remco, erano qui da tempo. E poi mi sembra poco credibile che per prendere un corridore si debbano prendere due squadre, dove li metti i 150 uomini e donne del personale? Sembra che lui effettivamente voglia venire, ma c’è solo tanta confusione.

Lo vedresti bene?

E’ certamente un personaggio, fa cose che mancavano al ciclismo. Da tutta l’estate si parla solo di lui, di sicuro ha funzionato. Semmai trovo strano che abbia suo padre come agente, di fatto le uniche dichiarazioni le ha fatte lui.

Al Giro di Polonia, Puccio ha scortato Geraint Thomas al rientro dopo il Giro, sulla via della Vuelta
Al Giro di Polonia, Puccio ha scortato Geraint Thomas al rientro dopo il Giro, sulla via della Vuelta
Come va in Germania?

Bene, fa meno caldo che in Italia, si riesce a correre bene.

Al Tour de l’Avenir hanno ridotto una tappa per il troppo caldo. In Italia i dilettanti corrono con 40 gradi e nessuno muove un dito.

Il CPA dovrebbe fare un protocollo per il freddo e per il caldo. In Polonia ha cominciato a piovere così tanto, che sulla strada c’era un metro d’acqua. Certe tappe vanno fermate, mi dispiace per l’organizzatore, ma bisogna anche considerare che c’è gente che lavora per 3-4 mesi e a causa di una caduta può perdere la stagione. Finché si cade in volata, posso accettarlo. Ma cadere per una pozzanghera non va bene. Tutti gli sport si fermano, anche la Formula Uno: perché noi dobbiamo continuare?

Forse pagate la storia del ciclismo eroico?

Il mondo è cambiato, i diritti dei lavoratori si sono evoluti. Se non ci sono le condizioni, non si corre. E soprattutto non si può far decidere alle squadre, come al Giro, perché ci sono interessi diversi. Se ci fosse un protocollo oggettivo, nessuno potrebbe dire nulla.

Il maltempo e l’assenza di un protocollo condiviso ha spesso creato malintesi e situazioni di imbarazzo
Il maltempo e l’assenza di un protocollo condiviso ha spesso creato malintesi e situazioni di imbarazzo
Come andrà avanti la tua stagione?

Dovrei fare Plouay, poi il Canada e le ultime gare in Italia, dall’Emilia al Lombardia. In Cina invece non ci vado, corsi a Pechino, ma questa volta resto a casa. Ho il bimbo che cresce veloce, ogni mattina fa qualcosa di nuovo. Sono stato a casa dopo il Giro, ma ho continuato ad allenarmi. Sono rimasto a un livello medio, ogni tanto fa bene avere nuovi stimoli, piuttosto che andare in altura per preparare la Vuelta.

Casa Ineos, con Puccio nella notte maledetta del Lussari

02.06.2023
6 min
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Sabato sera, Monte Lussari alle spalle. Mentre nell’hotel della Jumbo-Visma si brinda alla rimonta di Roglic (leggere il racconto di Affini), in quello della Ineos Grenadiers l’atmosfera è meno allegra. Il sogno dei ragazzi di Tosatto si è sbriciolato contro la montagna friulana. Tre chilometri di difficoltà dopo tre settimane perfette e la maglia rosa di Thomas è svanita (in apertura il gallese in un’immagine da Instagram/Ineos Grenadiers).

Hanno lavorato più di quello che potevano. E se De Plus e Arensman hanno fatto gli straordinari in salita, Swift e Puccio si sono messi la squadra sulle spalle in pianura. E quando si staccavano in salita, poi si affrettavano a rientrare per aiutare nei tratti successivi. L’umbro racconta.

Salvatore Puccio è del 1989 e aveva già vinto tre Giri con la Ineos
Salvatore Puccio è del 1989 e aveva già vinto tre Giri con la Ineos
Che serata è stata?

Siamo arrivati all’hotel di Udine e abbiamo aspettato Thomas, perché era rimasto indietro per l’antidoping e le interviste. Quando è arrivato, non abbiamo fatto una cena da fine Giro. Non c’era nulla da festeggiare. C’era amarezza, abbiamo bevuto qualche birra, ma eravamo tutti dispiaciuti.

Non pensavate che Roglic potesse ribaltare la situazione?

Si era messa bene. Eravamo in cinque e abbiamo fatto l’ultima settimana dando l’anima. Ci siamo uniti anche di più. Il gruppo c’era dall’inizio, si era creato a Sierra Nevada. Quando poi siamo rimasti in cinque, ci siamo spezzati per aiutarci l’uno con l’altro. Swift e io abbiamo tirato fino alla morte per non lasciarli scoperti, ma quel giorno Roglic è stato più forte.

Forte Roglic oppure è calato Thomas?

Geraint non è andato piano, perché comunque ad Almeida ha dato lo stesso distacco di tutta la settimana. E’ stato Roglic che è andato fortissimo, ha fatto un cambiamento incredibile. Quando lo guardavamo in tivù, lui sembrava agile, mentre “G è sempre andato più duro. Nei primi intermedi erano lì, quasi con gli stessi distacchi. Invece dal momento in cui ha avuto quel problema, Roglic ha fatto qualcosa che non ci aspettavamo.

La maglia rosa di Thomas è volata via per 3 chilometri di fatica nel finale della cronoscalata
La maglia rosa di Thomas è volata via per 3 chilometri di fatica nel finale della cronoscalata
Anche lui ha raccontato di aver cambiato passo…

Si è visto subito che quando è ripartito aveva una pedalata pazzesca. E’ ripartito come quando uno non ha più nulla da perdere: «Ormai ho perso tutto, vado a tutta. E se salto, salto!». Secondo me quel problema meccanico in qualche modo l’ha aiutato.

Roglic ha aumentato e Thomas intanto calava. Sai se è riuscito a mangiare quel gel per il quale ha rischiato di cadere?

Lo ha mangiato, solo che quella salita era tanto dura per le sue caratteristiche. E poi col fatto che va sempre duro, su quel cemento a righe orizzontali, ha pagato pegno. Se fosse stato su asfalto, si sarebbe salvato. Ma su quelle righe sottili, se vai duro non rendi. Secondo me è stato anche quello.

E’ stato difficile gestire il Giro essendo soltanto in cinque?

Quando siamo rimasti in pochi, qualcuno un po’ emotivo ha iniziato ad agitarsi. Ma gli abbiamo detto: «Tranquilli ragazzi, perché ormai iniziano le varie dinamiche della gara». C’era chi attaccava e chi doveva difendere la posizione. Roglic non avrebbe mai attaccato da lontano. Sarebbe stato preoccupante se la Jumbo avesse avuto un uomo in classifica a due minuti.

Arensman e De Plus son stati due giganti sulle montagne per Thomas
Arensman e De Plus son stati due giganti sulle montagne per Thomas
Perché?

Perché quello ci avrebbe costretto a muoverci presto e Swift ed io saremmo saltati subito. Ma quando iniziano i meccanismi per coprire i vari piazzamenti, la corsa si guida quasi da sola.

Pensavi che De Plus e Arensman fossero così forti?

De Plus negli ultimi due anni ha avuto dei problemi, un virus se non sbaglio, per cui non riusciva neanche a finire le gare. Però quando era alla Jumbo e prima alla Quick Step, aveva questi numeri. E’ stato una bella riscoperta. Ha iniziato a mettersi in mostra dall’inizio, poi al Tour of the Alps è venuto fuori fortissimo. E’ un tipo che si butta giù, quindi appena ha visto i primi risultati positivi, ha preso fiducia. Al momento dei ritiro di Tao, ne avevamo cinque fra i primi dieci.

A te è toccato ancora il ruolo di regista?

L’ho condiviso con Swift. Io conosco un po’ meglio i percorsi in Italia, lui è più esperto. Il solo giovane era Arensman. Per il resto avevamo già corso diversi Giri e ognuno sapeva cosa fare. Le dinamiche sono quelle, c’è poco da dire. Se la gamba è buona, non ci sono problemi.

A Roma, la stretta di mano fra Thomas e Roglic: due buoni amici anche nella vita fuori dalla bici (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
A Roma, la stretta di mano fra Thomas e Roglic: due buoni amici anche nella vita fuori dalla bici (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Immaginavi che Thomas potesse giocarsi il Giro?

E’ stata una sorpresa, perché a inizio anno ha avuto dei problemi. Però ricordo che quando arrivò secondo nel Tour di Bernal, era sempre per terra nelle gare prima e non era riuscito a finirne una. Poi andò al Tour e arrivò secondo. Quando hai talento, è tutto più facile. Se io non mi alleno per qualche giorno, vado giù, a loro basta meno. Ci sono due categorie: i fenomeni e noi operai. I primi sono nati per andare in bici, gli altri devono soffrire per arrivare a un certo livello.

Anche il vostro è comunque un livello altissimo: ci sono varie gradazioni nell’essere fenomeni.

Ognuno ha il suo ruolo, la sua posizione, è vero. Le squadre piccole soffrono ancora di più, però poi ci sono questi 10 più forti, che corrono in un’altra categoria.

Quanto era giù Thomas?

Secondo me era dispiaciuto più per noi che per sé. Era triste, chiaramente, ma gli è dispiaciuto di non essere riuscito a farci un regalo dopo tutto il lavoro che ci ha visto fare. Ho avuto questa impressione e sicuramente se la porterà dentro.

Comunque sia finita, sono arrivati a Roma. Con il caldo che c’era, una birra ha riportato il sorriso (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Comunque sia finita, sono arrivati a Roma. Con il caldo che c’era, una birra ha riportato il sorriso (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Prima di finire, cosa pensi dell’aiuto dato da Thomas a Cavendish l’ultimo giorno?

Ha fatto tutto lui. Eravamo lì in fila, perché lo abbiamo scortato fino ai meno 3 dall’arrivo. “Cav” ogni giorno veniva da noi e ci motivava: «Mi raccomando – ci diceva – aiutatelo a vincere». Sono amici da una vita e forse Thomas a Roma si è accorto che Mark aveva un solo compagno, gli ha fatto cenno e poi ha fatto quella menata per rimanere davanti. E’ stato un bel gesto. In qualche modo gli ha permesso di viversi Roma da vincitore anche lui, su quel percorso bellissimo. Questa volta l’hanno disegnato davvero bene.

Puccio: «Per fare il regista bisogna essere portati»

09.03.2023
5 min
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Capitano in corsa, direttore sportivo in gruppo, road capitan, regista… chiamatelo come volete, ma il corridore cui il direttore sportivo dà “le chiavi” della squadra è sempre affascinante. Implica acume tattico, lucidità, gambe chiaramente, e anche personalità. Tutte qualità che risiedono in Salvatore Puccio, che tra l’altro non è alla Tirreno in quanto sta aspettando il suo primogenito, Tommaso.

«E’ questione di ore. Per questo ho “barattato” la Tirreno con il Catalunya. La squadra è stata gentile. Mi hanno detto loro di restare a casa vicino a mia moglie». 

Più volte abbiamo coinvolto il corridore della  Ineos Grenadiers per parlare di gregari e di squadra, stavolta vogliamo un suo parere su quanto visto in Francia alla Challenge Anthony Perez. Senza radioline, i direttori sportivi parlavano con i ragazzi e loro eseguivano.

Vi abbiamo detto per esempio, come Tommaso Bambagioni, eseguiva ciò che Gianluca Oddone dall’ammiraglia e Andrea Bardelli da bordo strada gli dicevano. E lui riportava ai compagni. Ma allo stesso tempo si muoveva lui stesso in gruppo in base a ciò che vedeva.

Ebbene, Salvatore questo ruolo s’impara oppure bisogna averlo nel Dna?

Si può anche migliorare, ma devi esserci portato sin da ragazzino. Devi vedere la corsa. Avere lucidità e intelligenza. E in questo ruolo il vero fenomeno era Chris Froome. 

E cosa faceva il vecchio Chris?

Lui aveva sempre tutto sotto controllo. Magari era proprio Chris che, in corsa, faceva il “giro dei ragazzi” e ci chiedeva come stavamo. E se qualcuno era stanco gli diceva di staccarsi… se si poteva. Oppure se sapeva che il giorno dopo quel corridore gli sarebbe potuto essere utile, gli diceva di mollare gli ultimi 30 chilometri.

Da ragazzini magari a questo non ci si arriva, ma qualcosa si può fare?

Premetto che per me da ragazzini il road capitan non dovrebbe esserci, perché tutti dovrebbero avere le stesse possibilità. Se ti metti a tirare per gli altri, quando passi professionista? Poi però mi rendo conto che oggi il livello è ben più alto anche tra i giovani e che si ricorre a certe cose. Ma lo vedo anche dalle interviste di questi ragazzini: «Oggi ho lavorato per…». «Abbiamo fatto il forcing su quella salita».

Regista esperto e gregario dalle gambe buone, un corridore come Puccio (al centro) è prezioso anche per la nazionale
Regista esperto e gregario dalle gambe buone, un corridore come Puccio (al centro) è prezioso anche per la nazionale
Una bella differenza rispetto al tuo ciclismo?

Sì, ai miei tempi quando avevi la gamba, andavi… e via. Eri superiore e poche tattiche. Oggi hanno strumenti e materiali al top. Io mi allenavo con un “vecchio Polar” che una volta funzionava e tre no!

A quando risalgono le tue prime gare da capitano in corsa?

Tra gli under 23, eravamo un po’ più organizzati. C’erano le prime radioline. Però ricordo che già la Vangi di Ulissi tra gli juniores correva più da squadra, ma non la mia. Oggi invece il road capitan si usa molto. Deve prendere delle decisioni soprattutto se c’è una fuga fuori. Deve decidere se andare a tirare, se ignorarla o se magari mettere un uomo a dare una mano.

E da quando hai iniziato a farlo tra i pro’?

Dopo il terzo o quarto anno, adesso di preciso non ricordo, ma non prima. Non prima perché sono arrivato con i piedi per terra e a noi giovani non davano certi ruoli. Non è come oggi che i ragazzini passano, sono subito leader e ti mandano anche dietro a prendere l’acqua!

Oggi sei uno dei registi più esperti. Il fatto stesso che sia stata la Ineos a dirti di restare a casa in vista della tua imminente paternità e non sei stato te a chiederlo, la dice lunga sulla tua personalità e la tua importanza nel team. Da ragazzino invece com’era Salvatore Puccio in gruppo?

Da piccolo ero scaltro, vincevo tanto. Vedevo la corsa e riuscivo a muovermi nel momento giusto. Ero in una squadra piccola ed ero abituato a fare da solo. E in qualche modo anche questo è stata una scuola. Se vuoi emergere ti devi svegliare. Se poi avevi la gamba era anche più facile. E io avevo spesso la gamba.

Giro 2020, tappa di Camigliatello: Ganna e Puccio in fuga. Pippo tira e Salvatore (dietro) lo invita a mollare. Scelta che si rivelerà vincente
Giro 2020, tappa di Camigliatello: Ganna e Puccio in fuga. Pippo tira e Salvatore (dietro) lo invita a mollare. Scelta che si rivelerà vincente
Negli juniores, la categoria che abbiamo visto noi, non ci sono le radioline. E’ dunque più difficile fare il regista? O magari è più facile perché la tattica è quella decisa prima del via e basta?

Sicuramente con le radioline è più facile per certe cose, come comunicare con l’ammiraglia o cambiare le carte in corsa, ma in realtà è tutto diverso. Ricevi tante informazioni e se non le ricevi dalla radio le vedi sul computerino che con le mappe impostate prima della corsa ti mostra il punto pericoloso, dove inizia la salita… Il discorso semmai è che queste informazioni ce le hanno tutti. E tutti prima del punto pericoloso vogliono stare davanti. Così si va più forte. Il ruolo del regista è capire quando andare davanti, perché poi risalire il gruppo non è facile.

Quindi, ricapitolando, per essere un buon regista bisogna esserci portati, cavarsela da soli sin da ragazzini e accumulare esperienza tra i pro’. C’è una volta in cui grazie alle tue dritte siete riusciti a vincere?

In generale nelle corse italiane. Perché alla fine le strade te le ricordi, le riconosci e quindi riesci a muoverti bene e a far muovere bene la squadra. Per esempio ricordo quando Ganna vinse a Camigliatello Silano.

Raccontaci!

Quel giorno eravamo in fuga entrambi. Pippo stava bene e tirava il triplo degli altri. Allora gli ho detto che se eravamo in fuga era anche perché da dietro “decidono” così. E quindi una volta preso un buon vantaggio era inutile che continuasse a tirare in quel modo. «Tieniti le forze per quando il gruppo aumenterà nel finale». Così ha fatto e infatti sull’ultima salita volava.

Comfort, la parola d’ordine per la scelta della sella

10.01.2023
5 min
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Uno degli interventi tecnici più delicati che si verifica d’inverno è il cambio della sella. E chi va in bici, anche solo in modo amatoriale, sa bene quanto sia importante questo componente, figuriamoci se si è un professionista. 

Vuoi perché ci sono nuovi sponsor tecnici, vuoi perché ci sono nuovi modelli ma in qualche modo i corridori sono chiamati a scegliere la sella, anche solo per confermare la loro scelta. Ma su che basi avviene questa scelta? Comanda il comfort? La biomeccanica? Oppure i corridori guardano al peso? Vogliono una sella sulla quale si è “fissi” o una sella sulla quale si può fare un movimento antero-posteriore?

Per rispondere a tali domande abbiamo coinvolto tre atleti con tre diverse caratteristiche. Un passista, Salvatore Puccio. Un velocista, Filippo Fiorelli. Uno scalatore, Alessandro Verre.

Puccio e la sua Fizik

Partiamo dal corridore della Ineos-Grenadiers. Puccio è un passista longilineo, che da anni utilizza la stessa bici e lo stesso brand per la sella. Eppure anche lui qualche tempo fa ha cambiato la sua Fizik.

«Per tanti anni – dice Puccio – ho utilizzato la Fizik Airone (sella sulla quale ci si poteva muovere avanti-indietro per antonomasia, ndr), poi due stagioni fa ho cambiato posizione. A quel punto sentivo che non era più ideale. Ma non c’erano problemi con la sella di per sé. Non c’erano i classici “foruncoli” al soprassella o cose simili.

«In quel momento stavano arrivando le selle 3D e così a fine anno, nell’off-season, ho voluto testarne una. Mi sono fatto preparare dai meccanici un reggisella con una di queste selle ed ho iniziato a pedalarci. Mi sono trovato subito benissimo. E il comfort è la prima cosa che guardo, non il peso. Se sbagli sella poi rischi di portarti dietro dei problemi per tutto l’anno e per cosa? Per pochissimi grammi, che poi nel mio caso la Antares è anche molto leggera».

Puccio racconta di un comfort migliore, diverso, che consente di stare comodi anche variando la posizione e le intensità dello sforzo.

«Con questi nuovi materiali puoi stare più in punta, ed è un po’ più dura, o più indietro, ed è un po’ più morbida e pertanto la sella si adatta allo sforzo che stai facendo. Fare 4 ore e 3.000 metri di dislivello in allenamento con le mani sulle leve e un certo sforzo è sicuramente diverso che fare 150 chilometri a tutta in pianura al Tour con le mani basse.

«La cosa bella è che con questo materiale la sella non cede mai. E te ne rendi conto soprattutto quando passi dalla bici di allenamento a quella da corsa. A volte sembravano diverse, ma di fatto è quel millimetro della sella che non cede più».

Fiorelli e la sua Selle SMP

Filippo Fiorelli invece la sella l’ha cambiata proprio in questo inverno. Anche il corridore della Green Project-Bardiani non aveva nessun problema con la sua precedente sella, ma Selle SMP aveva presentato un nuovo modello e lui lo ha voluto provare.

«Noi – dice Fiorelli – che abbiamo Selle SMP possiamo scegliere fra tantissime selle, una qualsiasi di quelle che ci sono in gamma. Io ho sempre usato la F20C, ma questo inverno ho voluto provare la nuova VT 20C. Mi sembrava fosse più confortevole, così l’ho provata e in effetti l’ho trovata subito molto più comoda.

«L’ho montata quando ho ricominciato ad andare in bici a novembre, in questo modo almeno avrei avuto il tempo di abituarmi». 

Fiorelli anche parla di comfort. E anche lui chiama in causa la biomeccanica.

«La VT20C si adatta molto bene alle caratteristiche del mio bacino e delle mie ossa ischiatiche. Ho preferito questo modello senza guardare né peso, né altro: solo comodità».

La Selle Italia di Verre

E da un velocista passiamo ad uno scalatore, Alessandro Verre. Il corridore della Arkea-Samsic va nel segno della continuità… nonostante il cambio di bici (da Canyon a Bianchi), il lucano è rimasto fedele alla Selle Italia Flite.

«Di solito – spiega Verre – ci viene presentata una rosa di selle dai meccanici e dall’azienda. Ad esempio, nell’ultimo ritiro fatto a dicembre i ragazzi di Selle Italia sono venuti a proporci la nuova SLR 3D. Io però alla fine ho scelto la Flite in quanto più morbida e più comoda. Questa sella la utilizzavo già lo scorso anno e in qualche modo ci ero più abituato. Ho provato anche l’altra ma con questa mi sentivo più a mio agio. Credo che la SLR 3D si addica più a chi già utilizza la SLR normale, visto che hanno una forma simile».

E comfort è la parola d’ordine anche per Verre.

«Cerco di guardare il comfort, ma anche la mia struttura fisica. Credo che limare il peso su una sella non sia così importante come farlo per altri componenti delle bici. E poi basta pensare che una borraccia piena sono circa 500 grammi…

«Io sono stato fortunato a trovare immediatamente il giusto feeling con la sella. Quando sei a tutta non pensi alla posizione, ma a dare il massimo e con la Flite mi sono trovato bene in tutte le situazioni».

Le riflessioni di Puccio: come cambia il ruolo del gregario

05.11.2022
5 min
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Gregario. Una parola insita nella storia ultracentenaria del ciclismo. Un ruolo che è diventato un concetto, applicabile nella vita di tutti i giorni. Qualche giorno fa Fabio Felline aveva espresso una riflessione dietro la quale si nascondono mille pensieri: «Il mestiere di gregario è difficile da giudicare».

Matteo Trentin ci aveva messo del suo, sottolineando un aspetto importante che fa parte del ciclismo attuale: «Chi corre come leader fa una media di 60 giorni di gara all’anno, un gregario va dagli 80 ai 100». E’ una differenza profonda.

Il gregario di oggi non è più quello del secolo scorso, sono cambiate tantissime cose come è normale che sia, considerando che è il ciclismo, anzi è la società stessa che è profondamente mutata. Chi il mestiere del gregario lo conosce bene è Salvatore Puccio, che anzi è diventato un riferimento assoluto del ruolo, dopo tanti anni di militanza alla Ineos Grenadiers. Eppure la sua prima affermazione lascia un po’ interdetti: «E’ un ruolo che va a scomparire…».

Per Puccio il lavoro del gregario è soprattutto nelle fasi iniziali e centrali della corsa
Per Puccio il lavoro del gregario è soprattutto nelle fasi iniziali e centrali della corsa
Sembra difficile crederlo…

Diciamo che il ruolo del gregario emerge maggiormente nei grandi Giri, quando si lavora giorno dopo giorno. Nelle gare d’un giorno si viaggia subito ad alte velocità, così emergono figure diverse. D’altronde gregario è una parola che rappresenta una concezione generica, ogni corridore ormai interpreta un ruolo ben preciso in squadra. Molto poi dipende dall’impostazione della stessa.

Spiegati meglio…

In un team come il nostro, il lavoro del gregario resta fondamentale nel coprire il capitano, pilotarlo nelle varie posizioni del gruppo in base a quel che succede in corsa. L’obiettivo è fargli spendere il meno possibile mantenendolo nel vivo della corsa e questo costa un gran dispendio di energie. Ma quando ci sarà da “menar le mani”, il leader avrà il serbatoio pieno e interverranno in supporto altre figure, i luogotenenti ad esempio.

Puccio con Carapaz all’ultimo Giro. Il leader ha sempre bisogno di una presenza al fianco
Puccio con Carapaz all’ultimo Giro. Il leader ha sempre bisogno di una presenza al fianco
Secondo te il gregario è ancora una figura che i team cercano?

Sicuramente, ma ripeto: il termine ormai è un po’ troppo generico. I team dei velocisti cercano ad esempio “vagoni” per il treno dello sprinter e corridori che tengano il gruppo compatto, quelli che hanno uomini di classifica corridori che possano proteggerlo nelle varie situazioni. Chi ha uomini forti in montagna vuole gente o che possa dargli manforte quando la strada si rizza sotto le ruote o che possa gestire la corsa in pianura. In un modo o nell’altro, comunque le squadre hanno bisogno dei vari “tasselli” e nel ciclomercato si vede che sono anzi le figure principali a muoversi.

Il gregario gode di maggior libertà durante l’anno nella ricerca di soddisfazioni personali, rispetto a quanto avveniva ai tempi del tuo approdo fra i professionisti?

Mi è difficile rispondere. Io ho sempre corso in squadre con grandi capitani e di libertà ce n’è sempre stata assai poca. Si lavora tutti i giorni al loro servizio, si gode delle loro vittorie, in un certo senso di luce riflessa. Io ho capito ben presto che non avevo le qualità per emergere come protagonista assoluto, ma potevo fare una bella carriera al servizio degli altri e mi sono adattato.

Distribuire le borracce non è più molto usuale per i gregari, grazie alle feed zone moltiplicate
Distribuire le borracce non è più molto usuale per i gregari, grazie alle feed zone moltiplicate
Tocchiamo l’aspetto economico. Il ciclismo attuale è ben diverso da quello del secolo scorso e gli stipendi lo sono altrettanto. Una volta però c’era anche la voce legata ai premi. Come funziona al giorno d’oggi?

Molte squadre mettono tutti i premi conseguiti in un fondo che alla fine di ogni gara, in linea o a tappe, viene diviso fra tutti coloro che hanno partecipato. Alcuni team preferiscono assommare tutto fino a fine stagione, ma la maggior parte agisce nell’altro modo e lo ritengo più giusto. Va poi considerato che una parte, solitamente il 20 per cento, viene detratto e messo a disposizione dello staff, dai meccanici ai massaggiatori e così via. Condividere è importante al di là delle cifre, perché uno vince sempre grazie agli altri.

Un gregario di oggi è più o meno famoso rispetto a prima?

Sicuramente ha più visibilità, ma non tanto grazie ai social come si potrebbe pensare. Io credo che sia dovuto più alle dirette integrali dei canali televisivi: una volta ci si collegava solo per le fasi finali e lì emergevano sempre gli stessi. Ora c’è possibilità di vedere anche il lavoro delle fasi iniziali e centrali che per noi sono le più impegnative.

Immagine segnata dal tempo di un gregario storico: Italo Mazzacurati, spalla di Vittorio Adorni
Immagine segnata dal tempo di un gregario storico: Italo Mazzacurati, spalla di Vittorio Adorni
I giovani attuali che approccio hanno, vogliono tutti passare come leader o sanno adattarsi?

All’inizio tutti vogliono giocarsi le proprie carte, ma bisogna stare attenti: puoi anche ottenere buoni risultati, ma basta una stagione giù di tono e la quotazione scende. Se non sai adattarti, se non capisci presto quale potrebbe essere il tuo ruolo, questo mondo ti consuma e ti butta via. Chi riesce invece a rendersi utile magari non comparirà nella lista dei vincitori, ma avrà una carriera lunga e nel complesso ben remunerata. Certe volte, se l’orgoglio fa un passo indietro c’è tutto da guadagnarci.

Puccio e il racconto di quei 120 chilometri con Bernal

11.09.2022
7 min
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Un Giro d’Italia vinto insieme e tanti chilometri da fare uno a fianco all’altro per centrare nuovi obiettivi. Salvatore Puccio è uno dei gregari per eccellenza della Ineos Grenadiers e nel maggio 2021 ha aiutato il suo capitano Egan Bernal a conquistare la tanto bramata maglia rosa che è andata a fare compagnia alla gialla conquistata nel 2019.

Quest’anno, l’asso colombiano che va pazzo per l’Italia voleva tornare in Francia per provare a indossarla ancora una volta, ma il tremendo incidente di gennaio ha stravolto i suoi piani. Scongiurate conseguenze più gravi, Bernal ha ricominciato da capo e finalmente ad agosto è tornato a riattaccarsi il numero sulla maglia, partecipando al Giro di Danimarca.

La scorsa settimana, tra la Costa Azzurra e la Riviera dei Fiori, il trentatreenne siciliano ha riabbracciato l’amico Egan e ci siamo fatti raccontare come procede il recupero del talento sudamericano in vista del 2023.

Un allenamento in Costa Azzurra ha permesso a Puccio di valutare la condizione di Bernal
Un allenamento in Costa Azzurra ha permesso a Puccio di valutare la condizione di Bernal
Salvatore, innanzitutto come stai?

Questa settimana sono tornato un po’ a casa in Umbria e, oltre a pedalare, ho finalmente rivisto familiari e amici con un po’ più di calma. Sono ad Assisi dal 2012 e mi trovo bene qui. La stagione è quasi finita per me, faccio le ultime due gare la settimana prossima, Giro di Toscana e Coppa Sabatini, poi si pensa all’anno nuovo. Dovevo fare la Vuelta, ma poi la squadra ha optato per compagni più giovani: siamo tanti, in 32, ma era giusto questa volta che facessero un po’ di esperienza quelli che ne hanno meno.

La scorsa settimana hai pedalato con Egan Bernal. Come l’hai visto, dato che tanti tifosi non aspettano altro che tornare ad applaudirlo a bordo strada?

Dovevo uscire con lui da inizio luglio, perché dopo il campionato Italiano sono rimasto a Monaco quasi due mesi e mezzo. Non ci siamo beccati perché lui prima era in Andorra per un ritiro in altura, dopo ero alle gare io. Per cui gli ho scritto un giorno e siamo riusciti a organizzare. Io dovevo fare anche poco, ma quando lui mi ha scritto che voleva fare una bella distanza gli ho detto: «Dai, vengo». 

Così il 1° settembre vi siete sciroppati 120 chilometri fianco a fianco con circa 1.600 metri di dislivello, sconfinando anche in Italia. 

Sì c’era anche Brandon (Rivera, ndr), che è un altro ragazzo molto simpatico, per cui ci siamo divertiti. Mi faceva piacere rivedere Egan perché era da un annetto che non lo vedevo, pur sentendolo per telefono. Che dire, l’ho visto bene, poiché sappiamo tutti che l’infortunio è stato importante. Non è stato facile perché aveva tante ossa rotte e varie complicazioni, però in quella giornata l’ho trovato tranquillo e sono molto ottimista. Secondo me può tornare a grandi livelli. Ha talento, è giovane, secondo me può far bene. Anche Brandon si era rotto la clavicola a inizio anno, ma lui è tornato molto prima alle corse e abbiamo corso insieme il Tour of the Alps e qualche allenamento. Invece Egan era davvero da tanto che non lo vedevo e mi ha fatto piacere ritrovarlo in sella. 

Bernal è ripartito, lanciando segnali altalenanti. La caduta al Danimarca ha suggerito prudenza
Bernal è ripartito, lanciando segnali altalenanti. La caduta al Danimarca ha suggerito prudenza
Cosa ci dici di Egan?

Non voglio essere di parte, ma io stravedo per lui. E’ uno di quei fenomeni a cui viene tutto facile. C’è chi si deve allenare come noi comuni mortali e poi c’è gente come Egan, Evenepoel o Pogacar, che hanno quel qualcosa in più. Sono nati per andare in bici e vincere

Tu ne hai aiutati tanti a vincere, basta ricordare anche il Giro d’Italia con Chris Froome come accaduto con Egan. Che cosa scatta nella testa di un campione dopo una brutta caduta?

Egan l’ho visto molto motivato, con una gran voglia di tornare a correre su palcoscenici importanti. Fosse stato per lui, sarebbe rientrato anche qualche mese prima, solo che visto qualche problema al ginocchio, ci voleva l’okay dei dottori della squadra, per cui il debutto è slittato di una ventina di giorni. Lui si sentiva pronto, ha voglia di ritornare e lo vedi anche in allenamento.

Vi ha tirato il collo?

Quel giorno lì abbiamo fatto un bel giro dalle parti di Baiardo e Perinaldo: borghi splendidi. Lui voleva fare un giro ancora più impegnativo col Col de Turini, ma quella mattina dava brutto tempo in Francia, quindi abbiamo optato per l’Italia. Dopo essere saliti in quei posti, siamo scesi da Dolceacqua e allungato un po’ sulla zona francese, per arrotondare sulle quattro ore e mezza

Oramai quelle strade le conoscete tutte.

Sono dieci anni che sono lì, per cui sia la parte francese sia quella ligure la conosco come le mie tasche. La Francia ha un asfalto migliore, mentre in quella ligure è un po’ da rivedere, altrimenti i percorsi mi piacciono più in Liguria.

Hai rivisto l’Egan dei giorni migliori?

Abbiamo fatto un passo normale, senza lavori specifici, però lo vedi subito la differenza tra i campioni e i meno campioni: il talento è un’altra cosa.

Una sosta l’avete fatta?

In allenamenti così ci fermiamo sempre a metà per mangiare qualcosa, prendere un caffè o rilassarsi un attimo. Lui prende sempre il cappuccino, ne va matto. Poi parla bene la nostra lingua, è un italiano adottato ed è stato bello perché in quel giorno lì, in tanti l’hanno riconosciuto per strada. Anche a Verrandi, una salita un po’ sconosciuta dietro a Dolceacqua, un furgone con 3 operai l’ha acclamato. Gli ho detto: «Vedi, io vengo qui quasi tutti i giorni, ma riconoscono solo te!».

Prima del rientro in Danimarca, Bernal aveva rifinito la preparazione ad Andorra, sottoponendosi a sedute pesanti (foto Twitter)
Prima del rientro in Danimarca, Bernal aveva rifinito la preparazione ad Andorra (foto Twitter)
Vi siete sentiti spesso mentre era infortunato?

Lui parla bene italiano, quindi magari con noi ha un rapporto ancora più profondo, però in realtà è abbastanza socievole con tutti. Ha un bel carattere e penso che si veda bene anche dall’esterno.

Dunque, per i Grandi Giri del 2023 c’è anche lui nella sempre più fitta mischia o meglio procedere per gradi?

Io lo spero, perché sarebbe l’ideale per lo spettacolo e per chi segue il ciclismo anche in tv. Una bella sfida tra Vingegaard, Bernal e Pogacar penso che la sognino un po’ tutti: sono i tre più forti in salita. Ci sono poi anche altri talenti come Evenepoel, ma penso che loro tre abbiano dimostrato di avere quel qualcosa in più come scalatori, per cui sarebbe bello vederli battagliare al Giro o al Tour. Più atleti di alto livello ci sono e meglio è per il ciclismo e per chi lo ama. Dalle prime gare si vedrà subito se ha recuperato al meglio oppure no. Tra Tirreno e Parigi-Nizza avremo il polso della situazione: nel ciclismo non ti nascondi mai e devi subito dimostrare di poter stare coi migliori in salita, non esiste tatticismo, lo si è visto anche con Evenepoel sin dai primi giorni di Vuelta.

Tutti lo aspettano.

Egan se lo merita, è stato proprio sfortunato. A differenza di Chris (Froome, ndr), può recuperare molto più velocemente perché lui è giovane. L’età ha inciso tanto nel caso di Froome. Poi, mi ricordo ancora oggi che quando sono andato a trovarlo in ospedale non pensavo che tornasse a correre, lo dico in tutta franchezza. Solo i campioni di quel livello hanno la testa per rimettersi in sella.

Puccio avrebbe voluto fare la Vuelta come nel 2021, ma la squadra ha mandato avanti i più giovani per fare esperienza
Puccio avrebbe voluto fare la Vuelta come nel 2021, ma la squadra ha mandato avanti i più giovani per fare esperienza
Com’è Egan da capitano in corsa e che ricordi hai del Giro vinto insieme?

Lui è molto sicuro di sé e i giorni che stava bene ce lo diceva via radio. Quando senti il tuo capitano che ti dice: «Oggi sto bene», cerchi di dare ancora di più di quello che hai e ti carica a dismisura. Ci dava quel 20 per cento in più e l’ha dimostrando attaccando diverse volte al Giro. Un carattere diverso rispetto a Chris, che invece era più tattico e studiava maggiormente la corsa, passo per passo. Egan, invece, è istintivo: «Sto bene, attacco».

Sai già i tuoi piani in vista della nuova stagione?

Abbiamo un primo ritiro a metà ottobre a Nizza, dopodiché dei programmi di gara si parlerà a dicembre. Egan penso che lo vedrò prima, appena torno su a Monaco. 

Obiettivi per il 2023?

Io di solito sono nel gruppo del Giro, visto che sono italiano e sono ormai tanti anni che lo faccio. Il Tour mi stuzzicava a inizio carriera, ma adesso non ci penso neanche più: è sempre stata una lotta continua da noi in squadra.

Puccio ci accompagna nella Ineos del futuro

05.08.2022
5 min
Salva

L’impegno al Giro di Polonia è quasi alle spalle. Salvatore Puccio ne ha approfittato non solo per svolgere i suoi abituali compiti in seno alla Ineos Grenadiers, ma anche per vivere qualche giorno a temperature più miti: «Prima di venire qui ero a casa a Montecarlo e ci si cuoceva. Avevo anche rinunciato al ritiro ad Andorra, ma chi c’è andato mi ha detto che faceva tanto caldo anche lì…».

Puccio è per la Ineos una colonna. Dal 2012, anno del suo ingresso fra i professionisti, non ha mai cambiato casacca, ha già in tasca il contratto per la prossima stagione e ha vissuto sulla sua pelle tutte le trasformazioni del team.

Non solo nel nome da Sky a Ineos, ma anche nella stessa essenza della squadra, passata dai periodi del dominio assoluto, soprattutto nei grandi Giri, a quelli della lotta all’arma bianca anche solo per un posto sul podio.

Puccio Ineos 2022
Puccio è nato il 31 agosto 1989. E’ alla sua 11ª stagione alla Ineos
Puccio Ineos 2022
Puccio è nato il 31 agosto 1989. E’ alla sua 11ª stagione alla Ineos

Che forza i fratelli Hayter

La squadra, reduce dalla terza piazza al Tour di Thomas che come Puccio è uno dei decani della squadra, sta preparando la sua ennesima rivoluzione. Il corridore di Menfi non si scompone e la sua analisi parte dall’ultimo acquisto, il giovane Leo Hayter.

«Non è uno sconosciuto per noi, intanto perché da noi c’è suo fratello Ethan che già va fortissimo ed è una delle nostre punte, poi perché aveva già fatto con noi il ritiro a Mallorca a inizio stagione. I suoi risultati non ci hanno stupito, è un vero talento, altrimenti non vinci la Liegi U23 come ha fatto lo scorso anno e soprattutto fai quello che ha fatto al Giro d’Italia di categoria, con la concorrenza che c’era».

Pidcock Yates 2022
Pidcock e Adam Yates: nel 2023 la Ineos avrà una maggior presenza di inglesi anche per esigenze di sponsor
Pidcock Yates 2022
Pidcock e Adam Yates: nel 2023 la Ineos avrà una maggior presenza di inglesi anche per esigenze di sponsor
La sensazione è che la Ineos stia tornando all’antico: la scelta di avere al fianco dello zoccolo duro inglese un altro gruppo a trazione sudamericana viene quasi rinnegata con la rinuncia a Carapaz e con l’arrivo dei giovani talenti britannici come Leo Hayter…

La squadra ha sempre avuto un forte spirito inglese, con un pizzico di nazionalismo forse più pronunciato che per altre squadre del WorldTour. Prima con Sky c’era uno sponsor multinazionale, ora è più rivolto al mercato interno. Ma non è nulla di nuovo. Anche le squadre italiane d’inizio secolo erano così. Questo non significa che non si guardi anche oltre i confini. Io ne sono la prova, poi in base al valore e a quello che sai fare trovi la tua collocazione.

Quando sei passato professionista c’era ancora una forte componente di squadre italiane?

I tempi stavano già cambiando. C’erano ancora Liquigas e Lampre che poi è diventata il nucleo dell’attuale UAE Team Emirates, ma già il vento stava cambiando. A noi una squadra nel WT manca davvero tanto, ma per averla servono budget enormi non solo per i corridori e l’attività, ma soprattutto per garantire prodotti e strutture all’avanguardia. Qui mi ricollego al discorso di prima: Filippo Ganna è fortissimo e ha a disposizione davvero il top in termini tecnici per ottenere il meglio. Se non resti aggiornato e non investi sull’aerodinamica, non emergi in questo mondo.

In base alla tua esperienza, come verranno accolti i nuovi?

Penso che saranno introdotti nel team in maniera graduale, attraverso un calendario apposito, evitando inizialmente i grandi appuntamenti come i tre Giri. Ma attenzione: quando si parla di calendario secondario si commette un errore, perché ormai di gare secondarie non ne abbiamo più, si va sempre a tutta. Io per esempio quest’anno ho fatto per la prima volta la Coppi e Bartali, ma si andava fortissimo…

Leo Hayter 2019
Leo Hayter, qui agli europei 2019, passerà pro’ alla Ineos ritrovando il fratello Ethan
Leo Hayter 2019
Leo Hayter, qui agli europei 2019, passerà pro’ alla Ineos ritrovando il fratello Ethan
C’è ancora una sorta di “protezione” nei confronti dei più giovani?

Non direi, vengono gettati nella mischia in base a quel che sanno fare. Guardate Sheffield, il nostro americano, a vent’anni ha già vinto una classica in Belgio e si è fatto vedere più volte. Se vali, i modi per farti vedere ci sono eccome…

Pidcock è un esempio?

Tom è talento puro, non vinci le Olimpiadi per caso. Io sono stato con lui alla Vuelta dello scorso anno, veniva da Tokyo e dalla mtb, all’inizio era un po’ frastornato, ma nell’ultima settimana andava forte. Quest’anno al Tour ha dato un saggio delle sue capacità, ma non dimentichiamo quel che aveva fatto prima. E’ un vincente nato.

Tu sei già andato ben oltre i 50 giorni di gara…

Sono sempre quello che alla fine ha più giorni di gara, tra i 70 e gli 80. Non è stata una stagione facile, all’inizio ho avuto il Covid, poi la caduta alla Strade Bianche, fino al Tour of the Alps proprio non andavo. Poi la condizione è arrivata e credo di aver fatto un buon Giro, lavorando molto per Carapaz.

Puccio Swift 2022
Puccio con l’ex campione britannico Ben Swift. La forte componente inglese è sempre stata insita nella Ineos
Puccio Swift 2022
Puccio con l’ex campione britannico Ben Swift. La forte componente inglese è sempre stata insita nella Ineos
In squadra come stanno vivendo questa stagione? Al di là della bella prova di Thomas al Tour, quel marchio impresso sulla corsa non si è visto più.

Credo che i vertici siano soddisfatti. Alle classiche non siamo mai andati così bene, al Giro e al Tour abbiamo comunque preso il podio. Certo, tanti si erano abituati alle vittorie in serie, ma fa parte dei cicli. Magari qualche “batostina” fa anche bene, sarà così più bello tornare a vincere e credo che l’investimento sul futuro sia teso proprio a questo.

Che programmi hai?

Aspetto di sapere se sarò convocato per la Vuelta e magari, andando in Spagna, potrò guadagnarmi una maglia per i mondiali. E’ sempre bello vestire la maglia azzurra ma puoi farlo solo se stai davvero bene, con la gamba tonica come si deve. Manca un mese e mezzo e a questi ritmi, con il covid sempre in agguato, è davvero difficile fare previsioni…

Puccio è pronto, Carapaz anche. Come si muoveranno?

06.05.2022
5 min
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Poche ore al via del Giro d’Italia numero 105. Nell’assolata Budapest si sistemano le ultime cose, ma la città è ben pronta ad accogliere la corsa rosa. Così come è pronto Salvatore Puccio. Il decano della Ineos-Grenadiers la scorsa sera era fuggito con la squadra dopo la presentazione dei team.

Avevano fatto tardi e li attendevano i fotografi per le foto di rito, che in teoria avrebbero dovuto fare prima di salire sul palco. Inconvenienti della diretta! Ieri però, alla vigilia, il siciliano trapiantato in Umbria ci ha dedicato il suo tempo, gli ultimi attimi relax prima della bagarre.

La Ineos-Grenadiers appena scesa dal palco di Budapest. Puccio al centro tra Sivakov (a destra) e Porte (a sinistra)
La Ineos-Grenadiers appena scesa dal palco di Budapest. Puccio al centro tra Sivakov (a destra) e Porte (a sinistra)
Salvatore, come arrivi a questo Giro?

Adesso bene. L’inizio di stagione è stato piuttosto travagliato, tra Covid, cadute… però bene dai. Qualche giorno fa ho temuto un po’, perché si erano fatti risentire dei piccoli problemi intestinali, ma tutto è rientrato.

E’ il tuo Giro d’Italia numero…

Li contavamo giusto poco fa con Swift, è il nono. Ma c’è sempre un pizzico di emozione prima di un grande Giro. E’ un altro effetto rispetto ad una corsa di un giorno o di una settimana. E’ un viaggio. Sei fuori quasi un mese alla fine, riguardi il percorso e vedi che è duro. Non c’è mai relax.

Che Giro vi e ti aspetta? Due anni fa sei andato anche all’attacco, quest’anno potrai avere i tuoi spazi?

Quel Giro fu un po’ particolare. Fu diverso perché dopo tre giorni di gara perdemmo il nostro leader, Thomas, e questo cambiò il nostro modo di correre, sempre all’attacco. In più venivamo dal Tour, era il 2020 quando si fece prima del Giro, in cui andammo piano e così, correndo in quel modo, ci portammo a casa ben sette tappe.

Sette tappe e la maglia rosa…

Esatto, sette tappe e la maglia rosa. Alla classifica generale iniziammo a crederci negli ultimi giorni. «Pero, si può fare», ci dicemmo. E a quel punto facemmo quadrato intorno a Tao (Geoghegan Hart).

E quest’anno?

Beh, speriamo di non perdere il leader subito! E’ giusto che Carapaz possa giocarsi le sue carte. Noi siamo tutti qui per lui – Puccio fa una breve pausa – Anche Porte che è un grande campione.

Com’è lavorare per Carapaz?

Sinceramente ci ho corso poco. Con Richard ho fatto qualche tappa l’anno scorso alla Vuelta, prima del suo ritiro, però da quel che ho visto è un ragazzo in gamba. Se la cava anche da solo. Se la corsa s’infiamma e resta  con pochi uomini al suo fianco, lui è davanti con i migliori. Sa leggere le gare. Per il resto vedo un ragazzo tranquillo, che dice sempre grazie e quando è così è un piacere lavorare per un capitano.

Carapaz saluta la folla ungherese. Anche lui come Bernal eredita il numero uno dal compagno in maglia rosa l’anno prima
Carapaz saluta la folla ungherese. Anche lui come Bernal eredita il numero uno dal compagno in maglia rosa l’anno prima
Eri in squadra anche nel Giro di Bernal dello scorso anno: che differenze ci sono tra i due?

Le differenze sono soprattutto di carattere. Forse “Richie” è un po’ meno tranquillo, mentre Egan parlando meglio l’inglese riesce a fare più gruppo, ad integrarsi meglio. Ma entrambi sono dei veri talenti. Corridori affermati. Carapaz ha già nel sacco un Giro e un’Olimpiade, non è l’ultimo arrivato!

In tanti anni ne hai portati “a spasso” di capitani e ognuno magari ha esigenze diverse, come ci si adatta?

Con Froome era tutto programmato. Chris prendeva in mano la situazione dal chilometro zero all’arrivo. Impartiva gli ordini, richiamava gli uomini, decideva chi tirava e chi invece doveva staccarsi per risparmiare energie per il giorno dopo… Per questo ha una testa fuori dal comune, diversa da tutti gli altri leader. E la sua forza sta proprio nella testa, riusciva nello stesso tempo a pensare alle tattiche degli avversari, alla nostra e ad andare forte nel finale. Gestiva la squadra in modo esemplare. E’ così che ha ottenuto i suoi grandi risultati. E poi chiaramente perché andava forte, come quando al Giro attaccò ad 80 chilometri dall’arrivo. Carapaz invece è diverso, parla meno, fa più in autonomia. Io guardo anche le gare in tv e lo vedo sempre che è al posto giusto. Lui difficilmente perde un ventaglio, per fare un esempio.

E la tua preparazione, Salvatore, cambia un po’ in base al capitano per cui devi lavorare?

No, la preparazione è la stessa, semmai cambia il ruolo in base ai compagni, in base alla squadra schierata. In questo Giro per esempio sarò chiamato a lavorare soprattutto in pianura, saremo io e Swift. Alla Vuelta 2017 invece, quando c’erano ancora nove corridori e non otto, ero il terzo o quarto uomo. Prima di me c’erano altri due o tre passisti e quindi io entravo in scena per la salita, o poco prima. E poi anche in base alle caratteristiche del percorso si gestiscono i vari ruoli. Più che altro devi essere bravo a farti trovare pronto. Se devo tirare i primi sei chilometri di quella salita, mi devo organizzare per arrivare in quel punto con le energie necessarie.

Vuelta 2021: Puccio in testa e a ruota Bernal e Carapaz
Vuelta 2021: Puccio in testa e a ruota Bernal e Carapaz
E serve esperienza…

Serve esperienza. Io adesso vado in automatico, prima invece dovevo sempre calcolare tutto, ma è anche importante arrivare bene agli appuntamenti. Se hai fatto l’altura, stai bene con il peso e tutto il resto sei anche più sicuro di te stesso.

Tu stai bene e sei sicuro di te e Caparaz? Lui come sta? Tosatto ci ha detto che è stato lui a voler venire al Giro…

Io lo vedo concentratissimo. Anche lui ha avuto i suoi bei problemi col Covid, si è ritirato dalla Tirreno per problemi intestinali, qualche noia ad un ginocchio. E’ magro. E’ convinto di fare bene. Vuole vincere. Dai dati che ha e dai test effettuati sappiamo che sta bene. E questo conta tanto. Significa che non parti con la paura. Sai che sei pronto ad eventuali attacchi, puoi risparmiare qualche energia. E poi lui è un attaccante vero.

Carapaz, ma anche tutti voi, conosce le salite? Sei andato a vederne qualcuna tu stesso?

Un po’ le conosciamo e un po’ con il Garmin oggi vediamo tutto. Non solo, ma segnando i punti sulla mappa e caricandoli sul computerino, sappiamo quando ci sono determinate curve, una strettoia… ci appare un messaggio che ce lo dice. Sappiamo le pendenze dei chilometri successivi. In tal senso la tecnologia aiuta e fa la differenza.

Puccio in rotta sul Giro. E per la Sanremo occhio a Ganna

07.03.2022
4 min
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Il piatto forte per lui sarà nuovamente il Giro d’Italia. Salvatore Puccio al Tour nemmeno ci pensa più, ma i suoi tanti anni al Team Ineos Grenadiers sono un ottimo punto di vista per osservare quanto accade nello squadrone britannico, che puntava su Bernal per contrastare Pogacar e adesso dovrà reinventarsi. Così almeno pensavamo…

«I programmi in realtà – dice l’umbro, nella foto Ineos Grenadiers di apertura con Ganna – sono rimasti uguali. Certo che Egan ha davvero rischiato di morire! E’ presto per dire come tornerà, già mi sembra un miracolo per il fatto che cammina. Froome al confronto era messo molto peggio e aveva più anni. Andai a trovarlo in ospedale a Monaco qualche tempo dopo l’incidente e non era un bel vedere. Ma certo, nonostante abbiamo tanti leader, Egan era il solo che potesse lottare con Pogacar. Sarebbe stato bello per lo spettacolo. Adesso ci sono gli altri e vediamo come andrà…».

Tour de la Provence, prologo: suo primo giorno di corsa 2022
Tour de la Provence, prologo: suo primo giorno di corsa 2022
Davvero non si è pensato di rimescolare le carte?

Così pare. Io ho sempre in programma il Giro, perché andare al Tour è sempre una sfida nella sfida. Sembra che Yates sarà leader in Francia, mentre Carapaz è confermato al Giro che gli piace così tanto. Si è preferito rimanere sulla linea decisa prima dell’incidente.

Pensi davvero che Bernal se la sarebbe giocata con Pogacar?

In salita gli dava di certo del filo da torcere, mentre a crono le avrebbe prese. Capisco anche che non avrebbe senso adesso spostare tutti sul Tour, non è nemmeno detto che servirebbe a qualcosa. C’è una bella squadra, con Yates e Ganna che può fare le sue belle cose.

E Thomas? Lui un Tour comunque l’ha vinto…

Thomas è da capire. Uno l’ha vinto e l’anno dopo è arrivato secondo. Ad ora direi che è più indirizzato per aiutare, ma non saprei neanche dire perché. In ritiro ci sono stati giorni che non guardava in faccia nessuno, ma non mi stupirei se poi andasse forte. Per cui vedo un Tour al massimo con due leader e altri cacciatori di tappe.

Salvatore Puccio è nato nel 1989, è pro’ dal 2011 e non ha mai cambiato squadra
Salvatore Puccio è nato nel 1989, è pro’ dal 2011 e non ha mai cambiato squadra
Come è partita la tua stagione?

Male, perché dopo la Valenciana ho preso il Covid come mezzo gruppo. E sono stato sfortunato, perché il protocollo per la ripartenza è cambiato subito dopo, mentre io ho dovuto farmi quello vecchio. Quindi ero a Mallorca in ritiro e sono dovuto stare rinchiuso per otto giorni senza fare niente.

Hai perso tanto?

Il Covid in sé non ha fatto tanto, ma stare fermo due settimane ha significato perdere lavoro e in compenso prendere peso. Ora sto bene, ma quei dieci giorni sono stati un bel guaio.

Incidono così tanto?

Siamo stati in ritiro a dicembre. Poi siamo tornati a casa per Natale e si sa che in quel periodo un po’ si molla, confidando di rimettersi in pari con il secondo ritiro. Io invece quel secondo blocco non l’ho fatto. Sono certo di essermi preso il Covid in aereo e mi sono fatto tutto il ritiro in camera, vedendo i compagni che passavano sotto alla mia finestra per andare ad allenarsi. E il bello è che stavo bene. Con quei sintomi e senza sapere del Covid, mi sarei allenato pensando di avere un mezzo raffreddore.

E quando hai ricominciato come stavi?

Facevo fatica per la condizione persa. Se non fai nulla, il muscolo cala e l’organismo che è abituato a bruciare migliaia di calorie ogni giorno va in crisi e ti viene comunque lo stimolo della fame, anche se non hai fatto niente.

L’avvio di stagione di Puccio è filato liscio fino al Tour de la Provence: alla Valenciana ha preso il Covid
L’avvio di stagione di Puccio è filato liscio fino al Tour de la Provence: alla Valenciana ha preso il Covid
Da oggi la Tirreno?

E poi la Sanremo, sì, perché ormai sto abbastanza bene. E sarebbe bene ripartire come ha detto Van Aert, ripensando il modo di gestire il Covid. Altrimenti il vaccino che cosa lo abbiamo fatto a fare? Per cui corro fino alla Sanremo, poi vado in ritiro a Sierra Nevada e mi ripresento per il Tour of the Alps prima del Giro.

E alla Sanremo si lavora per Ganna?

Ho sentito anche io la voce che vorrebbe provare a fare la corsa. E’ una gara difficile, ma l’anno scorso è andato forte. E’ innegabile che sia cresciuto. Se arriva sull’Aurelia dopo il Poggio e ha ancora gambe, chi meglio di lui può dargli la botta e arrivare al traguardo?