«Che dici, Matevz, andiamo a vedere Rogla?». E’ mattina presto a casa di Mitja Meznar e l’idea ha fatto capolino appena sveglio. Chiama il suo amico Matevz Sparovec e gli suggerisce di fare quel tratto di strada, lungo ma neanche poi tanto, per andare a vedere Primoz Roglic, nel suo assalto alla maglia rosa sull’aspra salita del Monte Lussari.
Mitja è un tifoso di Roglic, ma non come gli altri. Perché lui lo conosce, lo conosce bene. Erano nella stessa squadra nazionale junior di salto con gli sci, quella che proprio poco lontano da Tarvisio, sede della penultima tappa del Giro d’Italia, conquistò il titolo mondiale di categoria. Era il 2007 (foto di apertura).
Al bar, il Tour aspetta…
Roglic, non andò oltre quel trionfo: prima l’infortunio, poi le sirene del ciclismo. Mitja no, lui ha continuato: è approdato nella nazionale maggiore, è andato alle Olimpiadi di Vancouver nel 2010 e ha chiuso quinto a squadre e 29° nell’individuale. Ma le loro strade si erano forzatamente divise.
Eppure erano amici, addirittura compagni di stanza. «Primoz era un saltatore molto determinato – ricorda Meznar – ma lo faceva quasi come un dovere. Non era quella la sua passione. Quand’eravamo in ritiro estivo per preparare la stagione, al pomeriggio mi trascinava fuori dalla camera, prendevamo le bici e cercavamo il bar più vicino perché doveva guardare il Tour de France. E mentre eravamo lì, ecco che tirava giù esempi, regole, tattiche, vita di gruppo. Era un fiume in piena, un fiume di passione».
Il ricordo del 2020
Poi la vita li aveva un po’ separati. Solo un po’, perché i contatti non si sono mai persi: troppe esperienze condivise. L’occasione di ritrovarlo, anche se solo per il breve battito di ciglia del suo passaggio sulla strada, era troppo ghiotta. Qualche ora di macchina e poi via a cercare un posto buono, per sé e per Matevz.
I due si separano, un paio di centinaia di metri, ognuno cerca la prospettiva migliore per scattare le foto con il proprio smartphone. Primoz arriva, le prime notizie dicono che sta già recuperando quei 26” di ritardo da Thomas. Si avvicina, si avvicina sempre più. Poi si ferma, scende di bici e comincia a smanettare: «No – grida Mitja – non un’altra volta». Il pensiero è a quella maledetta cronometro del Tour 2020, quella che ha lasciato fantasmi nell’animo di Primoz non del tutto dissolti neanche dalla conquista di ben tre Vuelta consecutive.
Mitja comincia a correre e vede che nel frattempo un meccanico è sceso dalla moto e ha riassestato la bici dello sloveno della Jumbo Visma. Lo spinge, ma non ha poi gran vigoria. L’amico di un tempo si mette dietro e cambia marcia. Non c’è bisogno di parole, Mitja ha un fisico possente, che risalta ancor di più in televisione per l’abbigliamento rosso e nero. Roglic riprende velocità e il suo amico gli grida dietro: «Vaiiii!».
Una fortunata coincidenza
Il tamtam dei social impazzisce e procede ancora più veloce di Roglic e della sua cavalcata ricominciata, di quel divario con Thomas che progressivamente si riduce fino a invertirsi. Ci vogliono pochissimi minuti per identificarlo: «Non ci credo, è come vincere cinque volte la lotteria – sentenzia Jens Voigt, commentatore di Eurosport – neanche a volerlo si poteva scrivere una sceneggiatura migliore».
Il gesto di Mitja assume contorni epici proprio perché sembra quel prezzo che il destino paga per compensare i tormenti francesi di tre anni prima. Tutti si riversano sul suo profilo Facebook, richieste su richieste. Ma lui si schermisce.
«Avrebbe vinto lo stesso – dice – non ho fatto nulla di trascendentale. In quel momento non sono stato tanto a pensare, ho fatto quel che sentivo e che so avrebbe fatto anche lui, perché lo conosco bene.
Una birra per riparlarne
«Se mi ha riconosciuto? Non penso proprio – ammette Meznar, anche se Roglic lo ha riconosciuto e ne ha parlato dopo la tappa di Roma – in quel momento l’ho guardato negli occhi ed era in trance agonistica, completamente concentrato su quel che doveva fare. Primoz se ne sarà accorto molto dopo, gli avranno fatto rivedere le immagini e magari un giorno ne rideremo insieme davanti a una birra».
Ne hanno parlato e ne hanno riso, Mitja e Matevz tornando a casa, oltreconfine: «Avrei voluto esserci il giorno della sua incoronazione a Roma ma avevo altri impegni. Quel che conta è che Rogla l’ha fatto, ora quella brutta pagina è finalmente nella storia e non ci si pensa più».
Resta però l’incredibile storia di un incontro lontano da casa, di due strade che si tornano a incrociare nel momento più importante. Certe volte si diventa semplici strumenti del fato e Mitja lo è stato, per pochi, interminabili secondi.