Scalatori ai raggi X: quali team hanno rinforzato i treni per la salita?

08.12.2024
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Il ciclomercato di quest’anno è stato particolare. Al netto dell’ultima “bomba” di mercato, riguardante il passaggio di Tom Pidcock dalla Ineos Grenadiers alla Q36.5, non ci sono stati enormi cambiamenti. O meglio, i cambiamenti ci sono stati ma sono stati concentrati in poche squadre. L’Astana-Qazaqstan per esempio ha subito una rifondazione, mentre un gran via vai ha interessato anche la EF Pro Cycling e la Soudal-Quick Step. In questa giostra, vogliamo concentrarci soprattutto su ciò che riguarda gli scalatori.

Quale team si è rinforzato di più? Qual è la squadra con il miglior treno in vista del 2025? Gli equilibri cambieranno o vedremo ancora la UAE Emirates dominare anche in salita? Non solo con Pogacar? Passiamo quindi in rassegna i team che hanno importanti uomini di classifica.

Per la UAE una scelta vasta di scalatori: dai grimpeur puri ai passisti scalatori. Alti, bassi, altissimi… davvero sembrano inattaccabili
Per la UAE una scelta vasta di scalatori: dai grimpeur puri ai passisti scalatori. Alti, bassi, altissimi… davvero sembrano inattaccabili

UAE ancora più forte?

La risposta all’ultima domanda è: molto probabilmente sì. La prima squadra al mondo non aveva bisogno di rafforzarsi quando la strada sale, eppure ci è riuscita. Come? Con il passaggio dal proprio devo team di Pablo Torres. Ora, con ogni probabilità, non vedremo Torres impegnato nei Grandi Giri o a fare l’ultimo uomo per Pogacar sulle salite del Giro o del Tour, ma è uno scalatore in più a disposizione dei tecnici UAE.

Ecco la rosa per la salita: Almeida, Del Toro, Torres, Majka, Ayuso, Christen, Grosschartner, McNulty, Sivakov, Vine, Soler e Adam Yates. Senza contare il giovane Arrieta, Novak e sua maestà Pogacar. In pratica, si potrebbero comporre tre formazioni distinte per altrettanti Grandi Giri, con più di un leader! Saranno quindi ancora loro i più forti? C’è da scommetterci.

Se parliamo di climber: è lui, Simon Yates, il pezzo forte del mercato di quest’anno
Se parliamo di climber: è lui, Simon Yates, il pezzo forte del mercato di quest’anno

Il gemello alla Visma

Ma per una UAE che lotta per mantenere alto lo scettro anche in salita, gli storici rivali della Visma-Lease a Bike rispondono con quello che, in termini di scalatori, è il vero colpo di mercato: l’acquisto di Simon Yates.

Con Vingegaard al 100 per cento, ma anche Van Aert, che non è uno scalatore ma va forte in salita, l’arrivo di Yates può dare un grande impulso ai gialloneri. Può essere l’uomo che fa la differenza nel momento di un attacco importante. Simon Yates potrebbe essere l’Adam Yates della situazione.
Oltre a questi tre nomi, gli scalatori di mister Plugge sono: il giovanissimo Nordhagen, Jorgenson, Valter, Uijtdebroeks e l’immenso Kuss. Saluta invece Bouwman.

Cresce bene anche il gruppo di scalatori per Remco: ottimo innesto quello del francese Valentin Paret-Peintre
Cresce bene anche il gruppo di scalatori per Remco: ottimo innesto quello del francese Valentin Paret-Peintre

Alla corte di Remco

Ecco poi la Soudal-Quick Step, che a nostro avviso, è la squadra che si è più rinforzata per quel che riguarda la salita. Non che sia ora la più forte, ma potrebbe aver ridotto il gap di parecchio. Ogni anno sembra che Evenepoel debba lasciare il team, ma poi arrivano sempre nuovi rinforzi. Dopo Landa, arrivato l’anno scorso, nel 2025 per dare manforte a Remco potrebbero essere schierati anche Garofoli, Valentin Paret-Peintre e Schachmann.

Oltre a loro, il treno Soudal-Quick Step per la salita vede capitan Cattaneo, Knox, Vansevenant e Van Wilder. Come i due precedenti team, ora anche Remco ha un treno più solido, anche se ha perso un uomo di esperienza (e di valore) come Hirt.

Dopo quello della UAE probabilmente il treno della Reb Bull di Roglic è il più forte, per nomi e numero di scalatori
Dopo quello della UAE probabilmente il treno della Reb Bull di Roglic è il più forte, per nomi e numero di scalatori

Tutti per Primoz

La Red Bull-Bora Hansgrhoe merita un discorso a parte in fatto di scalatori. Lo scorso anno, nel complesso, erano fortissimi: tolto Pogacar, in quanto a numero e qualità di scalatori, se la sarebbero giocata con la UAE. Quest’anno, però, si sono rinforzati più in altri settori e meno in salita.

Sono andati via Jungels, Buchmann, Schachmann, Kamna, Higuita, Palzer. E non sono nomi da poco. Certo, è arrivata una stellina alla quale, da italiani, siamo affezionati: Giulio Pellizzari.

Tuttavia, il gruppo scalatori del “Toro rosso” resta forte, anzi stellare: Roglic, Aleotti, Vlasov, Dani Martinez, Lipowitz e Hindley. Gasparotto e colleghi potranno dormire sonni tranquilli quando la strada sale. Gente come Hindley, Vlasov o Martinez potrà fare sia il passo che la sparata alla Adam Yates per l’attacco finale, o un gioco di squadra a due.

Giro 2023: Zana al lavoro per Dunbar, parte del treno Jayco è ben collaudato
Giro 2023: Zana al lavoro per Dunbar, parte del treno Jayco è ben collaudato

Jayco per O’Connor

È vero, loro hanno perso Simon Yates, ma hanno acquisito Ben O’Connor, sul podio della Vuelta e del mondiale. L’australiano si sente sempre più leader, alla Jayco-AlUla lo sanno bene, quindi lo sosterrà al meglio. Al suo fianco, ci saranno anche Bouwman e Double.

Questi tre atleti si uniscono a un pacchetto di scalatori già più che solido: Zana, Dunbar, Harper e De Marchi, che sa svolgere ottimamente il ruolo di gregario in salita quando serve. Certo, su carta pagano qualcosa rispetto a UAE e Red Bull, ma va detto che l’età media è piuttosto bassa e quindi ci si potrà lavorare.

Tolto Carlos Rodriguez, oggi lo scalatore più forte in casa Ineos è Arensman
Tolto Carlos Rodriguez, oggi lo scalatore più forte in casa Ineos è Arensman

Casa Ineos

E veniamo all’ex colosso del WorldTour. La squadra di Sir Brailsford sta vivendo una grande era di transizione. Senza più Pidcock, la stella su cui puntare è sempre Carlos Rodriguez. Lo spagnolo, seppur giovane, ha già mostrato la sua solidità.

Chi potrà aiutarlo l’anno prossimo? Nel complesso, la qualità dei corridori Ineos resta alta, anche per quanto riguarda gli scalatori. A dare loro manforte è arrivato Jungels, ma bisognerà vedere a che livello correrà. Per ora, le certezze in salita sono: Rodriguez, Arensman, De Plus, Thomas, Rivera e appunto Jungels. In più, ci sarebbe un asso nella manica, Egan Bernal, ma bisognerà vedere il suo livello. Un tempo anche Kwiatkowski tirava forte in salita, ma c’erano ben altri leader. L’intero ambiente era diverso. Di certo, rispetto a Red Bull-Bora Hansgrohe, UAE Emirates e Visma-Lease a Bike, Ineos paga qualcosa.

Zambanini e Tiberi, due vagoni del treno da salita della Bahrain-Victorious… che si rafforza con Lenny Martinez
Zambanini e Tiberi, due vagoni del treno da salita della Bahrain-Victorious… che si rafforza con Lenny Martinez

Bahrain d’assalto?

Altro team che può vantare un buon ventaglio di scalatori è la Bahrain-Victorious. Al loro arco si è aggiunta una freccia proprio quando il bersaglio è la salita: parliamo di Lenny Martinez. Il francese ha un’enorme voglia di mettersi in mostra, e in questa squadra potrà davvero trovare spazio. Con Antonio Tiberi, potrebbero formare una coppia interessante per il futuro.

Ecco quindi il treno di scalatori firmato Bahrain: Tiberi, Martinez, Buitrago, Pello Bilbao, Haig, Zambanini e capitan Caruso. Hanno perso un vagone importante, come Wout Poels, ma restano competitivi. Soprattutto, la gestione di Tiberi e Lenny Martinez risulta interessante. Sarà difficile vderli insieme però, perché è facile ipotizzare che uno correrà al Giro d’Italia e l’altro al Tour. Se però, in qualche corsa, riuscissero a lavorare insieme, la qualità del Bahrain in salita salirebbe di molto. E lo farebbero non tanto per il passo, ma perché due come loro possono attaccare. Pensiamo anche a Buitrago in tal senso.

La Israel-Premier Tech non ha un super leader ma ha tanti buoni scalatori. In maglia di campione canadese, Woods
La Israel-Premier Tech non ha un super leader ma ha tanti buoni scalatori. In maglia di campione canadese, Woods

Occhio alla Israel

E poi ci sono gli altri team, che hanno ottimi scalatori, ma non capitani che possono puntare troppo in alto nelle classifiche generali dei grandi Giri. Pensiamo alla Movistar di Enric Mas, per esempio, da sempre squadra votata alla salita: lì ci sono Mas, Formolo, Quintana, Pedrero, Rubio, Sanchez, ma raramente li abbiamo visti lavorare in modo corale.


Una corazzata che avrebbe anche uomini di classifica, ma non è super attrezzata per la salita (almeno non in modo specifico), è la Lidl-Trek. Ci spieghiamo: Ciccone va forte e lo stesso (si spera) per Tao Geoghegan Hart, ma poi i vari Oomen, Verona, Mollema, Skjellmose… è gente che va forte anche in salita, ma non sono scalatori puri. Magari sbaglieremo, ma facciamo fatica a vederli lavorare come un treno sui grandi valichi. Da segnalare però in positivo l’arrivo di Kamna, anche lui un atleta forte su più terreni.

Infine, l’Astana-Qazaqstan, la EF Pro Cycling e forse ancora di più la Israel-Premier Tech hanno molti scalatori. Ma saranno in grado di lavorare come un vero treno? E soprattutto, per quale leader? Tuttavia per la squadra israeliana, una piccola finestra la lasciamo aperta. Le presenze di Gee e Riccitiello, dato il grande progresso, potrebbero stimolare un buon treno in salita. In quel caso, gli scalatori non mancherebbero: Hirt, Frigo, Fuglsang, Lutsenko, Bennett. La qualità c’è, ma spesso è più di rimessa che per un’azione corale vera e propria.

Felt FR, pronta per sfidare qualsiasi salita

08.05.2024
4 min
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Innovazione, tecnologia e ricerca della velocità. Felt Bicycles presenta la sua ultima creazione: la nuova FR. Un modello pensato per performare al massimo quando la strada sale. Design ricercato in grado di unire stile e velocità in tutta la loro massima espressione. Il suo aspetto elegante e la geometria ottimizzata dal punto di vista aerodinamico la rendono performante nelle gare e nei percorsi con dislivelli importanti.

l design del movimento centrale elimina gli scricchiolii e offre un’opzione asimmetrica
l design del movimento centrale elimina gli scricchiolii e offre un’opzione asimmetrica

Design attivo

Classica, snella e aggressiva. La nuova Felt FR è caratterizzata da forme eleganti e combina al massimo estetica e aerodinamica. Il feeling di guida è infatti garantito da questo approccio costruttivo. Il nuovo design è frutto di anni di ricerca aerodinamica, studi di fluidodinamica computazionale (CFD) e test in galleria del vento. I profili dei tubi, in particolare quello obliquo e di sterzo, hanno un’aerodinamica ottimizzata in grado di migliorare la velocità della bicicletta riducendo al minimo la resistenza dell’aria. Il tubo superiore orizzontale riduce la superficie frontale e i volumi accuratamente ridotti nella zona del tubo di sterzo contribuiscono all’estetica snella e aggressiva della bicicletta.

Grazie al classico design a doppio diamante, la Felt FR garantisce la massima rigidità per una guida reattiva ed efficiente. Questa scelta progettuale assicura un efficiente trasferimento di potenza, reattività e stabilità, consentendo ai ciclisti di affrontare al massimo delle possibilità le accelerazioni in salita e gli sprint fuori sella.

Aerodinamica ottimizzata dal tubo di sterzo con forma a D
Aerodinamica ottimizzata dal tubo di sterzo con forma a D

Specifiche curate

Per ottenere il perfetto equilibrio tra rigidità e flessibilità, la nuova FR presenta foderi a sezione variabile. Questo design innovativo migliora il comfort del ciclista senza compromettere la reattività della bicicletta, offrendo vantaggi sulle lunghe distanze e sulle salite impegnative che richiedono sforzi fuori sella. Maggiore spazio per i pneumatici garantiscono un montaggio aperto fino a 30 mm secondo gli standard ETRTO. Questo non solo offre ai ciclisti la libertà di scegliere pneumatici più grandi per migliorare il comfort o la stabilità in curva, ma garantisce anche la versatilità in diverse condizioni stradali. Inoltre, è possibile allestire una gamma più ampia di set di ruote, e seguire le ultime tendenze di mercato con cerchi a canale più largo.

Il cockpit integrato, l’integrazione del reggisella nel telaio e il passaggio interno dei cavi sono progettati per ridurre al minimo la resistenza aerodinamica e ottimizzare le prestazioni. Il tubo di sterzo con forma a D è un’innovazione tecnica che consente di utilizzare il classico e sottile cuscinetto della serie sterzo da 1 1/8″ nella parte superiore e da – 1,5″ nella parte inferiore. Questo design garantisce una perfetta integrazione senza compromettere il volume del tubo sterzo, contribuendo ad un migliore aspetto e ad un’ottimizzata aerodinamica della bicicletta. Infine la Felt FR è dotata di un forcellino UDH più rigido e resistente, che offre una maggiore durata e facilità di sostituzione.

La nuova Felt FR è stata progettata per ospitare i gruppi meccanici
La nuova Felt FR è stata progettata per ospitare i gruppi meccanici

Leggerezza

Telaio in carbonio premium da meno di 900 gr per tutti i modelli. La Felt FR vanta un unico strato di carbonio, che garantisce resistenza e rigidità ottimali senza compromettere il peso. Ciò significa che qualsiasi versione, dal modello top di gamma che utilizza il gruppo Shimano Dura Ace Di2, a quello entry level con Shimano 105 meccanico, condivide lo stesso lay-up di carbonio premium. Un approccio nuovo, e che non si trova spesso nel mercato. L’utilizzo di una fibra di carbonio unidirezionale di alta qualità fa si che si raggiunga un equilibrio ideale tra rigidità e reattività

Queste scelte tecniche sui materiali migliorano l’esperienza di guida complessiva, offrendo ai ciclisti un elevato controllo e il massimo trasferimento di potenza senza dispersioni. Questo approccio ingegneristico si traduce in un telaio non solo notevolmente leggero ma anche robusto, che offre quindi un ottimo rapporto resistenza/peso. I prezzi vanno da 2.999 euro per la versione Shimano 105 meccanico fino agli 11.999 euro per la versione con Shimano Dura Ace Di2.

FeltBicycles

785 Huez: il telaio perfetto per vincere la salita

04.05.2024
3 min
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Look ha rimesso mano al suo telaio votato a chi cerca le massime prestazioni anche su salite lunghe e impegnative: il 785 Huez. Un telaio realizzato in fibra di carbonio che, grazie alla tecnologia della casa francese, è realizzato per soddisfare gli standard degli scalatori più esigenti. Risulta quindi leggero, reattivo e molto confortevole.

La particolarità di questo telaio è che incorpora tubi Nano, un design specifico volto a ridurre lo spessore e, di conseguenza, il peso. La rigidità rimane invariata, ma a guadagnarne è il ciclista che si trova una bici leggera ma sempre reattiva. Nei punti più delicati e importanti (foderi, tubo sterzo e movimento centrale) il telaio offre comunque una grande solidità. 

Disegnata sull’utente

Gli ingegneri di Look hanno incentrato la loro scelta su una fibra di carbonio ad alto modulo, con tubi sottili e arrotondati. Il trasferimento di potenza è senza eguali, sia che ci si alzi sui pedali o che si rimanga seduti. Il comfort non è stato messo in secondo piano, anzi, il telaio 785 Huez risulta ideale per chi vuole pedalare per tante ore. Lo spazio per i copertoni è stato ampliato, ora è possibile montare pneumatici con dimensioni fino a 32 millimetri. Una scelta che offre grande versatilità e una sicurezza maggiore in discesa. 

Il telaio 785 Huez offre integrazione completa dei cavi. Mentre gli assi, il movimento centrale e il reggisella sono pensati per combinare performance, semplicità di manutenzione e durabilità, senza compromettere le linee raffinate della bici. 

Le parole di Look

«L’ultima versione della 785 Huez – ha dichiarato Romain Simon, Bike Products Manager di Look – offre ai ciclisti le migliori prestazioni olistiche per lunghe giornate in montagna ed è stata progettata per accelerazioni esplosive su qualsiasi pendenza, offrendo allo stesso tempo ai ciclisti un’esperienza di guida senza precedenti per lunghe giornate in sella. Con la sua costruzione leggera e la tecnologia del carbonio all’avanguardia, crediamo che il 785 Huez consentirà ai ciclisti appassionati di raggiungere obiettivi personali misurandosi con le più grandi salite del mondo del ciclismo».

Look

Coppie per la salita. Per Pozzovivo è già scontro fra UAE e Visma

17.02.2024
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Il livello è sempre più stellare. Se pensiamo che un corridore come Adam Yates deve fare il gregario di Pogacar in salita, ogni cosa si spiega da sola! Proprio da questo spunto e vedendo il ciclomercato di questo inverno, vogliamo fare un’analisi delle migliori coppie per la salita.

Un’analisi nella quale ci conduce Domenico Pozzovivo. Il “Pozzo” è super tecnico e soprattutto è uno scalatore che con questi grandi campioni ci corre. Adam Yates e Tadej Pogacar dunque. Ma anche Sepp Kuss e Jonas Vingegaard. Mikel Landa e Remco Evenepoel…. chi sono i più forti?

Pozzovivo e Nibali a ruota. Il lucano e il siciliano hanno formato una formidabile coppia per la salita
Pozzovivo e Nibali a ruota. Il lucano e il siciliano hanno formato una formidabile coppia per la salita
Domenico, partiamo da queste tre coppie…

Sono tutte molto forti, specie le prime due. Difficile stabilire quale sia la migliore, perché comunque presentano delle differenze.

Analizziamole queste differenze. Partiamo da Kuss e Vingegaard?

E’ la coppia migliore per le salite lunghe. La loro squadra, la Visma-Lease a Bike, è ben attrezzata per i tapponi. E loro due in particolare si esaltano su questo tipo di scalate e quando ci sono dislivelli estremi. Sono molto adatti alle pendenze più arcigne. Vediamo tutti la facilità di passo che ha Kuss in salita, come si muove in gruppo. Dal suo lavoro partono le azioni top di Vingegaard. Li vedo molto a loro agio.

Adam Yates e Pogacar…

Gli UAE Emirates in quanto a brillantezza sono la coppia killer. Forse sono anche i più completi, perché anche se sulle salite lunghissime pagano qualcosa rispetto ai Visma, sono più forti su quelle brevi. Sono entrambi due corridori più esplosivi.

Ci sono poi Remco e Landa. Come ti sembrano?

Loro costituiscono la coppia più imprevedibile. Nella giornata secca, se sta bene, Remco è il più forte di tutti. Ma entrambi non danno totale affidamento nelle tre settimane. Ogni tanto hanno degli alti e bassi, si somigliano parecchio in tal senso. Però Landa ha esperienza e potrebbero completarsi alla Soudal-Quick Step.

Algarve 2024: prime prove per Landa e Remco. A sua volta lo spagnolo è protetto da Knoxx prima di entrare in azione
Algarve 2024: prime prove per Landa e Remco. A sua volta lo spagnolo è protetto da Knoxx prima di entrare in azione
L’ultimo uomo in salita incide come l’apripista del velocista?

Conta, eccome. E’ un riferimento per il capitano e deve capire cosa vuole il suo leader. Non tutti infatti amano stare in seconda o terza posizione, altri preferiscono avere un approccio più conservativo alla salita. L’ultimo uomo per la salita deve destreggiarsi diversamente. Sono meccanismi diversi sul passo e sul proporre l’azione.

Cioè?

Ci sono leader che prima dell’attacco preferiscono gli venga impostato un passo molto forte nei 2′-3′ prima dell’affondo. E chi invece preferisce un ritmo meno intenso per poter fare un’azione più brusca. A questi meccanismi ci si abitua stando parecchio dentro la squadra, con le corse. E potrebbe essere lo svantaggio di Remco e Landa.

A tal proposito c’è anche un’altra coppia che può fare molto bene ed è quella della Bora-Hansgrohe: Alex Vlasov e Primoz Roglic. Cosa pensi di loro?

Vlasov e Roglic sono le tipiche persone che a prima vista non sono loquaci, ma quando prendono fiducia e si aprono sono invece espansive. Tecnicamente, sono la coppia che corre di rimessa, pronta a sfruttare i punti deboli degli altri. Questo soprattutto per le caratteristiche di Roglic. Primoz ama stare coperto e quasi mai è il primo a muoversi. Lui, e in questo mi ricorda molto Purito Rodriguez, sa di avere un ottimo finale. Quindi calibra il suo attacco violento in base alle energie e alla distanza. Anche io spesso ragionavo in questo modo. Nel 2012-2013 sapevo che avevo quell’autonomia, quel minutaggio per l’attacco e mi regolavo di conseguenza. Spesso vediamo Roglic attaccare negli ultimi 1.500 metri.

Veniamo in Italia: Damiano Caruso e Antonio Tiberi…

Anche tecnicamente i due della Bahrain-Victorious sono corridori simili nella capacità di esprimersi in salita. Sono due regolaristi. Vanno bene sulle scalate lunghe. Si adattano bene l’uno all’altro sotto questo punto di vista. Certo, in questa coppia c’è un grande dislivello di esperienza. C’è un maggiore flusso d’informazioni da Caruso a Tiberi. Intendo che più che in altre coppie il pallino della situazione sarà molto più spesso in mano a Damiano, anche sul posizionamento in gruppo.

Il metodo Sky: ritmi folli. Il leader attaccava alcuni minuti dopo che rano rimasti in 5-6 corridori al massimo
Il metodo Sky: ritmi folli. Il leader attaccava alcuni minuti dopo che rano rimasti in 5-6 corridori al massimo
Altre coppie di vertice? Alla Ineos-Greandiers Thomas non ha più un uomo così fidato. Ciccone e Geoghegan Hart non dovrebbero correre spesso insieme…

Io trovo interessante un’altra coppia italiana: Piganzoli e Fabbro della Polti-Kometa. Loro però hanno un focus diverso: le tappe e non la generale e l’approccio cambia parecchio. Non devono stressarsi sempre. Non devono prendersi dei rischi inutili limando anche nei finali in pianura. Possono stare lontani dalle mega cadute. Possono mollare. Credo che difficilmente li vedremo lavorare insieme, ma sono paralleli: un giorno può andare in fuga uno e un giorno l’altro. Questo può essere il loro vantaggio.

Possono risparmiare energie?

Esatto. Nel ciclismo moderno si è visto come a certi livelli si aspetta un po’ prima di mollare del tutto. Oggi l’ultimo uomo per la salita è un po’ una seconda punta. La prova l’abbiamo avuta all’ultimo Tour proprio con Yates e Pogacar. Tadej non ha vinto, ma in UAE sono riusciti a piazzare un secondo atleta sul podio. In questo caso l’uomo per la salita esce da certe dinamiche di squadra. Magari in pianura non deve coprire o badare al capitano e sprecare energie, ma può salvarsi per conto suo. Restare coperto.

Nel ruolo di ultimo uomo per la salita, la scuola Ineos ha segnato un punto: ritmi estenuanti prima dell’attacco. Anche voi capivate quando stavano per attaccare?

Quello sicuramente è il modo più “facile” per preparare un attacco, ma non era il solo. Per esempio, quando lavoravo per Nibali, lui voleva un ritmo forte ma non impossibile. Preferiva fare lui una differenza netta di passo. Quel metodo che dite voi è la scuola Ineos o Sky e l’emblema era Froome. Era il più forte e partiva quando ormai il gruppo era ridotto a 5-6 unità. Era uno scatto telefonato, ma non ci potevi fare nulla. Erano i più forti.

Magnaldi, in salita non si scherza: «Scalatori si nasce»

19.12.2023
6 min
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OLIVA (Spagna) – Erica Magnaldi è un medico e anche un’atleta. Anzi, al momento è un’atleta che ha studiato per diventare medico e alla fine ha preferito inseguire il sogno di bambina di conquistare i cinque cerchi. All’inizio lo strumento per raggiungerli fu lo sci di fondo, oggi ha la forma di un manubrio ricurvo sopra due ruote sottili e veloci. Purtroppo il percorso di Parigi 2024 non le si addice troppo, anche se non sarà mai lei a chiamarsi fuori. Nel frattempo però ha messo nel mirino quello dei mondiali di Zurigo, che invece sarà ben più ricco di salite. E dice sorridendo che se nel 2028 il percorso sarà duro e lei ancora in forma, tornerà a pensarci.

Erica Magnaldi infatti è una scalatrice, ne ha lo sguardo e la schiettezza. Lo scalatore guarda lontano, per scorgere la traccia della strada sul fianco della montagna e capire quanta fatica gli costerà raggiungere la vetta. La fatica a Erica non ha mai fatto paura. Anzi, il suo preparatore Dario Giovine dice che più le fatiche si sommano e meglio la piemontese si trova. Quello che forse non era stato ben considerato quest’anno è stato che tra le fatiche del Giro e quelle del Tour c’erano soltanto tre settimane: poche per dire di averle smaltite completamente. Così per il prossimo anno, ferma restando la voglia di riprovarci, l’idea sarà di fare classifica in uno e dedicarsi alla squadra e alle tappe nell’altro. In entrambi i casi, ci sono due mostri che la guardano con occhio maligno e insieme seducente. Il Block Haus in Italia, l’Alpe d’Huez in Francia.

Il 25 ottobre 2018, Erica Magnaldi si laurea in medicina, viene dal fondo e corre alla BePink (foto Instagram)
Il 25 ottobre 2018, Erica Magnaldi si laurea in medicina, viene dal fondo e corre alla BePink (foto Instagram)
Pensi che la tua laurea in qualche modo ti aiuti a fare sport?

Sicuramente, in parte anche nella maniera di affrontare le sfide e la competizione. Aver passato tanti anni sui libri e quindi aver capito che senza fatica, senza impegno quotidiano e organizzazione non si ottiene niente, è qualcosa che poi ho traslato anche nell’ambiente dello sport. E poi diciamo che a volte mi permette di capire alcuni aspetti dell’allenamento e della nutrizione in maniera più approfondita e di continuare anche in quest’ambito la mia formazione. Se mentre ero una studentessa a medicina, mi avessero detto che un giorno avrei puntato a far classifica al Tour de France, non ci avrei neppure riso, probabilmente semplicemente non ci avrei creduto.

Block Haus e Alpe d’Huez, Giro e Tour: se tu potessi scegliere seguendo il gusto o la fantasia?

Quando la strada del Tour è stata rivelata, mi ha subito attratto molto, anche perché sono salite abbastanza vicine a dove vivo. Le sognavo già dall’anno scorso, speravo che quest’anno il Tour sarebbe arrivato a toccare le Alpi e così è stato. Quindi sicuramente sulla tappa dell’Alpe d’Huez un bel cerchio rosso l’ho messo. Una volta andai a vedere una gara di mio fratello e ne feci un pezzo, mentre il resto lo finimmo in macchina. Però sicuramente andremo a studiarla per bene.

«Quando sono sola in salita, riesco a staccarmi da telefono e computer e stare con me stessa» (foto Instagram)
«Quando sono sola in salita, riesco a staccarmi da telefono e computer e stare con me stessa» (foto Instagram)
Giro, Tour e tutto il resto. Vista questa ricchezza di impegni, che inverno stai vivendo?

Per adesso, non sento troppa pressione. Sto cercando semplicemente di affrontare gli allenamenti nel miglior modo possibile, seguendo i carichi in maniera graduale, lavorando giorno per giorno, settimana per settimana, senza anticipare gli impegni della stagione. So già che sarà un anno impegnativo, perché prima dei grandi Giri parteciperò a delle gare importanti.

Quando un allenamento è ben riuscito?

Quando torno a casa e mi sento proprio di aver lavorato, quindi sono stanca. Magari ho un po’ di mal di gambe, ma sono riuscita a fare i watt e i numeri richiesti dall’allenatore, a fare le ore e l’intensità previste dal mio programma. Quando è così, sono soddisfatta. Io tendenzialmente sono abbastanza precisa, a volte quasi ossessiva/compulsiva (ride, ndr). Se rientro e ho due minuti in meno, magari giro intorno a casa fino a quando non ho raggiunto il tempo stabilito. Di solito, se posso, faccio qualche minuto in più, mai in meno. Altrimenti non mi sento soddisfatta.

Abbiamo incontrato Erica Magnaldi nell’hotel del UAE Team ADQ a Oliva
Abbiamo incontrato Erica Magnaldi nell’hotel del UAE Team ADQ a Oliva
Che cosa significa ritrovarsi a scalare una montagna in solitudine?

Io amo molto pedalare in salita, spesso a casa mi alleno da sola e non mi pesa. Anzi sono quelle poche ore al giorno in cui sono completamente scollegata dal telefono e dal computer. Ho anche il modo di conversare soltanto con me stessa e pensare. Spesso non uso neanche la musica, mi piace proprio prendere questi momenti per riflettere, per pensare o anche soltanto per apprezzare i luoghi in cui sto pedalando. Le salite sicuramente sono le parti che apprezzo di più del percorso. Far fatica, arrivare in un punto con un bel panorama, poi apprezzare la discesa è qualcosa che nel piccolo di tutti i giorni mi dà una grande soddisfazione.

Il fatto di pensare sparisce o si trasforma quando sei in gara?

In gara ovviamente si pensa, si pensa molto. Si cerca di rimanere concentrati in ogni momento. Io in particolare, proprio perché non sono nata già da ragazzina nel gruppo, non mi sento mai del tutto rilassata. Tendo a essere sempre molto concentrata e sempre attenta a evitare possibili rischi o capire quando è il momento di essere più avanti. Ci sono sicuramente molti pensieri, ma sono diversi da quelli dell’allenamento. In generale cerco sempre di costringermi a pensare in maniera positiva, a credere nelle mie capacità. Mi auto incito, molto spesso mi trovo a dirmi frasi tipo: «Ce la puoi fare». Sono cose che mi aiutano a sopportare la fatica.

«Anche in corsa penso quando sono in salita, ma si tratta di incitarsi e restare concentrata»
«Anche in corsa penso quando sono in salita, ma si tratta di incitarsi e restare concentrata»
Che cosa si prova quando sei a tutta e di colpo gli altri restano indietro?

Non capita troppo spesso, però qualche volta è successo ed è probabilmente uno dei momenti più belli nel nostro sport. Uno di quelli per cui si lavora sodo e, quando effettivamente succede, ti ripaga di tutta la fatica che hai fatto.

Si ha mai la voglia di mollare?

A volte si sta soffrendo talmente tanto, che semplicemente ti viene da dire: «Basta, mi arrendo, mollo». Se invece in quel momento si ha la forza mentale di soffrire ancora per un chilometro, per altri cinque minuti, quello spesso può fare la differenza tra una vittoria e un posto fuori dal podio.

Ti è mai capitato di mollare e poi di mangiarti le mani perché mancava davvero poco?

Sì, più di una volta dopo la gara mi è capitato di pensare che se avessi stretto ancora un attimo i denti, magari ce l’avrei fatta. A posteriori è sempre facile pensare che bastavano 10 secondi in più, che bastava tenere un attimo più duro quando stavo davvero soffrendo, con le gambe che bruciavano. Ma quando ci sei dentro, continuare non è facile come parlarne.

«La corsa in salita è una sfida con le avversarie e con la propria capacità di farsi del male». Qui al Tour, sul Tourmalet
«La corsa in salita è una sfida con le avversarie e con la propria capacità di farsi del male». Qui al Tour, sul Tourmalet
Allo scalatore la fatica deve piacere più che ad altri?

Ridendo, dico sempre che in un’altra vita avrei voluto nascere velocista, perché la vita dello scalatore è veramente dura. Non sto assolutamente sminuendo il lavoro, le capacità e l’abilità che deve avere un velocista, anzi li ammiro tantissimo. Però sicuramente le opportunità che abbiamo sono minori e per coglierle bisogna ogni volta spremersi fino al limite e spesso superarlo. Molto spesso quando si battaglia su una salita, al di là delle forze in campo, è una lotta contro il riuscire a sopportare il dolore e la fatica. E’ spingersi un pochino oltre ed è qualcosa che devi avere dentro. Penso che scalatori si nasca: al di là delle caratteristiche fisiche, è proprio una caratteristica mentale di saper sopportare il dolore e stringere i denti un po’ più degli altri.

Monte Grappa: analisi, ricordi e numeri con Fabio Aru

24.10.2023
5 min
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«Quel giorno sul Grappa c’era un grande tifo. Il supporto del pubblico fu tantissimo. Io poi ero giovane ed erano le prime volte che mi affacciavo ai piani alti delle classifiche. In più non mi funzionava la radiolina. Ad un certo punto “Martino” mi urlò dall’ammiraglia che ero sul filo con Quintana e allora andai ancora di più a tutta». Fabio Aru ricorda così la scalata del Monte Grappa.

Era la 19ª tappa del Giro d’Italia del 2014 e quell’anno una cronometro individuale portava da Bassano alla vetta del Grappa appunto, passando da Semonzo. Lo stesso versante che si affronterà, per due volte, nella prossima edizione della corsa rosa. 

«In carriera ho scalato tre versanti del Grappa – dice Aru – di quel giorno ricordo che cercai di trattenermi nei primi 7-8 chilometri di pianura e poi mi scatenai in salita, soprattutto dopo il cambio di bici. Ero partito con quella da crono. Io non ero tipo da fare troppi calcoli o sopralluoghi. E anche quella mattina ricordo che visionai in bici solo un pezzetto, poi il resto lo feci in macchina. Preferivo prestare più attenzione ad aspetti come quello dell’alimentazione, per dire».

Fabio Aru impegnato sul Grappa. Era il 30 maggio 2014 e dopo quella scalata il sardo guadagnò il podio del Giro
Fabio Aru impegnato sul Grappa. Era il 30 maggio 2014 e dopo quella scalata il sardo guadagnò il podio del Giro

Come l’Alpe Huez

I dati ufficiali della salita dicono che è lunga 18,1 chilometri, che ha una pendenza massima del 17 per cento e una media dell’8,1, per un dislivello pari a 1.475 metri. Fino a Campo Croce, metà salita, la strada è abbastanza stretta, nella vegetazione, e si conta una ventina di tornanti. Poi lo scenario si apre sempre di più… Anche fino a scorgere il campanile di San Marco a Venezia, ma non è certo questa l’occasione per ammirare la Serenissima!

«Si tratta di una salita dura – prosegue Aru – ma soprattutto lunga. Le pendenze non sono impossibili tipo uno Zoncolan. Il Monte Grappa ricorda quasi una scalata del Tour, ma è proprio la sua lunghezza a far sì che non passi “inosservata”.

E guarda caso la pendenza media del Monte Grappa dal versante di Semonzo è identica a quella dell’Alpe d’Huez, che in Francia è un totem. 

«La prima parte, se ben ricordo, è quella che tirava di più, poi nella parte centrale c’erano dei tratti in cui ti faceva respirare un po’. E di nuovo era molto dura nel finale». 

Il profilo del Grappa da Semonzo che il prossimo Giro affronterà due volte, prima di planare su Bassano
Il profilo del Grappa da Semonzo che il prossimo Giro affronterà due volte, prima di planare su Bassano

Quasi un’ora

Ma come diceva Aru la caratteristica principale del Monte Grappa è la sua lunghezza. La salita è piuttosto regolare e le pendenze raramente vanno in doppia cifra. L’effetto quota poi è limitato visto che non si toccano i 1.700 metri.

«Parliamo di uno sforzo di circa un’ora e anche alimentarsi sarà importante. Rispetto ai miei tempi – spiega Aru – anche se sono passati pochi anni, sono stati fatti passi da gigante su questo campo. Oggi si usa molto di più l’alimentazione liquida, con malto e gel. Alimentarsi servirà senza ombra di dubbio, poi saranno i team a definire al dettaglio questi aspetti».

Quali rapporti?

C’è poi un altro discorso legato alle pendenze, quello dei distacchi e delle differenze. E’ vero che non ci sono molti tratti sopra al 10 per cento, ma proprio per questo ci si possono attendere delle velocità non bassissime. E questo porta con sé altri ragionamenti tecnici.

«Sinceramente non ricordo di preciso a quanto salissi, anche perché sul computerino non tenevo sott’occhio i watt. Ricordo però che all’epoca in Astana avevamo il Campagnolo e di sicuro avevo la corona da 39 con la cassetta posteriore 11-29. Ovviamente il 29 non l’ho mai utilizzato. Al massimo ho usato il 21 nei tratti più duri e poi a scendere negli altri. E quando spingi questi rapporti, su queste pendenze che non sono quelle di uno Zoncolan i distacchi possono essere alti. Stare a ruota può aiutare tantissimo».

Con queste velocità, chi è al gancio potrebbe davvero sfruttare al massimo la scia e salvarsi. Ma se si aprisse un buco ecco che il divario di velocità sarebbe subito importante.  La questione è delicata quanto interessante.

La doppia scalata da Semonzo è inserita nella Alpago – Bassano del Grappa, 20ª tappa del prossimo Giro
La doppia scalata da Semonzo è inserita nella Alpago – Bassano del Grappa, 20ª tappa del prossimo Giro

Vam, velocità, tattica

Tattica e non solo gambe. Aru sottolinea questo aspetto molto importante. E’ presumibile che viste la VAM (velocità ascensionali medie) attuali, la scalata potrebbe durare 54′-58′, il che significa una velocità media sul filo dei 20-21 all’ora.

Per farci un’idea. Quintana vinse quella crono con 17” su Aru e impiegò 1h05’37” alla media di 24,5 chilometri orari, compreso però il tratto pianeggiante di 8 chilometri, che i big come Nairo, impiegarono in circa 9′. Pertanto la scalata di Quintana fu di 56′, pari ad una VAM di 1.580 metri/ora, la stessa identica VAM di Pogacar e Vingegaard sul Ventoux nel 2021 al Tour, tanto per individuare una salita di durata simile.

Ma quella era una cronoscalata. Quindi corridori a tutta per tutto il tempo, gambe fresche. Stavolta ci si arriverà in gruppo, ci sarà anche una componente tattica. Quindi veramente si potrebbe salire per un’ora.

Il tutto senza considerare il fattore vento. Nelle giornate “normali” si avverte solo nel finale, quando si è in prossimità della vetta. Ci sono davvero dunque tutti i presupposti per godersi un grande spettacolo e soprattutto che questa montagna possa davvero essere decisiva ai fini della maglia rosa.

Gli equilibri in un grande Giro: Pinotti spiega come si fa

20.09.2023
4 min
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Il ciclismo gioca su equilibri estremamente sottili, tutto si può vincere o perdere per un dettaglio. Nelle grandi corse a tappe tutto questo si amplifica: si passa dalla pianura alle montagne, fino ad arrivare alle cronometro. Chi vuole vincere deve unire prestazioni di alto livello in ognuno di questi settori. Ma come si trova l’equilibrio giusto? Pinotti ci aiuta a capirlo, prendendo spunto da diversi esempi. 

«Ci sono delle affinità – spiega il preparatore della Jayco AlUlatra una cronometro a lunga percorrenza e una salita da un’ora. Prendiamo l’esempio di Evenpoel, che ha pagato 27 minuti nel giorno del Tourmalet: secondo me è dovuto ad altri fattori».

Lo sforzo per conquistare la maglia iridata a Glasgow è costato a Evenepoel in termini di preparazione per la Vuelta
Lo sforzo per conquistare la maglia iridata a Glasgow è costato a Evenepoel in termini di preparazione per la Vuelta
Quali?

Lui è stato l’unico uomo di classifica a fare il mondiale, sia strada che cronometro. Quella decisione specifica può averlo penalizzato, perché tra il viaggio e le corse ha perso tra la settimana e i dieci giorni di allenamento. In quel periodo avrebbe potuto lavorare di più in altura e curare meglio la preparazione della Vuelta.

Come si trova il giusto equilibrio nella preparazione tra strada e cronometro?

Si basa tutto sul tipo di percorso. Al Giro di quest’anno le cronometro erano tre: due per specialisti e una cronoscalata. Le prime due erano anche posizionate presto, alla prima e decima tappa. Mentre alla Vuelta la sfida contro il tempo, individuale, era solo una.

Quindi ci si poteva anche concentrare meno sulla preparazione?

E’ chiaro che ci devi sempre dedicare del tempo. Ma tutto va in base agli obiettivi, alla fine devi essere in grado di esprimere la stessa potenza su una bici diversa e in modo più aerodinamico. 

I giorni successivi alla crisi del Tourmalet il belga ha fatto vedere grandi cose, a testimonianza che la gamba c’era
I giorni successivi alla crisi del Tourmalet il belga ha fatto vedere grandi cose, a testimonianza che la gamba c’era
Quante ore si dedicano alla cronometro nel preparare una Vuelta come quella appena conclusa?

Il corridore e i preparatori decidono insieme, ma si passa dalle due ore a settimana ad un massimo del 5 o 10 per cento delle ore di allenamento. Non è importante l’aerodinamica, ma lo sviluppo della potenza. 

Facci un esempio…

Kuss. Lui ha sempre affrontato le cronometro come un giorno di riposo, ma nel momento in cui è stato chiamato a fare la gara, ha tirato fuori una discreta prestazione (13° a 1’26” da Ganna, ndr). Non aveva una posizione super aerodinamica, ma era efficace. Secondo me Kuss ha vinto la Vuelta in quel momento specifico. 

Quanto conta la posizione aerodinamica per un uomo di classifica?

Meno del previsto. Alla fine, come dicevo prima, si tratta di un fatto di potenza e percezione della fatica. In preparazione a una gara a tappe la cronometro si cura sulla prestazione. All’atleta viene chiesto di esprimere una determinata potenza, diciamo 300 watt, per un determinato intervallo di tempo. Su una bici da strada a 300 watt hai una percezione della fatica di 7, mentre sulla bici da cronometro è 10. Allora in quel caso si cambia la posizione cercando una comodità maggiore. 

Kuss nella cronometro si è difeso molto bene nonostante una posizione poco aerodinamica
Kuss nella cronometro si è difeso molto bene nonostante una posizione poco aerodinamica
Evenepoel ha il vantaggio di avere una posizione quasi perfetta…

Lui e Ganna sono quelli che hanno un angolo tra coscia e busto praticamente nullo. Evenepoel potrebbe curare meno la cronometro in vista di un grande Giro proprio per questo. Ha talmente tanto vantaggio in termine di posizione e di aerodinamica che comunque porta a casa qualcosa. Abbiamo visto che a cronometro andrà sempre bene: ha vinto al Giro, poi il mondiale e ha fatto secondo nella crono della Vuelta.

Ma quindi è vero che allenarsi a cronometro aiuta a mantenere le prestazioni alte anche in salita?

Sì, dal punto di vista della potenza aerobica assolutamente. Si tratta di fare lo stesso lavoro di soglia o fuori soglia. Anzi in salita dovrebbe essere più semplice, perché sei meno estremo nella posizione, quindi respiri meglio e usi più muscoli. Vi faccio un altro esempio.

Per Evenepoel è arrivata la maglia di miglior scalatore, una magra consolazione per un corridore del suo spessore
Per Evenepoel è arrivata la maglia di miglior scalatore, una magra consolazione per un corridore del suo spessore
Prego…

I numeri che Evenepoel ha fatto vedere nelle tappe successive al Tourmalet fanno capire che stava bene. Non vinci il giorno dopo se non sei a posto, il “passaggio a vuoto” me lo aspettavo anche da lui. E’ arrivato nel giorno peggiore. 

Perché te lo aspettavi?

Ripeto, quel mondiale gli è costato tanto in termini di allenamento e di preparazione. Avrebbe potuto allenarsi di più in altura e reggere meglio ad una tappa del genere, giocandosi la Vuelta fino in fondo. 

De Marchi e le fatiche della prima salita di stagione

11.02.2023
5 min
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Le corse sono iniziate e le prime fatiche sono già alle spalle, dopo mesi di allenamenti bisogna capire in che modo i corridori si riabituano alla fatica. Non è un passaggio semplice, nei vari ritiri si fanno tanti chilometri, ma nulla è come la gara, soprattutto quando la strada sale. Come si ritrova il feeling un corridore con la salita? Alessandro De Marchi ci racconta il suo punto di vista. 

De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech
De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech

Prima fatica

Il “Rosso di Buja” ha esordito alla Vuelta a la Comunitat Valenciana, si è trattato di un doppio inizio visto il suo passaggio al Team Jayco AlUla. La corsa a tappe spagnola è stata la prima affrontata con tante salite praticamente ogni giorno, un test iniziale e un modo per togliere la polvere dalla bici

«La prima salita – racconta De Marchi – è stata alla tappa inaugurale. E come spesso accade, per me è stata un trauma. E’ un momento di verifica, ma è difficile trovare i riferimenti, la mancanza di ritmo gara influisce molto. Poi il fatto di affrontarla in gruppo non aiuta, perché diventa tutto più impegnativo: praticamente un calvario. Le salite vengono affrontate a ritmi non costanti, che è una cosa che in allenamento non si riesce a simulare. Solitamente si fanno lavori di 15 o 20 minuti, ma nelle fasi prima e dopo sei più tranquillo. In corsa arrivi all’attacco della salita che sei già a tutta ed il primo chilometro lo fai davvero, ma davvero forte. In più io sono un corridore che soffre le condizioni di troppa… freschezza».

Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo
Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo

Valori diversi

Cosa intende dire De Marchi con “troppa “freschezza”? Come dicevamo prima le gare di inizio stagione sono una grande incognita. Lo stesso corridore ci ha confermato che non tutti i numeri sono da prendere con certezza.

«Il cuore – dice il friulano – è costantemente cinque o sei battiti sopra ai valori soliti, in questo influiscono diversi fattori: il gruppo, l’adrenalina, la lotta per le posizioni… E poi influisce molto anche il ritmo gara: a inizio stagione non si è abituati a farlo per ore e ore, durante i ritiri simuli queste condizioni ma fino ad un certo punto. A questo va aggiunto il fatto che in allenamento non sono sono uno che esagera con l’intensità, in questo interviene anche una parte psicologica. Se non sei in corsa, ti viene da mollare prima, quando sei in gara invece devi rimanere agganciato. I numeri devono essere presi con le pinze, solitamente in gara sono un pochino più bassi rispetto agli allenamenti. Questo perché il ritmo gara porta fatica nelle gambe, non si è abituati a smaltire l’acido lattico e si ha un maggiore accumulo di fatica».

Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana
Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana

La risposta del corpo

Quando si è da soli in allenamento o nel ritiro con la squadra, è più facile regolarsi seguendo i propri parametri. Ma una volta in gara, il gruppo va e devi rimanere lì, altrimenti la fatica diventa doppia.

«Difficilmente in gara riesci a regolarti – conferma De Marchi – non puoi decidere il ritmo a cui andare. A me capita di reggere il fuori giri e poi di pagare lo sforzo nel finale di corsa. Mi sono ritrovato con Salvatore Puccio ed abbiamo commentato allo stesso modo: dopo il fuori giri, è come se il nostro corpo avesse bisogno di minuti per ritrovare il ritmo che ci avrebbe permesso di stare con i migliori. Anche i watt sono un valore che all’inizio lascia il tempo che trova, diventano più stabili con il passare dei giorni di corsa. Già al secondo giorno della Valenciana, il cuore ed i watt erano più vicini ai valori dell’inverno. Un’altra cosa da non sottovalutare è l’alimentazione. Ovviamente un professionista con anni di esperienza sa come si gestisce, ma bisogna riabituarsi a farlo in corsa: trovare i momenti giusti in cui mangiare e calibrare le dosi».

Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante
Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante

Il “rimedio” alla fatica

Nella corsa a tappe al sud della Spagna, De Marchi si è fatto vedere anche in due fughe, nella seconda e nella quarta tappa. Lui è un uomo abituato ad “anticipare il gruppo” e questo può essere anche una soluzione alla fatica.

«Non è da nascondere che le corse a tappe aiutino a migliorare la condizione – spiega – con il passare dei giorni ti senti sempre meglio. Andare in fuga, tuttavia, può essere un buon esercizio per mettere chilometri nelle gambe con ritmi alti, ma più costanti rispetto all’andare in gruppo. Non c’è lo stress o la battaglia ai piedi delle salite, ma tanti chilometri ed altrettanta intensità. Si corre sempre a valori medio-alti, ma ne vale la pena. In fuga si costringe il corpo a stare nella zona della soglia o fuori soglia. Anche il wattaggio medio a fine corsa è più alto. Questo perché prima delle salite non hai la solita bagarre ma un andamento costante, così anche quando la strada sale. In più andare in fuga stimola il corpo e si brucia qualche caloria in più, cosa che non fa male ad inizio anno».

Velocisti e salita, una coperta molto corta

15.01.2023
6 min
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Chissà se Jakobsen si aspettava che dalle sue parole, pronunciate alla presentazione della Soudal-Quick Step, sarebbero nati così tanti approfondimenti su velocità e attitudine alla salita: forse no. Così, mentre qualche giorno fa abbiamo verificato con Fabio Sabatini se l’olandese sia davvero l’uomo più veloce al mondo, oggi approfondiamo un’altra sua affermazione.

«Sono velocissimo – ha detto l’olandese (in apertura sull’arrivo di Peyragudes al Tour 2022, salvo per 15“ dal tempo massimo) – però magari non sono il velocista più forte del mondo, visto che devo sempre lottare col tempo massimo. Se vuoi essere il più veloce, devi soffrire in salita. Ma io sono fatto così e non voglio cambiare. Non voglio diventare come Blijlevens, che cercò di migliorare in salita, perdendo il suo spunto veloce».

Ripassando la storia del velocista olandese, classe 1971 che corse fra il 1994 e il 2004, arriviamo da Marco Benfatto, ex pro’ ed ex preparatore della Gazprom-RusVelo.

Dopo la chiusura della Gazprom, Benfatto ha continuato ad allenarne gli italiani. Qui con Scaroni, Malucelli e Carboni
Dopo la chiusura della Gazprom, Benfatto ha continuato ad allenarne gli italiani. Qui con Scaroni, Malucelli e Carboni
Marco, cosa pensi di questo ragionamento di Jakobsen? 

Il velocista puro non esiste più, forse lui è uno degli ultimi. Non è più l’epoca di Endrio Leoni, quando andavano piano per tutta la tappa e i corridori gestivano l’andatura in altra maniera. Adesso si parte sempre a blocco, nelle tappe con salite sempre di più. E se non sei già predisposto geneticamente con una buona capacità aerobica, fai fatica o ti devi accontentare di puntare su gare meno dure.

E’ vero che cercando di migliorare in salita, si perde la volata?

E’ matematico, come una coperta che più la tiri da una parte e più è corta dall’altra. Ci sono velocisti e velocisti. Non sono tutti esplosivi come i pistard, che non sono in assoluto i velocisti più forti, però hanno anche una predisposizione per tenere anche sulle salite brevi. E’ una cosa che mi dicevano sempre da dilettante “Ciano” Rui e Faresin: «Ricordati che il velocista da professionista è tutta un’altra cosa».

Jakobsen contro Morkov, sfida a Calpe: l’olandese lavora molto sugli sprint e poco sulla salita
Jakobsen contro Morkov, sfida a Calpe: l’olandese lavora molto sugli sprint e poco sulla salita
E avevano ragione?

E’ proprio così. I vari Modolo, per esempio, o anche Nizzolo da dilettanti erano quasi considerati gente che andava in salita, perché tenevano. Quando invece sono passati e si sono trovati a fare volate dopo 200 chilometri e dopo aver passato le salite, hanno dovuto cambiare pelle. Si va sempre più forte e bisogna avere una componente aerobica elevata.

E come si fa?

Bisogna sempre cercare di non snaturare il corridore, perché un velocista anche se si allena in salita non diventerà mai uno scalatore. Quindi bisogna sempre cercare di limare il massimo per portare a casa il risultato. Se poi però non diventi carne né pesce, allora abbiamo sbagliato qualcosa.

Nonostante abbia sempre lottato contro il tempo massimo, Cavendish in salita si difende meglio di Jakobsen
Nonostante abbia sempre lottato contro il tempo massimo, Cavendish in salita si difende meglio di Jakobsen
Alla luce di questo, come gestisci la settimana di un velocista?

Dedichiamo alcuni giorni a lavori specifici più adatti ai velocisti e giorni in cui anche lui si deve fare le sue ore di sella, di salita. Dall’esperienza di questo primo anno di lavoro, è venuto fuori che i velocisti si devono allenare di più sul loro punto debole, quindi un po’ di più sulla salita. Mentre lo scalatore, se insiste con i lavori di forza, come per esempio in palestra, migliora sulla parte in cui è un po’ più debole e quindi si completa.

Scatterà più forte?

Se lavora di più sulla forza, avendo già la resistenza, sviluppa la sparata per fare la differenza e riesce a fare uno step in più. Ma quello che ti ha dato madre natura non te lo toglie nessuno, sia per il velocista sia per lo scalatore.

Il velocista in pista (qui Bianchi con il cittì Quaranta) può trascurare la fase aerobica, che su strada è decisiva
Il velocista in pista (qui Bianchi con il cittì Quaranta) può trascurare la fase aerobica, che su strada è decisiva
I lavori in salita dello scalatore sono diversi da quello del velocista?

La differenza è che per esempio il velocista lavora a cadenze più elevate. Cerca di fare dei lavori ad intensità maggiore, perché il suo modello prestazionale di riferimento è quello degli ultimi ultimi 10 chilometri. E lì ci sono tanti cambi di ritmo e le potenze magari sono brevi ma intense, con rilanci a 700-800 watt. Perciò deve allenare quel tipo di resistenza con frequenza di pedalata più alta, abituandosi a girare sempre attorno alle 100-110 Rpm.

Anche il velocista ha l’assillo del peso?

Per assurdo, anche se sembra impossibile, di più. Ci sono scalatori più grassi dei velocisti. Me lo confermava anche Mazzoleni quando eravamo in Gazprom, dicendo che anche Nibali non aveva questa gran percentuale di magrezza, mentre i velocisti di solito sono molto più fissati con il peso. Devono limare su tutto, perché in salita bisogna tenere duro, quindi anche un chilo in più fa comodo non averlo. Ad esempio, Malucelli è molto bravo. Avendo studiato Ingegneria, è molto matematico nei ragionamenti. Calcola le calorie e si alimenta in base a quello che consuma. Ormai è tutto calcolato e tutto studiato, non scappa niente.

Hai parlato di coperta da tirare: come trovi il giusto equilibrio?

Qui si vede la bravura del preparatore atletico, avete proprio centrato il bersaglio. Trovare l’equilibrio che faccia rendere al massimo l’atleta è il punto cruciale. Quindi si comincia conoscendo il corridore, perché ognuno è diverso dall’altro. Quindi lavorandoci e vedendo come reagisce, si costruisce un vestito su misura.

Blijlevens, pro’ dal 1994 al 2004, ha vinto 4 tappe al Tour, 5 alla Vuelta e 2 al Giro: per dimagrire, perse spunto in volata
Blijlevens, pro’ dal 1994 al 2004, ha vinto 4 tappe al Tour, 5 alla Vuelta e 2 al Giro: per dimagrire, perse spunto in volata
Non ci sono regole universali?

Ci sono delle regole che però non vanno bene per tutti allo stesso modo. Per esempio nel test del lattato, in teoria le 4 millimoli sono il range quasi per tutti, per trovare la soglia aerobica. Però abbiamo visto che alcuni ce l’hanno a 5,2, altri a meno. Quindi alla fine, per capire l’atleta e dargli i parametri di allenamento, è importantissimo non fermarsi ai dati del primo test, ma farne altri per avere una maggiore possibilità di analisi

Il rapporto potenza/peso quindi conta anche per il velocista?

Non è fondamentale, però ovviamente quando si fa un test, anche un velocista adesso deve avere sopra i 5 watt/kg. Altrimenti non va da nessuna parte. Per lo scalatore si tratta di un rapporto fondamentale, ma nemmeno lo scalatore può fare a meno di conoscerlo…