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Gli equilibri in un grande Giro: Pinotti spiega come si fa

20.09.2023
4 min
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Il ciclismo gioca su equilibri estremamente sottili, tutto si può vincere o perdere per un dettaglio. Nelle grandi corse a tappe tutto questo si amplifica: si passa dalla pianura alle montagne, fino ad arrivare alle cronometro. Chi vuole vincere deve unire prestazioni di alto livello in ognuno di questi settori. Ma come si trova l’equilibrio giusto? Pinotti ci aiuta a capirlo, prendendo spunto da diversi esempi. 

«Ci sono delle affinità – spiega il preparatore della Jayco AlUlatra una cronometro a lunga percorrenza e una salita da un’ora. Prendiamo l’esempio di Evenpoel, che ha pagato 27 minuti nel giorno del Tourmalet: secondo me è dovuto ad altri fattori».

Lo sforzo per conquistare la maglia iridata a Glasgow è costato a Evenepoel in termini di preparazione per la Vuelta
Lo sforzo per conquistare la maglia iridata a Glasgow è costato a Evenepoel in termini di preparazione per la Vuelta
Quali?

Lui è stato l’unico uomo di classifica a fare il mondiale, sia strada che cronometro. Quella decisione specifica può averlo penalizzato, perché tra il viaggio e le corse ha perso tra la settimana e i dieci giorni di allenamento. In quel periodo avrebbe potuto lavorare di più in altura e curare meglio la preparazione della Vuelta.

Come si trova il giusto equilibrio nella preparazione tra strada e cronometro?

Si basa tutto sul tipo di percorso. Al Giro di quest’anno le cronometro erano tre: due per specialisti e una cronoscalata. Le prime due erano anche posizionate presto, alla prima e decima tappa. Mentre alla Vuelta la sfida contro il tempo, individuale, era solo una.

Quindi ci si poteva anche concentrare meno sulla preparazione?

E’ chiaro che ci devi sempre dedicare del tempo. Ma tutto va in base agli obiettivi, alla fine devi essere in grado di esprimere la stessa potenza su una bici diversa e in modo più aerodinamico. 

I giorni successivi alla crisi del Tourmalet il belga ha fatto vedere grandi cose, a testimonianza che la gamba c’era
I giorni successivi alla crisi del Tourmalet il belga ha fatto vedere grandi cose, a testimonianza che la gamba c’era
Quante ore si dedicano alla cronometro nel preparare una Vuelta come quella appena conclusa?

Il corridore e i preparatori decidono insieme, ma si passa dalle due ore a settimana ad un massimo del 5 o 10 per cento delle ore di allenamento. Non è importante l’aerodinamica, ma lo sviluppo della potenza. 

Facci un esempio…

Kuss. Lui ha sempre affrontato le cronometro come un giorno di riposo, ma nel momento in cui è stato chiamato a fare la gara, ha tirato fuori una discreta prestazione (13° a 1’26” da Ganna, ndr). Non aveva una posizione super aerodinamica, ma era efficace. Secondo me Kuss ha vinto la Vuelta in quel momento specifico. 

Quanto conta la posizione aerodinamica per un uomo di classifica?

Meno del previsto. Alla fine, come dicevo prima, si tratta di un fatto di potenza e percezione della fatica. In preparazione a una gara a tappe la cronometro si cura sulla prestazione. All’atleta viene chiesto di esprimere una determinata potenza, diciamo 300 watt, per un determinato intervallo di tempo. Su una bici da strada a 300 watt hai una percezione della fatica di 7, mentre sulla bici da cronometro è 10. Allora in quel caso si cambia la posizione cercando una comodità maggiore. 

Kuss nella cronometro si è difeso molto bene nonostante una posizione poco aerodinamica
Kuss nella cronometro si è difeso molto bene nonostante una posizione poco aerodinamica
Evenepoel ha il vantaggio di avere una posizione quasi perfetta…

Lui e Ganna sono quelli che hanno un angolo tra coscia e busto praticamente nullo. Evenepoel potrebbe curare meno la cronometro in vista di un grande Giro proprio per questo. Ha talmente tanto vantaggio in termine di posizione e di aerodinamica che comunque porta a casa qualcosa. Abbiamo visto che a cronometro andrà sempre bene: ha vinto al Giro, poi il mondiale e ha fatto secondo nella crono della Vuelta.

Ma quindi è vero che allenarsi a cronometro aiuta a mantenere le prestazioni alte anche in salita?

Sì, dal punto di vista della potenza aerobica assolutamente. Si tratta di fare lo stesso lavoro di soglia o fuori soglia. Anzi in salita dovrebbe essere più semplice, perché sei meno estremo nella posizione, quindi respiri meglio e usi più muscoli. Vi faccio un altro esempio.

Per Evenepoel è arrivata la maglia di miglior scalatore, una magra consolazione per un corridore del suo spessore
Per Evenepoel è arrivata la maglia di miglior scalatore, una magra consolazione per un corridore del suo spessore
Prego…

I numeri che Evenepoel ha fatto vedere nelle tappe successive al Tourmalet fanno capire che stava bene. Non vinci il giorno dopo se non sei a posto, il “passaggio a vuoto” me lo aspettavo anche da lui. E’ arrivato nel giorno peggiore. 

Perché te lo aspettavi?

Ripeto, quel mondiale gli è costato tanto in termini di allenamento e di preparazione. Avrebbe potuto allenarsi di più in altura e reggere meglio ad una tappa del genere, giocandosi la Vuelta fino in fondo. 

De Marchi e le fatiche della prima salita di stagione

11.02.2023
5 min
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Le corse sono iniziate e le prime fatiche sono già alle spalle, dopo mesi di allenamenti bisogna capire in che modo i corridori si riabituano alla fatica. Non è un passaggio semplice, nei vari ritiri si fanno tanti chilometri, ma nulla è come la gara, soprattutto quando la strada sale. Come si ritrova il feeling un corridore con la salita? Alessandro De Marchi ci racconta il suo punto di vista. 

De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech
De Marchi nel 2022 ha chiuso l’esperienza con la Israel Premier Tech

Prima fatica

Il “Rosso di Buja” ha esordito alla Vuelta a la Comunitat Valenciana, si è trattato di un doppio inizio visto il suo passaggio al Team Jayco AlUla. La corsa a tappe spagnola è stata la prima affrontata con tante salite praticamente ogni giorno, un test iniziale e un modo per togliere la polvere dalla bici

«La prima salita – racconta De Marchi – è stata alla tappa inaugurale. E come spesso accade, per me è stata un trauma. E’ un momento di verifica, ma è difficile trovare i riferimenti, la mancanza di ritmo gara influisce molto. Poi il fatto di affrontarla in gruppo non aiuta, perché diventa tutto più impegnativo: praticamente un calvario. Le salite vengono affrontate a ritmi non costanti, che è una cosa che in allenamento non si riesce a simulare. Solitamente si fanno lavori di 15 o 20 minuti, ma nelle fasi prima e dopo sei più tranquillo. In corsa arrivi all’attacco della salita che sei già a tutta ed il primo chilometro lo fai davvero, ma davvero forte. In più io sono un corridore che soffre le condizioni di troppa… freschezza».

Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo
Tenere sotto controllo i dati non è facile quando si affrontano le prime fatiche in gruppo

Valori diversi

Cosa intende dire De Marchi con “troppa “freschezza”? Come dicevamo prima le gare di inizio stagione sono una grande incognita. Lo stesso corridore ci ha confermato che non tutti i numeri sono da prendere con certezza.

«Il cuore – dice il friulano – è costantemente cinque o sei battiti sopra ai valori soliti, in questo influiscono diversi fattori: il gruppo, l’adrenalina, la lotta per le posizioni… E poi influisce molto anche il ritmo gara: a inizio stagione non si è abituati a farlo per ore e ore, durante i ritiri simuli queste condizioni ma fino ad un certo punto. A questo va aggiunto il fatto che in allenamento non sono sono uno che esagera con l’intensità, in questo interviene anche una parte psicologica. Se non sei in corsa, ti viene da mollare prima, quando sei in gara invece devi rimanere agganciato. I numeri devono essere presi con le pinze, solitamente in gara sono un pochino più bassi rispetto agli allenamenti. Questo perché il ritmo gara porta fatica nelle gambe, non si è abituati a smaltire l’acido lattico e si ha un maggiore accumulo di fatica».

Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana
Il “Rosso di Buja” ha esordito con la nuova squadra alla Valenciana

La risposta del corpo

Quando si è da soli in allenamento o nel ritiro con la squadra, è più facile regolarsi seguendo i propri parametri. Ma una volta in gara, il gruppo va e devi rimanere lì, altrimenti la fatica diventa doppia.

«Difficilmente in gara riesci a regolarti – conferma De Marchi – non puoi decidere il ritmo a cui andare. A me capita di reggere il fuori giri e poi di pagare lo sforzo nel finale di corsa. Mi sono ritrovato con Salvatore Puccio ed abbiamo commentato allo stesso modo: dopo il fuori giri, è come se il nostro corpo avesse bisogno di minuti per ritrovare il ritmo che ci avrebbe permesso di stare con i migliori. Anche i watt sono un valore che all’inizio lascia il tempo che trova, diventano più stabili con il passare dei giorni di corsa. Già al secondo giorno della Valenciana, il cuore ed i watt erano più vicini ai valori dell’inverno. Un’altra cosa da non sottovalutare è l’alimentazione. Ovviamente un professionista con anni di esperienza sa come si gestisce, ma bisogna riabituarsi a farlo in corsa: trovare i momenti giusti in cui mangiare e calibrare le dosi».

Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante
Nella seconda tappa della Valenciana il friulano ha macinato chilometri in fuga: ritmo più alto ma costante

Il “rimedio” alla fatica

Nella corsa a tappe al sud della Spagna, De Marchi si è fatto vedere anche in due fughe, nella seconda e nella quarta tappa. Lui è un uomo abituato ad “anticipare il gruppo” e questo può essere anche una soluzione alla fatica.

«Non è da nascondere che le corse a tappe aiutino a migliorare la condizione – spiega – con il passare dei giorni ti senti sempre meglio. Andare in fuga, tuttavia, può essere un buon esercizio per mettere chilometri nelle gambe con ritmi alti, ma più costanti rispetto all’andare in gruppo. Non c’è lo stress o la battaglia ai piedi delle salite, ma tanti chilometri ed altrettanta intensità. Si corre sempre a valori medio-alti, ma ne vale la pena. In fuga si costringe il corpo a stare nella zona della soglia o fuori soglia. Anche il wattaggio medio a fine corsa è più alto. Questo perché prima delle salite non hai la solita bagarre ma un andamento costante, così anche quando la strada sale. In più andare in fuga stimola il corpo e si brucia qualche caloria in più, cosa che non fa male ad inizio anno».

Velocisti e salita, una coperta molto corta

15.01.2023
6 min
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Chissà se Jakobsen si aspettava che dalle sue parole, pronunciate alla presentazione della Soudal-Quick Step, sarebbero nati così tanti approfondimenti su velocità e attitudine alla salita: forse no. Così, mentre qualche giorno fa abbiamo verificato con Fabio Sabatini se l’olandese sia davvero l’uomo più veloce al mondo, oggi approfondiamo un’altra sua affermazione.

«Sono velocissimo – ha detto l’olandese (in apertura sull’arrivo di Peyragudes al Tour 2022, salvo per 15“ dal tempo massimo) – però magari non sono il velocista più forte del mondo, visto che devo sempre lottare col tempo massimo. Se vuoi essere il più veloce, devi soffrire in salita. Ma io sono fatto così e non voglio cambiare. Non voglio diventare come Blijlevens, che cercò di migliorare in salita, perdendo il suo spunto veloce».

Ripassando la storia del velocista olandese, classe 1971 che corse fra il 1994 e il 2004, arriviamo da Marco Benfatto, ex pro’ ed ex preparatore della Gazprom-RusVelo.

Dopo la chiusura della Gazprom, Benfatto ha continuato ad allenarne gli italiani. Qui con Scaroni, Malucelli e Carboni
Dopo la chiusura della Gazprom, Benfatto ha continuato ad allenarne gli italiani. Qui con Scaroni, Malucelli e Carboni
Marco, cosa pensi di questo ragionamento di Jakobsen? 

Il velocista puro non esiste più, forse lui è uno degli ultimi. Non è più l’epoca di Endrio Leoni, quando andavano piano per tutta la tappa e i corridori gestivano l’andatura in altra maniera. Adesso si parte sempre a blocco, nelle tappe con salite sempre di più. E se non sei già predisposto geneticamente con una buona capacità aerobica, fai fatica o ti devi accontentare di puntare su gare meno dure.

E’ vero che cercando di migliorare in salita, si perde la volata?

E’ matematico, come una coperta che più la tiri da una parte e più è corta dall’altra. Ci sono velocisti e velocisti. Non sono tutti esplosivi come i pistard, che non sono in assoluto i velocisti più forti, però hanno anche una predisposizione per tenere anche sulle salite brevi. E’ una cosa che mi dicevano sempre da dilettante “Ciano” Rui e Faresin: «Ricordati che il velocista da professionista è tutta un’altra cosa».

Jakobsen contro Morkov, sfida a Calpe: l’olandese lavora molto sugli sprint e poco sulla salita
Jakobsen contro Morkov, sfida a Calpe: l’olandese lavora molto sugli sprint e poco sulla salita
E avevano ragione?

E’ proprio così. I vari Modolo, per esempio, o anche Nizzolo da dilettanti erano quasi considerati gente che andava in salita, perché tenevano. Quando invece sono passati e si sono trovati a fare volate dopo 200 chilometri e dopo aver passato le salite, hanno dovuto cambiare pelle. Si va sempre più forte e bisogna avere una componente aerobica elevata.

E come si fa?

Bisogna sempre cercare di non snaturare il corridore, perché un velocista anche se si allena in salita non diventerà mai uno scalatore. Quindi bisogna sempre cercare di limare il massimo per portare a casa il risultato. Se poi però non diventi carne né pesce, allora abbiamo sbagliato qualcosa.

Nonostante abbia sempre lottato contro il tempo massimo, Cavendish in salita si difende meglio di Jakobsen
Nonostante abbia sempre lottato contro il tempo massimo, Cavendish in salita si difende meglio di Jakobsen
Alla luce di questo, come gestisci la settimana di un velocista?

Dedichiamo alcuni giorni a lavori specifici più adatti ai velocisti e giorni in cui anche lui si deve fare le sue ore di sella, di salita. Dall’esperienza di questo primo anno di lavoro, è venuto fuori che i velocisti si devono allenare di più sul loro punto debole, quindi un po’ di più sulla salita. Mentre lo scalatore, se insiste con i lavori di forza, come per esempio in palestra, migliora sulla parte in cui è un po’ più debole e quindi si completa.

Scatterà più forte?

Se lavora di più sulla forza, avendo già la resistenza, sviluppa la sparata per fare la differenza e riesce a fare uno step in più. Ma quello che ti ha dato madre natura non te lo toglie nessuno, sia per il velocista sia per lo scalatore.

Il velocista in pista (qui Bianchi con il cittì Quaranta) può trascurare la fase aerobica, che su strada è decisiva
Il velocista in pista (qui Bianchi con il cittì Quaranta) può trascurare la fase aerobica, che su strada è decisiva
I lavori in salita dello scalatore sono diversi da quello del velocista?

La differenza è che per esempio il velocista lavora a cadenze più elevate. Cerca di fare dei lavori ad intensità maggiore, perché il suo modello prestazionale di riferimento è quello degli ultimi ultimi 10 chilometri. E lì ci sono tanti cambi di ritmo e le potenze magari sono brevi ma intense, con rilanci a 700-800 watt. Perciò deve allenare quel tipo di resistenza con frequenza di pedalata più alta, abituandosi a girare sempre attorno alle 100-110 Rpm.

Anche il velocista ha l’assillo del peso?

Per assurdo, anche se sembra impossibile, di più. Ci sono scalatori più grassi dei velocisti. Me lo confermava anche Mazzoleni quando eravamo in Gazprom, dicendo che anche Nibali non aveva questa gran percentuale di magrezza, mentre i velocisti di solito sono molto più fissati con il peso. Devono limare su tutto, perché in salita bisogna tenere duro, quindi anche un chilo in più fa comodo non averlo. Ad esempio, Malucelli è molto bravo. Avendo studiato Ingegneria, è molto matematico nei ragionamenti. Calcola le calorie e si alimenta in base a quello che consuma. Ormai è tutto calcolato e tutto studiato, non scappa niente.

Hai parlato di coperta da tirare: come trovi il giusto equilibrio?

Qui si vede la bravura del preparatore atletico, avete proprio centrato il bersaglio. Trovare l’equilibrio che faccia rendere al massimo l’atleta è il punto cruciale. Quindi si comincia conoscendo il corridore, perché ognuno è diverso dall’altro. Quindi lavorandoci e vedendo come reagisce, si costruisce un vestito su misura.

Blijlevens, pro’ dal 1994 al 2004, ha vinto 4 tappe al Tour, 5 alla Vuelta e 2 al Giro: per dimagrire, perse spunto in volata
Blijlevens, pro’ dal 1994 al 2004, ha vinto 4 tappe al Tour, 5 alla Vuelta e 2 al Giro: per dimagrire, perse spunto in volata
Non ci sono regole universali?

Ci sono delle regole che però non vanno bene per tutti allo stesso modo. Per esempio nel test del lattato, in teoria le 4 millimoli sono il range quasi per tutti, per trovare la soglia aerobica. Però abbiamo visto che alcuni ce l’hanno a 5,2, altri a meno. Quindi alla fine, per capire l’atleta e dargli i parametri di allenamento, è importantissimo non fermarsi ai dati del primo test, ma farne altri per avere una maggiore possibilità di analisi

Il rapporto potenza/peso quindi conta anche per il velocista?

Non è fondamentale, però ovviamente quando si fa un test, anche un velocista adesso deve avere sopra i 5 watt/kg. Altrimenti non va da nessuna parte. Per lo scalatore si tratta di un rapporto fondamentale, ma nemmeno lo scalatore può fare a meno di conoscerlo…

A Sassotetto con Pozzovivo. Rapporti, watt, tattica

07.12.2022
5 min
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In attesa di conoscere il suo futuro, Domenico Pozzovivo continua ad allenarsi sodo. Il lucano è un veterano e mette a nostra disposizione la sua esperienza per conoscere la salita di Sassotetto, il grande arrivo in salita della prossima Tirreno-Adriatico. Da Sarnano ai 1.465 metri della cima, laddove ci sono gli impianti di risalita di Sassotetto-Bolognola, ci sono da affrontare 13,1 chilometri.

Il “Pozzo” nazionale ha scalato diverse volte la salita incastonata sugli splendidi Monti Sibillini. E una delle ultime volte è stata proprio alla Tirreno. Era il 2018, vinse Mikel Landa e lui, all’epoca in Bahrain-Merida (foto di apertura), arrivò 12° ad appena 6” dallo spagnolo. Basta imbeccarlo sull’argomento che Domenico fa subito centro.

Domenico, si torna sul Sassotetto. Con grande probabilità è qui che si deciderà la Corsa dei Due Mari…

E il giorno dopo c’è la tappa dei muri. E ormai che è insidiosa lo sanno anche… i muri! Comunque sì: ci sta che possa essere decisiva.

Che salita è?

L’ho fatta diverse volte, è una salita impegnativa. Non ha mai pendenze impossibili, ma è pur sempre una scalata di quasi 15 chilometri. Poi dipende molto da dove s’inizia a contare i chilometri: se dal paese o se dal bivio poco più avanti. E’ un Terminillo, ma più corto. L’unica differenza è che la salita reatina ha un tratto di recupero nel mezzo (Pian de Rosce, ndr), mentre Sassotetto ce l’ha nel finale.

Quale può essere per te il passaggio chiave?

C’è un drittone in cui si può fare la differenza, laddove attaccò Landa nel 2018. Adesso non ricordo di preciso il punto, ma dovrebbe essere tra i 4,5-5 chilometri dal traguardo. La pendenza c’è ed è il punto giusto se si vuole scavare un certo margine, anche perché poi gli ultimi due chilometri sono facili.

Come si approccia questa salita?

E’ diversa dalla scalata singola, perché quest’anno arriva subito dopo due salite concatenate. E nel ciclismo moderno qualche squadra potrebbe mettersi a fare il ritmo alto, già dalla scalata che precede Sassotetto.

Cambia tanto?

Abbastanza. Non hai margine di recupero. Scollini, c’è una piccola discesa e subito la salita finale. Quindi uno sforzo che sarebbe dovuto durare 35′-40′ diventa di un’ora.

Tra Abruzzo e Marche, poca pianura. Quest’anno ci saranno due brevi salite ad anticipare la scalata finale
Tra Abruzzo e Marche, poca pianura. Quest’anno ci saranno due brevi salite ad anticipare la scalata finale
Che rapporti si utilizzano?

Io su una scalata così sono un po’ al limite con il 53, viste le scale posteriori attuali. Penso ad un 53×30-28, ma visto che è lunga ipotizzo un 39×18. Un 39×21 nei tratti più duri. 

Scusa Domenico, ma allora perché non pensare ad un 42? Tu sei scalatore e vai di potenza…

In effetti con la mia pedalata un rapporto più grande davanti ci sta. Oggi Shimano per esempio ti propone il 40 e va bene, il 42 non lo so. A quel punto preferisco direttamente il 53. Fino all’8% scelgo il 53: se sono salite lunghe di 4-5 chilometri non ho dubbi. Se invece sono più lunghe magari vado di 39. Io ho un tipo di pedalata che non devo frullare. Poi in allenamento ci si concentra anche su certe cadenze, ma in corsa quando sei a tutta privilegi ciò che ti è “più comodo”.

Quanto conta stare a ruota?

Conta abbastanza. E infatti l’ultima volta, anche quando andarono via, furono in due o tre e si diedero i cambi. E’ fondamentale stare a ruota nell’ultimo chilometro, perché è molto veloce. Mentre il rettilineo finale tira un po’. Devi uscire proprio negli ultimi 150-200 metri. E’ un chilometro asfissiante, che si fa con le gambe piene di acido lattico. Uno di quelli che se in volata fai 700 watt è grasso che cola. Sei poi ti capita Pogacar che ne fa 900 ti lascia lì! Impossibile per noi comuni mortali.

C’è solo la pendenza a dare fastidio?

E poi c’è il vento – Pozzovivo è davvero interessato e rilancia lui gli spunti tecnici – ma su questa salita si sente poco. Giusto se ci fosse tramontana o vento da Est potrebbe favorire un po’ la scalata. Mentre inciderebbe di più nel chilometro e mezzo finale. Nel caso venisse da Ovest sarebbe contro. Ma di base si sale parecchio sotto parete, c’è il “muro dei Sibillini” che ti ripara.

Sassotetto presenta dei tornanti ampi. La curva non è durissima, ma all’uscita la strada tira e anche bene. Come si affronta questo genere di curva?

Nel mio caso, tornando al discorso della pedalata, non conviene prenderlo troppo stretto. Se invece si è dei corridori che frullano, che per fare watt devono fare alte cadenze, si può anche tagliare la curva: puntare all’interno e lavorare col cambio. Un’altra cosa che conta in questo caso è la posizione. Se c’è un gruppetto ancora folto, già in ventesima piazza arriva un po’ di frustata… e non è piacevole. Meglio stare tra i primi dieci: si riduce l’effetto elastico.

Quante calorie si consumano su una scalata simile? E come ci si alimenta?

Beh – fa due conti Pozzovivo – è la salita finale, si fa a tutta… 600 calorie si bruciano tranquillamente. Si prende un gel ai piedi della salita e poi ci si aiuta con le borracce, che ormai contengono maltodestrine. Anche se io preferisco l’acqua. Prendo un altro gel a metà salita o un po’ prima.

Nei segreti del Blockhaus con Dario Cataldo

24.11.2021
4 min
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Continua il nostro viaggio alla scoperta delle strade del Giro d’Italia numero 105. Con Gilberto Simoni avevamo individuato le tre scalate più dure della prossima corsa rosa. Il Blockhaus, il Santa Cristina e il Fedaia. 

Con Dario Cataldo, abruzzese, andiamo a scoprire da vicino la prima di queste salite, il Blockhaus. E qui consentiteci un piccolissimo cenno storico legato a questo curioso nome. Nome di lingua chiaramente tedesca, come il generale austriaco che glielo diede durante la lotta al brigantaggio a cavallo tra il 1800 e il 1900. La sua etimologia si lega alla sua natura: “casa dei sassi”, come le numerose pietre sparse sull’altopiano. Ma tornando a Cataldo, lui su queste rampe è praticamente di casa. 

«Non frequento spessissimo quel versante – dice il nuovo corridore della Trek-Segafredo – perché è dalla parte opposta della Majella rispetto a casa mia, ma certamente lo conosco e ci vado di tanto in tanto.

«In realtà il Blockhaus vero e proprio è più in alto, ma il Giro non può arrivarci. Non ci sarebbe spazio per la logistica e ci sarebbe da fare una strada ciclopedonale chiusa al traffico, una stradina. Perciò si arriva in una località che si chiama Mammarosa».

L’arrivo in località Mammarosa a 1.648 metri. Mentre punta Blockhaus (una delle cime della Majella) misura quota 2.140 metri
L’arrivo in località Mammarosa a 1.648 metri. Mentre punta Blockhaus (una delle cime della Majella) misura quota 2.140 metri

Doppia scalata

La frazione numero nove scalerà due volte la Majella. La prima fino a Passo Lanciano, la seconda fino in cima. Si sale da due versanti differenti e da un terzo si scende. E’ quasi un “Majella day”.

«Quello da dove salirà il Giro – spiega Cataldo – è il versante più duro della Majella ed è lo stesso che si affrontò nel Giro del 2017, quando vinse Quintana. La cosa diversa rispetto ad altre volte è che in passato la tappa appenninica prevedeva la salita finale o poco più in precedenza. Il dislivello era inferiore (qui si parla di 4.990 metri, ndr). Stavolta invece anche il resto della frazione è molto duro».

«Roccaraso, poi Passo Lanciano una prima volta e il Blockhaus. E nel mezzo tante altre salite brevi. Già a Passo Lanciano le pendenze sono abbastanza importanti (7-9%, ndr). No, no… è dura. Si dice sempre che in certe tappe non si vede chi vincerà il Giro ma chi lo perderà. Per me in questo caso invece si vede chi è da podio. E’ molto indicativa e la metto fra le tappe decisive».

Regolarmente irregolare

Ma come è davvero questa salita? Cataldo è molto preciso e inizia la sua descrizione già un po’ prima della scalata vera e propria. 

«Salendo da Scafa e fino a Roccamorice c’è la parte più pedalabile e lì già si misura la temperatura a molti corridori, quando le squadre prendono le posizioni. Si crea un po’ di confusione, specie in vista di Roccamorice dove c’è uno “sciacquone” (una spianata e un tratto di breve discesa in paese, ndr). E infatti proprio lì caddero Landa e Thomas nel 2017».

Per Cataldo non si può dividere in più tronconi, tutto sommato il susseguirsi dei chilometri è molto simile fra loro. Solo l’immediata uscita da Roccamorice e le ultime centinaia di metri sono più pedalabili.

«E’ una salita abbastanza costante nella sua irregolarità. Nel senso che ci sono continui cambi di pendenza e diventa molto importante riuscire a recuperare nei tratti meno duri. E’ davvero difficile trovare il ritmo su una salita così. Bisognerà sapersi gestire bene».

Cataldo in azione nel Giro 2017 sulle rampe del Blockhaus. All’epoca fu 13° a 3′ spaccati da Quintana
Cataldo in azione nel Giro 2017 sulle rampe del Blockhaus. All’epoca fu 13° a 3′ spaccati da Quintana

Serve sensibilità

La gestione pertanto diventa fondamentale. Restare “impiccati” presto o nel momento sbagliato significa perdere minuti o comunque del terreno prezioso. E se si è uomini di classifica… non è mai una bella cosa. Inoltre più di qualche volta ci sono rettilinei abbastanza lunghi, nei quali se dovesse esserci vento o si dovesse restare soli, non sarebbe il massimo.

«Come facciamo a gestirla? Beh, ci aiutiamo molto controllando i watt, ma nel finale quando si è a tutta bisogna gestire le sensazioni. Diventa una scalata personale. Si usa il rapporto e l’intensità secondo le proprie sensazioni. L’esperienza conta moltissimo».

E quanto incide conoscere una salita così particolare?

«Conta molto – conclude Cataldo – però lo sforzo è così duro che esperienza e una buona gestione non bastano a compensare il tutto. Servono le gambe. Tante gambe. I rapporti? Per me un 39×25 dovrebbe bastare, ma per risparmiare c’è chi monterà anche il 30».

Sestola, i trabocchetti del primo arrivo in salita

11.05.2021
5 min
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Il primo arrivo in salita è sempre un bell’enigma nei grandi Giri. Aspettative, dubbi, voglia di attaccare o necessità di difendersi… e soprattutto gran parte della corsa ancora davanti. E’ una delle tappe più delicate. Anche Pantani che in salita non doveva certo imparare nulla da nessuno, qualche volta ha pagato dazio. E oggi il Giro d’Italia arriva a Sestola, Appennino Emiliano.

Ci si stacca dalla pianura Padana e si inizia a prendere quota. Una tappa così delicata potrà anche non cambiare molto i distacchi tra i big, ma merita comunque un occhio di riguardo. E noi quest’occhio lo diamo con Claudio Cucinotta, uno dei preparatori dell’Astana Premier Tech.

Prime vere asperità e sotto la pianura si fa più “piccola”
Prime vere asperità e sotto la pianura si fa più “piccola”

Chi parte forte e chi no

Quali incognite nasconde quindi questa tappa? La prima vera scalata del Giro?

«Sicuramente incide più sul piano psicologico che non su quello fisico – dice Cucinotta – E’ come il primo esame. Ogni corridore in cuor suo sa di avere una buona condizione e di avere svolto un buon lavoro, ma fino al primo riscontro reale non può avere risposte certe. Psicologicamente quei secondi di vantaggio o svantaggio a fine tappa possono incidere». Ma non devono e non possono essere decisivi. E’ solo una battaglia. Salvo casi eccezionali, s’intende.

«Molto conta come si è deciso d’impostare il Giro. C’è chi parte forte e poi magari paga nel finale e chi invece arriva al Giro al 90% e trova il 100% strada facendo».

Il profilo della salita di Sestola, dopo lo scollinamento ancora 2,5 chilometri (circa)
Il profilo della salita di Sestola, dopo lo scollinamento ancora 2,5 chilometri (circa)

Quei vecchi percorsi

Una volta con i vecchi percorsi, soprattutto al Tour de France, c’erano dieci giorni o una settimana di pianura e poi la salita all’improvviso. Questa poteva dare esiti ancora più imprevedibili. Gli scalatori pagavano molto il fatto di spingere per giorni e giorni rapporti lunghi, mentre per i passisti era la normalità. Non erano loro che andavano forte ma gli scalatori che andavano più piano.

«Non è il caso del Giro – riprende Cucinotta – soprattutto quest’anno, ma l’effetto sorpresa può starci lo stesso. Dopo qualche giorno di pianura non è facile affrontare all’improvviso un sforzo di 30′ o 40′ fatti al massimo, anche se Sestola sarà più breve».

Per questo l’avvicinamento è molto importante, ma va fatto prima. Chiaramente non ci si può preparare per quella tappa a Giro iniziato. Non cambiano i massaggi, né si osserva un defaticamento particolare il giorno prima. 

«I massaggi ormai li fanno tutti, anche perché c’è più personale e non è più come una volta che alcuni corridori li saltavano. Però il defaticamento è ormai assodato. Quei 10-15′ sui rulli a fine tappa aiutano moltissimo» e ieri infatti dopo il traguardo di Canale li hanno fatti in molti. 

«C’è chi tollera più facilmente l’improvviso sforzo intenso e chi invece fa fatica ad adattarsi e avrebbe bisogno di una tappa intermedia prima. Ma questo non vuol dire che non sia in condizione».

Oggi un piccolo vantaggio per gli scalatori è la presenza di altre salite prima della scalata finale, Colle Passerino.

Nel 2016 si arrivò quassù da un altro versante. Vinse Ciccone e l’Astana di Nibali tirava in salita
Nel 2016 un versante diverso. Vinse Ciccone e l’Astana di Nibali tirava in salita

Scalatori svantaggiati

Ma quindi chi avvantaggia il primo arrivo in salita?

«Più che altro direi chi svantaggia – dice Cucinotta – ne farà le spese chi ha buone doti di recupero ed esce bene nella terza settimana. Mi viene in mente il Nibali della situazione, perché magari non è esplosivo e alla lunga cala meno. Ad uno come lui o che ha programmato di entrare in forma strada facendo servono 3-4 tappe dure per essere al 100 per cento. 

«Il primo arrivo in salita quindi può favorire chi è più esplosivo e chi ha corso di più prima. Ma poi bisognerà vederlo più avanti, nella seconda metà del Giro. Ricordiamoci di Yates tre anni fa. Nella prima parte aveva vinto diverse tappe, attaccando anche da lontano e così facendo spese molto. Poi nella terza settimana ha pagato molto. Magari adesso uno come lui, esplosivo e che sta bene, può pensare che anziché attaccare per guadagnare 5” sia meglio restare calmo e risparmiare energie per il futuro. Insomma non è detto che tutti diano il 100%».

Wilko Kelderman, Etna, Giro d'Italia 2020
Kelderman, passista-scalatore, nel 2020 fu il migliore tra gli uomini di classifica sull’Etna
Wilko Kelderman, Etna, Giro d'Italia 2020
Kelderman, passista-scalatore, nel 2020 fu il migliore tra gli uomini di classifica sull’Etna

Non solo Sestola

Infine ci sono da valutare le caratteristiche dell’arrivo. Queste incidono?

«Assolutamente incidono – riprende Cucinotta –  un conto è una salita di 5-6 chilometri e un conto una salita lunga come fu l’Etna l’anno scorso. Sestola, che è lunga circa 4,5 chilometri, ma con pendenze molto impegnative, può strizzare l’occhio al corridore esplosivo anziché allo scalatore puro. Penso ad un Alaphilippe, anche se non è al Giro. Potrebbe essere una salita molto adatta a lui, una salita quasi da Liegi. Oggi ci sono da fare 400 metri di dislivello a occhio e croce si tratta di una scalata che dura 15′-18′ e un corridore può perdere 30”-40”. Mentre in una scalata come quella dell’Etna, primo arrivo in quota dell’anno scorso, se si andava in crisi si potevano perdere anche 2′-3′.

«Quindi Sestola è corta. Per me è più un vero arrivo in salita quello di dopodomani ad Ascoli. Una salita ben più lunga ma anche più pedalabile in cui a ruota si “sta bene” e se non si è al massimo si può camuffare. E’ anche vero però che se è più difficile staccarsi, se lo si fa si perde tanto».

Vuelta, vento (e Angliru) premiano Gaudu

31.10.2020
3 min
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Lo scriviamo praticamente da quando è iniziata: la Vuelta non stupisce mai. E in qualche modo anche oggi non ha tradito le attese. Anche se non nel modo previsto: molto fumo e poco arrosto. Probabilmente la testa era già rivolta a domani, all’Angliru.

Una corsa molto tattica

Se fin qui è bastato un cavalcavia per accendere la miccia. Oggi nel primo grande tappone di montagna quasi “non” è successo niente. A smorzare eventuali tentativi ha inciso anche il forte vento contrario, specie nell’ultima scalata.

Nel finale attaccano David Gaudu e Marc Soler. Nella volata vince il francese della Groupama-Fdj, spalla di Thibaut Pinot, che invece la Vuelta l’abbandonata anzitempo dopo appena due tappe.

Martin che beve e Carapaz (in verde): per loro giornata “tranquilla”
Giornata “tranquilla” per Martin e Carapaz

La gara è bloccata. Tanti tentativi di fuga, ma nessuno in grado davvero di fare la differenza. Si giocano i Gpm persino i big, tanto che Guillame Martin va a rafforzare il suo primato in questa speciale classifica. Attendismo? Sì, ma non in attesa dell’ultima scalata come era lecito ipotizzare, bensì in attesa dell’Angliru.

Angliru in vista.

Questa mitica salita sarà affrontata domani. Avverrà al termine di una tappa che si annuncia folle: quattro Gpm (compreso l’arrivo in quota) in soli 109 chilometri. 

E’ per questo che oggi si sono guardati, studiati, contenuti e forse trattenuti. Quasi quasi spaventa più il chilometraggio breve che la salita finale. In una frazione così può succedere di tutto. Ci si aspetta ritmi folli.

Sulla carta sembra una tappa più adatta a Roglic che a Carapaz. I due sono a pari tempo, quasi come Geoghegan Hart e Hyndley al Giro. Ma qui si parla sempre di loro due e non si bada a Daniel Martin, sornione (neanche troppo) a 25”.

«Aspettiamo domani», dice Carapaz. «Ho avuto belle sensazioni, vediamo domani cosa accadrà», gli fa eco Enric Mas. «Non vedo l’ora di sfidare l’Angliru», commenta Martin.

«Abbiamo controllato bene la corsa – dice Roglic – mi aspettavo qualche attacco nel finale, ma credo che tutti pensassero a domani e abbiano paura dell’Angliru. Lassù mi aspetto un combattimento corpo a corpo. Non ho mai scalato l’Angliru prima, ma anche io non vedo l’ora e sono fiducioso».

Rapporti agilissimi

L’ultimo a trionfare lassù fu Alberto Contador. La sua azione partita da lontano fu anche il suo ultimo successo. Per lo spettro asturiano però non basteranno solo grandi gambe, ma anche nervi saldi e rapporti adeguati.

Stasera i corridori vivranno una vigilia nel segno della tensione, del recupero…E passeranno per le mani dei massaggiatori e dei meccanici. I primi dovranno preparare le gambe perché siano esplosive sin da subito, i secondi dovranno preparare rapporti da Mtb. Sembra che Carapaz monterà un 36×32 mentre Roglic si affiderà addirittura al 34×32.

Dopo l’arrivo è stato curioso vederli, di nuovo “in gruppo” sui rulli. C’erano quasi tutti i big, che dovevano salire sul podio, che facevano defaticamento e continuavano a parlare e a tenersi d’occhio.

Domani però non ci sarà tempo per parlare. L’Angliru con le sue rampe al 23 per cento non lascia scampo.

Hindley semina, Kelderman raccoglie

18.10.2020
3 min
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A Piancavallo Hindley semina e Kelderman raccoglie. Anche se a vincere è stato Tao Geoghagan Hart. Wilco Kelderman ha sfiorato la maglia rosa. Joao Almeida l’ha tenuta. Ma forse il protagonista di questa tappa è stato proprio Jai Hindley. E’ lui infatti che ha fatto saltare il banco. Che ha sgranato gli uomini di classifica. Che ha scortato il suo compagno sin sotto l’arrivo. E che ha fatto cedere Almeida. Un chilometro in più di salita e forse la maglia rosa questa sera era sulle spalle del suo capitano Kelderman.

La Sunweb sui rulli per sciogliere le gambe dopo la scalata di Piancavallo
Sunweb sui rulli per sciogliere le gambe

Una trenata che fa male

Ai -11 l’australiano passa in testa. Senza neanche dare l’apparenza di forzare, frantuma il gruppo. Pozzovivo va indietro. Majka arranca. Fuglsang si sposta su un lato. Bilbao dà di spalle. Solo Nibali, resiste… per un po’.

«Abbiamo provato ad attaccare la maglia rosa sin da lontano – commenta il 24 enne di Perth – abbiamo imposto un grande ritmo per tutta la gara. E nella scalata finale abbiamo fatto il forcing. Prima ancora che alla tappa pensavamo al grande obiettivo», il riferimento è chiaro: vincere il Giro d’Italia con Kelderman.

Dopo l’arrivo il biondino salta sui rulli per il defaticamento. Di tutto il suo team sembra quello più fresco. Scherza con una ragazza dello staff ed è visibilmente soddisfatto. Ha svolto un ottimo lavoro per il suo capitano. E lo sa. 

Kelderman sull’arrivo di Piancavallo: stanco ma soddisfatto
Kelderman sull’arrivo di Piancavallo

Wilco soddisfatto ma…

Kelderman intanto è assalito dai giornalisti olandesi. Lui sembra più pensieroso. Forse si aspettava di avere altre sensazioni. Soprattutto dopo le dichiarazioni dei giorni precedenti: «Sulle salite lunghe e con il freddo vado forte». Sì, forte ci è andato, ma dei tre di testa sembrava quello più in difficoltà.

Nella scalata finale quando la pendenza si è fatta più dolce, deve aver pensato che quella posizione gli poteva andare bene. Hindley continuava a menare. Geoghegan Hart addirittura saliva di 53. Bene così per Kelderman, che comunque può gioire. Un conto è vedersela con Nibali e Fuglsang alle calcagna e un conto è farlo con un “ragazzino”.

E così nel finale Hindley lo guarda e sembra dirgli adesso è il tuo momento, ma quando parte l’olandese non fa male. E l’inglese lo salta senza sforzo. Hindley si accoda e gli lascia i 6” di abbuono, preziosissimi in un Giro che in testa si gioca per pochi secondi.

La Sunweb ha chiuso sulla fuga. E ha speso molto.
La Sunweb ha chiuso sulla fuga. E Ha speso molto.

Obiettivo: in rosa a Milano

«Oggi abbiamo fatto un grande passo in avanti verso il nostro goal – dice Matt Winston, uno dei direttori sportivi del Team Sunweb – Ma abbiamo anche speso molto. Domani nel giorno di riposo dobbiamo recuperare più energie possibili in vista dell’ultima settimana. Come ci arriviamo? Bene. In una buona posizione. Non dovremo controllare la corsa. In ogni caso le differenze sono davvero piccole. Le sensazioni per ora sono buone. Hindley ha svolto un lavoro incredibile oggi dura. Siamo andati vicini alla maglia rosa sull’Etna. Spero possa arrivare quella giusta a Milano. Direi che è stata una giornata più che perfetta».