“La ricerca del talento” secondo Paolo Slongo

13.12.2021
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La cornice è intima, il luogo è una palestra nel paese di Musile di Piave in provincia di Venezia. Viene da chiedersi perché Paolo Slongo sia qui. L’allenatore della Trek-Segafredo meriterebbe di parlare a platee più gremite e perché no, paganti. Ma non appena veniamo accolti sul posto e le sedie iniziano a riempirsi, si capisce che qui lo sport sia educazione e rispetto.

L’intervento di Slongo ha un fine ben preciso. Sensibilizzare e trasmettere la sua esperienza a genitori e allenatori. Con l’obiettivo preciso della delicata “ricerca del talento” (titolo della sua presentazione), senza però esasperare la ricerca o l’atleta stesso. I punti sono davvero tanti e riassumerli tutti sarebbe impossibile. Infatti ascoltando le parole del preparatore trevigiano, si capisce che questo tipo di incontri dovrebbero avere luogo in tutte le realtà che trattano di ciclismo giovanile e non solo.

Slongo Musil
A ospitare il pomeriggio di sport è stata la ASD polisportiva Musile
A ospitare il pomeriggio di sport è stata la ASD Polisportiva Musile

Che cos’è il talento?

Dopo una breve introduzione delle autorità comunali presenti, comincia l’intervento. Slongo inizia ringraziando chi ha dato spazio e allo stesso tempo gode della sua presenza: «Ringrazio per l’invito Tarcisio Bettin della polisportiva Musile e Giuseppe Moro per aver organizzato questo incontro».

Il primo punto è una domanda, a cui tutti vorremmo una risposta. Che cos’è il talento?

«Secondo me il talento – dice Slongo – è un’attitudine innata o personale. Avere talento significa riuscire a fare facilmente con naturalezza qualcosa che risulta difficile a quanti non sono dotati di quel talento».

Una definizione che racchiude tanta esperienza e potrebbe già essere un mantra. «Al talento però – continua il diesse – va aggiunto il duro lavoro. I primi anni che ho lavorato con Nibali alla Liquigas, non nascondo che abbiamo avuto parecchie frizioni. Non capiva tutta l’importanza che davo alla preparazione nonostante le sua doti. Nel 2010 dopo il terzo posto al Giro d’Italia e la vittoria della Vuelta, ha cambiato mentalità e abbiamo iniziato il nostro percorso insieme».

Paolo Slongo è stato premiato dal Comune di Musile di Piave
Paolo Slongo è stato premiato dal Comune di Musile di Piave

Impegno e calma

Ci sono esempi di tutti i tipi nel mondo del ciclismo e storie che potrebbero riempire libri interi. In tutte queste è presente il talento. Con il duro lavoro questo può essere esaltato e far diventare l’atleta un campione o un fuoriclasse.

«Il fuoriclasse – spiega Slongo – ha quattro aree completamente sviluppate: cuore, testa, fisico e tecnica/tattica. Due esempi sono Nibali e Sagan. Il campione invece non ha una di quelle quattro aree, ma ha lavorato per chiudere le eventuali lacune. Basso e Aru tra questi».

Lo schema presentato è semplice, ma fine a se stesso se non c’è una lettura da parte di qualcuno. Gli allenatori infatti devono scovare e fare crescere i corridori senza però mettere pressione. Stesso discorso vale per i genitori che spesso sono l’ago della bilancia per la realizzazione di una carriera sportiva.

Un altro punto è la calma. «Nel 2010 – racconta Paolo – Sagan vinse due tappe alla Parigi-Nizza da giovanissimo. RCS chiamò Roberto Amadio, allora team manager della Liquigas, per avere Sagan alla Milano-Sanremo. Ma Roberto decise di non mandare Peter. Aveva la paura potesse vincere la Sanremo e bruciare le tappe».

La sinossi è chiara. Un percorso diretto al successo può portare a pressioni elevate e responsabilità difficili da sopportare da giovani o a inizio carriera. 

Kreuziger Nibali Liquigas
Kreuziger con Nibali alla Liquigas: due dei tanti campioni passati per la squadra italiana
Kreuziger Nibali Liquigas
Kreuziger e Nibali: due dei campioni passati per la Liquigas

Se il talento si nasconde

Scorrono le slide, le nozioni e i consigli sono preziosi. I ragazzi, i genitori e gli allenatori seduti sono attenti e interessati. Compare sul telo del proiettore una foto emblematica. Un podio del campionato U23 del mondo totalmente dominato dall’Italia. Lugano 1996, primo Giuliano Figueras, a seguire Roberto Sgambelluri e Gianluca Sironi. L’unico senza medaglia, al quarto posto, con sguardo pensieroso, è Paolo Bettini.

«Non devo certo dirvi chi sia Paolo Bettini – dice Slongo – ma pensate se da quel quarto posto avessimo perso un talento così. I numeri e i risultati non devono essere l’unico metro di giudizio per scovare i talenti. Bisogna guardare le prestazioni».

Ai mondiali U23 del 1996, Bettini quarto (fra Sgambelluri e l’iridato Figueras): fu l’unico ad avere una carriera importante
Bettini, quarto ai mondiali U23 del 1996, fu l’unico ad avere una carriera importante

Dalle intuizioni di Slongo sono giunti alla ribalta nomi del calibro di Vincenzo Nibali, Elia Viviani, Elisa Longo Borghini e Peter Sagan. Lo slovacco è un altro esempio lampante.

«Peter – spiega Paolo – venne scartato dalla Quick Step in seguito ai valori ritenuti nella media da un università che collaborava con la squadra».

Il bacino di utenza

Gli esempi che vengono proiettati dal diesse sono quelli di campioni e fuoriclasse che sono migrati da altre discipline per venire ad eccellere nel ciclismo.

Greg Van Avermaet calciatore fino a 20 anni, così anche Remco Evenepoel fino ai 17 anni. Oppure Primoz Roglic saltatore con gli sci fino ai 22 anni. Un altro esempio citato a chilometro zero è Roberto Menegotto di San Donà di Piave, anche lui calciatore prima, diventato ciclista professionista poi.

«Una volta era più facile trovare il talento – riprende Slongo – per risorse e quantità di praticanti. Al giorno d’oggi bisogna attingere anche da altri sport per poter allargare gli orizzonti. Un altro punto legato a questo discorso è la variazione delle discipline. Si arriva troppo presto alla specializzazione. Un atleta deve poter praticare più sport. Se sceglie il ciclismo deve poter fare più discipline, dalla pista alla Mtb e il ciclocross». 

Il pubblico composto da giovani, allenatori e genitori ha seguito attentamente ogni passaggio del diesse trevigiano
Il pubblico ha seguito attentamente ogni passaggio del trevigiano

Età biologica ed età anagrafica

L’intervento di Slongo è ormai al termine. Un ultimo punto viene toccato e riguarda le età degli atleti. La differenza tra quella anagrafica e quella biologica. Si sofferma sulla categoria degli allievi, dove secondo lui la differenza tra sviluppo fisico e carta d’identità fa più “danni”. Le prime convocazioni arrivano e i risultati iniziano a essere importanti per gli atleti.

«Secondo uno studio fatto dalla FCI – mostra sulla lavagna il diesse – i primi tre degli ordini d’arrivo degli allievi, hanno un’età biologica superiore di quasi due anni. Il grosso rischio per i selezionatori è di prendere strade sbagliate, mentre gli atleti rischiano di smettere precocemente per mancanza di risultati».

Dal pubblico sorge una domanda su questo argomento. Ed è proprio Roberto Menegotto, uno degli esempi citati prima a porla: «Il rischio più grosso di perdere opportunità è proprio legato a questo aspetto. Ogni fisico è fatto a suo modo e ha un proprio tempo di sviluppo. Come si potrebbe risolvere questo equivoco?».

La risposta di Paolo Slongo è semplice e diretta: «Facendo più incontri come questi, trasmettendo il messaggio di lavorare con calma e non pensare solo ai risultati. Si devono guardare le prestazioni, l’intelligenza, le lacune e lavorare duramente, senza esasperare alcun aspetto».

Parigi-Roubaix: spiamo tra i ricordi e la startlist con Ballan

02.10.2021
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Domenica si ritorna a correre la Parigi-Roubaix, due anni e mezzo dopo l’ultima edizione, vinta dal principe Philippe Gilbert (foto di apertura). Sono cambiate tante cose in questo periodo di assenza dall’inferno del Nord, l’unica cosa che non è cambiata è la magia della corsa più particolare del calendario ciclistico. Si corre in un periodo diverso e questo ve lo abbiamo già anticipato.

Ora analizziamo le possibili situazioni che vedremo domenica in gara, con l’aiuto di uno che, nel fango del Nord, ha sempre lasciato l’impronta. Abbiamo chiesto ad Alessandro Ballan chi saranno i favoriti di questa Parigi-Roubaix, ci sono tanti corridori che si vorranno mettere in mostra: passando dal duo del ciclocross, Van Aert e Van Der Poel fino ai nostri azzurri.

Alessandro Ballan è un vero esperto di pavé, con una vittoria al Fiandre (2007) e tre terzi posti alla Roubaix (2006, 2008, 2012)
Ballan è un vero esperto di pavé, con una vittoria al Fiandre (2007) e tre terzi posti alla Roubaix (2006, 2008, 2012)

Il veneto è già al velodromo di Roubaix, oggi hanno corso le donne con la vittoria di Lizzie Deignan davanti a Marianne Vos ed Elisa Longo Borghini. Domani sarà la volta dei loro colleghi uomini a darsi battaglia sulle pietre della Roubaix. «Fa davvero freddo – incalza Alessandro – domani è prevista pioggia che continuerà tra la notte di sabato e domenica. Correre in queste condizioni diventa proibitivo, il pavé bagnato è peggio del ghiaccio. Ricordo una delle mie prime Parigi-Roubaix, pioveva molto e al primo tratto in pavé metà gruppo era già a terra.

«E’ una gara particolare – rincomincia Alessandro ripescando dai ricordi – ci vogliono gambe e tecnica ma anche tanta fortuna, io la prima volta sono caduto 6 volte. Devi sempre correre nelle prime posizioni del gruppo, se finisci dietro è difficile recuperare e tornare in gara. Se piove diventa ancora più infernale, il nervosismo cresce e gli errori sono dietro l’angolo».

Quanto conta non aver corso qui per più di due anni?

Moltissimo, c’è il rischio di disabituarsi alla corsa e di “dimenticarsi” cosa vuol dire gareggiare da queste parti. Personalmente quando sono mancato un paio di anni ho sofferto molto il rientro, però qui il discorso vale per tutti. Diciamo che chi ha già una lunga esperienza su queste strade è leggermente avvantaggiato.

Van Der Poel non l’ha mai corsa, neanche da dilettante

Lui appartiene alla categoria dei fenomeni e questo gli dà un vantaggio, poi come Van Aert viene dal ciclocross, sanno guidare la bici in situazioni complicate. L’unica pecca, che alla Roubaix lo condizionerà molto, è il suo correre in coda al gruppo, prendere i tratti di pavé nelle ultime posizioni ti lascia in balia degli eventi e non va bene.

Alla Parigi-Roubaix Van Aert e Van Der Poel potranno sfruttare la loro abilità nella guida della bici.
Alla Parigi-Roubaix Van Aert e Van Der Poel potranno sfruttare la loro abilità nella guida della bici.
Visto che lo hai nominato, Van Aert come lo vedi?

Al mondiale ha sofferto molto la pressione. La condizione ed il colpo di pedale a mio avviso ci sono, potrà fare bene. Direi che chi ha fatto il mondiale domenica ha una marcia in più, che puoi raggiungere solamente se corri queste gare, in allenamento non l’avrai mai. Per farvi capire quanto è importante correre avanti vi faccio un esempio. Nel 2019 Van Aert forò nella Foresta di Arenberg, ci mise 15 chilometri a rientrare in gruppo. Per questo dico che serve fortuna, un episodio del genere rischia di farti uscire subito di gara.

Come Hincapie nel 2012 quando arrivasti terzo dietro Boonen e Tourgot.

Esattamente, la Foresta ti inghiotte e rischi che non ti risputi più. Alla mia prima Roubaix la approcciamo a 65 all’ora davanti a me caddero 20 atleti ed anche una moto ripresa.

I nostri azzurri come li vedi?

Trentin ci sguazza in queste situazioni, quando piove e fa freddo lui va veramente forte. Non bisogna trascurare Colbrelli e Nizzolo che sono usciti bene dal mondiale. Una menzione speciale per Moscon e Ballerini: loro possono essere dei buonissimi outsider con azioni da lontano.

Trentin e Colbrelli saranno due possibili outsider, il corridore della UAE caduto al mondiale vorrà riscattarsi
Trentin e Colbrelli saranno due possibili outsider, il corridore della UAE caduto al mondiale vorrà riscattarsi
Anche se la Quick Step ha una corrazzata…

A maggior ragione Ballerini potrebbe dire la sua, magari con azioni da lontano, Stybar, Lampaert e Asgreen rischiano di rimanere intrappolati in troppi tatticismi. Lefevere avrà il suo bel da fare per decidere la tattica di gara anche se tutte le squadre portano almeno due “punte”.

Per via delle numerose incognite?

Se una squadra vuole vincere deve avere un “piano b”, non ti puoi affidare ad un solo corridore.

Esempio la Bora: Politt e Sagan, il tedesco nel 2019 ha fatto secondo.

Politt è il corridore con il fisico più adatto a questa corsa, ha sempre fatto bene sulle pietre della Parigi-Roubaix. Probabilmente lui lo useranno per provare a smuovere la situazione già da lontano, mentre Peter Sagan, che non va mai sottovalutato, cercherà di arrivare nel gruppetto finale.

Invece l’ultimo vincitore, Gilbert, ha delle possibilità?

La sua presenza la vedo più come il canto del cigno, non ha corso il mondiale e questo influisce sulla condizione. E’ venuto per indossare il numero uno e perché la sua presenza sarà utile alla squadra.

Jonathan Milan, prima apparizione alla Parigi-Roubaix per il ventunenne della Bahrain-Victorious
Jonathan Milan, prima apparizione alla Parigi-Roubaix per il ventunenne della Bahrain-Victorious
L’Italia conta anche su Jonathan Milan, anche lui ha il fisico da Roubaix.

Jonathan fisicamente mi ricorda Boonen, sono molto simili sia in altezza che peso (Milan è più alto di 2 centimetri rispetto a Boonen, il peso differisce di un chilo a favore del friulano, ndr). Un consiglio che gli darei, ripensando alle mie prime Parigi-Roubaix, è quello di provare a centrare una fuga. Magari di una decina di atleti, potrebbe arrivare alla fine.

Come Dillier nel 2018 che fu ripreso a pochi chilometri dal velodromo ed arrivò secondo dietro Sagan.

Questa situazione è successa numerose volte, in fuga si va regolari e si corrono meno rischi, poi il gruppo pian piano si assottiglia ed aumentano le possibilità di arrivare in fondo.

100% presenta l’occhiale Hypercraft amato anche da Sagan

18.08.2021
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100%, marchio californiano specializzato nella realizzazione di occhiali e maschere per il ciclismo, abbigliamento tecnico e protezione sportiva, da diversi anni è partner tecnico di Peter Sagan. Fra i modelli di occhiali maggiormente apprezzati dal campione slovacco troviamo gli Hypercraft. Si tratta di occhiali pensati per chi ama indossare un occhiale altamente performante e nello stesso tempo confortevole. Ad attirare subito la nostra attenzione è il loro sorprendente peso, che potremmo quasi definire “piuma” dal momento che è di soli 23 grammi. A contribuire alla sua estrema leggerezza sono diversi fattori a partire dalla montatura Ultra Carbon che prevede un mix di materiali come carbonio e nylon che conferiscono all’occhiale alcune importantissime caratteristiche quali leggerezza, resistenza agli urti, ma anche all’usura.

Comfort garantito

A rendere ancora più speciali gli Hypercraft ci pensa sicuramente il fattore comfort. Quest’ultimo è garantito ai massimi livelli dagli inserti in gomma grippante, posti sulla parte terminale delle astine e sul nasello intercambiabile. Grazie a tali inserti viene evitato ogni possibile spostamento dell’occhiale anche in fasi di corsa estremamente concitate, come uno scatto improvviso o una brusca frenata in discesa.

Le astine degli Hypercraft garantiscono stabilità e aderenza grazie agli inserti in gomma grippante
Le astine degli Hypercraft garantiscono stabilità e aderenza grazie agli inserti in gomma grippante

Lenti speciali

Il punto di forza degli Hypercraft risiede sicuramente nelle lenti Ultra HD, realizzate in policarbonato infrangibile e resistente agli urti. Esse garantiscono una visibilità speciale grazie ad alcuni specifici trattamenti utilizzati in fase di realizzazione, come quello idrofobico-oleorepellente che rende gli occhiali utilizzabili anche col maltempo e grazie al quale acqua e sporco scivolano via facilmente.

Le lenti Ultra HD sono realizzate in policarbonato, donano resistenza e traspirabilità all’occhiale
Le lenti Ultra HD sono realizzate in policarbonato, donano resistenza e traspirabilità all’occhiale

Ventilazione top

Le lenti presentano inoltre prese d’aria nella parte superiore e in quella inferiore in modo da aumentare la ventilazione e ridurre allo stesso tempo la possibilità di appannamento. Sono inoltre previste di un rivestimento antigraffio di altissima qualità, che conferisce ad esse la migliore protezione.
Gli Hypercraft sono disponibili anche con lenti HIPER fotocromatiche di altissima qualità che garantiscono maggiore contrasto. Ricordiamo che 100% è distribuita in Italia da A.M.G. srl.

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Ballerini. E lo chiamano velocista…

24.10.2020
3 min
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E lo chiamano velocista! Davide Ballerini è stato uno dei protagonisti di questo Giro d’Italia. Il ragazzo della Deceuninck-Quick Step si è visto soprattutto per l’appoggio alla maglia rosa di Joao Almeida. Tirandolo persino in salita.

Anche oggi è andato in fuga. E’ stato il primo a rientrare sull’attacco di uno scalatore come Nicola Conci. Ha attaccato in discesa. Ha tirato nel primo passaggio verso il Colle e anche nel fondovalle per Almeida. E lo chiamano velocista…

Davide Ballerini, da notare la cicatrice sul suo zigomo sinistro
Da notare la cicatrice sul suo zigomo sinistro

Un uomo squadra

In pianura, in salita, sul passo, Ballerini si è mostrato davvero un uomo squadra, anche sacrificando se stesso a volte.

«La tappa di oggi è stata bellissima. Conoscevo queste salite. Ero già stato al Sestriere quando ero venuto in ritiro con la nazionale under 23. Abbiamo provato (con lui c’era anche il compagno Serry, ndr) ad andare in fuga per vincere la tappa ma non ci siamo riusciti. Il gruppo non ci ha lasciato tanto spazio».

La squadra è sempre in cima ai suoi pensieri. Tanto che torna a parlare subito di Almeida.

«Joao ha dato ancora una volta una grande prova di sé stesso. Ha guadagnato qualcosa per il podio e domani sono certo che darà ancora il massimo. Mi dispiace che a crono non possiamo aiutarlo!

«Credo che noi della Deceuninck abbiamo fatto un grandissimo Giro. Compatti, uniti, amici. E quando è così fai la differenza. Siamo tutti giovani e abbiamo tenuto la maglia 15 giorni. Per Joao non è stato facile, perché se facciamo il conto lui ha almeno 15 ore di riposo in meno rispetto a tutti gli altri. Ogni sera arrivava in hotel più tardi, tra antidoping e interviste. Però ha tanta strada avanti a sé».

Sorpreso…

Davide vanta un palmares di corse veloci forte, ma ormai definirlo sprinter può sembrare riduttivo. Questa sua duttilità e queste sue performance nella terza settimana potranno cambiare qualcosa nel prosieguo della sua carriera?

«A dire la verità sono meravigliato anch’io. In quest’ultima settimana mi sono sentito molto bene rispetto all’inizio. Ho sentito che la gamba c’era e ho dato il massimo per aiutare team. Ci ho provato nella terza tappa, ma purtroppo non sono riuscito a vincere. Però credo che l’importante sia esserci ed esserci sempre». 

Il colpo di reni a Villafranca Tirrena con Demare e Sagan. Lui è il terzo.
Il colpo di reni a Villafranca con Demare e Sagan

Grinta e lavoro

Grinta e serietà non mancano. Mentre parla si nota la cicatrice (con i punti che penzolano) sotto l’occhio sinistro. Una ferita frutto di un scontro con un cartello uscendo da una curva. 

«Per fortuna sono riuscito a schivarlo con il resto del corpo! Ma pensiamo all’anno prossimo e alle Classiche. La mia foto del Giro? Bella domanda. Beh, lo Stelvio in quelle condizioni è stato fantastico. Però credo che il colpo di reni a Villafranca Tirrena sia unico. Sulla linea con Sagan e Demare. E’ da incorniciare. E anche da lavorarci su».

I graffi di Gatto, capitano e gregario

24.10.2020
5 min
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Qualche giorno fa Oscar Gatto ha chiuso la sua carriera. Il corridore veneto ha disputato le ultime gare in Belgio. E proprio lassù ha preso la decisione: basta con il ciclismo.

Oscar appende la bici al chiodo dopo 14 anni di professionismo. Corridore molto veloce e uomo squadra, capitano e gregario. Ma quando ha avuto le sue possibilità se le è giocate alla grande.

Il feeling perduto

«Ad un tratto – racconta Gatto – ho sentito dentro di me che mancava qualcosa per correre in bici. Ho capito che era il momento di dire basta. Io non faccio mai le cose a caso. Ci pensavo già da un po’, ma alla fine la decisione l’ho presa la settimana scorsa. Un altro anno lo avrei potuto fare di sicuro. Ma il feeling con la bici, con gli allenamenti, con la corsa non c’era più».

Oscar Gatto (35 anni) sui muri del Fiandre
Gatto (35 anni) sui muri del Fiandre

Tra i primissimi a chiamare Oscar sono stati Luca Scinto e Angelo Citracca, coloro che hanno vissuto forse il miglior Gatto della carriera. Un rapporto verace, spontaneo il loro. Anche noi assistemmo a quelle trasferte in Belgio. E la battuta nel clan di Citracca era sempre pronta. 

«Devo dire che loro due mi hanno chiamato subito, ma lo hanno fatto in tanti. Anche il mio massaggiatore da dilettante, Raniero Gradi».

Un ragazzino grintoso

Primi passi nel professionismo sul finire del 2006, quando esordì nel Gp Beghelli. Oscar arrivò nel drappello di testa. L’anno dopo passò alla Gerolsteiner, prima di approdare alla corte di Scinto, all’epoca Isd Cycling Team. WolrdTour, Professional, ancora WorldTour. Il ragazzo diventa uomo. Si sposa, diventa papà…

«In tanti anni il ciclismo mi ha insegnato molto. Sono pronto a pedalare anche nella vita. Si dice sempre che se hai fatto il ciclista non sai fare nulla. Penso che la bici t’insegni a stringere i denti. E questa cosa te la ritrovi anche dopo. La fatica non si fa solo in sella.

«Ho girato il mondo. Ho imparato a vedere le cose sotto più punti di vista e non solo dal nostro mondo. Viaggiare ti dà prospettive più ampie. E ho imparato anche a conoscere le persone più a fondo, di alcuni ti puoi fidare e di altri no».

Il ragazzo di Montebelluna era senza dubbio un uomo veloce, però se la cavava quando le strade erano ondulate o c’erano momenti difficili. Strappi, vento e pavé. Se la cavava per lui e per i suoi capitani. Non è un caso che i suoi ricordi più belli siano legati a queste situazioni.

Giro 2011, Oscar alza le braccia davanti a Contador
Giro 2011, Oscar alza le braccia davanti a Contador

La perla di Tropea

Il clou è certamente quella mitica tappa del Giro d’Italia 2011. Si andava da Sapri a Tropea, 217 chilometri sotto il sole e i colori del Sud. Mare ed entroterra si alternavano senza sosta. La star del Giro era un certo Alberto Contador e in rosa c’era Peter Weening.

«E’ ancora è un’emozione quella tappa per me. Ricordo la scarica di adrenalina mentre taglio la linea d’arrivo. A metà corsa vado in ammiraglia e sparo anche due cavolate con Scinto. Gli dico: “Pitone (il soprannome del ds toscano, ndr), sull’ultima salita stacco tutti e arrivo solo”. Mi guarda ridendo e io stesso me ne vado sorridendo. Fatto sta che prendo lo strappo finale davanti. E non fu neanche così difficile quella “limata”. Sapete, la giornata perfetta. Mi alzo, scatto forte e vado. Solo ad un certo punto ho avuto paura. Fu l’unico momento duro della giornata. Vedo la sagoma di uno che mi insegue. Solo dopo ho saputo che era Contador».

Vincere davanti al Pistolero esaltò quella vittoria, che fu un vero capolavoro tecnico, tattico e atletico. La presa della salita, i tempi e la forza dello scatto furono perfetti.

Con Luca Scinto un rapporto di amicizia…
Con Scinto un rapporto di amicizia…

Quella volta da capitano

Il Nord è la seconda casa di Oscar. Con il Belgio ha sempre avuto un grande feeling. Tante volte è stato respinto, ma tante altre gli è andata bene, come alla Dwars door Vlaanderen 2013, importante classica.

«Era un giorno freddissimo – ricorda il corridore della Bora Hansgrohe – a tratti nevicava. Più andavamo avanti e più la gente si staccava. Io ero lì e stavo bene. Ai meno tre, parte Thomas Voekler e tra me e me dico: è andata. Poi Ian Stannard inizia a tirare sempre di più. Voekler sta quasi per arrivare e così penso: parto lungo, perso per perso… E invece la gamba rispondeva bene, spingevo forte e vinsi.

«Alla fine di quella stagione litigai anche con Scinto, perché avrei cambiato squadra. Poi le cose negli anni le abbiamo sistemate benone».

Sagan lo ha voluto con sé anche alla Bora-Hansgrohe
Sagan lo ha voluto con sé anche alla Bora-Hansgrohe

Quella volta da gregario

«Un altro ricordo a cui sono legatissimo – racconta Oscar – è la vittoria di Peter Sagan al Giro delle Fiandre. Correvo con lui alla Tinkoff. Quel giorno avevamo anticipato. Ad una trentina di chilometri ci riprendono. Peter si avvicina a me e mi fa: come stai? Io: bene. E lui: okay, proviamo una volta per uno. Allora io gli feci: Peter aspetta, il mio bene è diverso dal tuo! Così mi disse di tirare. Poco dopo partì come un fulmine. Lo seguì Kwiatkowsy, che lo aveva battuto pochi giorni prima ad Harelbeke. Però Sagan lo staccò. Per radio sentivo il vantaggio che aumentava e fu bellissimo. Io ero pronto a chiudere, ma mi godevo lo spettacolo di Peter. All’arrivo lui mi ringraziò subito e il suo abbraccio fu sincero. La sera dovevo rientrare, ma non presi quell’aereo. Restammo tutti insieme a fare festa nel mitico Park Hotel di Kortrijk».

E adesso? Adesso Oscar si godrà la famiglia. Ha in serbo diversi progetti, tutti fuori dal mondo del ciclismo. Prima però vuole fermarsi un po’, rilassarsi e schiarirsi le idee. In fin dei conti la sua volata l’ha appena finita.

Ulissi

Ulissi, ad Agrigento sprint perfetto

04.10.2020
3 min
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L’arrivo di Agrigento ricorda vagamente quello di Fiuggi del 2015. Strada che sale nel finale, velocisti che saltano, corridori potenti che si sfidano e Diego Ulissi che partendo “agile” (aveva il 53×15) li beffa tutti.

Quello che ospitò anche i mondiali del 1994, sembrava l’arrivo perfetto per Peter Sagan e Michael Matthews. Ma alla fine grazie a freddezza tattica, un grande gregario come Valerio Conti e gambe ottime, Ulissi è riuscito a far fuori l’asso della Bora-Hansgrohe. Il toscano, settimo sigillo nella corsa rosa, si riprende così dopo un approccio non perfetto al Giro.

Delusione iridata, gioia rosa

«Avevo vinto al Lussemburgo e mi aspettavo grandi cose al mondiale», racconta Ulissi. «Invece ad Imola sono stato male nel finale. Ho vomitato nel momento clou. Forse alla vigilia avevamo mangiato troppo. Cosa? Le solite cose: pasta, carne bianca… Io poi avverto molto gli sbalzi di temperatura. Ad Imola siamo passati dal caldo al freddo all’improvviso. Arrivarci con quella condizione e raccogliere così poco mi ha dato davvero fastidio.

«Non solo, ma poi sono stato male anche nei giorni successivi e temevo per il Giro. Il covid? No, non ho mai pensato di poterlo avere. Primo perché facevamo continuamente i tamponi e poi perché non ho mai avuto la febbre».

Giro d’Italia, Alcamo-Agrigento. Ulissi abbraccia il compagno di squadra Valerio Conti
Ulissi abbraccia il compagno di squadra Conti

La stoccata perfetta 

Quel momento però è alle spalle. Questa vittoria lo fa sorridere, dà certezze e morale. In conferenza stampa Ulissi indossa la maglia ciclamino. Lui assicura che non la terrà. Piuttosto cercherà di passarla al compagno di squadra Gaviria. Sempre molto generoso.

Il gioco di squadra oggi è stato un meccanismo perfetto, così come la scelta del rapporto per lo sprint e le tempistiche per l’attacco.

«Gli ho detto di provare, ma Fernando ha lasciato spazio a me. Nelle tappe veloci lavorerò per lui. In frazioni con strappi così cercherò io di portare a casa il risultato. Sapevo che dopo quel buco ai 600 metri chiunque fosse rientrato avrebbe speso tanto. Io invece prima dell’ultima curva sono anche riuscito a recuperare un po’. E infatti Sagan non mi ha rimontato. Un grande merito è di Conti che ha fatto esattamente quello che gli ho detto». 

Consapevolezza e maturità

Spesso ad Ulissi è stato imputato il limite della distanza. Sopra certi chilometraggi Diego non sfrutta le sue qualità. Perde forza e spunto veloce. 

«Noi della Uae siamo qui al Giro per vincere più tappe possibili. Per quanto mi riguarda ho fatto gare belle anche nelle classiche. Ho raccolto un terzo posto alla Freccia Vallone lo scorso anno. Però sono realista, guardo i numeri e so che certi numeri non ce li ho. Certo che mi piacerebbe vincere una Liegi, la corsa dei miei sogni, o un Lombardia. E magari chissà, un giorno ce la farò. Ad oggi però i risultati dicono che non ho vinto quelle gare». 

Quest’ultima frase è una presa di coscienza molto importante. A nostro avviso non è un ridimensionamento ma un segno di maturità. Saper valorizzare quel che si ha e non piangere per le mancanze magari potrà dargli quella serenità e quella sicurezza per spingersi oltre.