La cornice è intima, il luogo è una palestra nel paese di Musile di Piave in provincia di Venezia. Viene da chiedersi perché Paolo Slongo sia qui. L’allenatore della Trek-Segafredo meriterebbe di parlare a platee più gremite e perché no, paganti. Ma non appena veniamo accolti sul posto e le sedie iniziano a riempirsi, si capisce che qui lo sport sia educazione e rispetto.
L’intervento di Slongo ha un fine ben preciso. Sensibilizzare e trasmettere la sua esperienza a genitori e allenatori. Con l’obiettivo preciso della delicata “ricerca del talento” (titolo della sua presentazione), senza però esasperare la ricerca o l’atleta stesso. I punti sono davvero tanti e riassumerli tutti sarebbe impossibile. Infatti ascoltando le parole del preparatore trevigiano, si capisce che questo tipo di incontri dovrebbero avere luogo in tutte le realtà che trattano di ciclismo giovanile e non solo.
Che cos’è il talento?
Dopo una breve introduzione delle autorità comunali presenti, comincia l’intervento. Slongo inizia ringraziando chi ha dato spazio e allo stesso tempo gode della sua presenza: «Ringrazio per l’invito Tarcisio Bettin della polisportiva Musile e Giuseppe Moro per aver organizzato questo incontro».
Il primo punto è una domanda, a cui tutti vorremmo una risposta. Che cos’è il talento?
«Secondo me il talento – dice Slongo – è un’attitudine innata o personale. Avere talento significa riuscire a fare facilmente con naturalezza qualcosa che risulta difficile a quanti non sono dotati di quel talento».
Una definizione che racchiude tanta esperienza e potrebbe già essere un mantra. «Al talento però – continua il diesse – va aggiunto il duro lavoro. I primi anni che ho lavorato con Nibali alla Liquigas, non nascondo che abbiamo avuto parecchie frizioni. Non capiva tutta l’importanza che davo alla preparazione nonostante le sua doti. Nel 2010 dopo il terzo posto al Giro d’Italia e la vittoria della Vuelta, ha cambiato mentalità e abbiamo iniziato il nostro percorso insieme».
Impegno e calma
Ci sono esempi di tutti i tipi nel mondo del ciclismo e storie che potrebbero riempire libri interi. In tutte queste è presente il talento. Con il duro lavoro questo può essere esaltato e far diventare l’atleta un campione o un fuoriclasse.
«Il fuoriclasse – spiega Slongo – ha quattro aree completamente sviluppate: cuore, testa, fisico e tecnica/tattica. Due esempi sono Nibali e Sagan. Il campione invece non ha una di quelle quattro aree, ma ha lavorato per chiudere le eventuali lacune. Basso e Aru tra questi».
Lo schema presentato è semplice, ma fine a se stesso se non c’è una lettura da parte di qualcuno. Gli allenatori infatti devono scovare e fare crescere i corridori senza però mettere pressione. Stesso discorso vale per i genitori che spesso sono l’ago della bilancia per la realizzazione di una carriera sportiva.
Un altro punto è la calma. «Nel 2010 – racconta Paolo – Sagan vinse due tappe alla Parigi-Nizza da giovanissimo. RCS chiamò Roberto Amadio, allora team manager della Liquigas, per avere Sagan alla Milano-Sanremo. Ma Roberto decise di non mandare Peter. Aveva la paura potesse vincere la Sanremo e bruciare le tappe».
La sinossi è chiara. Un percorso diretto al successo può portare a pressioni elevate e responsabilità difficili da sopportare da giovani o a inizio carriera.
Se il talento si nasconde
Scorrono le slide, le nozioni e i consigli sono preziosi. I ragazzi, i genitori e gli allenatori seduti sono attenti e interessati. Compare sul telo del proiettore una foto emblematica. Un podio del campionato U23 del mondo totalmente dominato dall’Italia. Lugano 1996, primo Giuliano Figueras, a seguire Roberto Sgambelluri e Gianluca Sironi. L’unico senza medaglia, al quarto posto, con sguardo pensieroso, è Paolo Bettini.
«Non devo certo dirvi chi sia Paolo Bettini – dice Slongo – ma pensate se da quel quarto posto avessimo perso un talento così. I numeri e i risultati non devono essere l’unico metro di giudizio per scovare i talenti. Bisogna guardare le prestazioni».
Dalle intuizioni di Slongo sono giunti alla ribalta nomi del calibro di Vincenzo Nibali, Elia Viviani, Elisa Longo Borghini e Peter Sagan. Lo slovacco è un altro esempio lampante.
«Peter – spiega Paolo – venne scartato dalla Quick Step in seguito ai valori ritenuti nella media da un università che collaborava con la squadra».
Il bacino di utenza
Gli esempi che vengono proiettati dal diesse sono quelli di campioni e fuoriclasse che sono migrati da altre discipline per venire ad eccellere nel ciclismo.
Greg Van Avermaet calciatore fino a 20 anni, così anche Remco Evenepoel fino ai 17 anni. Oppure Primoz Roglic saltatore con gli sci fino ai 22 anni. Un altro esempio citato a chilometro zero è Roberto Menegotto di San Donà di Piave, anche lui calciatore prima, diventato ciclista professionista poi.
«Una volta era più facile trovare il talento – riprende Slongo – per risorse e quantità di praticanti. Al giorno d’oggi bisogna attingere anche da altri sport per poter allargare gli orizzonti. Un altro punto legato a questo discorso è la variazione delle discipline. Si arriva troppo presto alla specializzazione. Un atleta deve poter praticare più sport. Se sceglie il ciclismo deve poter fare più discipline, dalla pista alla Mtb e il ciclocross».
Età biologica ed età anagrafica
L’intervento di Slongo è ormai al termine. Un ultimo punto viene toccato e riguarda le età degli atleti. La differenza tra quella anagrafica e quella biologica. Si sofferma sulla categoria degli allievi, dove secondo lui la differenza tra sviluppo fisico e carta d’identità fa più “danni”. Le prime convocazioni arrivano e i risultati iniziano a essere importanti per gli atleti.
«Secondo uno studio fatto dalla FCI – mostra sulla lavagna il diesse – i primi tre degli ordini d’arrivo degli allievi, hanno un’età biologica superiore di quasi due anni. Il grosso rischio per i selezionatori è di prendere strade sbagliate, mentre gli atleti rischiano di smettere precocemente per mancanza di risultati».
Dal pubblico sorge una domanda su questo argomento. Ed è proprio Roberto Menegotto, uno degli esempi citati prima a porla: «Il rischio più grosso di perdere opportunità è proprio legato a questo aspetto. Ogni fisico è fatto a suo modo e ha un proprio tempo di sviluppo. Come si potrebbe risolvere questo equivoco?».
La risposta di Paolo Slongo è semplice e diretta: «Facendo più incontri come questi, trasmettendo il messaggio di lavorare con calma e non pensare solo ai risultati. Si devono guardare le prestazioni, l’intelligenza, le lacune e lavorare duramente, senza esasperare alcun aspetto».