A tu per tu con Heijboer, il coach della Jumbo-Visma

04.12.2022
6 min
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Mathieu Heijboer è il responsabile delle prestazioni della Jumbo-Visma. In pratica preparatori e atleti fanno riferimento a lui. Molti dei metodi della preparazione, ma anche della programmazione della squadra che ha vinto il ranking UCI 2022 passano da lui.

Con grande cortesia, Heijboer ci ha dedicato del tempo. Una lunga chiacchierata mentre i suoi atleti si apprestano a ricominciare la stagione. Parlando con il filiforme coach olandese (nella foto di apertura) emerge molto dell’identità dei gialloneri.

I ragazzi di Heijboer, qui in una ricognizione dell’anno scorso, hanno ripreso ad allenarsi. Presto saranno tutti insieme al caldo della Spagna
I ragazzi di Heijboer, qui in una ricognizione dell’anno scorso, hanno ripreso ad allenarsi. Presto saranno tutti insieme al caldo della Spagna
Mathieu, parlando con i tuoi ragazzi tutti ci hanno risposto che ancora non conoscevano i loro programmi 2023. Quando li farete?

Durante il prossimo ritiro in Spagna nei prossimi giorni. In questa fase siamo molto impegnati con questo – e indica il via vai di sponsor e pratiche preliminari all’interno del loro Service CourseCon gli allenatori e con i corridori ne parleremo tutti insieme. Prima noi, poi loro.

I ragazzi hanno iniziato già la preparazione?

Sì, ma non nello specifico. Hanno ripreso a pedalare. Per ora ci assicuriamo che tutta l’attrezzatura sia a posto. I ragazzi stanno iniziando i loro programmi e poi tra due o tre settimane ci riuniremo con tutti a Denia e da lì inizieremo davvero a preparare la stagione 2023.

La Jumbo-Visma ha stupito per i suoi risultati, ma anche per l’attenzione ai tanti dettagli: che cosa per te incide di più?

Ovviamente devi essere in grado di sprigionare la potenza, quindi dal punto di vista meccanico la posizione della bici è importante. Ma la cosa più importante alla fine è l’aerodinamica. Non proprio sempre, ma quasi sempre. Gli studi ci dicono questo. La resistenza dell’aria è sempre la più grande da superare. La leggerezza, il peso, contano davvero solo quando le salite sono molto ripide. Ma nell’80-90% delle situazioni in cui può ritrovarsi un professionista l’aerodinamica è la cosa più importante. 

Laporte è stato il corridore che più ha sorpreso Heijboer, anche più di Vingegaard (evidentemente conosceva il valore sei suoi atleti)
Laporte è stato il corridore che più ha sorpreso Heijboer, anche più di Vingegaard (evidentemente conosceva il valore sei suoi atleti)
Vingegaard ha vinto, Kooij è esploso, Van Aert ha impressionato… Ma c’è qualcuno dei tuoi atleti che ti ha colpito particolarmente? C’è stata per te una sorpresa?

Sì ed è Christophe Laporte – risponde secco Heijboer – Apro gli occhi e mi dico: “Ma quanto è forte!”. Sapevamo già che aveva un grande potenziale e avevamo molta fiducia in lui. Ma le sue prestazioni durante tutto l’anno sono state davvero molto buone. Bravo come uomo squadra, bravo come leader, sa vincere, bravissimo a posizionarsi in gruppo, ha senso tattico… È stato davvero molto meglio di quanto pensassimo.

Che Vingegaard abbia dei margini lo avevi già detto, ma Roglic? Primoz può ancora crescere e soprattutto può confermarsi?

Ovviamente sì. Tutti possiamo migliorare ogni anno, ma per farlo bisogna avere nuovi stimoli. Quindi dobbiamo dare ai ragazzi una nuova preparazione, cambiare qualcosa. Ma anche nuove attrezzature. Ed è, come vedete, quello che stiamo facendo qui con le nuove scarpe, con i nuovi gruppi, i nuovi pedali…  Sono cose che miglioreranno il ciclista nel suo insieme. Posso dire che il prossimo anno diventeremo più aerodinamici, biomeccanicamente superiori. Quindi non è solo in allenamento che si può migliorare ma anche in tutto ciò che c’è intorno.

Tra i corridori che invece hanno colpito noi c’è Tobias Foss. Lui può essere un corridore da corse a tappe?

Sì, sì – anche in questo caso Heijboer risponde senza indugio – ha davvero la capacità di farlo. Ma deve ancora migliorare qualcosa. Tobias ha ancora tre mesi davanti a lui. Può arrivare al livello che serve. C’è molta fiducia da parte del nostro team in lui perché sappiamo che ha le capacità per riuscirci. 

Tre mesi… Dunque Foss sarà al Giro il prossimo anno?

Non lo sappiamo ancora. Se va tutto bene con la preparazione, lui è corridore perfetto (pensando al percorso, ndr).

All’interno del Service Course anche una sala per i test degli atleti
All’interno del Service Course anche una sala per i test degli atleti
Mathieu, per te Wout Van Aert può battere il record dell’Ora stabilito da Ganna?

Dovrei studiare di più per poterlo dire, magari sì… Ma veramente dovrei analizzare di più i dati e sapere cosa è necessario per battere il record. Di sicuro, penso che nella nostra squadra sia l’unico in grado di farlo… 

Alla Jumbo-Visma Development avete scelto due ragazzi italiani: Belletta e Mattio: cosa ci dici di loro?

Dovreste chiedere al nostro direttore del team Development, Robbert De Groot. Lui è il nostro capo dello sviluppo ed è sempre alla ricerca di talenti. Ha molti contatti nel mondo. Se li ha presi è perché vede in loro molto potenziale. 

E come fate a stabilire questo potenziale?

Quando prendiamo dei ragazzi gli facciamo dei test qui, in questa sede. Abbiamo un laboratorio apposito. Ovviamente facciamo anche dei colloqui approfonditi. Cerchiamo sempre di scovare i ragazzi e non cerchiamo quelli che sono già i migliori negli ordini di arrivo. Nel caso dei due ragazzi italiani pensiamo che abbiano molto spazio per crescere in futuro. Ed ecco perché riteniamo che si adattino molto bene al nostro team. Speriamo di farne dei buoni professionisti. 

Heijboer vuole bissare il Tour, ma ha messo nel mirino anche i monumenti, a partire dal Fiandre e della Roubaix (in foto)
Heijboer vuole bissare il Tour, ma ha messo nel mirino anche i monumenti, a partire dal Fiandre e della Roubaix (in foto)
Cosa ti aspetti dalla tua squadra per il prossimo anno? Dopo aver vinto tanto non è facile ripetersi…

E’ difficile dire cosa ci aspettiamo, ma so cosa vogliamo. E ciò che vogliamo è diventare ancora migliori. Vogliamo vincere di nuovo il Tour, vogliamo vincere delle classiche monumento. Non abbiamo ancora vinto il Fiandre né la Roubaix, quindi lotteremo davvero per quelle gare. Le vogliamo. Vogliamo ancora vincere le grandi gare che non sono nel nostro palmares.

Sei uno dei preparatori più preparati e all’avanguardia, per te in questo ciclismo è possibile vincere Giro d’Italia e Tour de France nella stessa stagione?

Direi di no. Poi, aspettate, niente è impossibile. Ma penso che sia molto difficile, perché vincere il Giro significa dover fare molta preparazione in anticipo. E poi c’è la corsa. Devi tenere la concentrazione per tre settimane. E solo poche settimane dopo devi fare la stessa cosa al Tour. E nel mezzo non c’è abbastanza tempo per recuperare e non ti può allenare (nel senso di fare lavori specifici, ndr). 

Oggi però gli interpreti ci sarebbero: Pogacar, Vingegaard, Evenepoel…

Secondo me non è possibile. Da qualche parte in futuro ci sarà un corridore che potrà farlo. Per noi penso sia troppo difficile cercare di vincere il Giro e il Tour nello stesso anno.

Kooij sprinter del futuro… che non ha finito di crescere

03.12.2022
4 min
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Ventun anni compiuti da poco e già ben 15 vittorie in bacheca. E’ Olav Kooij da Numansdorp, nell’Olanda meridionale, la stessa terra che ha dato i natali alla famiglia Van der Poel, a Demi Vollering e a tanti altri campioni dei Paesi Bassi.

Capello biondo, fisico slanciato, una muscolatura potente ma non esagerata che lo rende compatto al tempo stesso, Kooij si annuncia come uno dei migliori velocisti della nuova generazione. Al netto del numero delle vittorie, i suoi sprint sono di peso. Quando è in volata ricorda molto Mark Cavendish. Si schiaccia tantissimo, ma lui sembra più elegante.

Primo settembre 2020, a Gatteo sfreccia un ragazzino della Jumbo-Visma Development
Primo settembre 2020, a Gatteo sfreccia un ragazzino della Jumbo-Visma Development

Da Gatteo a Monaco

Il talento della Jumbo-Visma è definitivamente esploso questa estate, quando dominò le prime frazioni del Giro di Polonia. La prima di queste 15 vittorie Olav la ottenne da noi in Italia.

Era la prima frazione della Coppi e Bartali del 2020 e la tappa era la Gatteo-Gatteo. Battè un altro ragazzino mica da ridere, Ethan Hayter. Da allora i successi si sono susseguiti fino ad arrivare all’ultimo, ottenuto a Monaco di Baviera (nella foto di apertura) lo scorso ottobre.

Questa volta i battuti sono stati ancora più importanti: Philipsen, Bennett, Jakobsen, Groenewegen. Quel giorno Kooij disse apertamente: «Vincere fa sempre piacere, ma è ancora più gradevole quando batti i migliori interpreti al mondo». Insomma “petto in fuori e spalle larghe”.

«Amo l’Italia – dice Kooij – ci sono venuto in vacanza da bambino. Mi piace molto anche la cultura del ciclismo, le corse che avete. Spero di farci ancora molte gare. E poi la cucina italiana è la migliore! Pizza, gelato, pasta…

«E’ stata una bella stagione e ho ancora addosso le belle sensazioni di questa annata. È stato bello. Voglio dire, ho fatto ancora dei bei passi in avanti e ho potuto festeggiare alcune belle vittorie».

Olav Kooij durante lo “sponsor day” presso il Service Course della Jumbo-Visma
Olav Kooij durante lo “sponsor day” presso il Service Course della Jumbo-Visma

Kooij e la salita 

«Per la prossima stagione devo ancora vedere bene i programmi, ne parleremo nel corso di questo mese, ma il mio obiettivo è continuare a crescere e a vincere». 

E per vincere bisogna allenarsi, non è una novità certo, ma bisogna farlo con criterio, oggi più che mai. Kooij ne è ben consapevole e seppure è un velocista sa bene che deve concentrarsi non solo sulle volate.

«E’ molto importante allenarsi in salita per un velocista – prosegue Kooij – Le gare del World Tour sono difficili e devi riuscire a sopravvivere alle salite. Non solo, ma è importante sopravvivere bene, perché devi arrivare al traguardo in buona forma, fresco per la volata. Noi velocisti dobbiamo trovare il giusto equilibrio tra la salita e l’essere esplosivi. Ed è una bella sfida!».

Kooij parla con calma e pondera bene le parole. Ha ragione il veterano della Jumbo-Visma, Jos van Emdem che qualche tempo fa aveva detto: «Olav ha molto talento ed è molto più vecchio di quanto si possa pensare. Non mi sembra un ragazzo che ha vent’anni, un ragazzo che potrebbe essere mio figlio».

Olav (classe 2001) non è solo uno sprinter, se la cava anche in salita
Olav (classe 2001) non è solo uno sprinter, se la cava anche in salita

Nel mito di Kittel

Prima abbiamo accennato alla posizione di Kooij, la quale ricorda non poco quella di Cavendish. Ma lui preferisce paragonarsi ad un altro grande sprinter.

«Cavendish, Bennett, Jakobsen quando sono al via sai che tutti vogliono vincere la gara e allora io mi concentro su me stesso. Cerco solo di fare del mio meglio e spero di poterli battere».

E quando gli diciamo di Cavendish ci pensa un po’ e risponde: «Quando ero giovane (come se fosse vecchio, ndr) ammiravo Marcel Kittel, era davvero forte. Aveva una potenza super. Ha vinto molte gare e io lo guardavo dalla televisione».

Viviani Ungheria 2022
Quest’anno al Giro d’Ungheria Kooij ha battuto di un soffio Viviani nella prima frazione
Viviani Ungheria 2022
Quest’anno al Giro d’Ungheria Kooij ha battuto di un soffio Viviani nella prima frazione

L’investitura di Viviani

Ma tornando al discorso della salita, Kooij sa che non potrà essere proprio come il suo idolo. Kittel oggi farebbe davvero fatica in questo ciclismo: troppo pesante, troppi muscoli. E lo sa bene anche Elia Viviani.

Recentemente il veronese ha detto alla Gazzetta dello Sport: «Jakobsen credo che sia il miglior sprinter attualmente, negli ultimi 200 metri è imbattibile. Attenzione per il futuro anche a Olav Kooij. Ha già mostrato consistenza e penso che possa solo migliorare».

Rispetto a molti sprinter Kooij è sì “muscolato” ma non è pesantissimo. E questo può agevolarlo non poco nell’identikit dello sprinter del futuro. 

Foss, vichingo dal carattere latino che ama l’Italia

02.12.2022
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Capello biondo, guance da vichingo e una chiacchiera infinita. Tobias Foss parla con tutti. Si aggira nel Service Course della sua Jumbo-Visma e trova sempre il modo di attaccare bottone. E’ simpatico, solare, disponibile e soprattutto è forte. Il sorriso non gli manca neanche mentre sta provando le nuove scarpe dopo gara.

Foss è il campione del mondo a cronometro, ma non va forte solo contro il tempo. Per molti è già considerato l’erede di Roglic e di Vingegaard. La sua vittoria contro il tempo a Wollongong ha stupito un po’ tutti, non ultimo se stesso.

Tobias iridato a Wollongong. Foss è di Vingrom (a meno di 10 chilometri da Lillehammer) è alto 1,84 e pesa 74 chili
Tobias iridato a Wollongong. Foss è di Vingrom (a meno di 10 chilometri da Lillehammer) è alto 1,84 e pesa 74 chili

E’ tutto vero

«Vero – racconta Foss – no, no… non me l’aspettavo per niente quella vittoria. In cuor mio miravo ad arrivare nei primi cinque. La vittoria non era mai stata nella mia immaginazione, quindi è stato davvero incredibile. E a volte ancora devo realizzare il tutto.

«Dopo questa importantissima vittoria, un po’ la mia vita è cambiata. Adesso ci sono così tante persone che vogliono un po’ di più di me ed è semplicemente… carino. Ma a parte questo il mio quotidiano non è cambiato molto». 

Tobias dovrà pure realizzare, ma intanto nel suo spazio tecnico, nell’immenso magazzino dei meccanici spunta il segno dell’iride sulle sue bici da crono. In particolare l’occhio ci va su una forcella profilata tutta bianca con l’arcobaleno.

Il norvegese è campione del mondo a crono. Sul suo “carrello tecnico” ecco una forcella aero con i colori dell’iride
Il norvegese è campione del mondo a crono. Sul suo “carrello tecnico” ecco una forcella aero con i colori dell’iride

Pianeta crono 

In Jumbo-Visma però non si siedono sugli allori. Si godono il momento positivo, i tanti e importanti successi ma vanno avanti. 

«Penso che in squadra – prosegue Foss – abbiamo trovato una bella chiave di lettura nello sviluppo dei materiali e delle preparazioni. Quindi continuiamo a lavorare in questo modo. Di certo da parte mia, avendo questa maglia sulle spalle, passerò più tempo sulla bici da crono.

«Non ne sono ancora sicuro, ma dovrebbero fare il manichino per la galleria del vento anche per me. Sarà interessante vedere come testeranno i materiali e vedere come potrà essere migliorata la mia posizione in bici».

Foss entra di diritto tra i giganti della crono. La specialità contro il tempo sta vivendo un’era quantomai ricca di grandi interpreti. Kung, Bissegger, Evenepoel, Ganna, Dennis, Van Aert

«Sono tutti molto forti. Se dovessi scegliere una qualità da ognuno di loro? Direi – ci pensa un po’ – la posizione di Bissegger. Da quel che vedo penso sia molto veloce. E poi credo la potenza di Ganna… ma anche di Affini. Loro ne “buttano fuori” tanta di potenza.

«Io credo di essere nel mezzo. Ho un buon mix tra posizione e potenza. Ho un buon motore».

Foss in azione in Australia, la posizione è buona ma si può migliorare. Pronto anche per lui il manichino per la galleria del vento?
Foss in azione in Australia, la posizione è buona ma si può migliorare. Pronto anche per lui il manichino per la galleria del vento?

Norvegia e sport

Se c’è una cosa che non manca a questo ragazzo è il suo entusiasmo. Il sorriso va da orecchio ad orecchio. E davvero ci sembra colpito del suo successo iridato. Colpito, ma anche determinato a dargli un seguito. Tobias Foss non vuole assolutamente essere una meteora.

La cosa che ci si chiede è che la Norvegia continua a sfornare talenti. Foss ha vinto l’Avenir nel 2019. La scorsa estate è stata la volta del suo connazionale Tobias Johannessen. E non vanno dimenticati i vari Kristoff, Eiking, Boasson Hagen e prima ancora Thor Hushovd campione mondiale su strada e anche a crono tra gli U23. Per la serie: “in Norvegia curiamo tutto”. E quei pochi che ci sono sono tutti validi.

«E’ vero è così, ma sinceramente non so spiegarmelo. Quello che posso dire è che in Norvegia in generale lo sport è una cosa importante. Molte persone praticano sport e poi penso anche che abbiamo la mentalità che: se vuoi farlo, devi farlo al 100%».

Giro, che passione

Dicevamo dell’eredita di Roglic e Vingegaard. Foss può fare bene nei grandi Giri. Questo atleta, ricordiamo, ha vinto il Tour de l’Avenir nel 2019 e ha già preso parte tre volte al Giro d’Italia, arrivando nono nel 2021.

E’ dunque pronto a tornare in Italia? E a farlo con determinate velleità di classifica visto che ci sono ben tre cronometro individuali?

«E’ possibile che io sia al Giro – ammette Foss – ma è tutto da vedere. Lo vedremo nei prossimo giorni al ritiro in Spagna. Non so quale grande Giro farò e per me ognuno dei tre andrà benissimo. In Italia ci sono stato già tre volte e il mio amore per il Giro è grande. C’è una bellissima atmosfera, un grande pubblico e quindi mi piacerebbe davvero tornarci, tanto più con il percorso di quest’anno».

Laporte? Doveva fare il gregario, è diventato un leader

01.12.2022
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Christophe Laporte è uno di quei corridori che a raggiungere il suo apice ci ha messo un po’ di più. A 29 anni è in qualche modo esploso e chissà non possa crescere ancora. Non è finito nel dimenticatoio, né è stato relegato a fare il gregario vita natural durante. Non che ci sia nulla di male, anzi. Ma un conto è esserlo perché si è davvero dei fenomeni in quel ruolo, vedi per esempio Salvatore Puccio, e un conto è perché non si è stati in grado di essere campioni.

Laporte è passato dalla Cofidis alla Jumbo-Visma. Era stato nel team francese per ben otto stagioni. Poi lo scorso inverno l’approdo alla corazzata olandese. Doveva essere il passistone che veniva ad aiutare Van Aert e invece si è mostrato un super corridore già nei primi ritiri. Un corridore in grado sia di vincere che di aiutare. E di essere presente con costanza nelle corse più importanti.

Quando ormai era sera, lo abbiamo “pizzicato” nel Service Course della Jumbo-Visma, mentre correva a ritirare i materiali nuovi o a fare le foto per questo o quello sponsor. Altissimo, magro, gentile… 

Laporte (classe 1992) ci ha messo poco ad ambientarsi nella nuova squadra. I compagni riconoscono il suo valore
Laporte (classe 1992) ci ha messo poco ad ambientarsi nella nuova squadra. I compagni riconoscono il suo valore
Christophe, una buona stagione per te: cinque vittorie e sempre nel vivo delle azioni più importanti della squadra. Cosa ne pensi?

E’ stata una gran bella stagione. Ho vinto solo una classica (la Binche-Chimay-Binche, ndr) ma ci sono andato molto vicino in altre. Spero di conquistarle negli anni prossimi.

Heijboer, il capo della performance, ha detto che sei un corridore completo e anche un uomo squadra…

E questo fa piacere. Ho sentito subito la fiducia della squadra. Quando sono arrivato ho trovato subito una gran bella atmosfera. Mi sono inserito presto, altrettanto rapidamente mi hanno dato l’opportunità di vincere e ci sono riuscito. Ho combinato bene le opportunità personali, con quelle di aiuto ai compagni. Speriamo di continuare così.

Hai notato delle differenze fra la mentalità francese e quella di una squadra olandese? Qui vediamo una grande organizzazione in tutto…

Non è facile fare un paragone tra le mie esperienze passate e la Jumbo-Visma. Sono due squadre parecchio differenti, ma di sicuro qui ho trovato un team super professionale, che non lascia nulla al caso. Una squadra perfezionista in tutti i settori e in tutti i dettagli. E tutto ciò funziona a quanto pare.

Da quando sei arrivato in Jumbo-Visma, hai cambiato qualcosa sul piano dell’alimentazione e della preparazione?

Il più grande cambiamento è stato di sicuro quello dell’allenamento e sì, poi anche sull’alimentazione ho rivisto qualcosa. Questa è stata differente sia in corsa che in fase di preparazione.

Van Aert e Laporte: arrivo in parata sul traguardo di Harelbeke. Il francese fu secondo. Tra i due è nato un rapporto di grande amicizia
Van Aert 1° e Laporte 2°: arrivo in parata ad Harelbeke. I due sono diventati grandi amici
In cosa l’approccio alla preparazione è stato differente?

Nella parte iniziale soprattutto. Non facciamo più tanti chilometri, ma parecchia intensità già nelle prime fasi. E poi è cambiato molto il discorso degli stage. Ne facciamo molti. E quando li facciamo ci si allena parecchio. In tre settimane di training camp ci si allena di più che a casa da soli. Si fanno più chilometri e più lavori differenti. Quindi quando sei a casa poi non fai così tanto. E se non sei a casa, sei alle corse.

Sei cresciuto molto dicevamo, Christophe, hai dimostrato di essere un corridore di sostanza: quali sono i tuoi obiettivi per la prossima e per le prossime stagioni?

Il mio primo obiettivo è quello di conquistare una classica. Ho fatto due volte secondo l’anno passato (ad Harelbeke e alla Gand-Wevelgem, ndr) e vorrei finalmente vincere. E poi voglio ancora aiutare la squadra a raggiungere i suoi obiettivi. Non li abbiamo ancora raggiunti tutti. Noi vogliamo vincere.

Essere leader chiaramente fa piacere, ma vorresti esserlo sempre oppure ti fa piacere anche aiutare i compagni, visto che ne parli spesso?

Sono due cose che amo fare. Ho bisogno di essere il leader in alcune corse e avere la possibilità di vincere. Ma amo anche correre per i compagni, soprattutto in quelle corse che sono aperte. Perché è vero che abbiamo un leader, che è Wout (Van Aert, ndr), ma in certe gare possono esserci delle opportunità per ciascuno di noi. 

Hai nominato Van Aert: lui è un grandissimo corridore, ma è anche un buon maestro?

Penso che tutti possano apprendere da lui. E’ un “perfezionista professionale”, un pro’ al 100 per cento. Che sia forte fisicamente tutti lo sanno, ma io credo che sua vera forza sia mentale. Sa cosa deve fare, cosa serve e quando serve… 

Tour de France 2022, la vittoria di Chistophe a Cahors
Tour de France 2022, la vittoria di Chistophe a Cahors
Hai lavorato non solo per Van Aert, ma anche per Vingegaard e per Roglic: ci sono differenze tra i due? 

La più grande differenza fra i due è di carattere… credo. Primoz è più calmo e posato, vale a dire che si lascia più guidare e lascia fare più ai suoi compagni. Jonas invece è un po’ più “nervoso”, ma non con noi… forse perché è più giovane.

Christophe, un’ultima domanda. Tu, francese, hai vito una tappa al Tour dopo molto tempo: cosa c’era nella tua testa, nelle tue gambe, nel tuo cuore in quei momenti?

Eh, c’erano tante cose. La prima cosa era vincere il Tour con Jonas e quindi pensavo che tutto fosse sotto controllo sin lì. Dovevamo portarlo davanti nel finale. Poi quando questo aspetto era sistemato sapevo che avevo la possibilità di giocarmi le mie carte. Et voilà, ero davvero motivato quel giorno. Sapevo che poteva essere la mia ciliegina sulla torta dopo il Tour che aveva fatto la squadra. Non c’era miglior modo per festeggiare questo successo.

E’ vero che il giorno della tua vittoria è stato Van Aert a dire: «Oggi si lavora per Laporte»?

Sì, sì… sarebbe stato un arrivo adatto anche a Wout, ma il giorno dopo c’era la crono e lui voleva un po’ risparmiarsi. Ai -3 chilometri mi ha detto: «A Jonas ci penso io. Il lavoro di squadra per Jonas è fatto». E quindi potevo andare. Potevo stare tranquillo. E quando Wout ti dice così, questo di dà fiducia, ti dà morale. Quando si ha un’opportunità del genere è bene sfruttarla.

Vingegaard vuole firmare anche la maglia gialla 2023

27.11.2022
6 min
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«A volte mi sveglio e mi chiedo ancora se sto sognando o se ho davvero vinto il Tour de France. Esco e controllo la maglia gialla… ed è ancora lì. Ce l’ho a casa, è una bella sensazione». Magrissimo, sorridente, semplicissimo: Jonas Vingegaard si aggira nel Service Course della Jumbo-Visma come fosse uno qualsiasi. Si ferma a parlare con i compagni, quasi a chiedere se può inserirsi nella conversazione, passa a ritirare il suo materiale, si dedica alle interviste, autografa maglia gialle e a pois.

Tra l’altro, e fa un po’ ridere, quando arriva il momento del pranzo i panini sono finiti. Lui non trova niente e agguanta dal buffet quel paio di biscotti secchi rimasti. 

Lo tsunami del post Tour de France sembra alle spalle e lui appare sereno e disteso, con quella piega della pelle intorno alla bocca che vorrebbe farlo apparire più vecchio, ma che non ci riesce.

Jonas Vingegaard (classe 1996) ha vinto l’ultimo Tour de France
Jonas Vingegaard (classe 1996) ha vinto l’ultimo Tour de France

Vita di sempre

Come Roglic e Van Aert, anche Vingegaard ci concede un bello spazio per parlare. E si parte proprio dalla vita, quella del post Tour. Ormai la maglia gialla per lui segna un confine tipo, prima e dopo Cristo.

«Ovviamente – racconta il danese – le cose intorno a me sono diverse, ma la mia vita non è cambiata molto. Faccio ancora le stesse cose: vado in bici, vado a fare la spesa, vivo nello stesso paesino di 1.500 persone che sono sempre le stesse… E’ diverso perché ora più gente mi riconosce per esempio se vado in aeroporto.

«A casa però siamo noi: ci alziamo, facciamo colazione tranquillamente. Io vado in bicicletta mentre la mia compagna e mia figlia stanno a casa… Ogni tanto prendiamo una sorta di cargo bike che ci ha dato lo sponsor per andare in giro».

Ancora prima della festa ufficiale, al ritorno a Skive c’era la gente a bordo strada ad accogliere Jonas (alla guida) (foto Instagram)
Ancora prima della festa ufficiale, al ritorno a Skive c’era la gente a bordo strada ad accogliere Jonas (alla guida) (foto Instagram)

Tour e team

Vingegaard passa poi a raccontare del Tour. Di quelle tre settimane incredibili. Le insidie dell’inizio. Il dominio di Pogacar. Il suo ribaltone.

«La cosa più bella – racconta Jonas – è che abbiamo corso come team. Abbiamo cosi tanti talenti in squadra… Avevamo un obiettivo finale e tutti abbiamo rispettato il piano. Wout per esempio aveva la maglia gialla, ma ha rinunciato a difenderla per aiutarmi». Il riferimento è al giorno della tappa in pavé quando Vingegaard rimase indietro e rischiò di perdere tanti, tanti minuti. Fu Van Aert a salvarlo… e anche bene». E Van Aert tenne la sua maglia per una manciata di secondi.

«Credo che il giorno più difficile sia stato quando abbiamo perso Steven (Kruijswijk, ndr) e Primoz (Roglic, ndr). E’stato un giorno molto negativo, che ha avuto un certo peso. Ma poi dovevamo continuare a lottare, quindi il nostro piano è stato di accettare la situazione e provare a fare del nostro meglio e andare avanti. Però altri momenti duri non mi vengono in mente».

Sul ritiro di Roglic, Jonas è parso davvero dispiaciuto. Loro due hanno un ottimo rapporto e il danese spera, ed è certo, che Primoz potrà tornare a grandi livelli già dalla prossima stagione.

Parigi, arrivo in parata per la Jumbo-Visma. Vingegaard ha sottolineato l’importanza del team nel suo successo
Parigi, arrivo in parata per la Jumbo-Visma. Vingegaard ha sottolineato l’importanza del team nel suo successo

Verso il 2023

«Ho iniziato due settimane fa ad allenarmi – prosegue Vingegaard – ho avuto una lunga vacanza rispetto al solito. E quando sono tornato dal Giappone (per le kermesse organizzate da Aso, ndr) ho subito iniziato ad allenarmi.

«In cosa posso migliorare? Sicuramente lo sprint, per iniziare. Ma ci sono molti aspetti da migliorare ancora. Non voglio solo migliorare fisicamente, voglio migliorare in tutto. Quest’anno spesso sono stato male, vorrei migliorare anche questo. Nei materiali…».

Quando si va molto in alto poi accade che pressione e stimoli ti facciano vacillare. E’ questione di carattere e di nervi saldi, ma in questo caso sembra emergere l’uomo del Nord. Jonas è razionale e consapevole.

«Non so se sia più affamato per vincere rispetto allo scorso anno. Sono affamato in maniera diversa. C’è qualcosa di speciale. Voglio ancora fare bene e vincere corse».

«Con la mia storia, essere nervoso sarebbe stato facile. Non mi innervosisco più come prima. Mi sono detto: “Se vinco, vinco… altrimenti sarà per l’anno prossimo. E ci riproverò fino a che non vincerò”. In tal senso sono migliorato dall’inizio del 2021, anche nel gestire le aspettative. Io non ho mai avuto problemi a mantenere le aspettative degli altri, ma ho sempre avuto difficoltà nel mantenere le mie. Mettevo molta pressione su di me. Questo era il mio problema».

Ma poi ci sono anche gli altri. Pogacar magari avrà perso qualche certezza, ma è sempre Pogacar e ci ha messo poco a rimboccarsi le maniche. Guardate come ha vinto il Lombardia… Ma lui sarà ancora più aggressivo? Si dice che lo sloveno voglia lavorare ancora di più per la salita.

«Penso che sarà più motivato. Non so se più aggressivo. E’ stato già abbastanza aggressivo quest’anno!».

Giro o Tour?

Jonas ha visto i percorsi del Giro d’Italia e del Tour. La sua destinazione è scontata e anche lui ammette che con tre cronometro in Italia, la corsa francese sia più adatta alle sue caratteristiche.

«Però non abbiamo ancora pianificato cosa fare l’anno prossimo. Io vorrei tornare al Tour».

Mentre scarta l’idea di una doppietta Giro-Tour, nonostante il suo idolo da ragazzo fosse Contador, l’ultimo ad averci provato veramente. 

«Quando ho iniziato con il ciclismo mi piaceva molto Contador. Mi piaceva il suo modo di correre, di attaccare. Da lui ho preso l’ispirazione a non avere paura di attaccare. Di essere aggressivo, ma in un modo intelligente.

«E’ difficile dire se è possibile fare la doppietta in un grande Giro. Credo che se dovessi iniziare penserei più al Tour e alla Vuelta. Non è facile, ma di sicuro Giro e Tour è duro. Forse li potrei fare in futuro. Per il prossimo anno non so… magari potrei fare anche la Vuelta».

Crono finale del Tour a Rocamadour: poco prima di questa curva, Jonas aveva rischiato tantissimo uscendo fuori strada
Crono finale del Tour a Rocamadour: poco prima di questa curva, Jonas aveva rischiato tantissimo uscendo fuori strada

Paure

Vingegaard ha detto di aver lavorato molto anche su stesso con la gestione del nervosismo, della pressione e sta maturando velocemente. Ma poi ci sono dubbi con i quali anche i campioni devono fare i conti e Jonas lo dice apertamente.

«Certo che ci sono delle cose che mi fanno paura. Per esempio in allenamento cerco di andare più piano che nelle corse. Sto attento alle curve, ho paura di essere tamponato da una macchina. Cerco di essere sempre essere concentrato sulla strada. 

E palrando dell’incidente di Bernal, lui dice: «Guardo sempre avanti. Ovviamente sono cose possono capitare, ma sono sempre molto più prudente durante gli allenamenti».

E la paura c’è stata anche in quell’ultima curva nella crono di Rocamadour, quando finì al di fuori dell’asfalto e sfiorò la parete di roccia che c’era subito al margine. Rischiò di mandare tutto in fumo quando mancavano 2.000 metri all’impresa.

«Eh sì – ricorda Vingegaard – mi sono spaventato abbastanza. Ma non volevo andare piano. E penso che rifarei lo stesso. Ho preso la linea sbagliata e siccome la strada era sconnessa, ho fatto anche peggio. Se la strada non fosse stata sconnessa, sarei riuscito a passare facilmente.

«Dall’ammiraglia cosa mi hanno detto? Non ricordo bene, ma mi hanno detto: “Bel salvataggio!”».

Mezz’ora con Wout Van Aert, leader totale

26.11.2022
7 min
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Il capello “ordinatamente disordinato”, una lattina in mano e una gran voglia di parlare, Wout Van Aert è un vero padrone di casa al Service course della Jumbo-Visma. Dopo aver parlato con i giornalisti belgi, il campione si concede alla stampa straniera.

Una lunga chiacchierata a tutto tondo. Il corridore della Jumbo-Visma non è ancora super tiratissimo, ma sembra sulla buona via. Ha il volto disteso di chi ha osservato una (meritata) sosta rigenerativa. Dopo il mondiale è rimasto in Australia con la famiglia. Presto tornerà ad indossare i panni del crossista.

A tutta sulle classiche

I primi obiettivi su strada del 2023 sono le classiche. Le sue classiche, quelle per quali con la squadra ha già iniziato i sopralluoghi. Anche perché sembra esserci una voglia di rivincita rispetto alla passata stagione, quando il Covid gli ha impedito di prendere il via al Giro delle Fiandre.

«Covid a parte – dice Van Aert – la forma fisica era molto buona, la migliore per le classiche di primavera e per il Fiandre. Poi con quella settimana di stop mi sono ritrovato con una buona condizione anche per la Liegi e la Roubaix».

E si toglie un sassolino: «Se avessi saputo che avrei preso il Covid due giorni prima del Fiandre, probabilmente sarei andato ai mondiali di cross negli Stati Uniti. Un po’ di rimorso… Ma mi piace avere un piano ben strutturato. Penso che la stagione scorsa sia stata un ottimo esempio del fatto che non puoi sempre programmare tutto. Devi provare ad essere in buona forma al momento giusto.

«L’anno scorso ho capito come mantenere una buona forma durante le gare. Stavo bene alla Het Nieuwsblad, ma ero ancora più forte ad Harelbeke quasi un mese dopo. E mi sentivo ancora più forte alla Liegi un mese dopo ancora. Mi sono accorto al primo anno da pro’ che si trattava di qualcosa che avrei dovuto capire e penso di esserci riuscito».

Wout Van Aert, in maglia verde, è un vero leader per i compagni (che lo ascoltano moltissimo), per lo staff, per i tifosi
Wout Van Aert, in maglia verde, è un vero leader per i compagni (che lo ascoltano moltissimo), per lo staff, per i tifosi

Leader naturale

Una cosa che abbiamo notato stando “vicino” a Van Aert tra gare e ritiri, ma anche interviste in tv, è il suo essere leader. E lo è nonostante compagni importanti. Lo è per il pubblico, lo è per i tecnici. E allora gli chiediamo apertamente se lui leader si senta.

«Un pochino», replica Wout, compiaciuto. «Ogni tanto parlando con i compagni avverto una sorta di rispetto, il che è molto piacevole ovviamente. Provo sempre a impegnarmi per far sì che tutti si sentano accolti e motivati. Penso che essere leader sia nella mia natura, inoltre mi piace aiutare gli altri.

«So come ci si sente quando qualcuno è grato nei tuoi confronti e penso sia importante che tutti ricevano attenzioni, non vanno date per scontate. Il nostro non è solo un lavoro, ma anche una passione, per questo è fondamentale che tutti siano motivati».

Anche il fatto di restare in Belgio contribuisce ad alimentare questa leadership, questo carisma. Lo scorso anno ai mondiali di Leuven vedemmo dal vivo (e vi raccontammo) cos’è Van Aert per la sua Nazione. Quando è a casa e rientra dagli allenamenti ci sono decine di persone ad attenderlo.

«E ogni tanto – ammette – qualcuno bussa anche alla porta. Fa piacere, è una cosa buona. In Belgio il ciclismo è uno sport popolarissimo ed è anche per questo che faccio bei soldi, mi godo la vita e devo accettare i fans.

«Non ho assolutamente intenzione di lasciare il Belgio. Mi piace vivere vicino alla mia famiglia. L’anno scorso ho dormito più di 200 notti lontano da casa, il 70 per cento dell’anno. Il restante 30 mi piace passarlo a casa».

Ai mondiali, ma non solo, c’era un tifo enorme per Van Aert. E alla vigilia del mondiale, Leuven intonava cori in suo favore
Ai mondiali, ma non solo, c’era un tifo enorme per Van Aert. E alla vigilia del mondiale, Leuven intonava cori in suo favore

I monumenti

E casa sua è Herentals, la stessa cittadina di Rik Van Looy, un gigante del passato e uno dei pochissimi ad aver vinto tutte e cinque le classiche Monumento. Spesso ci si chiede se Van Aert, visto il suo essere eclettico, possa puntare ad un grande Giro. Ma magari prima c’è questo traguardo che non è così meno importante.

«Vincere – dice Wout – tutti e cinque i Monumenti è difficilissimo, ma non impossibile. E’ già difficile prendere parte a tutti e cinque i Monumenti in un anno. Quindi per ora mi focalizzo solo su alcune. Se adesso penso al Lombardia e alla Liegi (le più dure per lui, ndr), so che mi serve comunque un po’ di fortuna. Sono da tre anni nel WorldTour e ho vinto la Sanremo, quindi sarebbe stupido dire ora: “Okay le provo tutte e cinque”. Intanto pensiamo alla seconda, poi vedremo.

«In genere non trovo nulla davvero impossibile. E penso che sia anche questo ad avermi portato qua: altrimenti sarei ancora un corridore di ciclocross. Fare cose nuove mi motiva.

«L’anno scorso, subito dopo il Covid ho chiamato il team e gli ho detto che avrei voluto prolungare le classiche, provare la Liegi. Sarebbe stata l’occasione per capire se facesse per me. E se finisci sul podio senza una preparazione ottimale sai che nel futuro è possibile».

«Per ora il mio obiettivo è vincere: vincere più gare possibili, vincere le classiche e magari indossare la maglia iridata un giorno».

Il podio iridato della crono 2021. Per Wout fu una delusione. E sulla pressione dice: «Difficile dire che mi piaccia, ma mi fa dare il meglio»
Il podio iridato della crono 2021. Per Wout fu una delusione. E sulla pressione dice: «Difficile dire che mi piaccia, ma mi fa dare il meglio»

Su Ganna…

E chissà se tra le sfide impossibili, Van Aert mette anche il record dell’Ora. Secondo il suo compagno Affini se fosse solo una questione di “motore” Wout sarebbe in grado. 

«Cosa penso del Record di Ganna? Che è andato veloce! Non penso di poterlo battere. Lui è uno dei migliori, forse il migliore. Inoltre ha esperienza su pista, il che è molto importante per il record.

«Non sto pensando di provarci. E se non penso di provarci è anche più stupido dire: “Potrei batterlo, ma non lo farò”. Ganna ha portato l’asticella molto in alto e forse potrebbe andare ancora più veloce».

Wout racconta anche che ha seguito il record quando era in vacanza e che sua moglie si era innervosita perché si era sintonizzato sul ciclismo. Insomma anche i campioni hanno gli stessi problemi degli uomini normali! Filippo e Wout si stimano, nonostante la batosta che lo scorso anno Ganna gli ha inflitto a casa sua nella crono iridata.

«Quella in effetti – racconta Van Aert – è stata una delusione. Ho fatto quella crono perché era in Belgio, ma in realtà con il mio allenamento ero focalizzato sulla strada. Ma dopo aver perso solo di 5” ho pensato che sarei potuto andare più veloce se mi ci fossi concentrato davvero. Per questo ero così deluso».

Wout Van Aert, Strade Bianche 2020
Van Aert ha vinto la Strade Bianche nel 2020. Durante l’intervista, non ha chiuso del tutto la porta sulla sua presenza al Giro 2023
Wout Van Aert, Strade Bianche 2020
Van Aert ha vinto la Strade Bianche nel 2020. Durante l’intervista, non ha chiuso del tutto la porta sulla sua presenza al Giro 2023

Wout e l’Italia

Le chiacchiere vanno avanti. Wout non lesina parole e parla senza mezzi termini, con la sicurezza del leader anche in questo caso. Spalle dritte, volto rilassato e mento alto. Sembra che neanche ponderi quello deve dire: è naturale, sincero, soprattutto con se stesso. E dalle chiacchiere che vanno avanti spunta l’Italia. 

«Non so se tornerò alla Tirreno – spiega Van Aert – molto dipenderà dalla preparazione e dal cross. Mi pacerebbe tornare in Italia e non solo per la Sanremo, ma anche per le Strade Bianche. Bellissima. Sul Giro non so: la squadra lo fa. Vedremo…».

Van Aert ci è anche venuto in vacanza in Italia. E più precisamente in Sardegna.

«Mi piace l’Italia, ci ho corso, ci sono stato per allenarmi e ci ho fatto le vacanze. Sono stato in Sardegna. Avevo il matrimonio di un caro amico e spero di poter tornare presto perché è bellissimo. Ci sono i mari più belli che abbia mai visto. Sono stato anche in Puglia, in Costiera Amalfitana, a Firenze. E poi la pasta… Mi piace il vostro modo di mangiare: antipasto, primo, secondo… E’ così perfetto!».

Roglic riparte. Primo obiettivo: essere pronto per il ritiro

25.11.2022
7 min
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S-Hertogenbosch, Service course della Jumbo-Visma. Primoz Roglic si aggira nelle varie sale della sede giallonera come se fosse di casa, ma di fatto lo è. Lo sloveno fa parte di questo team dal 2016. E ne è una colonna portante: è stato lui a portare le prime grandi vittorie.

Quel che più si nota è la sua attenzione verso i nuovi materiali, le proposte dei nuovi sponsor. Fa domande a raffica, Primoz. Vuol sapere ogni dettaglio. Dal vestiario alle bici. Disponibile, affabile… quando è alle corse è molto più concentrato. Scopriamo una versione di lui insolita, ma decisamente piacevole.

Lo sloveno (classe 1989) molto attento alle nuove dotazioni adottate dal team. Ha fatto molte domande ai tecnici
Lo sloveno (classe 1989) molto attento alle nuove dotazioni adottate dal team. Ha fatto molte domande ai tecnici

L’infortunio

Lo avevamo lasciato dopo la caduta alla Vuelta. Ancora una volta un po’ la sfortuna e un po’ il suo modo aggressivo di correre, gli avevano presentato un conto salatissimo. L’ennesimo duro colpo alla carriera di questo ragazzo che invece è coriaceo come pochi.

Più volte ha ribadito che la sconfitta del Tour 2020 è alle spalle e se si supera uno shock simile non c’è caduta che possa fermarti. E a proposito di spalle è dalla sua spalla sinistra che ripartiamo. 

«Come va? Adesso bene – racconta Roglic – Inizio ad allenarmi lentamente. Sono passate sei settimane dall’intervento. Ogni settimana va meglio, ma ci vuole del tempo. Finalmente il movimento del braccio – e imita il gesto circolare – è quasi completo».

Primoz si era lussato una spalla già al Tour de France, durante la tappa del pavé. Se l’era rimessa in sede da solo. E poi ci era di nuovo caduto sopra nel finale della 16ª tappa della Vuelta. A quel punto dopo un periodo di stop, verso metà ottobre è stato costretto all’operazione.

Però i dubbi sono tanti. E anche per questo Primoz non si sbilancia su programmi ed obiettivi. Per esempio, i medici gli hanno vietato, di correre a piedi e lui era un habituè del running nella sua preparazione. E non è escluso che dovrà rivedere anche la posizione in bici.

«Sulla posizione in bici – dice – speriamo di non dover cambiare nulla, ma per ora davvero non lo so. Mi hanno tagliato un pezzo di osso, ci hanno messo viti un po’ troppo lunghe che sono uscite dall’altra parte, ma mi dicono che così è ancora più fissa. Lo scoprirò solo quando inizierò a pedalare».

La caduta di Roglic alla Vuelta. Primoz è scortato sull’arrivo dal compagno Teunissen. Il giorno dopo non partirà
La caduta di Roglic alla Vuelta. Primoz è scortato sull’arrivo dal compagno Teunissen. Il giorno dopo non partirà

Il recupero

Per Roglic si è trattato dunque di rivedere i piani. Da quella caduta sono passati tre mesi. Tre mesi in cui ha rivisto la sua vita. Passare dal dedicare tante ore al giorno alla bici a niente non è facile. Serve anche un certo equilibrio mentale e il supporto di chi ti sta intorno. Ma in questo caso Primoz aveva la sua famiglia, i suoi amici, i suoi impegni. Anche quelli con il Comitato Olimpico sloveno, di cui di fatto è diventato testimone tramite la Fondazione Cerar gestita dallo stesso Comitato.

Nella lunga chiacchierata con lo sloveno si parla chiaramente anche della stagione che verrà. Primoz ipotizza una partenza tranquilla a marzo, complice anche il suo infortunio.

«Ho un’idea sul mio inizio di stagione – dice Roglic – ma tutto dipende da come andrà ora con la ripresa. Per me il prossimo anno è un po’ un mistero. Per ora ho ripreso a fare solo dei piccolissimi giri. La settimana prossima farò un altro controllo e vediamo se mi daranno il semaforo verde per riprendere veramente. Il mio obiettivo per adesso è potermi presentare l’11 dicembre per il ritiro».

«Ma magari tutto ciò serve a qualcosa – la prende con filosofia – magari sarò più fresco in estate. Devo essere fiducioso. Per il momento sono felice così. Non ho dolore. Non riuscivo a nuotare, non riuscivo a dormire…».

Nonostante tutto, nonostante l’operazione e i tre mesi di stop gli facciamo notare che comunque è già molto magro.

«Sono pur sempre uno sportivo – esclama Primoz – devo sempre farmi trovare pronto. E poi è anche nell’interesse della fondazione (la Primoz Roglic Fundacija, ndr) che abbiamo creato con mia moglie Laura, con la quale incoraggiamo e aiutiamo i giovani atleti a condurre stili di vita corretti. Devo essere un esempio».

Roglic erede di Tina Maze (ex sciatrice e campionessa olimpica) per la rappresentanza della Fondazione Cerar (foto Ziga Zivulovic)
Roglic erede di Tina Maze (ex sciatrice e campionessa olimpica) per la rappresentanza della Fondazione Cerar (foto Ziga Zivulovic)

Sui giovani

Tra i top rider Roglic è il più “vecchio”: 33 anni. Si trova a lottare con gente che ne ha dieci meno di lui, vedi Evenepoel. E come sappiamo oggi non è facile. Si tratta di ragazzi che nascono con altri criteri, altri metodi di allenamento e meglio riescono a sfruttare la freschezza e l’esplosività che il fisico consente a quell’età. Vincere insomma è sempre più difficile, anche per uno come lui.

«I ragazzi più giovani – dice Roglic – stanno arrivando, ma questo vale per tutti. Arriverà una generazione che li supererà. Io non ci penso molto a dire il vero, preferisco concentrarmi su me stesso, sulle mie cose e farle nel modo migliore. Non c’è un giovane in particolare che mi ha colpito. Oggi i giovani arrivano e vanno forte in tutti gli sport, non solo nel ciclismo».

Sul Galibier Roglic si è messo a disposizione di Vingegaard. «Un momento molto bello», ha ricordato lo sloveno
Sul Galibier Roglic si è messo a disposizione di Vingegaard. «Un momento molto bello», ha ricordato lo sloveno

Il Tour in testa

Primoz racconta che ha sempre cercato di essere il numero uno e faceva le cose al 110% per esserlo. E’ stato così quando era un saltatore con gli sci ed è lo stesso da ciclista. Ma il “problema” emerge quando si è raggiunto il top. Gli obiettivi vanno ricalibrati. Per lui il grosso del focus resta il Tour de France e non necessariamente per vedersi sul gradino più alto del podio. Anche se ammette che quando ha iniziato a pedalare sognava di correre anche il Giro. 

«Se penso che posso ancora vincere il Tour? Non vedo perché no. A fine carriera – spiega Roglic – traccerò una linea e vedrò cosa ho vinto e cosa no. Io voglio continuare ancora e voglio farlo divertendomi. Finché avrò questa scintilla dentro a spingermi andrò avanti.

«Uno dei giorni per me più belli in assoluto è stato quello del Col du Granon. E’ stato bello fare parte della squadra e di quell’azione. Condividere la doccia con i ragazzi, parlarne… Io già sapevo che i miei attacchi sul Galibier servivano solo per aiutare Jonas (Vingegaard, ndr). E alla fine il nostro piano è andato anche meglio di come di quanto probabilmente ci aspettavamo. 

«Poi è stato doloroso essere a casa mentre Jonas e i ragazzi stavano lottando e vincendo il Tour, ma io proprio non potevo andare avanti… altrimenti sarei rimasto in corsa».

Giro 2019: Roglic e Nibali iniziarono a punzecchiarsi verso Ceresole Reale. Verso Courmayuer invece Carapaz prese la maglia rosa
Giro 2019: Roglic e Nibali iniziarono a punzecchiarsi verso Ceresole Reale. Verso Courmayuer invece Carapaz prese la maglia rosa

E il Giro?

Voci di corridoio lo vogliono al via del prossimo Giro d’Italia. Già ci si prepara alla rivincita della Vuelta contro Evenepoel, invece Primoz non si espone. Il percorso con tre cronometro individuali è un invito a nozze per lui. Tra l’altro l’ultima delle crono è sul Monte Lussari, ad un passo dalla sua Slovenia, ed è una zona che conosce bene.

«Ho gareggiato e vinto da quelle parti – racconta Primoz – quando ero un saltatore con gli sci. E poi ci sciavo. Non so se sarò pronto per il Giro, bisognerà vedere come andranno le cose a partire dal controllo della prossima settimana. E dai programmi che decideremo». 

Il corridore della Jumbo-Visma quando sente parlare dei 71 chilometri contro il tempo non si sofferma solo su quelli. Fa capire apertamente che per lui vanno bene anche gli altri percorsi. Quasi si sentisse ferito nell’orgoglio e ci volesse dire: «Ehi, non sono solo un cronoman».

Se il Tour è il suo pallino, il Giro non è così da meno: sia per una vicinanza geografica con l’Italia, sia perché quest’anno si passa molto vicino casa sua e sia perché è stato il primo grande Giro che ha fatto nel 2016.

Manca dalla corsa dall’edizione del “fattaccio” con Nibali verso Courmayeur che spalancò le porte del paradiso a Carapaz. Nessuno dei due voleva tirare e l’ecuadoriano ne approfittò. Roglic fu comunque terzo. Quel podio, il primo nei grandi Giri, gli diede comunque una grande consapevolezza, tanto che in autunno vinse poi la sua prima Vuelta. Ora forse è pronto per qualcos’altro

Uno di noi in Olanda, nella casa della Jumbo-Visma

24.11.2022
8 min
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Wout Van Aert ci dà il benvenuto quando entriamo nel Service course della Jumbo-Visma. Il Van Aert è ad altezza naturale ed è di cartone! Di fronte a lui subito una serie di trofei e maglie.

Olanda meridionale, circa 80 chilometri a sud di Amsterdam, siamo ad s-Hertongenbosch. «Ma qui la chiamiamo Den Bosch», ci dice subito Ard Bierens, addetto stampa che fa gli onori di casa. «La pronuncia è un po’ complicata e credo che neanche gli olandesi la conoscano col vero nome!».

Sul Col du TJV

Capannoni super moderni in vetro e cemento e costruzioni hi-tech contornano la parte orientale  di “Den Bosch”, quella che divide il centro dalla campagna. Vicino c’è un canale, sul suo margine scorre neanche a dirlo una pista ciclabile. Appena scendiamo dalla macchina, su quella pista passa una serie di ragazzi in bicicletta. Questa immagine con la pianura e una pala eolica in lontananza ci fa pensare: «Okay, l’Olanda in una foto!».

Appena entrati, prima del caffè, lo stesso Ard ci fa fare un tampone. Qui i protocolli ci sono ancora. Sbrighiamo questa pratica in uno degli uffici al piano superiore. Vi si accede con una scala… anzi attraverso un colle!

Se l’Olanda è il cuore dei Paesi Bassi, un motivo ci sarà. Pensate che siamo praticamente a quota zero. Forse un metro sul mare. Quasi come sul Muro di Sormano, nella parte verticale degli scalini ci sono le quote con la variazione di quota… espressa in millimetri! Fino ad arrivare ai ben 4.200 millimetri del Col du TJV (Team Jumbo Visma)! Insomma al piano superiore.

Due piani

La stessa scala, come un po’ dappertutto, è contornata di trofei. Ci sono anche il “nostro” Tridente della Tirreno-Adriatico e qualche maglia rosa qua e là. Ci sentiamo stranamente orgogliosi di quei premi.

«L’edificio ha un anno – ci dice Ard, mentre ci fa da Cicerone – nel tempo siamo cresciuti molto. All’inizio eravamo un piccolo team. Compresi i corridori eravamo una settantina di persone. Ora se ne contano oltre 200.

«Ufficialmente questa è anche la sede della squadra di skating (pattinaggio sul ghiaccio, ndr), ma loro hanno un altro edificio nel Nord dell’Olanda dove questo sport è più praticato».

Nei piani superiori ci sono gli uffici, che però non ricoprono tutta l’aerea dell’edificio. Oltre agli uffici ci sono tre sale presso cui fare meeting e riunioni. Un paio di queste hanno un’ampia vetrata che dà sul resto dell’edifico, quello del “service course” vero e proprio.

Nel piano inferiore una grande area d’accoglienza ci porta nel mondo Jumbo-Visma. Tutto è in ordine, tutto è funzionale. Oltre al desk, ci sono una cucina e una sala mensa. Mentre dall’altra parte del salone ci sono docce e altri ripostigli.

Nel cuore della Jumbo 

Ogni porta ha l’insegna dell’iride e il cartellino che indica a cosa è adibita. Particolari che la dicono lunga. Presto ci rendiamo conto che Van Aert non è da solo. Incontriamo Roglic, Kruijswijk, Gesink… sempre di cartone, sempre a grandezza naturale.

Il magazzino-officina è la porzione più grande, chiaramente. Per i due terzi, forse anche più, c’è questo grande spazio. Al centro un’infinità di Cervélo, i banchi dei meccanici e ai lati, su due piani, ci sono altri magazzini. Ci sono pezzi di ricambio per le bici, altri per la logistica, altri ancora per gli alimenti, i lettini dei massaggiatori… E’ come una piccola città autonoma.

«Questa aerea – dice Bierens – è la più grande, come potete vedere. Qui ci sono le bici, i banchi di lavoro e quello spazio giù in fondo è il garage. Quest’anno abbiamo acquistato un altro bus. Ora siamo a quattro. Non dimentichiamo che abbiamo anche il team development e che la squadra femminile cresce».

Carrelli di bici

Ogni corridore ha il suo spazio per le bici. Ci sono carrelli che sembrano degli appendiabiti: in mezzo il nome del corridore e poi due bici appese su altrettante staffe. Sotto, affinché il meccanico possa spostarli verso il suo banco di lavoro o magari portarli verso l’ammiraglia, ci sono le ruote.

Nella parte bassa questi carrelli hanno una grossa base, sulla quale vengono appoggiate ruote, forcelle, pezzi di ricambio… Un oggetto in comune per tutti è il casco da crono, ben conservato nella custodia.

In molti hanno già la bici nuova, con i nuovi gruppi e alcuni particolari che per questioni di marketing e contratti in essere non si possono ancora far vedere. E ora vi facciamo una domanda? Secondo voi quale corridore aveva più carrelli? Van Aert: per lui ne abbiamo contati almeno quattro. Fra bici da cross, strada, crono e colorazioni speciali, Wout fa lavorare molto i suoi meccanici.

Ogni banco di lavoro è un piccolo paradiso della tecnica. Pulito, con attrezzi di ogni genere. Ai lati di ognuno, ci sono un compressore e un macchinario particolare che serve per il rodaggio dei cuscinetti delle ruote. Sopra, chiaramente, attrezzi e alcuni strumenti specifici. Un particolare che ci ha colpito è stata la quantità di cavi elettronici per i gruppi. Impressionante. Basti pensare che hanno un cesto apposito per il loro smaltimento.

Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour
Vingegaard, ha confermato le impressioni di un ragazzo semplice. Neanche lui sa più quante maglie ha firmato dopo il Tour

Sponsor day

Ed è un vero brulicare di persone, meccanici e, man mano che va avanti la giornata, anche di corridori. E sono proprio questi che scandiscono i tempi di questa efficiente macchina organizzativa. Ognuno ha una tabella da rispettare, ben scritta su un foglio. 

Siamo capitati nel giorno in cui i nuovi sponsor forniscono i materiali. Si va dal dopo corsa ai giubbini refrigeranti, dagli integratori alle scarpe… per finire alle foto… cartolina. Ci sono almeno tre set fotografici in altrettanti parti del Jumbo-Visma service course.

Un corridore va a ritirare il giubbino, l’altro a fare la foto con gli integratori. C’è chi riconsegna il vecchio materiale in eccesso. Kruijswijk, per esempio, aveva un valigia grande piena di maglie ancora avvolte nella plastica. Chi riportava questo vestiario lo metteva in due enormi cesti grigi. Queste divise poi dovrebbero andare in regalo, in premio, in qualche serata di beneficienza… Forse è l’unica cosa in cui in Jumbo-Visma hanno le idee meno chiare!

Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!
Finalmente Wout Van Aert… in carne ed ossa!

Già in ricognizione

I ragazzi parlano fra loro, tra un caffè e un appuntamento nella loro scaletta. Jonas Vingegaard, re del Tour, ha un grosso cappotto verde militare. Lo avvolge che sembra un bambino. Umilissimo, semplice e già molto magro. Roglic invece indossa una giacca di pelle. Anche lui magrissimo, è super interessato ad ogni aspetto tecnico: scarpe, bici… Foss potrebbe fare l’intrattenitore. Sempre con un bicchiere di the, caffè o cola in mano e sempre ad attaccare bottone con qualcuno.

Mentre non si vedono Van Aert, Laporte, Affini «Sono a fare la ricognizione – ci spiega Bierens – In questi due giorni erano in Belgio. Ieri hanno provato gli ultimi 120 chilometri di E3 Harelbeke e oggi (ieri, ndr) il finale del Fiandre. Ma tra poco saranno qui anche loro». E infatti eccoli spuntare. «Volevamo fare dei test con i nuovi materiali prima dell’inverno», ci dice Edoardo.

Il futuro è ora

Intanto dalla zona dove è parcheggiato il bus arriva un certo rumore. «Stanno preparando – dice Bierens – la festa di domani sera (oggi, ndr). Un party tra di noi, per festeggiare l’ottima annata del team. Ci sarà tutto lo staff. Abbiamo vinto il ranking UCI.

«Ma prima facciamo la riunione. Una riunione importante. Quando siamo nati avevamo l’obiettivo di vincere il Tour entro sette anni. Ci siamo riusciti. E adesso? Cosa vogliamo? Dove vogliamo andare? E’ importante ragionare così e farlo tutti insieme. Perché è in questo modo che crei una solida base, che hai le idee chiare e dai sicurezza agli sponsor che ti sostengono nel lungo periodo».

Questa ultima frase dice tutto della Jumbo-Visma. Nel frattempo è sceso il buio. La pista ciclabile non si vede in più e su Den Bosch scende la pioggia. 

Dorigoni, top ten europea sfiorata

09.11.2020
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All’indomani della sua buona prestazione Jakob Dorigoni fa un’analisi del suo campionato europeo di ciclocross ad ‘s-Hertogenbosch. Per il giovane bolzanino, lo ricordiamo, un 13° posto che in ottica futura fa ben sperare.

Partenza e spallate

La sua stagione era stata sin qui quasi esclusivamente italiana. Nel senso che Jakob aveva corso solo in Italia, a parte qualche puntata all’estero, ma non nel ciclocross.

La scivolata di Dorigoni all’ultimo giro
La scivolata di Dorigoni all’ultimo giro

«Sono soddisfatto della mia gara – commenta il campione italiano in carica – tredicesimo in Europa nel ciclocross non è male. Nonostante fossi scattato dalla terza fila ho fatto un’ottima partenza. Ho subito recuperato molte posizioni. Tuttavia non avendo corso mai in Belgio o in Olanda quest’anno, gli altri non sapevano che condizione avessi, quindi per paura che potessi fare qualche buco, hanno cercato di saltarmi subito. Nel corso del primo giro, così, ho preso un bel po’ di spallate. E sono finito un po’ dietro.

«Alla fine ho fatto una corsa regolare. Ero in un gruppetto di quattro atleti. Ci stavamo giocando la top ten. Nel finale ho fatto una piccola scivolata nel tratto sulla sabbia e così ho chiuso tredicesimo».

Più ritmo per Dorigoni

Nonostante i suoi 22 anni non era la prima volta che Jakob gareggiava con i “bestioni” elite del Nord Europa. Sapeva cosa lo attendeva. Proprio per questo motivo recrimina di non aver gareggiato da quelle parti e con quella gente prima dell’Europeo.

«Mi spiace di non aver potuto fare qualche gara lassù prima di questo appuntamento. Io stavo bene, ma se proprio devo dire un qualcosa che mi è mancato allora dico il ritmo gara con atleti di quel calibro. Un conto infatti è correre in Italia e un conto è farlo in Belgio o in Olanda. Sono quasi certo che se avessi fatto due o tre gare con loro, la top ten l’avrei guadagnata. Però non si poteva (il riferimento è alla situazione covid, ndr). Nonostante ciò è andato tutto secondo le mie previsioni. Conoscevo il livello della gara e va bene così. Adesso però c’è da crescere, su tutto, in vista del mondiale. Come? Correndo il più possibile… magari all’estero».