Grosu riparte dalla Polonia tra sfortune e brutte storie

22.01.2023
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Nella tempesta che ha travolto e ha fatto chiudere la Drone Hopper di Gianni Savio, si è ritrovato anche Eduard Grosu. Il corridore rumeno, che ha corso in Italia per molti anni, ha perso tutto ad un tratto le certezze delle quali era circondato. La sua storia degli ultimi due anni è una spirale che lo ha portato sempre più giù, ma lui corridore dall’animo tenace, non si è fatto abbattere ed è ripartito. Con la speranza di rovesciare, a colpi di pedale ben assestati, questo trend negativo

Eduard si era ritrovato senza squadra anche nel 2021 con la chiusura della Delko
Eduard si era ritrovato senza squadra anche nel 2021 con la chiusura della Delko

Le speranze truffate

A sentire Grosu raccontare degli ultimi mesi si fa fatica a credergli, la cosa triste è che ciò che stiamo per scrivere è davvero accaduto…

«Sto bene – racconta da casa sua in Romania – per il 2023 sono riuscito a trovare la squadra, alla fine. Si tratta della Mazowsze Serce Polski, una continental polacca. Ho dovuto aspettare l’anno nuovo perché durante gli ultimi mesi del 2022 avevo firmato un contratto con una continental irlandese, la EvoPro Racing. Avevo firmato con loro perché doveva entrare un grande sponsor rumeno e la squadra avrebbe preso l’affiliazione nel mio Paese. Ero stato coinvolto in tutte le trattative e si era già arrivati a fasi estremamente avanzate. Il manager della EvoPro, Morgan Fox, era venuto in Romania ed aveva già il contratto per la fornitura delle bici.

«Ad un certo punto – continua a raccontare Grosu – quando l’UCI ha chiesto le garanzie allo sponsor rumeno, questo è sparito e non ha più risposto a mail o telefonate. La cosa peggiore è che, siccome si passava ad un’affiliazione rumena, io avevo contattato dei ragazzi del mio Paese per farli venire a correre in questa nuova squadra. Una volta che lo sponsor è sparito siamo rimasti tutti a piedi, dai ragazzi rumeni fino alla EvoPro, che ha dovuto chiudere il team».

Nel 2022 è ripartito con la Drone Hopper, una prima parte di stagione sfortunata ed un finale in crescendo
Nel 2022 è ripartito con la Drone Hopper, una prima parte di stagione sfortunata ed un finale in crescendo

Di nuovo a piedi

Nel 2022 aveva chiuso la Drone Hopper e con lo sfortunato episodio della EvoPro le cose si erano fatte nere per Grosu. La Mazowsze Serce Polski ha rimesso un po’ le cose in ordine e per il 2023 si prova a ricostruire qualcosa, con la speranza di far girare la fortuna dalla parte giusta. 

«La Drone Hopper – spiega il velocista rumeno – doveva rimanere aperta, almeno per quanto mi avevano detto i miei procuratori, i Carera, dopo il Giro di Romania (era ancora la prima metà di settembre, ndr). Nel frattempo ero entrato in contatto con un po’ di professional straniere ma con la situazione che si è venuta a creata con la EvoPro quelle piste si sono poi raffreddate. Il calendario che mi offre la Mazowsze Serce Polski è buono: faremo il Giro di Ungheria e quello di Danimarca più qualche corsa in Belgio e Francia.

«La cosa importante è avere le occasioni, penso che se saprò sfruttarle riuscirò a tornare in una professional. Non sono uno che si dà per vinto, non mi faccio abbattere, prendo le cose come vengono e cerco di trarne sempre il massimo. Se le offerte arriveranno, bene, altrimenti vorrà dire che non ho mercato e farò altro».

Con Savio si è cercato in ogni modo di salvare la squadra ma non ci si è riusciti
Con Savio si è cercato in ogni modo di salvare la squadra ma non ci si è riusciti

La situazione Drone Hopper

Vi avevamo raccontato degli umori dei corridori italiani della Drone Hopper qualche mese fa. Anche per Grosu il periodo non è stato semplice ma il suo per cercare di salvare la situazione lo ha fatto

«I miei ex compagni li sento ancora – dice – sono rimasto in buoni contatti con loro. Nel momento più difficile ho provato anche io in prima persona a muovermi per salvare la situazione, cercando qualche sponsor. Conosco molto bene il Ministro dello Sport rumeno: Edward Novak, ex atleta paralimpico, ma non siamo riusciti a trovare una soluzione. Sono rimasto comunque in contatto con Gianni Savio, è un uomo davvero buono, con il quale mi sono trovato molto bene e gli auguro il meglio».

Grosu con Giuliani in ammiraglia ai tempi della Vini Fantini, fu lui a portare il velocista rumeno in Italia
Grosu con Giuliani in ammiraglia ai tempi della Vini Fantini, fu lui a portare il velocista rumeno in Italia

Il deja vu con Giuliani

Ripartendo da una continental Grosu ritrova una situazione che gli pare simile al passato, come un deja vu. L’ultima volta che il velocista ha corso in una continental era il 2014 e si trovava alla Vini Fantini Nippo. Il suo diesse era Stefano Giuliani. Viste le parole di Dalla Valle a proposito del rapporto con quest’ultimo chiediamo a Grosu che ricordi ha lui, invece. E cerchiamo di capire come faccia Stefano a creare quell’armonia che aiuta i suoi corridori a ritrovare slancio. 

«La prima volta che ci siamo incontrati – racconta fermandosi un attimo per ricordare meglio – era il 2013. Eravamo al Giro di Romania, nel mese di luglio, e gli avevo chiesto se nella sua squadra ci fosse un posto libero perché volevo passare. Dopo un po’ di tempo, sarà stato dicembre, mi chiama per dirmi che avrebbe fatto la continental ed io sarei stato parte del team. Giuliani è una grande persona, dal cuore enorme che mi è stata sempre vicina. Per due anni ho vissuto a casa sua, ti donerebbe l’anima se potesse. E’ sempre riuscito a tirare fuori il meglio dai suoi corridori, per non fargli mancare nulla fa i salti mortali, penso sia questo il suo segreto, ti fa vedere lui in prima persona quanto ci tiene».

La Romania è cresciuta molto a livello ciclistico negli ultimi anni (foto Sibiu Tour, Tiberiu Hila)
La Romania è cresciuta molto a livello ciclistico negli ultimi anni (foto Sibiu Tour, Tiberiu Hila)

Il ciclismo in Romania

Grosu parla volentieri e risponde gentilmente alle domande, e così si finisce anche a parlare del ciclismo in Romania. Terra nella quale è nato e dove, come ci racconta lui, è tornato a vivere dal 2019. 

«Sono tornato a vivere qui da quando ho smesso di correre alla Nippo Vini Fantini (dice, ndr). A Zarnesti, a tre chilometri dal Castello di Dracula, mi piace stare qui e ci sto molto bene. Il ciclismo in Romania è in grande ascesa, se penso a cinque anni fa ricordo che avevamo solamente il Sibiu Tour. Ora i giorni di corsa UCI sul nostro territorio sono 17: tra Sibiu Tour, Tour Szeklerland, Giro di Romania e qualche gara di un giorno. Il merito è anche di Vlad Dascalu che corre in Mtb nel team Trek e nel 2019 è stato campione del mondo under 23. Quando un atleta raggiunge un traguardo del genere crea interesse nella disciplina, qualunque essa sia».

Dalla Romania torna Grosu: che ciclismo ha trovato?

15.09.2022
4 min
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Il Giro di Romania era per Eduard Grosu l’evento principale della sua estate e probabilmente di tutta la stagione. Il portacolori della Drone Hopper per l’occasione è tornato a casa, con l’ambizione di conquistare il successo pieno nella corsa alla quale è affettivamente più legato. Tornando nella sua Romania, ha potuto tastare con mano lo stato di salute del “suo” ciclismo, del quale si parla poco a differenza di altre realtà dell’est europeo.

Grosu ormai è di casa in Italia, tanto che il suo italiano è fluente come pochi. Alla fine la vittoria nella classifica generale non è arrivata, ma ha fatto sua la classifica a punti oltre a una tappa, il bilancio può quindi essere considerato positivo.

«Ho avuto una giornata storta proprio nella tappa decisiva – dice – l’unica con una salita lunga. Sono andato in crisi a 7 chilometri dalla fine, non avevo speranze di rientrare. Alla fine però posso dire di essere soddisfatto e orgoglioso della mia prestazione e devo dire grazie alla squadra che mi ha sostenuto alla grandissima».

La volata vittoriosa di Grosu nella terza tappa, battendo l’americano Rhym
La volata vittoriosa di Grosu nella terza tappa, battendo l’americano Rhym
Che tipo di corsa avete affrontato? Il profilo geografico del territorio rumeno non è molto simile a quello italiano…

Sì, ma le salite ci sono, anzi la tappa decisiva portava gli atleti oltre quota 2.000. Tutte le tappe avevano un dislivello complessivo di almeno 1.800 metri. Tutte le frazioni, salvo quella finale completamente pianeggiate, erano con salite di 3-4 chilometri, il tappone aveva invece la salita che ha fatto la differenza anche al Sibiu Cycling Tour.

Prendiamo spunto dalla gara per parlare del ciclismo del tuo Paese, a che livello è?

Sta crescendo, anche se non come potrebbe. Dal punto di vista organizzativo si disputano gare sempre più qualificate: il Sibiu Tour è quella più importante, ma anche il Turul Romaniei che è il nostro giro nazionale sta diventando sempre più qualificato. Il problema vero è a livello di squadre, guidate da dirigenti che sono signori che correvano tanti anni fa e che fanno tanta fatica ad adeguarsi al ciclismo moderno. Manca la mentalità giusta e questo rappresenta un ostacolo.

Il podio finale del Turul Romaniei con il britannico Stewart primo davanti a Raileanu (ROU) e Otruba (CZE)
Il podio finale del Turul Romaniei con il britannico Stewart primo davanti a Raileanu (ROU) e Otruba (CZE)
Considerando anche la crescita della vicina Ungheria…

Siamo lontani dai livelli magiari oppure polacchi. Deve cambiare qualcosa proprio a livello dirigenziale. Io curo con mio padre una squadra che ha 50 ragazzi nelle categorie giovanili, ma è difficile farli crescere ed anzi il nostro è un team fra i più grandi. Il problema è convincere i genitori a far fare questo sport ai propri figli, hanno molta paura.

Qualcosa che si vive anche dalle nostre parti…

Sì, ma in Italia ci sono le autostrade che attirano la gran parte del traffico così le strade secondarie sono più libere e ci si può allenare, pur con le dovute cautele. In Romania non ci sono e questo porta sempre molto traffico anche sulle strade provinciali. E’ uno sport rischioso e questo pesa. I genitori sono più propensi a portare i propri ragazzi a pedalare nei boschi, infatti la mtb è in pieno sviluppo. Ora c’è anche un campione da seguire, Vlad Dascalu che è stato iridato U23 e tanti ragazzi vogliono seguire le sue orme.

La Drone Hopper era, insieme alla Caja Rural, l’unica squadra professional al via
La Drone Hopper era, insieme alla Caja Rural, l’unica squadra professional al via
Dal punto di vista agonistico qual è la situazione?

I praticanti non sono tantissimi, ma stanno aumentando e questo è un bel segnale. Bisogna considerare che fino a 5 anni fa non si disputavano campionati nazionali al di sotto della categoria allievi. Per capire comunque il livello basti pensare che all’ultimo campionato nazionale elite eravamo una quarantina al via e in un Paese con 23 milioni di persone è davvero poco. Serve davvero una grande opera di promozione con idee nuove.

Grosu si era già messo in mostra al Tour di Limousin, finendo 2° a Liberac
Grosu si era già messo in mostra al Tour di Limousin, finendo 2° a Liberac
Ai mondiali sarete presenti?

In Australia dovrebbe andare il campione nazionale. A me avevano chiesto di partecipare, ma ho detto di no perché avrei precluso la seconda parte di stagione alla quale tengo tantissimo, con tutte le classiche italiane dove possiamo fare bene. Sono finalmente in una buona condizione e con la squadra che abbiamo può venire fuori qualcosa di molto buono, anche perché ho il contratto in scadenza e vorrei continuare con il team. Oltretutto gareggiare per la nazionale, nel mio caso rappresenta sempre un problema.

Perché?

A Monaco, agli europei, mi sono trovato a prendere parte alla gara senza uno staff. Non avevo né meccanico né massaggiatore. In gara ho forato a 7 chilometri dal traguardo ma non c’era un’ammiraglia che poteva aiutarmi a sostituire la bici. Che senso ha gareggiare così?

Grosu, l’uomo che finora era mancato alla Drone Hopper

12.07.2022
4 min
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Zarnesti è una cittadina della Romania. Poco più di 25.000 anime che vivono nel mito del Conte Dracula. E tra queste anime c’è Eduard-Michael Grosu, che non è un vampiro, ma un ciclista. E anche di quelli tosti.

Grosu veste i colori della Drone Hopper-Androni. La sua storia con il ciclismo è legata a doppio filo con l’Italia. Il suo fisico possente, unito con la nostra mentalità ne fanno un corridore scaltro, uno di quelli che sa il mestiere. Il guaio è che per una serie di acciacchi non ha potuto correre il Giro e la squadra ne ha sentito davvero la mancanza.

Eduard Grosu (classe 1992) con suo padre Viorel, anche lui corridore
Eduard Grosu (classe 1992) con suo padre Viorel, anche lui corridore

Figlio d’arte

«Vero – racconta Grosu fresco del suo Sibiu Tour – abito a tre chilometri dal castello di Dracula. Di solito sono in Romania, vengo in Italia quando ci sono le corse.

«Ho iniziato con il ciclismo perché mio papà Viorel è stato a sua volta un ciclista. E’ stato sei volte campione di Romania, ma essendoci il comunismo non poteva uscire dalla patria Lui ha messo su una squadra di ciclismo ed è lì che ho iniziato. 

«Da bambino facevo tanti sport. Anche box, sci… però alla fine ero sempre in bici».

«Sono arrivato in Italia la prima volta nel 2011 per la stagione del cross. Io cercavo squadra già da un po’. Ero stato in Svizzera, al centro Uci, da juniores ma poi ero dovuto tornare a casa. Si sapeva che cercavo squadra. Arrivai al Team Cerone, in Piemonte. Ero al primo anno da under 23.

«Su strada invece arrivai a metà dell’anno successivo. Arrivai alla Overall, grazie alle buone parole del diesse del Team Cerone».

Nel 2020 Grosu ha vinto la generale del Sibiu Tour, la più importante corsa in Romania dall’appeal sempre più internazionale
Nel 2020 Grosu ha vinto la generale del Sibiu Tour, la più importante corsa in Romania dall’appeal sempre più internazionale

Abilità di guida

Grosu mette subito in mostra le sue doti di abile pilota, buon velocista e una super grinta. Doti che già anni fa il suo primo tecnico tra i pro’ alla Nippo-Vini Fantini, Stefano Giuliani esaltò: «Ce ne sono pochi che guidano bene come Grosu».

«Forse perché in bici ho fatto un po’ di tutto da bambino – spiega Grosu – in Romania essendoci poche gare si faceva di tutto: ciclocross, mtb, pista, strada, i criterium E poi essendo un velocista mi piace l’adrenalina, devo essere abile. Se trovo spazio, in discesa metto sempre me stesso e gli altri alla prova».

 

«E credo che per questo motivo sappia leggere bene la corsa. Il ciclismo è cambiato, ma io mi sono sempre adattato».

Eccolo agli europei 2020 a Plovdiv dove è stato 9° nell’eliminazione (foto Instagram)
Eccolo agli europei 2020 a Plovdiv dove è stato 9° nell’eliminazione (foto Instagram)

Grinta Grosu

Un corridore così non poteva passare inosservato a Gianni Savio. Valori perfetti per una squadra che ha nella grinta e nell’attacco il suo Dna.

«Sono arrivato alla Drone Hopper-Androni quest’anno. La Delko chiudeva per mancanza di soldi e i miei procuratori, i Carera, mi dissero di questa offerta. Pensate che facemmo tutto in un giorno. Ero alle Olimpiadi di Tokyo e firmai il contratto online».

«Sono in una squadra nuova e ho messo la mia esperienza al servizio dei più giovani. E questo mi piace. Mi piace correre davanti, sapere sempre cosa succede e così poter guidare i ragazzi. Magari loro vedendomi possono imparare. Ed è per questo che sono stato preso: per loro e anche per fare qualche risultato ovviamente».

Eduard è molto veloce e sa destreggiarsi bene in gruppo
Eduard è molto veloce e sa destreggiarsi bene in gruppo

Chioccia e apripista

Ma uno dei ruoli fondamentali di Grosu era ed è quello di aiutare i velocisti. Lui stesso è molto veloce e con le sue caratteristiche può essere un ottimo apripista.

«Abbiamo – dice Grosu – corridori veloci come Marchiori. E anche Benedetti. il problema è che dall’inizio dell’anno, per un motivo o per un altro, ci siamo visti poco. Alla fine ho passato molto più tempo con “Natalino” (Natnael Tesfatsion, ndr), con Andrii Ponomar, con Santiago Umba e ultimamente anche con Andrea Piccolo. Con loro abbiamo fatto dei ritiri per conto nostro. Con Natalino e Andrii davvero ci ho passato un sacco di tempo.

«Con Piccolo ero in camera al Sibiu Tour e abbiamo parlato molto. Un ragazzo davvero forte».

«Per quanto riguarda Marchiori, spero che da adesso in poi potremo vederci di più. E spero di cogliere qualche risultato. Verrò in Italia per le corse di fine stagione. Sono affascinato dalla Bernocchi con il Piccolo Stelvio. Andai forte l’anno che vinse Nibali. E mi piace anche la Milano-Torino».

Aleotti, raccontaci del Sibiu Tour e della Romania

10.07.2022
5 min
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Mentre sulle strade del Tour de France, tra un colpo di fioretto ed uno di spada, si chiudeva una prima settimana infuocata, il mondo del ciclismo non si è fermato. A 2.000 chilometri da Parigi, in Romania, nella regione di Sibiu è andata in scena l’omonima corsa a tappe: il Sibiu Tour. Vinto, per il secondo anno di fila da Giovanni Aleotti (foto di apertura di Tiberiu Hila). 

Per il corridore della Bora-Hansgrohe si trattava del ritorno alle corse dopo i campionati italiani, mentre subito prima aveva partecipato al Giro d’Italia vinto dal suo capitano Jai Hindley. Da Giovanni ci facciamo raccontare qualcosa di questa corsa, di cui tutti parlano bene, ma che conosciamo poco…

Giovanni Aleotti in azione nel prologo di apertura del Sibiu Tour (foto Max Schuz)
Giovanni Aleotti in azione nel prologo di apertura del Sibiu Tour (foto Max Schuz)

Storia breve ma intensa

Il Sibiu Cycling Tour esiste da 12 anni e nonostante la sua giovane età vanta un palmares invidiabile. Sul gradino più alto del podio della città di Sibiu, nella regione della Transilvania, sono saliti ben 5 volte dei corridori italiani (Marchetti, Rebellin, Finetto e due volte Aleotti). Inframezzati dalla doppietta colombiana con Bernal nel 2017 e Sosa nel 2018.

«E’ una corsa in crescita, davvero molto in crescita – racconta Aleotti – basta vedere anche la posizione che occupa nel calendario. E’ nello stesso periodo del Tour de France, ma essendo l’unica alternativa, per forza di cose le squadre WorldTour mandano qui i propri corridori, per non farli rimanere fermi. Il Sibiu Tour è una corsa organizzata molto bene, lo era anche quando ho vinto lo scorso anno, anche se devo riconoscere che il livello era un pochino più basso».

Si sale e non poco

Il Sibiu Tour è una corsa a tappe breve, sono 3 giorni di corsa con 4 tappe, l’ultimo giorno si affrontano due frazioni: una cronoscalata ed una tappa breve. Nel guardare il profilo delle tappe si nota che in questa regione le salite, non mancano, anzi…

«Rispetto al 2021 – riprende a raccontare Giovanni pescando nella memoria – le strade erano più o meno quelle, la salita finale della seconda tappa (Balea Lac, ndr) l’avevamo fatta anche lo scorso anno. E’ la loro salita di riferimento, come se fossero le nostre Dolomiti, anche se ben diversa. Innanzitutto si parte da molto più in basso, e di conseguenza è una salita lunga, ben 23 chilometri e si arriva a quota 2000 metri. La pendenza è molto regolare, adatta alle mie caratteristiche, infatti l’anno scorso ero arrivato secondo, mentre quest’anno ho vinto.

«Nella prima parte si passa in un bosco molto fitto con la strada che fa poche curve. Nella seconda la vegetazione si dirada e iniziano i tornanti, più o meno a 6 chilometri dalla vetta. Lì la pendenza un po’ rinforza. Ammetto che mi ricordavo questa cosa e l’ho usata a mio favore per sferrare l’attacco giusto (conclude con una risata maliziosa il giovane corridore emiliano, ndr). La strada è particolare, sempre larga e molto bella».

Il pubblico ha accolto calorosamente i corridori nonostante si sia corso in settimana (foto Max Schuz)
Il pubblico ha accolto calorosamente i corridori nonostante si sia corso in settimana (foto Max Schuz)

Un bel pubblico

La risposta del pubblico è sempre un sintomo di quanto una corsa sia sentita, basti vedere la cornice che ha accompagnato la Grande Boucle nei giorni in Danimarca e non solo.

«Devo ammettere che la corsa era davvero seguita – dice Giovanni – il pubblico sulle strade era numeroso, nonostante corressimo in settimana. Poi, quando tornavamo negli hotel il personale aveva seguito la gara in televisione e ci faceva i complimenti e capitava di scambiarci qualche battuta. Anche dal punto di vista degli alloggi l’organizzazione ha fatto un lavoro eccellente. Alla Bora, ma come anche altre squadre, nelle gare importanti abbiamo sempre dietro il camion cucina, questa volta non lo avevamo. Però l’organizzazione ha fatto trovare a tutti gli hotel una lista degli alimenti da comprare. Così avevamo tutto il necessario: pasta, riso, pollo, pesce, verdure».

Sibiu è stata fondata nel 1190 da coloni di origine tedesca, per questo la sua architettura ricorda quella tedesca (foto Tiberiu Hila)
Sibiu è stata fondata nel 1190 da coloni di origine tedesca, per questo la sua architettura ricorda quella tedesca (foto Tiberiu Hila)

Un felice ritorno

Dopo un anno Aleotti è tornato dove ha ottenuto la sua prima vittoria da professionista. Ritornare su quelle strade ha significato fare un passo indietro nella memoria con lo sguardo però rivolto in avanti.

«Devo ammettere – racconta infine – che quando mi hanno detto che sarei tornato al Sibiu Tour mi ha fatto piacere. Ero contento perché sono legato a questo luogo, dove ho il ricordo della mia prima vittoria tra i professionisti. Ma anche la città di Sibiu mi è rimasta impressa nella memoria. Il centro della città è bellissimo, ricorda in parte l’architettura tedesca, in più le zone intorno, dove si svolge la corsa, sono bellissime, sono ricche di montagne, di salite e di grandi distese verdi».