In viaggio con Scandolara nel ricordo di Melissa Hoskins

04.01.2024
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«Quando l’ho saputo – dice Valentina Scandolara – ho inviato un messaggio ad Annette Edmonson e a Carlee Taylor. Ho chiesto loro: “Ditemi che non è vero!”. Invece mi hanno mandato un video, ma la mia prima reazione è stata comunque di non crederci. Non c’è niente da dire, la morte di una persona così giovane è una cosa che non ci si aspetta mai. E tutto il resto ancora meno, ma non sta a noi parlarne».

Il ritiro in Australia

La veronese si sta allenando per la ripresa della stagione su pista, la strada appartiene al suo passato. Nel 2014 e 2015, quando approdò in Australia alla Orica-AIS, trovò ad accoglierla anche Melissa Hoskins. Il suo nome è balzato drammaticamente alle cronache alla fine dell’anno: la sua morte a 32 anni è una notizia che non va giù. Forse per questo abbiamo chiesto a Valentina Scandolara di ricordarla per noi. Perché non l’abbiamo mai conosciuta e non ci sembrava giusto lasciarla andare così. Per lei non è facile parlarne e per questo la ringraziamo sin d’ora.

«Uno dei ricordi che mi fa più ridere – dice – è di quando l’ho incontrata al primo ritiro della squadra a Melbourne. Arrivai la sera tardi e la notte non dormii per il jet lag. Al mattino le trovai tutte a colazione e non capivo cosa dicessero. Un po’ perché ero intontita, un po’ perché la pronuncia australiana è molto dura. Melissa assieme a Carlee Taylor cercò invece di farmi sentire più a mio agio. E poi era una burlona. In quel ritiro ad esempio si mise a farmi vedere un video con i 42 modi per morire in Australia. C’erano gli squali, i ragni, gli scorpioni… Mi raccontava storie assurde, esagerate, tutte quelle che si raccontano agli stranieri che vanno in Australia. 

Nel 2015 Melissa Hoskins conquista il mondiale del quartetto a Parigi (foto Instagram)
Nel 2015 Melissa Hoskins conquista il mondiale del quartetto a Parigi (foto Instagram)

«Una sera – prosegue e ride – per farmi sentire a casa, andò con Annette a prendermi una pizza. Io ero super felice. Aprii questa scatola e vidi che me l’avevano presa all’ananas. E gli dissi: “Ragazze no, bisogna fare una lezione di cucina italiana!”. Ma loro sapevano benissimo che avrei reagito così, perché chiaramente avevano il ritiro in Italia…».

Foto e ricordi

Parlare costa, è trascorso troppo poco tempo e il rischio di passare per qualcuno che vuole metterci sopra il nome l’ha tenuta a freno dal pubblicare ricordi sui social.

«Ci ho pensato – ammette – perché all’inizio ero indecisa se postare e dire qualcosa. Col tempo i contatti si allentano, ci si sente solo per gli auguri e non ero certa di essere la persona più adatta per dire qualcosa. Però dopo un po’ hanno iniziato a mandarmi le foto che avevano di noi e mi sono ritornati in mente tanti ricordi a cui magari non pensavo più. In questi giorni ho pensato bene a cosa ricordo di lei ed è vero, come si dice, che i migliori partono sempre troppo presto».

Hoskins, Cure, Edmondson, Ankudinoff: il quartetto australiano iridato a Parigi 2015 (foto Instagram)
Hoskins, Cure, Edmondson, Ankudinoff: il quartetto australiano iridato a Parigi 2015 (foto Instagram)

Il Tour Down Under

Forse il ricordo più bello, lo si capisce dalla voce che trema, è quello legato alla vittoria del Tour Down Under nel 2015. Fu il successo di un’italiana di 25 anni, davanti a un’australiana già molto nota in patria per le sue vittorie su pista.

«Quella corsa – conferma Scandolara – fa capire veramente chi fosse Melissa. L’anno prima a Ponferrada eravamo arrivate seconde al mondiale della cronosquadre e lei al Down Under arrivava in preparazione ai mondiali su pista, il suo obiettivo a fine febbraio. Si correva ad Adelaide, la sua città adottiva, dato che si era stabilità lì per la pista. In quel periodo volava, io andavo forte, ma la corsa non era un mio obiettivo. Invece vinsi la prima tappa e lei fece seconda. Chiaramente i giochi erano ancora apertissimi, invece Melissa si mise a disposizione per tutta la settimana, perché io potessi tenere la maglia. La foto che dopo la sua morte ha pubblicato anche la GreenEdge (immagine di apertura di Nikki Pearson, ndr) è l’abbraccio fra noi due dopo l’ultima tappa che vinse lei. Ero felicissima. Infatti nella foto dell’arrivo alle sue spalle, esulto anche io. Melissa aveva un talento straordinario, era fortissima e super competitiva. Però quando si metteva a disposizione, rinunciava a tutte le sue possibilità di vittoria. Era una persona veramente rara e la ricordo con tantissimo affetto. E’ stata una tragedia incredibile».

Argento a Ponferrada

Nei mondiali 2015 su pista, che si svolsero nel velodromo parigino che ospiterà le prossime Olimpiadi, Melissa Hoskins conquistò la maglia iridata nel quartetto facendo anche il record del mondo. Il ricordo dell’argento nella cronosquadre di Ponferrada (vittoria alla Specialized Lululemon), che ha fatto capolino nelle parole di Scandolara, merita a sua volta un racconto. 

«Melissa e Annette Edmondson – ricorda – erano in prestito nella squadra della strada, perché la loro attività era prevalentemente su pista. Nel 2014 condividemmo tanti momenti, ritiri e corse, ma l’obiettivo finale della squadra era il campionato del mondo della cronosquadre. Io fisicamente non sono mai stata un corridore da crono, però Melissa mi incoraggiò per tutto l’anno. All’inizio non avevo nessuna prospettiva di far parte della squadra, invece in ogni ritiro lei, Annette ed Emma Johansson, che erano le più esperte, mi sostenevano con i loro consigli. E alla fine, miglioramento su miglioramento, entrai di diritto in squadra e fui addirittura una delle quattro che sarebbero passate per prime al traguardo e su cui sarebbe stato fermato il tempo».

Ritiro e famiglia

Le loro strade si separarono alla fine del 2015. Scandolara passò alla Cylance Pro Cycling, mentre Melissa lasciò la strada per concentrarsi sulla pista e di lì a poco lasciò la carriera per dedicarsi a quella di suo marito.

«Dopo allora – ricorda Scandolara – capitò di vedersi qualche volta in Australia, magari al Tour Down Under. Lei si stabilì fra Girona e Andorra e andava spesso vedere le gare maschili. Quando si è ritirata, mi è dispiaciuto molto, perché aveva ancora tantissimo da fare. Era giovanissima, aveva appena 25 anni. Però so che voleva una famiglia e supportare la carriera di suo marito. E così adesso di lei mi restano questi ricordi e una bandierina dell’Australia, di quelle di scarsissima qualità che ci diedero sul podio dei mondiali. Pensate che in questo momento sto vestendo una felpa dell’Orica. Mi ricordo anche del soprannome che mi diedero, forse perché Valentina Scandolara era troppo difficile da pronunciare senza storpiarlo. Mi chiamavano Brumby, come il cavallo selvaggio australiano…».

Melissa Hoskins ha partecipato alle Olimpiadi di Londra 2012 (4° posto), poi a Rio 2016 (5°), prima di ritirarsi
Melissa Hoskins ha partecipato alle Olimpiadi di Londra 2012 (4° posto), poi a Rio 2016 (5°), prima di ritirarsi

La morte e i giornali

Adesso Valentina sorride e prima di salutare ha un sassetto da togliere dalla scarpa, qualcosa che abbiamo pensato anche noi nei giorni immediatamente successivi alla tragedia di Adelaide.

«Mi è dispiaciuto – dice – vedere anche delle testate prettamente sportive che hanno dedicato i loro articoli a Rohan Dennis, il campione di ciclismo, accusato di aver ucciso la moglie. A Melissa invece hanno dedicato tre parole. Ebbene anche Melissa Hoskins era una campionessa di ciclismo ed è stata protagonista di questa brutta storia. E in ogni caso, anche se non fosse stata Melissa con i suoi risultati sportivi, penso che le parole vadano pesate bene. Capisco che il marito sia più conosciuto, ma sarebbe servito più rispetto anche per Melissa. L’ho detto a chi mi ha cercato per parlarne: se volete scrivere qualcosa, tenete conto anche di questo aspetto. Sarebbe assurdo fare il contrario».

Dennis, le mille facce di un campione complicato

20.08.2022
5 min
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La carriera di Rohan Dennis è come una gimkana, piena di svolte. L’ultima risale a pochissime settimane fa: l’australiano aveva appena vinto la medaglia d’oro ai Giochi del Commonwealth (foto di apertura Getty Images) e quella di Birmingham non era stata una vittoria qualsiasi.

«Ho sempre amato tutto quello che riguarda i “Giochi” – aveva detto – ero già salito sul podio nel 2014 e avevo anche conquistato una medaglia alle Olimpiadi, ma mai avevo vinto l’oro in una manifestazione plurisportiva e per me ha un valore prezioso».

Pochi giorni dopo, Dennis disertava la gara in linea, venendo ricoverato in ospedale perché accusava un non meglio identificato malore. Poi, è notizia di ieri, ha preso il via alla Vuelta, come colonna per la Jumbo Visma al servizio di Roglic a caccia del poker e che ha pilotato il team alla vittoria nella cronosquadre di apertura.

Dennis Vuelta 2022
L’abbraccio con Affini al termine della cronosquadre della Vuelta, vinta con 13″ sulla Ineos
Dennis Vuelta 2022
L’abbraccio con Affini al termine della cronosquadre della Vuelta, vinta con 13″ sulla Ineos

Un nuotatore mancato

C’è da perderci la testa, ma a ben guardare è sempre stato così, sin dagli inizi. D’altronde Rohan il ciclista neanche lo voleva fare. Da ragazzino il suo mito era Kieren Perkins, doppio oro sui 1.500 stile libero di nuoto. Voleva assolutamente seguire le sue orme, ma a scuola erano di parere diverso. Bisogna sapere che ogni ragazzino australiano viene sottoposto al Talent Identification Program, in cui attraverso una serie di test si stabilisce quale sia la disciplina sportiva più adatta e nel suo caso risultò il ciclismo. Rohan, diffidente per natura, era poco propenso ad accettare di cambiare. «Vabbé, io mi alleno e verrà buono per il nuoto» pensava. Dopo tre mesi era talmente coinvolto che al nuoto non ci pensava più…

Dennis non ha un carattere facile, lo ammette lui stesso. Un giorno ammise sinceramente: «Non so davvero come faccia la mia ragazza a starmi accanto. Quando perdo, quando anche la più piccola cosa non va come dico io mi butto giù e lei mi ammazzerebbe… Mi ricorda sempre tutto quello che ho vinto, quello che ho fatto, mi fa vedere l’altro piatto della bilancia». Non si tratta d’altro canto di una donna qualsiasi, ma di Melissa Hoskins, oro iridato con il quartetto nel 2015.

Melissa Hopkins 2019
La moglie di Dennis, l’ex iridata d’inseguimento a squadre Melissa Hoskins con il figlio Oliver
Melissa Hopkins 2019
La moglie di Dennis, l’ex iridata d’inseguimento a squadre Melissa Hoskins con il figlio Oliver

Odia dire: «Te l’avevo detto…»

Molto, nella sua evoluzione, è dipeso e dipende dall’ambiente. A dir la verità non ce n’è stato uno che gli si sia adattato come un vestito su misura, ha sempre trovato qualcosa che alla fine ha corroso i rapporti. Un giorno, intervistato da Procycling, dette una spiegazione a tutto ciò: «Non sono i problemi grossi che mi infastidiscono, ma le piccole cose, quelle che con un pizzico di attenzione e di cura eviteresti. Non sopporto di dire “te l’avevo detto”, ma tante volte non vengo ascoltato ed ecco che poi saltano fuori le magagne».

Tanti hanno provato a dirgli di prendere tutto più alla leggera, ma non è da lui: «Non riesco a girare intorno alle cose, se c’è un problema devo risolverlo e ci sbatto la testa finché non l’ho fatto, il resto passa tutto in second’ordine».

Dennis Bahrain 2019
Dennis affranto esce dal pullman della Bahrain: il Tour 2019 si è chiuso anzitempo e malamente
Dennis Bahrain 2019
Dennis affranto esce dal pullman della Bahrain: il Tour 2019 si è chiuso anzitempo e malamente

Il misterioso Tour 2019

Un esempio classico è quanto avvenuto al Tour 2019. Al tempo Dennis corre per la Bahrain-Merida. Ha puntato tutto sulla 13ª tappa, la crono di Pau, per questo ha anche evitato di guardare alla classifica, per non disperdere energie. Il giorno prima, alla Tolosa-Bagneres de Bigorre, arriva al chilometro numero 80, scende dalla bici e sale sull’ammiraglia. Non una parola, non una spiegazione. Ai diesse che chiedono risponde lapidario: «Non ne voglio parlare». Arriva al bus posto al traguardo, entra e scoppia in un pianto dirotto. I giornalisti assediano il bus, chiedono spiegazioni, ma nessuno ne ha. L’unica risposta ufficiale è in un laconico comunicato nel quale, oltre ai classici ringraziamenti, Dennis dice che ritirarsi è stata la cosa giusta perché il suo stato d’animo non era dei migliori.

A tal proposito è molto interessante rileggere il resoconto di quelle difficili settimane che lo psicologo David Spindler ha raccontato a Cyclingtips. Spindler, molto esperto nel mondo del ciclismo professionistico, andò a prenderlo direttamente a Pau per riportarlo ad Andorra e iniziò a lavorare con lui in profondità. Innanzitutto gli azzerò i social, perché era solito leggere i commenti e deprimersi per quelli avversi. Poi lo spinse a vivere più in profondità in famiglia.

Famiglia della quale per due settimane entrò a far parte anche lui: dava una mano a Melissa nelle faccende domestiche e nell’accudire il bambino e al contempo ascoltava i suoi sfoghi. Addirittura si metteva sullo scooter per seguire i suoi allenamenti e spesso fargli fare dietro motori: «Doveva sentire la presenza di chi gli era più caro». Un lavoro che sembrava una goccia cinese, tale da scalfire la sua diffidenza e il suo pessimismo, finché un giorno si risvegliò col sorriso. Dieci giorni dopo avrebbe vinto il titolo mondiale…

Dennis Birmingham 2022
L’australiano alla conquista dell’oro ai Giochi del Commonwealth 2022 (foto Getty Images)
Dennis Birmingham 2022
L’australiano alla conquista dell’oro ai Giochi del Commonwealth 2022 (foto Getty Images)

Per la Ineos parole pesanti

Il divorzio dal team era scontato e imminente, sarebbe arrivato un paio di mesi dopo, al termine dei mondiali. «Non era l’ambiente giusto per me e il mio malessere stava condizionando anche la mia situazione familiare, cosa intollerabile. Dovevo cambiare».

Con la Ineos Grenadiers, dov’è rimasto per tre anni abbondanti, le cose non sono andate poi molto diversamente, anche se dalle sue parole al momento dell’addio non traspare astio. Ma critiche sì, neanche tenere.

«Si sono un po’ accontentati di dove si trovavano e quel che hanno fatto. Sono stati in cima per una decade abbondante e per certi versi si sono un po’ cullati sugli allori. Uae Team Emirates e Jumbo Visma nel frattempo hanno costruito il loro castello mattone su mattone. Negli ultimi due anni i corridori di valore c’erano, eccome, ma ci si chiedeva perché non si vinceva come prima. Ma i corridori non bastano. La Ineos per anni è stata la punta della piramide tecnologica, ma ora il predominio ce l’abbiamo noi alla Jumbo Visma, mai stato in una squadra come questa». Per quanto la penserà ancora così?

Dennis, bordata alla Ineos e “guerra” a Pogacar

22.01.2022
4 min
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Chissà come l’avranno presa alla Ineos Grenadiers ascoltando le parole pronunciate da Rohan Dennis durante la presentazione della Jumbo Visma in cui l’australiano è approdato da quest’anno. A rileggerle anche a distanza di giorni, non devono essere suonate proprio bene.

«Quando ero con Ineos – ha detto – mi sono reso conto che stavano copiando la Jumbo Visma sotto parecchi aspetti. Così ho pensato: perché dovrei rimanere in una squadra che sta copiando quella dall’altra parte della barricata? Perché non entrare a far parte dell’originale ed essere davanti anziché inseguire?».

Questo è il lungo video della presentazione virtuale della Jumbo Visma. L’intervista a Dennis inizia a 59’55”

Jumbo in testa

Dennis non è entrato nei dettagli, ma le sue parole hanno fatto pensare di certo agli investimenti tecnici del team, alla querelle sull’uso dei chetoni e hanno soprattutto ispirato una riflessione sul come vada il mondo del ciclismo. Quando il Team Sky arrivò con i suoi tanti soldi, fece subito la differenza anche nelle metodologie di lavoro e per anni non c’è stato spazio per altro. L’avvento di Jumbo-Visma e UAE Team Emirates, i soli due colossi che per potenzialità hanno la capacità di contrastare l’impero britannico, ha stabilito equilibri diversi. Gli investimenti hanno portato nuovi studi e, sia pure coperti da grande riservatezza, questi hanno fatto decollare le prestazioni degli atleti coinvolti.

«In questo sport – ha confermato Dennis – di solito ci sono una o due squadre che spingono seriamente per guadagnare quello 0,5-1 per cento di vantaggio che permette di vincere le corse e al momento la squadra in testa è proprio la Jumbo».

Con Roglic, Dumoulin e Vingegaard nel primo ritiro c’era anche Laporte, a sinistra
Roglic, Dumoulin e Vingegaard: Tom al Giro, gli altri due al Tour

Due anni in giallo

L’australiano, la cui storia è passata sia pure per un anno (il 2011) nella continental della Rabobank da cui anni dopo sarebbe nata la Jumbo Visma, non è nuovo a cambiamenti improvvisi, soprattutto dopo la chiusura della BMC in cui dal 2014 al 2018 sembrava aver trovato la giusta gratificazione. E’ durato nove mesi al Team Bahrain Merida vincendo da… isolato il mondiale crono di Harrogate e due anni con la Ineos Grenadiers, scrivendo le bellissime pagine del Giro 2020 vinto con Tao Geoghegan Hart. Ora è passato al… nemico olandese e per i prossimi due anni lavorerà per Roglic, Dumoulin e Vingegaard, potendo coltivare contemporaneamente la passione per la crono (sul podio di Tokyo, è stato terzo dietro Roglic e Dumoulin, entrambi atleti Jumbo Visma). Merijn Zeeman, tecnico del team lo ha definito un acquisto da sogno.

«Ma io – ha sorriso – cerco di non dare ascolto a queste etichette che si trasformano in pressione. Però mi fanno capire la mia importanza per il team. Non sono venuto qui per divertirmi, ma per fare il mio lavoro. Raggiungere delle prestazioni, quello che più mi piace. Ho lavorato per tutta la mia carriera da professionista e anche prima per arrivare a questo punto. Il mio obiettivo è sempre stato essere uno dei più forti al mondo. E fondamentalmente ho voluto trasferirmi alla Jumbo Visma perché tecnicamente è una squadra migliore. Sembra davvero una grande struttura».

Buona la prima

E l’inizio è stato dei migliori. Il 12 gennaio a Ballarat, Dennis ha conquistato il titolo australiano della cronometro (foto Jumbo Visma in apertura), battendo Durbridge e adesso proseguirà la sua preparazione in Australia, alla larga dai contagi che hanno costretto la nuova squadra a sospendere il ritiro in Spagna. Tornerà in Europa per l’inizio delle corse che lo riguardano, con il mirino sul Tour de France e più in avanti sui mondiali della crono che si svolgeranno proprio in Australia.

«Il Tour è un grande obiettivo – ha detto – un circus in cui voglio entrare con la squadra che potenzialmente potrebbe vincerlo. Voglio aiutarli a battere Tadej. Il ragazzo mi piace (ride, ndr), ma adesso è… il nemico!».

Rohan Dennis, Giro d'Italia 2020

Dennis, splendida scoperta del Giro

25.10.2020
4 min
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Alzi la mano chi poteva immaginare che Rohan Dennis sarebbe stato l’ago della bilancia del Giro d’Italia sulle grandi montagne. L’australiano, un metro e 82 per 72 chili e due volte campione del mondo della crono, se ne era andato dal Tour de France del 2019 in polemica con l’allora Team Bahrain-Merida e poche settimane dopo aveva vinto il mondiale con una bici non ufficiale. Portandosi appresso un fardello di nomignoli non troppo lusinghieri, è approdato al Team Ineos e il suo arrivo era stato salutato come il vezzo dello squadrone così ricco da potersi permettere il lusso di una mina vagante. Poi è venuto il Covid e il mondo si è dimenticato di lui fino al giorno dell’Etna, quando scalò il vulcano assieme a Thomas ferito. Di lì un inesorabile climax ascendente. In fuga a Matera, poi a Cesenatico, tutto il giorno all’attacco a Piancavallo nel giorno della vittoria del compagno Geoghegan Hart e l’indomani a San Daniele del Friuli. E quando il Giro ha addentato le grandi montagne, accanto a Tao si è messo lui. Lo ha preso per mano. E sullo Stelvio prima e a Sestriere poi, ne ha sgretolato i rivali.

Rohan Dennis, Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Lo Stelvio è un gigante, tira Dennis, poi Geoghegan Hart e Hinfley
Rohan Dennis, Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Tira sullo Stelvio, selezione netta

Primo contatto

«Non avevo mai lavorato con lui – racconta Dario Cioni – per cui c’era bisogno di conoscerlo. Durante il lockdown ci eravamo tenuti in contatto, ma la prima esperienza sul campo è stata nel primo training camp fatto a Isola 2000 con il gruppo del Giro. Anche se non c’erano ancora Thomas e Carapaz. Il primo perché era nel gruppo Tour e il secondo ancora bloccato in Ecuador. Però c’erano ragazzi di esperienza come Puccio e Swift e il loro parere mi interessava molto. C’era di buono che si sarebbe parlato inglese e questo ha creato subito una buona amalgama, ma al di là di questo, Rohan è piaciuto subito a tutti. Restava solo da vedere il suo ruolo nel team per il Giro d’Italia».

Verso il Giro

Thomas è il capitano designato, dopo che Carapaz è stato spostato verso il Tour. Il Giro ha tre crono e tre cronoman superbi come Thomas, Dennis e Ganna.

«Così la squadra – prosegue Cioni – ha deciso di dare ai due carta bianca nella prima e nell’ultima crono, mentre a Valdobbiadene sarebbero dovuti andare piano, salvando la gamba per aiutare Geraint. E i due hanno accettato. Poi sappiamo come è andata con Thomas, ma a me stava a cuore il fatto che Dennis avesse accettato di non fare a tutta la crono più adatta a lui per essere al servizio del team».

Le montagne

Con Thomas fuori dai giochi e Narvaez ritirato, il Team Ineos-Grenadiers non ha più gregari per le salite. La squadra miete successi di tappa come nessun altro, ma serve qualcuno che possa assistere Tao che nel frattempo sta scalando posizioni nella generale.

«Abbiamo tenuto a quel punto – dice Cioni – un approccio più soft. Non volevamo dargli la pressione di sentirsi l’ultimo uomo in salita, per cui si è concordato di dargli lo stesso ruolo di Ganna. Entrambi corridori in grado di fare il passo sulle salite pedalabili. Ma quando siamo arrivati al giorno dello Stelvio, gli abbiamo chiesto se se la sentisse di dare una mano. Lui ci ha guadato e ha detto che avrebbe tirato fino a 5 chilometri dalla vetta. Bè, cosa dire… l’approccio ha funzionato. E visto che si sentiva bene, ha continuato e ha fatto quel capolavoro di tappa che avete visto tutti. Fermandosi sì ai 5 chilometri, ma dall’arrivo…».

Rohan Dennis, Vincenzo Nibali, Sestriere, Giro d'Italia 2020
I complimenti di Nibali a Sestriere: «Il tuo passo mi ha distrutto»
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La missione

Dennis non è soltanto una macchina come l’ha definito Geoghegan Hart dopo l’arrivo di Sestriere. Evidentemente a un certo punto si è sentito così parte della missione di squadra da volerne fare parte.

«Così la sera prima di Sestriere – sorride Cioni – ha preso lui la parola e ha detto che l’indomani avrebbe fatto la differenza in salita. Insomma… l’avete visto tutti. Forse il segreto è stato renderlo partecipe del ruolo, farlo sentire parte di un progetto».

Oggi Dennis, come pure Ganna, darà gli ultimi consigli di questo Giro a Tao per quella che è la sua specialità preferita: la crono. Il giovane gallese pedalerà come tutti gli altri su una Bolide di Pinarello, sperando che i tanti lavori fatti per la specialità diano i loro frutti. In team è fiducioso, ma per come era partita l’avventura del Giro, con il leader fuori dai giochi al terzo giorno, se anche finisse così, anche stasera non potrebbero che brindare…

Salvatore Puccio, Filippo Ganna, Sestriere, Giro d'Italia 2020

Arriva Puccio, sul bus si fa festa

24.10.2020
3 min
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Puccio è l’uomo dietro le quinte, quello cui i direttori sportivi della Ineos-Grenadiers chiedono sempre un parere, sapendo che non sarà banale. Quando Salvatore è arrivato al traguardo, il personale della squadra si è messo in fila per abbracciarlo, sapendo quanto abbia lavorato lontano dalle inquadrature. Così quando si avvicina alla transenna, il suo è il sorriso di chi ha fatto bene il suo mestiere.

Ti aspettavi di arrivare a un giorno dalla fine messo così?

Dopo la sfortuna di Thomas ci siamo reinventati. Non abbiamo pensato alla classifica. Tao era lì, poteva fare la sua top ten. E’ giovane, era tutta un’esperienza. Dopo, piano piano, ogni giorno ricevevamo il numero della macchina che scalava uno ad uno. Mancavano dieci tappe ed eravamo la macchina numero dieci. Così scherzando ci siamo detti che saremmo arrivati secondi o primi.

Salvatore Puccio, Vieste, Giro d'Italia 2020
Secondo a Vieste, anticipato da Dowsett
Salvatore Puccio, Vieste, Giro d'Italia 2020
Secondo a Vieste, anticipato da Dowsett
E i giorni passavano…

Finché a Piancavallo, Tao è andato fortissimo e ci è arrivata l’ammiraglia numero tre e a quel punto abbiamo iniziato a crederci. Comunque abbiamo mantenuto la stessa tattica. Andavamo in fuga, per noi era importante vincere tappe in questo Giro. Ognuno ha avuto la sua chance. Ma nel giorno dello Stelvio qualcosa è cambiato.

Che cosa è cambiato?

Rohan Dennis ha iniziato a fare cose da paura. Non lo scopriamo né lo abbiamo inventato noi. Uno che ha vinto due mondiali… Magari è partito piano a inizio Giro, poi è cresciuto e oggi addirittura ha fatto terzo. Sono contentissimo e poi sul bus c’è un’atmosfera stellare. Siamo rimasti in sei, ma siamo sei amici, non sei compagni di squadra.

Un clima inedito per voi?

Abbiamo sempre avuto un grande leader. Con Froomey, Geraint Thomas, c’era da stare super concentrati. Stavolta ci siamo ritrovati qui con Tao che ha sempre lavorato per gli altri e si può giocare la sua occasione. E’ stato diverso. Però non volevamo dargli nemmeno lo stress di pensare di dover vincere per forza. Lui stava tranquillo, noi andavamo in fuga e la pressione non c’era. Alla fine ha dimostrato di essere stato il più forte.

Ti mangi le mani per il secondo posto di Vieste?

Un po’ sì (sorride, ndr), ma Israel ha corso bene. Alla fine erano in due. Sarebbe stata una bella ciliegina sulla torta, però lo sport è così.

E’ la Ineos dei giovani…

Ne abbiamo tanti e poi il ciclismo di adesso è pieno di giovani rampanti. C’è il cambio generazionale, è normale. Io sono considerato il vecchio. A casa mia moglie mi dice che sto invecchiando, però ho seguito questa strada di gregario dall’inizio. Ho l’età giusta, ho 31 anni, posso ancora dare qualche consiglio a questi sbarbatelli.

Che cosa significa giocarsi il Giro in una crono?

Abbiamo due cronoman fortissimi tra i favoriti della tappa e speriamo che Tao riesca a dormire stanotte. Non è facile pensare che ti giocherai il Giro. Si vince dopo la linea, ancora non si è vinto niente, però noi siamo contenti per quello che abbiamo già fatto, l’atmosfera, la passione che ci abbiamo messo in tutto. Per lui è tutto un di più, farà la sua crono. Non parte svantaggiato e non ha niente da perdere.

Poteva guadagnare più tempo, credendoci da subito?

Era arrivato per aiutare. Forse nella prima crono gli hanno detto di non rischiare e di fare una tappa pulita per il vento. Forse lì poteva guadagnare qualcosa. Ai Laghi di Cancano ha perso perché Hindley aveva dietro il compagno che prendeva la rosa. Oggi è stato Tao a non tirare, avendo dimostrato di essere il più forte di tutti. Il ciclismo in fondo è uno sport semplice.

Se ieri aveste corso normalmente oggi ci sarebbero stati distacchi maggiori?

Di ieri si dovrebbe parlare a lungo, ma non adesso. Andiamo a Milano, la strada è lunga.