Al Giro del Friuli, concluso domenica con un’altra vittoria di Buratti, era presente anche il Team Qhubeka. La continental, ridimensionata per le vicende di inizio anno, è ripartita con un progetto giovani importante ed inclusivo, come suo solito. Tra i corridori presenti in Friuli c’era anche Jacopo Menegotto (in apertura foto Instagram), al primo anno con la squadra di Daniele Nieri, che di recente ha centrato la prima vittoria stagionale al Memorial Tortoli. Jacopo è figlio d’arte, suo padre Roberto è stato anche lui un ciclista con un buon trascorso nei dilettanti (ha vinto il campionato italiano) e quattro anni di professionismo.
Di nuovo il sole
Un bell’attacco sullo strappo finale di Laterina, in quegli 800 metri Menegotto ha picchiato duro sui pedali, spingendo lontano un inizio di stagione difficile.
«Questa vittoria – racconta da casa sua a San Donà di Piave – mi ha dato consapevolezza. E’ stata come una liberazione, sono riuscito a lasciarmi alle spalle tutto il nero che ho visto. Dal punto di vista mentale Daniele (Nieri, ndr) mi è stato molto vicino e mi ha dato una grande mano, è stata davvero dura. In primis, però, devo ringraziare la mia famiglia ed i miei amici, in questi mesi sono stato parecchio a casa e loro mi hanno dato una grande mano. Non riuscire a fare ciò che ami è difficile, non dico che sia stato uno schock, ma una bella batosta sì. Sono stati parecchi i momenti duri, io sono uno che pensa molto e in questo periodo mi sono rotto la testa, arrivando quasi a mollare del tutto. Se non l’ho fatto è proprio grazie a chi mi è stato accanto tutti i giorni».
Un male invisibile
Se si guarda agli impegni di Menegotto, si nota come il suo inizio di stagione sia costellato da continui periodi di fermo. In un ciclismo che si muove sempre più velocemente rimanere “ai box” non aiuta e Jacopo lo sa bene.
«Ad inizio anno stavo male – dice con tono sommesso – più avanti ho capito di cosa si trattasse: mononucleosi. Un ostacolo difficile da superare che mi ha compromesso la prima parte di stagione. Mi ero posto l’obiettivo di ripartire dal Giro d’Italia Under 23, ma i valori sono tornati ad essere alti e sono rimasto fermo altri 20 giorni. Alla fine di tutto sono tornato in corsa solamente il 29 luglio al Kreiz Breizh Elites: una corsa 2.2 che mi ha aiutato a far salire la condizione. Non sono ancora al 100 per cento, faccio fatica a recuperare dopo le gare, anche per questo al Giro del Friuli non ho fatto il massimo. Tuttavia la stagione è ancora lunga e le gare sono molte, ci sarà anche la Ruota d’Oro e sappiate che sul mio calendario c’è un bel cerchio su quel giorno».
L’approdo in Qhubeka
Da questa stagione, si diceva, Jacopo corre nel Team Qhubeka, una realtà tanto diversa da quelle vissute dal ragazzo veneto. Una squadra internazionale con tanti corridori di lingue e culture differenti, un mix di tante esperienze e storie di vita.
«I miei compagni – racconta – sono ragazzi tranquilli e super gentili. La squadra ha una casetta a Lucca e molto spesso ci passiamo dei periodi medio-lunghi tra i vari impegni. Avere tante nazionalità al nostro interno, e tutte che arrivano da un continente così lontano come l’Africa è bello. Spesso quando siamo in casetta ascolto le storie dei miei compagni, è bello sentirli parlare e penso che a loro faccia piacere aprirsi e raccontare delle loro famiglie o della propria cultura. Ciclisticamente arrivano da un mondo molto lontano, quindi a volte tocca anche a noi, compagni più esperti, aiutarli e farli ambientare.
«In ritiro parliamo spesso di ciclismo e dei corridori del passato ed a volte ci sorprendiamo perché non conosco gente come Indurain o Bugno (dice con un mezzo sorriso, ndr). Sono molto propensi alla fatica, anche perché così lontani da casa sanno di giocarsi il “tutto o niente” per entrare nel ciclismo che conta. Questa caratteristica la si nota spesso anche in corsa o in allenamento».
Un primo bilancio
Quest’anno si concluderà, per motivi anagrafici, l’esperienza di Menegotto tra gli under 23, che bilancio ne ricava alla fine di questa sua “esperienza”?
«Mah, un bilancio… Sicuramente avrei potuto raccogliere qualche risultato in più – risponde – non sono stato sempre concreto. Quando ho perso, però, mi sono confrontato con corridori che ora corrono in team WorldTour e sono campioni affermati. Come quando al Giro Under 23 del 2020 ho corso contro Milan e Pidcock. Senza voler strafare penso che un posto tra i professionisti posso ritagliarmelo, ho corso in tante squadre che mi hanno sempre permesso di crescere, in un modo o nell’altro.
«Quando ero in Biesse Arvedi, nel 2019 e nel 2020 – conclude – ho imparato ad essere autonomo. Prendevo il treno per andare ad allenarmi o per andare ai ritiri, imparando a vivere al di fuori della mia comfort zone. Alla General Store, lo scorso anno, ho trovato tanti amici. Uno di loro è Lucca, uno dal quale bisogna imparare la determinazione e la costanza: per arrivare al professionismo come ha fatto lui ci vogliono due spalle grandi così. Invece quest’anno, con la Qhubeka ho usato un po’ dell’esperienza fatta in Biesse, quando ero io quello lontano da casa. Ovvio che le proporzioni da fare sono enormi, ma sapere un minimo cosa si prova mi ha aiutato a legare con i compagni».