Menegotto ritrova vittoria e sorriso: «ora il peggio è alle spalle»

06.09.2022
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Al Giro del Friuli, concluso domenica con un’altra vittoria di Buratti, era presente anche il Team Qhubeka. La continental, ridimensionata per le vicende di inizio anno, è ripartita con un progetto giovani importante ed inclusivo, come suo solito. Tra i corridori presenti in Friuli c’era anche Jacopo Menegotto (in apertura foto Instagram), al primo anno con la squadra di Daniele Nieri, che di recente ha centrato la prima vittoria stagionale al Memorial Tortoli. Jacopo è figlio d’arte, suo padre Roberto è stato anche lui un ciclista con un buon trascorso nei dilettanti (ha vinto il campionato italiano) e quattro anni di professionismo. 

Per Menegotto, quella del Memorial Tortoli, è stata prima vittoria in maglia Qhubeka (foto Instagram)
Per Menegotto, quella del Memorial Tortoli, è stata prima vittoria in maglia Qhubeka (foto Instagram)

Di nuovo il sole

Un bell’attacco sullo strappo finale di Laterina, in quegli 800 metri Menegotto ha picchiato duro sui pedali, spingendo lontano un inizio di stagione difficile. 

«Questa vittoria – racconta da casa sua a San Donà di Piave – mi ha dato consapevolezza. E’ stata come una liberazione, sono riuscito a lasciarmi alle spalle tutto il nero che ho visto. Dal punto di vista mentale Daniele (Nieri, ndr) mi è stato molto vicino e mi ha dato una grande mano, è stata davvero dura. In primis, però, devo ringraziare la mia famiglia ed i miei amici, in questi mesi sono stato parecchio a casa e loro mi hanno dato una grande mano. Non riuscire a fare ciò che ami è difficile, non dico che sia stato uno schock, ma una bella batosta sì. Sono stati parecchi i momenti duri, io sono uno che pensa  molto e in questo periodo mi sono rotto la testa, arrivando quasi a mollare del tutto. Se non l’ho fatto è proprio grazie a chi mi è stato accanto tutti i giorni».

L’inizio di stagione per Jacopo è stato molto complicato, con una mononucleosi a fermarlo per tanti mesi (foto Pettinati Communication)
L’inizio di stagione per Jacopo è stato molto complicato, con una mononucleosi a fermarlo per tanti mesi (foto Pettinati Communication)

Un male invisibile

Se si guarda agli impegni di Menegotto, si nota come il suo inizio di stagione sia costellato da continui periodi di fermo. In un ciclismo che si muove sempre più velocemente rimanere “ai box” non aiuta e Jacopo lo sa bene. 

«Ad inizio anno stavo male – dice con tono sommesso – più avanti ho capito di cosa si trattasse: mononucleosi. Un ostacolo difficile da superare che mi ha compromesso la prima parte di stagione. Mi ero posto l’obiettivo di ripartire dal Giro d’Italia Under 23, ma i valori sono tornati ad essere alti e sono rimasto fermo altri 20 giorni. Alla fine di tutto sono tornato in corsa solamente il 29 luglio al Kreiz Breizh Elites: una corsa 2.2 che mi ha aiutato a far salire la condizione. Non sono ancora al 100 per cento, faccio fatica a recuperare dopo le gare, anche per questo al Giro del Friuli non ho fatto il massimo. Tuttavia la stagione è ancora lunga e le gare sono molte, ci sarà anche la Ruota d’Oro e sappiate che sul mio calendario c’è un bel cerchio su quel giorno».

Il Team Qhubeka è una squadra con al suo interno tante culture differenti, una bella occasione per conoscere nuove storie (foto Instagram)
Il Team Qhubeka è una squadra con al suo interno tante culture differenti, una bella occasione per conoscere nuove storie (foto Instagram)

L’approdo in Qhubeka

Da questa stagione, si diceva, Jacopo corre nel Team Qhubeka, una realtà tanto diversa da quelle vissute dal ragazzo veneto. Una squadra internazionale con tanti corridori di lingue e culture differenti, un mix di tante esperienze e storie di vita.

«I miei compagni – racconta – sono ragazzi tranquilli e super gentili. La squadra ha una casetta a Lucca e molto spesso ci passiamo dei periodi medio-lunghi tra i vari impegni. Avere tante nazionalità al nostro interno, e tutte che arrivano da un continente così lontano come l’Africa è bello. Spesso quando siamo in casetta ascolto le storie dei miei compagni, è bello sentirli parlare e penso che a loro faccia piacere aprirsi e raccontare delle loro famiglie o della propria cultura. Ciclisticamente arrivano da un mondo molto lontano, quindi a volte tocca anche a noi, compagni più esperti, aiutarli e farli ambientare.

«In ritiro parliamo spesso di ciclismo e dei corridori del passato ed a volte ci sorprendiamo perché non conosco gente come Indurain o Bugno (dice con un mezzo sorriso, ndr). Sono molto propensi alla fatica, anche perché così lontani da casa sanno di giocarsi il “tutto o niente” per entrare nel ciclismo che conta. Questa caratteristica la si nota spesso anche in corsa o in allenamento». 

Daniele Nieri è diesse e collante di questa squadra, qui al Trofeo Piva ad inizio aprile
Daniele Nieri è diesse e collante di questa squadra, qui al Trofeo Piva ad inizio aprile

Un primo bilancio

Quest’anno si concluderà, per motivi anagrafici, l’esperienza di Menegotto tra gli under 23, che bilancio ne ricava alla fine di questa sua “esperienza”?

«Mah, un bilancio… Sicuramente avrei potuto raccogliere qualche risultato in più – risponde – non sono stato sempre concreto. Quando ho perso, però, mi sono confrontato con corridori che ora corrono in team WorldTour e sono campioni affermati. Come quando al Giro Under 23 del 2020 ho corso contro Milan e Pidcock. Senza voler strafare penso che un posto tra i professionisti posso ritagliarmelo, ho corso in tante squadre che mi hanno sempre permesso di crescere, in un modo o nell’altro.

«Quando ero in Biesse Arvedi, nel 2019 e nel 2020 – conclude – ho imparato ad essere autonomo. Prendevo il treno per andare ad allenarmi o per andare ai ritiri, imparando a vivere al di fuori della mia comfort zone. Alla General Store, lo scorso anno, ho trovato tanti amici. Uno di loro è Lucca, uno dal quale bisogna imparare la determinazione e la costanza: per arrivare al professionismo come ha fatto lui ci vogliono due spalle grandi così. Invece quest’anno, con la Qhubeka ho usato un po’ dell’esperienza fatta in Biesse, quando ero io quello lontano da casa. Ovvio che le proporzioni da fare sono enormi, ma sapere un minimo cosa si prova mi ha aiutato a legare con i compagni».

Menegotto 2020

Di padre in figlio, la saga dei Menegotto

12.05.2022
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La storia di Roberto Menegotto, rivista oggi alla luce del ciclismo che stiamo vivendo, è esemplare di come lo sport sia un ambiente che vada vissuto rimanendo sempre presenti a se stessi. Il veneziano di San Donà di Piave era da dilettante un validissimo prospetto, capace addirittura di conquistare il Giro della Valle d’Aosta nel 1993, che sappiamo essere un trampolino preferenziale verso il professionismo. Menegotto passò nel 1994 nelle file della ZG Mobili, ma la sua parentesi durò appena 4 stagioni, per poi mollare a 27 anni e mettersi a lavorare, prima in proprio, poi, dopo che la sua azienda è fallita 6 anni fa, in una fabbrica di motori elettrici.

Il veneto non si è mai distaccato dal mondo del ciclismo, ha preso il patentino di tecnico di 3° livello e si è dedicato ai più giovani, per insegnare loro cos’è il ciclismo, nei suoi tantissimi lati belli e anche in quelli oscuri, poi è arrivato Jacopo, suo figlio che ora sta attraversando la sua stessa parabola, essendo uno dei giovani più promettenti del florido vivaio veneto.

«Non avrei voluto che facesse il ciclista – dice – ma ha tanta passione, quella che avevo io alla sua età. Sa che è un mondo duro, difficile ma ci vuole provare. Insomma, attraverso di lui sono rientrato anch’io nel mio mondo…».

Menegotto Dal Sie 1995
Roberto con un altro corridore dei suoi anni, Roberto Dal Sie, pro’ dal 1995 al ’97
Menegotto Dal Sie 1995
Roberto con un altro corridore dei suoi anni, Roberto Dal Sie, pro’ dal 1995 al ’97
Ripensandoci adesso con la maturità dell’età adulta (Roberto ha 54 anni), ti sei mai pentito di aver mollato così presto?

Sì, molto. Mi sarebbe bastato un pizzico di fortuna in più. Ma quelli erano anni pesanti, era un ciclismo molto discusso, molto “incasinato”. Oggi gli scalatori sono tornati scalatori, i velocisti sono tornati a fare le volate, poi ci sono i campioni assoluti che ci sono sempre stati, quelli capaci di vincere dappertutto perché baciati dal talento naturale. Io ho vissuto un’epoca di grandi atleti: Simoni, Casagrande, lo stesso Pantani erano miei rivali da dilettanti e si vinceva a turno, anch’io li ho messi alle spalle. Per affermarsi però dipende molto dalla squadra.

Come ti trovasti alla ZG?

La scelta era stata quella giusta, ma al secondo anno cambiò proprietà e non trovai l’accordo. Passai nella squadra di Marino Basso, andavo anche forte, finii secondo in una tappa del Midi Libre dietro l’attuale diesse della Cofidis Vasseur, ma non vedevo intorno a me la fiducia tale da darmi il tempo di crescere. Io venivo dal calcio, avevo iniziato a 18 anni con il ciclismo, maturavo molto tardi. Troppo per i tempi del ciclismo di allora, figuriamoci adesso…

Menegotto 1990
La vittoria di Roberto Menegotto ai tricolori ’90. Dietro finiscono Andreani, Gualdi, Ferrigato, Bartoli…
Menegotto 1990
La vittoria di Roberto Menegotto ai tricolori ’90. Dietro finiscono Andreani, Gualdi, Ferrigato, Bartoli…
Il ciclismo lo hai mollato?

No, mi sono dedicato ai più giovani e negli anni le loro vittorie, ma soprattutto le loro storie, la loro gratitudine, la loro crescita umana prima ancora che ciclistica sono stati i miei successi, quelli che mi hanno ripagato. Ora mi dedico agli esordienti nel Gs Spercenigo, società con 52 anni di storia. Negli ultimi anni abbiamo sofferto la rivalità con la Borgo Molino, ma stiamo completando tutta la trafila da giovanissimi a juniores nella stessa società e questo è importante. Ci prenderemo altre soddisfazioni.

A proposito di giovani, abbiamo visto sui social che sei molto sensibile al discorso legato al passaggio prematuro verso il professionismo…

Ho vissuto sulla mia pelle le difficoltà del passaggio, devi essere pronto innanzitutto mentalmente e caratterialmente. Tutti cercano l’Evenepoel di turno dimenticando che i fenomeni sono tali perché sono rarissimi. Noi bruciamo tanto, questa è la verità, anche le iniziative come il team under 23 della Bardiani lasciano il tempo che trovano. Avrebbe più senso imporre almeno un paio d’anni di permanenza fra gli under 23, per dare tempo di crescere. Poi c’è un problema di calendario.

Ragazzi Spercenigo
Alcuni ragazzini del Gs Spercenigo, società storica del panorama veneto. Menegotto cura gli esordienti
Ragazzi Spercenigo
Alcuni ragazzini del Gs Spercenigo, società storica del panorama veneto. Menegotto cura gli esordienti
Spiegati meglio…

Ai miei tempi trovavi in regione una o due gare dove fare esperienza, crescere gradatamente, per certi versi allenarti in vista delle sfide più importanti. Oggi ad ogni gara trovi i migliori, sembra che ogni corsa junior sia una sorta di campionato italiano e questo non fa bene, consuma. Bisogna anche avere spazio per gare più alla portata, permettere alle società di programmarsi, cercare spazi, far crescere l’autostima ai propri ragazzi. Le categorie giovanili sono cruciali nella formazione fisica ma anche mentale dei ragazzi.

Jacopo Menegotto 2022
Jacopo Menegotto, 21 anni. Nel 2021 è stato 2° a San Vendemiano e in una tappa del Giro U23 (foto Lorenza Cerbini)
Jacopo Menegotto 2022
Jacopo Menegotto, 21 anni. Nel 2021 è stato 2° a San Vendemiano e in una tappa del Giro U23 (foto Lorenza Cerbini)
Parliamo di Jacopo: come corridore è come te?

Per nulla… Io ero uno scalatore puro, di taglia minuta che aveva dalla sua l’esplosività. Lui ha una grande potenza, peccato che quest’anno non si sia ancora potuto mettere in mostra perché ha contratto un virus a inizio stagione che l’ha di fatto bloccato per due mesi. Praticamente ha corso tutte le gare internazionali con la retromarcia innestata… Lui va forte sulle salite medie, mi ricorda un po’ Argentin, anche se deve ancora dimostrare tutto. Ma ha tempo per crescere e anche in questa stagione può abbondantemente rifarsi.

Che ti aspetti per lui?

Che possa trarre soddisfazione per quello che fa e ricompensa per i sacrifici. Ha talento, spero riesca a dimostrarlo. In bici va da quando aveva 7 anni. Sa che in me ha un bagaglio enorme di esperienza, gli ho parlato spesso, gli ho insegnato che cos’è il ciclismo, ora deve andare per la sua strada sapendo che all’occorrenza ci sono.