Vuelta, tappa con arrivo a Bejes. Vingegaard, il vincitore è arrivato da 19 minuti, i Jumbo-Visma hanno sistemato la loro classifica, ma la gente non è andata via. E’ lì. Aspetta. Aspetta che Luis Leon Sanchez arrivi al traguardo. E’ caduto, i dolori gli fanno compagnia nelle faticose pedalate verso il traguardo. E’ ultimo, ma la gente gli tributa un’ovazione come se fosse il primo. Perché sa che non lo vedrà più correre.
L’arrivo a Rejes, ultimo e staccato, con i segni della caduta. La folla lo acclama come se avesse vintoL’arrivo a Rejes, ultimo e staccato, con i segni della caduta. La folla lo acclama come se avesse vinto
20 anni da professionista
Sanchez ha deciso di chiudere. «Avevo già detto che lo avrei fatto a Madrid, chiudendo la mia ultima Vuelta – afferma ai giornalisti presenti – e neanche l’ultima, ennesima caduta della mia carriera me lo impedirà. E’ un atto dovuto a tutti i miei tifosi, per ringraziarli del sostegno che non mi hanno mai fatto mancare. Il mio sogno era di fare anche un solo anno da professionista: ne ho fatti 20…».
Sanchez è uno che ha vinto, tanto: 47 successi in carriera, fra cui 4 tappe al Tour de France e 2 Clasica di San Sebastian, oltre a 5 titoli spagnoli di cui 4 a cronometro. Ma non è con queste che è riuscito a essere più popolare anche di suo fratello Pedro Leon, calciatore del Murcia passato anche nelle fila del Real Madrid di Mourinho e ricordato con poco piacere dai tifosi del Milan per quel gol al 93° in Champions League 2011 costato la vittoria. Non è con queste che è riuscito a far passare sotto traccia la sospensione per doping che lo ha coinvolto nel 2015, quand’era nelle file dell’olandese Blanco/Belkin per essere legato al famigerato dottor Fuentes, quello dell’Operation Puerto. Sospetti costatigli tutta la stagione ma mai effettivamente affluiti verso una vera squalifica.
Sanchez premiato a Madrid, dopo la conclusione della sua ultima Vuelta, la tredicesimaSanchez premiato a Madrid, dopo la conclusione della sua ultima Vuelta, la tredicesima
La perfetta vita da atleta
La grande forza di Sanchez è stata la sua simpatia, la sua disponibilità. Stefano Zanini ha vissuto parte della sua vita ciclistica insieme allo spagnolo, dal 2015 a oggi all’Astana con la parentesi del 2022 alla Bahrain Victorious e lo conosce bene: «Lo conoscevo già, nei miei ultimi anni da corridore lui iniziava la sua avventura e si vedeva il suo talento. Sanchez è quello che si chiama uomo-squadra, quell’elemento che tutti vorrebbero avere all’interno del proprio team perché fa gruppo ed è di esempio ed è su questo aspetto che voglio mettere l’accento.
«Lo spagnolo è sempre stato un corridore vecchio stampo. Uno attentissimo a ogni aspetto della propria vita d’atleta, guardava all’alimentazione, alla preparazione con un’attenzione pari a quella di oggi, ma quando lui iniziò non era così. E’ stato un antesignano. Un professionista vero, che non ha mai mollato neanche un secondo.
La vittoria nella tappa del Tour del 2008, battendo il tedesco Schumacher poi squalificato e PozzatoLa vittoria nella tappa del Tour del 2008, battendo il tedesco Schumacher poi squalificato e Pozzato
Gli esercizi per la schiena malandata
«Tanto per fare un esempio, Luis ha sempre avuto una particolare attenzione per la schiena, sentendo col passare degli anni i naturali problemi di postura e di risentimento che l’attività può comportare. Ebbene, non ha mai rinunciato agli esercizi specifici, neanche a fine carriera. Un altro avrebbe potuto mollare, lui no, fino all’ultimo giorno è stato un professionista serissimo».
Tra le vittorie, quali pensi siano quelle che tiene nel cuore? «Si sarebbe portati a dire le due prove di San Sebastian perché per uno spagnolo vincere in casa è il massimo, ma so che tiene particolarmente ai successi al Tour perché è l’espressione ciclistica per eccellenza. Ad esempio quella del 2012, quando dopo la lunga fuga è ancora in testa con 4 uomini fra cui Sagan ma approfitta della distrazione dello slovacco per allungare senza essere più ripreso».
Il momento dello scatto decisivo nella tappa di Foix al Tour 2012. Beffati i compagni di fugaIl momento dello scatto decisivo nella tappa di Foix al Tour 2012. Beffati i compagni di fuga
Al servizio di Cavendish
Per Zanini l’essere un uomo-squadra significa anche sapersi mettere in discussione: «Sanchez è stato competitivo fino all’ultimo, ma ha saputo essere utile per il team anche in maniera diversa. Ad esempio all’ultimo Giro d’Italia si è messo al servizio di Cavendish e gli ha tirato la volata verso la vittoria. Ha sempre saputo mettersi a disposizione degli altri quando capiva che la corsa non era per lui e questo è un pregio».
Tecnicamente come può essere identificato? «E’ stato un corridore completo, capace di vincere su diversi percorsi. Non era certamente uno scalatore ma sapeva domare anche le alte montagne altrimenti non finisci nella Top 10 al Tour e alla Vuelta come ha saputo fare. Era fortissimo sul passo, capace di fare la differenza anche su salite non troppo dure come dimostrato a San Sebastian, anche veloce, mai averlo con se in una fuga ristretta…».
Per Sanchez 48 vittorie in carriera, tra cui anche due Clasica di San Sebastian (qui nel 2012)Per Sanchez 48 vittorie in carriera, tra cui anche due Clasica di San Sebastian (qui nel 2012)
Il dolore per Michele
E al di fuori delle corse? «Uno attaccatissimo alla famiglia, quando ci vivi assieme durante l’anno cogli quel legame, quel bisogno di sentire sempre i propri cari vicino, anche solo con una telefonata. Era uno che dava tutto, ma io ricordo un momento particolarmente doloroso della sua carriera e fu quando morì Michele Scarponi. Luis era stato nella stanza con Michele al Tour of the Alps, la sua ultima corsa. Erano molto legati e la notizia della sua scomparsa fu per lui un colpo duro da assorbire. Io spero che rimanga nell’ambiente, uno così in una squadra è sempre una figura importante, qualsiasi ruolo ricopra».
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Se ne va uno degli ultimi “mammasantissima” del ciclismo, esponente di spicco di quell’epoca delle due ruote immediatamente precedente a quella attuale dei fenomeni che vincono dappertutto. Marc Cavendish(in apertura col dottor Magni, dopo la tappa di Caorle in cui non ha brillato) era uno di quelli specializzati, un maestro delle volate che nel corso del Giro d’Italia ha deciso di annunciare l’addio a fine stagione, non senza commozione.
A 38 anni, in coincidenza con il suo compleanno, il britannico chiude una carriera che lo ha visto protagonista per oltre tre lustri. Tanti gli avversari affrontati e battuti, tanti i compagni di viaggio diventati poi rivali o viceversa. Fra questi uno che i velocisti li conosce bene, li ha pilotati quasi tutti. Fabio Sabatiniè stato il suo “pesce pilota” per poco, ma ha condiviso anni e anni di volate e lo conosce come pochi.
L’annuncio del ritiro nel giorno di riposo, insieme alla sua famiglia (foto Astana Qazaqstan Team)L’annuncio del ritiro nel giorno di riposo, insieme alla sua famiglia (foto Astana Qazaqstan Team)
L’ex corridore di Pescia, dopo aver lavorato fino allo scorso anno alla Cofidis, si è preso un periodo di pausa, tornando in Toscana a dedicarsi ai più giovani nel team dei suoi inizi: «Sto studiando per prendere il diploma di terzo livello come diesse, senza di quello non vai da nessuna parte, poi tornerò nel giro, per ora sto a guardare e restituisco ai più giovani un po’ di quel che ho avuto».
Quanto tempo hai condiviso con Cavendish?
Siamo stati compagni nella Quick Step nel 2015, solo un anno perché poi lui andò via, ma abbiamo condiviso volate ed esperienze per un decennio abbondante. Io ero al primo anno in quel team e allora non ero ancora ultimo uomo per le volate, il suo fidato compagno era l’australiano Renshaw e io ero colui che doveva lanciare la coppia fino all’ultimo chilometro.
Sabatini e Cavendish, per tanti anni hanno condiviso gli sprint, quasi sempre con maglie diverseSabatini e Cavendish, per tanti anni hanno condiviso gli sprint, quasi sempre con maglie diverse
Che velocista è?
Nervoso. E’ nel suo carattere, molto diverso ad esempio da Viviani e Kittel. E’ sempre stato così, il più nervoso di tutti, esigentissimo, tutto doveva filare liscio. Si faceva sentire eccome, ma lavorandoci insieme si capiva presto che era il suo modo di fare. Appena tagliato il traguardo tutto svaniva: se aveva vinto baci e abbracci, se perdeva non c’erano recriminazioni, a meno di errori marchiani. Era il suo modo per cercare sempre la perfezione.
Com’è in corsa, anche prima di entrare nelle fasi decisive prima della volata?
Sempre molto attento a tutto quel che succede. Rispetto a tanti altri velocisti, Mark ha qualcosa che non tutti hanno, la capacità di potersi giocare la vittoria anche su percorsi che proprio per velocisti non sono. Si è visto anche in questo Giro, nella tappa di Viareggio. Davanti erano rimasti una cinquantina, ma lui c’era. Sapendo questo, chi corre con lui sa di dover lavorare molto, per cercare di preservarlo e non fargli fare tanta fatica, farlo risparmiare nelle tappe dove può dire la sua oppure aiutarlo quando la salita è davvero troppa.
Il britannico ha assommato la bellezza di 161 vittorie in carrieraIl britannico ha assommato la bellezza di 161 vittorie in carriera
C’è una volata condivisa da compagni che ti è rimasta impressa?
Sì, l’ultima del Tour de San Luis in Argentina. Io ero appena entrato nel team e in squadra non c’era Renshaw che aveva scelto il Tour Down Under che si correva nella sua Australia. Toccava quindi a me pilotarlo. Era un arrivo particolare, in leggera discesa al termine di uno stradone lungo. Io dovevo guidarlo dallo striscione dell’ultimo chilometro fino ai 350 metri, quando mi scansai vidi che avevamo toccato una velocità folle. Lui sconfisse Gaviria e Mareczko, la cosa che mi colpì è che era andato tutto esattamente come era stato stabilito a tavolino e Mark me lo fece notare, contento del mio lavoro.
Sei rimasto colpito dalle sue lacrime nell’annuncio del ritiro?
Lo conosco, so che è un animo sensibile e sapevo che non sarebbe riuscito a dire addio senza piangere e sarà così anche quando a fine anno chiuderà anche nell’atto pratico. D’altronde si è reso conto che ormai a 38 anni ha l’età giusta, è come se trascini un carro pieno di buoi. Ormai già a 32 anni ti dicono che un contratto biennale te lo puoi scordare, che si va avanti stagione per stagione, mentre si pensa già a chi prenderà il tuo posto. E’ un ciclismo per giovani e lui si rende conto che non è più quello di prima.
Il ricordo di Sabatini, ultimo uomo nella vittoria di Cavendish a San Luis 2015Il ricordo di Sabatini, ultimo uomo nella vittoria di Cavendish a San Luis 2015
Come lo collochi in un’ideale classifica fra i velocisti che hai incontrato?
E’ al primo posto insieme a Kittel, con la differenza però che Mark è durato di più e che aveva dalla sua anche un po’ di resistenza in più sui tracciati mossi. Al tedesco la salita faceva male solo a guardarla… E’ un grande che se ne va, oltretutto portandosi dietro un curriculum enorme, tra titolo mondiale, classiche e un fiume di vittorie di tappa nei grandi giri.
Secondo te Cavendish può essere un buon insegnante?
Sicuramente, ha proprio l’indole del trasmettere la sua sapienza agli altri. Faceva così anche quando arrivai alla Quick Step, è uno che ha la pazienza di mettersi lì a spiegare, ha voglia di parlare con i più giovani. Non è uno di quelli che se la tira, è abituato a condividere e potrà essere prezioso in questo, sicuramente resterà nell’ambiente.
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Alessandro Verre è il secondo corridore più giovane al Giro d’Italia, dietro solo a Matthew Riccitello della Israel Premier Tech. L’atleta dell’Arkea-Samsic si prepara al suo esordio in una grande corsa a tappe. Non traspare troppa tensione, anche se un punta c’è, d’altronde è la corsa dei sogni.
«Tutto sembra iniziato molti giorni fa – ci racconta Alessandro Verre – c’è tanto stress intorno al Giro. Solamente giovedì con il viaggio ed il problema avuto con la consegna delle bici da crono da parte del corriere. Le aveva la squadra in Francia, sono arrivate verso l’ora di pranzo e siamo andati subito a sistemare la posizione».
Ecco Pozzovivo e Verre, entrambi lucani, tra i due ci sono quasi 20 anni di differenzaEcco Pozzovivo e Verre, entrambi lucani, tra i due ci sono quasi 20 anni di differenza
Come mai?
Non mi trovavo con la posizione usata lo scorso anno, avevo dei dolori, soprattutto i giorni dopo averla usata.
La bici si trovava in Francia, vuol dire che l’hai usata poco quest’anno?
E’ la prima volta che la prendo in mano, non sono uno specialista di queste prove, anche se non le disdegno. Abbiamo fatto una pedalata per prendere le misure con la bici giovedì, volevamo visionare il percorso della crono, ma era troppo lontano dal nostro albergo. Così si è deciso di fare una pedalata sulle strade della terza tappa.
Quando hai scoperto che saresti venuto al Giro?
Due settimane fa, dopo le ultime corse. La squadra ha visto che stavo andando bene e che la condizione c’era, ed è arrivata la convocazione.
L’Arkea durante la presentazione delle squadre di giovedì sera, avvenuta a Pescara, Verre è il primo da destraL’Arkea durante la presentazione delle squadre di giovedì sera, avvenuta a Pescara, Verre è il primo da destra
Che cosa hai fatto per curare al meglio l’avvicinamento?
Sono stato dodici giorni in ritiro sull’Etna. Ho fatto qualche allenamento per migliorare i cambi di ritmo, mi ero accorto che mancasse qualcosa in quell’ambito. Non ho mai affrontato allenamenti troppo intensi.
Cosa pensavi da solo in cima al vulcano, ti ha sopraffatto l’emozione di questa convocazione?
Ho cercato di pensarci il meno possibile, sono un po’ scaramantico, meno ci penso meglio sto. In fondo vado in bici per piacere, già questo è un ottimo passatempo, poi tutti i giorni avevo la salita per tornare in hotel. Insomma, facevo prima a pensare quanto fosse dura, anche perché dovevo farla tutti i giorni (dice con una risata, ndr).
Quindi pochi pensieri sul Giro?
Pochi, preferivo guardare il panorama e concentrarmi sul lavoro da fare, mi davo delle piccole sfide per portare a casa il dislivello che volevo.
Il lucano ha trascorso dodici giorni in ritiro sull’Etna prima di partire per il GiroVerre ha cercato di stemperare la tensione concentrandosi sulla salita e gli allenamentiIl lucano ha trascorso dodici giorni in ritiro sull’Etna prima di partire per il GiroVerre ha cercato di stemperare la tensione concentrandosi sulla salita e gli allenamenti
L’anno scorso la corsa rosa era passata da casa tua, quest’anno torna, qualcuno ti verrà a trovare?
Praticamente l’anno scorso mi è entrato in casa, quest’anno arriva a Melfi, che è un’oretta da dove abito. Non so se qualcuno verrà a salutarmi, non mi sono sentito con nessuno, lasciamo la sorpresa.
L’arrivo di Lago Laceno dista 120 chilometri dal tuo paese, Marsicovetere. L’hai già fatta?
Mai! Volevo andare a fare una ricognizione, ma la neve me lo ha impedito, l’affronterò anche io ad occhi chiusi. In Costiera sono andato spesso in inverno per sfuggire dal freddo, è un percorso mosso che si addice tanto alla fuga.
Mentre quella di Bergamo?
Su quelle strade mi sono allenato per un anno intero quando correvo alla Colpack. Quella sarà una tappa davvero impegnativa, pronti via e si fa passo Valcava dal lato di Lecco, il più duro. Poi Selvino, un’altra breve salita ed infine Roncola e città alta. Non sarà una passeggiata. E’ la nostra tappa di casa visto che si arriva vicino alla sede di Bianchi.
La tappa di Bergamo la conosce bene, su quelle strade si è allenato per un anno intero quando era alla ColpackLa tappa di Bergamo la conosce bene, su quelle strade si è allenato per un anno intero quando era alla Colpack
Se pensi al Giro cosa ti viene in mente?
E’ la corsa che sognavo da bambino, dopo scuola e dopo gli allenamenti tornavo a casa per guardare tutte le tappe.
Tensione?
Lo sto vivendo nella maniera più tranquilla possibile, la tensione un pochino c’è, in fondo è una grande corsa a tappe. Andrò avanti giorno per giorno con un due parole guida.
La stagione di Giacomo Villa è iniziata con una bella vittoria al Trofeo Piva (in apertura foto Boldan), la seconda nella categoria under 23: la prima era arrivata l’anno scorso al San Daniele. Quella di domenica tra le colline di Valdobbiadene è stata una vittoria inaspettata per molti, ma forse non per Villa, che nelle sue qualità ha sempre creduto.
Villa dopo l’arrivo sprofonda nell’abbraccio del diesse Nicoletti (foto Boldan)Villa dopo l’arrivo sprofonda nell’abbraccio del diesse Nicoletti (foto Boldan)
Gioco d’anticipo
Il corridore della Biesse-Carrera, sul traguardo di Col San Martino ha anticipato tutti i favoriti. Una volata lunga, ma ben calibrata, per portarsi a casa un successo che ha un sapore diverso. Tra pochi giorni usciranno le convocazioni per la Liegi U23 e Villa spera di aver convinto il cittì Amadori.
«La gara, nel suo complesso – ci dice – è stata molto tranquilla, forse fin troppo. Non essendoci delle squadre nettamente favorite hanno provato tutti a prendere la corsa in mano, senza troppo successo. Nel momento in cui sono iniziati i giri finali, con la scalata del muro di San Vigilio, oltre a quella del Combai, la miccia si è accesa. Ma, anche se tutti provavano a scattare, si vedeva poca convinzione. Quando Martinelli, De Pretto e Buratti si sono messi a fare il forcing sull’ultimo passaggio ne ho risentito, perdendo dieci metri che però ho prontamente recuperato in discesa.
«Nel momento della volata tutti hanno atteso molto, l’ultima curva era ai 300 metri dall’arrivo e nessuno si decideva a partire. Così, una volta passati sotto il cartello dei 150 metri ho chiuso gli occhi e mi sono lanciato, anticipando tutti. Dalle immagini si vede che Zamperini, che era a ruota di De Pretto, nel momento in cui scatto si sposta prima verso destra e poi improvvisamente cambia lato. Non si aspettavano un mio scatto».
Sulle rampe del muro di San Vigilio, Villa ha perso qualche metro, prontamente recuperato in discesa (foto Rodella)Sulle rampe del muro di San Vigilio, Villa ha perso qualche metro, prontamente recuperato in discesa (foto Rodella)
Cambio di rotta
Vincere a inizio anno cambia le prospettive, anche se per Giacomo Villa queste erano parse già diverse dalla seconda metà del 2022. Da quel momento in avanti per lui c’è stato un crescendo continuo, che ha portato al primo ritiro con la maglia azzurra, sotto l’occhio di Amadori. Lo stesso cittì era presente anche domenica al Piva…
«Il cittì – racconta Villa – era curioso di conoscermi, dal giugno dello scorso anno ho avuto un bel salto in avanti per quelle che sono le mie qualità. E’ arrivato tutto dopo il Giro d’Italia U23, ho visto che da quel momento in poi ho avuto una buona forma fisica, che mi ha permesso di mettermi in luce con dei buoni piazzamenti, come il quinto posto a Capodarco e al Ruota d’Oro. E alla fine si è aggiunto anche il sesto al Piccolo Lombardia. Poco prima di questi impegni, a fine luglio, sono caduto in allenamento, fratturandomi un dito del piede. In quella settimana di stop non ho perso la concentrazione e mi sono riposato, arrivando in forma agli appuntamenti di fine stagione.
«La convocazione con la nazionale per il ritiro in Puglia – prosegue – è stata già di per sé un sogno. Indossare la maglia azzurra e vedere scritto il nome del proprio Paese è incredibile, davvero emozionante».
Una volata d’anticipo lanciata ai 150 metri mette tutti nel sacco (foto Boldan)Una volata d’anticipo lanciata ai 150 metri mette tutti nel sacco (foto Boldan)
Crescita graduale
Quella di Giacomo Villa, classe 2002, si può considerare una crescita per gradi. Arrivato nel 2021 all’ancora Biesse-Arvedi ha preso le misure con la nuova categoria, portando a casa tante esperienze, senza essere soffocato dalle pressioni.
«Il mio obiettivo, al primo anno da under 23 – racconta serenamente – era quello di imparare. Dovevo capire le gare, i percorsi e mettermi a disposizione dei compagni più grandi, come Ciuccarelli o Belleri. Sacrificarsi e fare esperienza, questi erano i miei dogmi: non importava di finire una gara o meno, l’importante era dare il massimo per i miei compagni. Al secondo anno ho trovato la prima vittoria al San Daniele, arrivata anche quella con una volata giocata d’anticipo. Lì ho capito che quando ci sono le giuste condizioni, riesco a dire la mia e a fare la differenza».
Villa riceve il premio direttamente dal suo creatore, Valentino Mori (foto Boldan)Villa riceve il premio direttamente dal suo creatore, Valentino Mori (foto Boldan)
Gare dure e salite brevi
«Come detto – riprende con voce calma – il ritiro in Puglia è stata la prima volta nella quale ho indossato la maglia azzurra. Ora non nascondo che mi piacerebbe farlo anche in corsa, una prima occasione potrebbe essere la Liegi under 23. So di essere tra i dieci corridori papabili per correrla, spero di aver convinto Amadori fino in fondo. I giorni trascorsi insieme in Puglia sono stati molto belli, ed allo stesso tempo tranquilli. L’obiettivo era allenarsi bene e imparare a conoscerci, sia tra noi ragazzi, ma allo stesso tempo con il cittì. E’ stato importante soprattutto dal punto di vista umano. Penso che Amadori le scelte le abbia già chiare in testa.
La Liegi U23 è una gara dura, con salite brevi che richiedono una buona esplosività, come quelle che Villa affronterà tra pochi giorni al Belvedere e al Recioto. Fare un paragone con le internazionali italiane potrebbe suonare un po’ estremo, ma non è tanto il percorso a fare la corsa, bensì i corridori.
«Mi piacciono le gare dure, toste – spiega Villa – che sia dal punto di vista altimetrico o del ritmo imposto. Mi sono accorto che quando la corsa si “incendia” ho qualcosa in più nel finale, il mio fisico reagisce bene allo sforzo. Ho un buono spunto veloce in piano e nelle salite corte, da 2 o 3 chilometri. Il percorso della Liegi si avvicina molto a queste caratteristiche.
«Non nascondo anche che andare a correre all’estero sia un passo che mi piacerebbe fare. Ho parlato con Foldager e mi ha raccontato che al Nord le gare sono imprevedibili. Anche un altro mio compagno, D’Amato, che è stato alla Gent-Wevelgem con la nazionale, mi ha raccontato tante cose. Diciamo che non ci arriverei preparato, ma mi hanno messo la pulce nell’orecchio».
Giacomo Villa e Andrea D’Amato durante il ritiro collegiale della nazionale in Puglia (foto Instagram Biesse-Carrera)Giacomo Villa e Andrea D’Amato durante il ritiro collegiale della nazionale in Puglia (foto Instagram Biesse-Carrera)
Oltre la Liegi
Ma quali sono gli obiettivi del ventunenne lombardo per questo 2023? Va bene il sogno Liegi, però poi la stagione prosegue ed il cassetto dei desideri non è di certo vuoto.
«Voglio farmi trovare pronto – conclude – sempre. Non sarà facile, ma questo è l’obiettivo. Mi piacerebbe provare a correre il Giro d’Italia U23 con l’obiettivo di fare classifica, ma non conoscendo ancora il percorso è difficile capire se sarà adatto alle mie caratteristiche. Poi ci sono le classiche di fine stagione, come Capodarco e Ruota d’Oro. Anche se, il grande sogno è quello di vincere il Piccolo Lombardia, la gara di casa. Mi alleno tutti i giorni su quelle strade e correrci sopra è una bella emozione, figuriamoci poi se riuscissi a vincere».
Cancellara annunciò che si sarebbe ritirato dopo le Olimpiadi Di Rio. Era il 2016 e lo svizzero vinse una corsa a Mallorca e la Strade Bianche. Poi arrivò secondo al Fiandre dietro Sagan, vinse una crono allo Svizzera e di seguito il titolo nazionale contro il tempo. Infine corse il Tour, andò alle Olimpiadi, vinse l’oro della crono e disse basta. Pensammo subito che servisse una gran testa per tenere la concentrazione tutto l’anno a quel modo, sapendo che fosse l’ultimo.
Quando nei giorni argentini Sagan ha annunciato la fine della carriera su strada, ci siamo messi a osservarlo per capire come gestirà il cammino di uscita dal grande ciclismo. Così, dopo aver annotato alcuni passaggi a vuoto in corse alla sua portata – dalla Sanremo alla Gand – e in attesa di altri test come il Fiandre o la Roubaix, il mondiale oppure il Tour, abbiamo chiesto il parere di Elisabetta Borgia, psicologa della Trek-Segafredo e della nazionale, per capire cosa possa succedere nella mente di un atleta di vertice quando annuncia il ritiro e si dà un anno di tempo prima di staccare la spina.
All’inizio del 2016, Cancellara annunciò che la crono di Rio sarebbe stata l’ultima corsa e vinse l’oroAll’inizio del 2016, Cancellara annunciò che la crono di Rio sarebbe stata l’ultima corsa e vinse l’oro
Elisabetta, come si vive l’ultimo anno di carriera?
Dandosi delle scadenze, che diventano obiettivi. L’obiettivo in quanto tale ha una dead line, quindi ti costringe a capire sul piano strategico in che modo puoi arrivarci. Ti permette di investire a livello emotivo, cosa che senza avere un tempo di riferimento diventa difficile. Cancellara da questo punto di vista dimostrò una perfetta gestione del tempo e della tensione emotiva.
Sagan ha parlato di grandi obiettivi, ma non li ha definiti.
Magari non ha voluto dirli oppure non li ha individuati. In ogni caso, l’obiettivo deve essere misurabile. Dire in genere che si voglia essere competitivi è troppo vago. Se definisci l’obiettivo, riesci a controllare la prestazione, ma certo non gli avversari. Una visione meno organizzata contro gente affamata può essere un limite.
Giro d’Italia 2022, Messina: Nibali annuncia al Processo alla Tappa che a fine stagione chiuderà la carrieraGiro d’Italia 2022, Messina: Nibali annuncia al Processo alla Tappa che a fine stagione chiuderà la carriera
L’annuncio del ritiro sblocca qualcosa? Si disse ad esempio che dopo l’annuncio al Giro del 2022, Nibali sia parso come liberato.
Ci sono due diverse reazioni. La prima è che sono all’ultimo anno e faccio il meglio che posso. La seconda ti libera. Dichiarando che smetto, tolgo via il conflitto e il dubbio. E’ la risposta alle domande che i giornalisti fanno da mesi. E’ una decisione presa e questo mi permette di essere libero e senza le pressioni che altrimenti mi limiterebbero. Non sappiamo perché Sagan abbia preso questa decisione. Magari nel suo caso ci sono state pressioni che lo hanno portato fuori dall’ambiente emotivo che in passato gli permetteva di esprimersi al meglio. Al netto di tutto questo, dobbiamo dare per scontata la professionalità, che si parli cioè di campioni che continuano a fare al meglio il loro lavoro.
Potrebbe esserci un calo di tensione da quel punto di vista?
La concentrazione richiesta a questi atleti è stare nel presente, ma non solo in gara. Ogni giorno della loro vita richiede una grossa presenza psicologica. Penso che Cancellara abbia pensato a Rio come se la sua vita sportiva finisse quel giorno. E’ necessaria l’attivazione a livello emotivo, altrimenti la risposta cala.
Sagan ha annunciato che il 2023 sarà la sua ultima stagione su strada. Qui al via della GandSagan ha annunciato che il 2023 sarà la sua ultima stagione su strada. Qui al via della Gand
La perplessità su Peter, che speriamo venga smentita, riguarda proprio questo essere attivato.
Bisogna capire da che punto partisse. Se l’inizio di questa ultima stagione parte da un punto molto basso, se è già disattivato, allora la consapevolezza non porta da nessuna parte. Peter lo conosco, ma non benissimo. Come tutti gli atleti, ha avuto la fase rampante e ora ne sta vivendo una calante, in corrispondenza della quale il nuovo che avanza ti toglie riferimenti. In questi casi c’è chi si reinventa e chi non lo accetta. Lui ha un approccio non certo svizzero con lo sport, però ha fatto le sue tante magie grazie all’emotività. Per questo non metterei la mano sul fuoco sul fatto che non ne realizzerà altre. Anzi, forse mi aspetto che ne faccia ancora qualcuna…
Quando qualcosa finisce, lascia un senso di vuoto dentro di noi. Ci si ritrova un po’ spaesati davanti a situazioni che prima non avremmo immaginato. Se la tua vita è sempre ruotata intorno alla bici e due pedali, quando te li tolgono fai fatica a ricalibrare il tempo. Sacha Modolo si è trovato in questa situazione: l’ultima gara è stato il Giro del Veneto e poi da lì è iniziata una nuova vita.
«Devo ancora abituarmi ai nuovi ritmi – ci racconta – sono cambiati e parecchio. La vita dello sportivo aveva un obiettivo, ti alzavi per allenarti e tutte le mattine andavi a guardare il meteo fuori dalla finestra per capire se potevi uscire in bici o meno. Avevo una spinta motivazionale, ora ne sto cercando una nuova. La mattina non ho più la bici, ma porto la bambina all’asilo. Poi torno e do una mano a mia moglie in casa».
Il trevigiano ha chiuso la sua carriera a fine 2022 in maglia Bardiani dopo 13 stagioni tra i professionistiIl trevigiano ha chiuso la sua carriera a fine 2022 in maglia Bardiani dopo 13 stagioni tra i professionisti
Hobby e passioni
In questi primi giorni di febbraio, dove la primavera ha fatto incursione riscaldando le giornate, si respira un clima diverso, quasi investiti da un’inaspettata vitalità. Nel frattempoModolo cerca di ritagliarsi il suo spazio in questo mondo senza bici.
«Ho un piccolo garage, dove tengo delle Lambrette e delle Vespe d’epoca – mentre Modolo parla sua figlia sotto si fa sentire – ogni tanto mi metto al lavoro su qualche motore. Il mio migliore amico, che è anche il mio testimone di nozze, ha già un’attività avviata e pensavamo di fare qualcosa insieme con le moto e le auto d’epoca. E’ un mercato che ha tanta richiesta, soprattutto all’estero. Per il momento, però, collaboro con Marco Piccioli e Massimiliano Mori, i miei due procuratori. Mi hanno fatto una proposta e ho deciso di provare. Mi sono dato un anno di tempo per capire se questo mondo mi interessa, anche se, devo ammettere che mi piacerebbe fare qualcosa legato ai giovani ciclisti della mia zona (Conegliano, ndr).
«Nel ciclismo moderno ci sono poche squadre italiane e i giovani fanno fatica a entrare nel mondo dei professionisti. Le WorldTour sono tutte straniere e tendono a premiare i corridori locali, come da noi ai tempi facevano Lampre e Liquigas. Pensate che nel 2010 nella sola zona di Treviso eravamo 15 professionisti, tra i quali Ballan, ultimo campione del mondo. Ora sono tre: Vendrame, Cimolai e Gandin, arrivato quest’anno in Corratec».
Ora il tempo libero preferisce passarlo in sella alla sua moto da enduro, tanto sterrato ed altrettanto divertimentoModolo ha una grande passione anche per le moto d’epoca (foto Instagram)Ora il tempo libero preferisce passarlo in sella alla sua moto da enduro, tanto sterrato ed altrettanto divertimentoModolo ha una grande passione anche per le moto d’epoca (foto Instagram)
Nuova vita
Il ciclismo per Modolo ha rappresentato gran parte della sua vita e ora che non c’è più il trevigiano ha più tempo per dedicarsi ad altro. La passione per le due ruote rimane, anche se motorizzate.
«L’ultima uscita in bici – ci confida – l’ho fatta alla vigilia di Natale, dopo un mese che non la toccavo. E’ stata dura mentalmente, dopo una vita dedicata al professionismo mi mancava la motivazione. Si è trattata di una passeggiata praticamente. Sono uscito anche sabato scorso, ma ho fatto due orette con dei amici amatori. Siamo andati a prendere un caffè al bar. Continuo a coltivare, anche con maggiore impegno, la passione per le moto. Se ho qualche ora libera preferisco passarla così, questa passione mi ha aiutato a staccare la spina appena smesso con il ciclismo.
«Avevo una mia visione del ciclismo, quasi non vedevo l’ora di smettere, ma quando arriva il momento pensi che uno o due anni in più li avresti fatti volentieri. Sono parte di un gruppo di enduristi e mi diverto molto, dopo una vita a spingere due ruote ora sono loro che spingono me. Abbiamo in mente anche qualche gita, magari in Umbria, vedremo. L’enduro è bello, mi ritrovo a percorrere parte dei sentieri che facevo in mtb, fare qualche salita sterrata senza fars è divertente».
Il podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra GattoIl podio della Coppa Agostoni del 2011: al centro Modolo, a sinistra Ponzi e a destra Gatto
Un viaggio nei ricordi
Sacha ultimamente sta rivivendo tramite foto alcune delle sue vittorie, il trevigiano è passato professionista nel 2010. Di acqua sotto i ponti ne è passata ed in tredici anni di carriera di cose ne sono successe, così Modolo ci guida nei suoi ricordi.
«La prima vittoria me la ricordo benissimo – dice – ero in Cina, è quella che mi ha sbloccato ed è arrivata al secondo anno di professionismo. Da lì in poi in quella stagione ho vinto altre nove corse. Nel mio primo anno da corridore ero arrivato quarto alla Milano-Sanremo ed ero finito sotto i riflettori. Non ero abituato ed ho fatto un anno senza vincere, quel successo in Cina è stato davvero molto importante.
«In quella stagione (2011, ndr) ho vinto la Coppa Agostoni – continua – forse la corsa più importante che ho portato a casa quell’anno. Il percorso era molto duro con il Ghisallo e tenere su quelle rampe è stato difficile. La volata nel gruppetto me la ricordo bene: non riuscivo a trovare spazio così mi sono appoggiato ad Oscar Gatto. Secondo arrivò Simone Ponzi con il quale ho corso due anni alla Zalf. E’ bello quando cresci insieme tra i dilettanti e poi ti ritrovi a battagliare in una corsa professionistica».
Nel 2013 al Tour de San Luis la vittoria davanti a Cavendish, uno dei velocisti migliori all’epocaL’anno dopo al Giro di Svizzera Modolo vince davanti a Sagan la quinta tappaNel 2013 al Tour de San Luis la vittoria davanti a Cavendish, uno dei velocisti migliori all’epocaL’anno dopo al Giro di Svizzera Modolo vince davanti a Sagan la quinta tappa
Le battaglie con i big
Sacha Modolo ha avuto tra i suoi rivali grandi corridori del calibro di Cavendish e Sagan e qualche volta è riuscito a mettergli le ruote davanti. Un motivo di grande orgoglio e soddisfazione per lui che è sempre rimasto con i piedi per terra.
«La corsa era il Tour de San Luis – ricorda Sacha – e la prima tappa arrivai secondo alle spalle di Cavendish, alla seconda volata sono riuscito ad impormi. Era uno dei primi anni che lavoravo con Rossato, mi sono trovato subito bene con lui. Quell’inverno, ricordo che andavamo due volte a settimana in pista e avevo sentito subito la differenza. La vittoria in Argentina ne è una grande testimonianza, perché mettersi dietro Cavendish ai quei tempi era difficile. Lui a fine anno era sempre in doppia cifra abbondante con le vittorie.
«La stagione successiva (il 2014, ndr) iniziai di nuovo forte con due primi posti in Spagna e una tappa alla Volta Ao Algarve. Uno dei successi più belli della stagione è arrivato alla Tre Giorni di De Panne, alla seconda tappa riuscì a battere in volata Demare e Kristoff. Mentre la vittoria più bella di quell’anno è arrivata al Giro di Svizzera, nella quinta tappa, che finiva in cima ad uno strappetto, ad esterno curva ho passato Sagan. Mi sentivo molto bene e uno degli obiettivi della stagione era provare a prendere la maglia gialla al Tour. La prima tappa, ad Harrogate, era prevista una volata. Purtroppo arrivai in Inghilterra, si partiva da lì quell’anno, con la febbre. Feci di tutto per recuperare ma al secondo giorno dovetti andare a casa».
Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017Tra i risultati di rilievo anche un sesto posto al Giro delle Fiandre del 2017
La vittoria di “casa”
Nel palmares di Modolo si contano anche due tappe al Giro d’Italia, entrambe raccolte nel 2015. La prima al Lido di Jesolo e la seconda a Lugano.
«L’emozione più bella – dice con una lieve flessione della voce – è quella del Lido di Jesolo (in foto di apertura, ndr). Correvo in casa e volevo fare bene, solo che la mattina mi sveglio e piove, per di più le temperature non erano nemmeno troppo bonarie. Mi ricordo che ero parecchio infastidito, io con freddo e pioggia facevo prima a rimanere in pullman – ride – però quel giorno pescai una grande prestazione. Avevo la fortuna di trovarmi nel treno due uomini come Ferrari e Richeze che mi hanno pilotato benissimo. E’ la vittoria che tutti da queste parti si ricordano. Ogni tanto quando sono in giro, qualcuno la menziona ancora».
Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin Il cambio di mentalità e di lavoro nel mondo del ciclismo lo ha percepito nei due anni in Alpecin
Il grande cambiamento
Non è un caso che le vittorie raccontate dallo stesso Modolo siano arrivate tutte nello stesso periodo. Il ciclismo era molto diverso, nelle ultime stagioni c’è stato un bel cambiamento ed anche il trevigiano dice la sua.
«Era un ciclismo più abbordabile – replica – avevamo molto meno stress, lo ha detto anche lo stesso Sagan pochi giorni fa quando ha annunciato il ritiro. La stagione finiva ad ottobre e per un paio di mesi potevi rimanere tranquillo. Quando sentivamo che alcune squadre facevano già i ritiri a dicembre si rimaneva un po’ perplessi. Ora è la normalità. Ricordo che nell’inverno nel quale sono passato professionista era caduta una grande nevicata e per una settimana non ero riuscito ad allenarmi. Andavo a passeggiare lungo il Piave con altri corridori, ma vivevamo la cosa senza tensione. Adesso appena fa due giorni di pioggia, i corridori prenotano per le Canarie e ci rimangono due mesi tra ritiri individuali e di squadra. Il ciclismo è cambiato, ma è anche giusto che sia così. Solo che è successo tutto quando ero già over 30 ed è difficile poi adattarsi. Noi della generazione nata tra il 1987 e il 1990 abbiamo subito tanto questa cosa.
«Personalmente mi sono accorto di questo cambiamento quando ero in Alpecin, non ero abituato ad essere monitorato tutto il giorno. I risultati arrivano perché è un metodo più efficace, ma anche molto stressante. Non mi va di fare la parte del vecchio – ride – ma qualche anno fa se ti ritiravi in corsa non lo veniva a sapere nessuno. Adesso si ha una lente puntata addosso, costantemente, e i social non aiutano. I giovani sono abituati e, a mio modo di vedere, anche per questo sono avvantaggiati. E’ un ciclismo più veloce».
Le performance di Vingegaard superiori a Roglic possono spaccare la Jumbo Visma. Con Garzelli ripassiamo situazioni simili, per capire come potrebbe finire
Barguil debutterà al Giro. Il Covid potrebbe penalizzare la sua corsa. Ma se sta bene il francese ha tante opzioni sul piatto: classifica, tappe e maglia azzurra
E’ stato quando ha smesso di percepire il ciclismo come un viaggio nei suoi sogni di ragazzo che Tom Dumoulin ha deciso di dire basta. Una magia che sorprendentemente si è interrotta proprio con la vittoria al Giro d’Italia, quando gli sguardi attorno hanno cambiato luce. Almeno questo è ciò che l’olandese ha percepito e che inesorabilmente lo ha trascinato a fondo. Finché in un giorno dell’estate che lo avrebbe condotto all’ultima gara della carriera – la crono ai mondiali di Wollongong – Tom ha detto basta.
«Sono vivo, più vivo di qualche anno fa. Ero decisamente pronto a smettere, mi divertivo sempre meno a salire in bici e a pormi obiettivi altissimi. Il mio corpo si stava lentamente deteriorando, mi diceva basta. Ho deciso di ritirarmi ad agosto e da quel giorno mi sento molto felice».
L’accoglienza nella piazza del mercato di Maastricht dopo il Giro 2017 fu oceanicaOro nella crono di Bergen: fu superiore a Roglic e Froome. Era lui l’astro nascenteL’accoglienza nella piazza del mercato di Maastricht dopo il Giro 2017 fu oceanicaOro nella crono di Bergen: fu superiore a Roglic e Froome. Era lui l’astro nascente
Quello che la gente non vede
Il ciclismo è uno degli sport più estremi, richiede una dedizione totale. Come professionista, tutto ruota attorno al ciclismo. Ogni decisione che prendi, ogni ingrediente che mangi, ogni volta che vuoi vedere gli amici. Sono gli stessi concetti espressi da Pogacar: quanto puoi durare vivendo sempre al 100 per cento?
«Il ciclismo – ha spiegato Dumoulin a L’Equipe – richiede un lavoro che il pubblico non vede. Passi il 90 per cento del tuo tempo a fare sacrifici che negli ultimi anni sono diventati troppo importanti, soprattutto perché i momenti speciali stavano diventando sempre più rari. Fino al 2017 e alla vittoria al Giro, mi sono sentito totalmente sulla mia strada. Poi i tifosi, la squadra, le persone con cui ho lavorato hanno cominciato ad aspettarsi qualcosa da me. Mi percepivano in modo diverso. A poco a poco, non era più solo il mio progetto, ma quello di molte persone. E questo non mi è piaciuto, ho cominciato a perdere il controllo della mia carriera e gradualmente ho smesso di divertirmi».
Giro 2018, fa il ritmo per staccare Froome, ma alla fine rimarrà secondo. La luce si sta già spegnendoE poi al Tour dello stesso anno ancora nella rete di Sky: secondo finale dietro Geraint ThomasGiro 2018, fa il ritmo per staccare Froome, ma alla fine rimarrà secondo. La luce si sta già spegnendoE poi al Tour dello stesso anno ancora nella rete di Sky: secondo finale dietro Geraint Thomas
L’amore degli italiani
Eppure proprio vincendo quel Giro del 2017 e poi la crono al mondiale di Bergen, l’olandese così elegante aveva conquistato anche il pubblico italiano. Era chiaro che l’anno dopo sarebbe stato lui il corridore più atteso. Vennero quattro secondi posti: al Giro dietro Froome, al Tour dietro Thomas, al mondiale crono (dietro Dennis) e della cronosquadre (dietro la Quick Step). Poi qualcosa si spense. Difficile dimenticare le brutte ore della caduta di Frascati nel 2019 che lo portarono al ritiro, alla rottura con il Team DSM e al conseguente passaggio alla Jumbo Visma.
«Ho vinto il Giro una volta – ha ricordato – e in Italia sono più popolare di altri vincitori, che non hanno ricevuto tanto amore. Questo è stato bellissimo, ma ho avuto sempre più difficoltà a superarlo. Mi ripetevo: questa è la mia strada, questo è il mio sogno. Volevo mostrare allo sponsor e alla squadra che stavo lavorando sodo. Prima del 2017, se un giorno non stavo bene, capitava che saltassi un allenamento. Dopo la vittoria del Giro, anche se sfinito pensavo che si aspettavano tanto da me e dopo poche settimane ci sarebbe stato il Tour de France. Pensavo troppo, perdevo freschezza e non riuscivo più a dare il massimo».
La tappa di Potenza del Giro 2022, vinta da Bouwman grazie a lui, è stata una delle ultime gioie di Dumoulin in biciAll’ultimo Giro, lasciato alla 14ª tappa per il mal di schiema, con Van der Poel, astro nacente olandeseOggi Dumoulin conduce una vita normale: lo sport resta al centro, ma per stare bene (foto Instagram)La tappa di Potenza del Giro 2022, vinta da Bouwman grazie a lui, è stata una delle ultime gioie di Dumoulin in biciAll’ultimo Giro, lasciato alla 14ª tappa per il mal di schiema, con Van der Poel, astro nacente olandeseOggi Dumoulin conduce una vita normale: lo sport resta al centro, ma per stare bene (foto Instagram)
Un uomo normale
Per questo si fermò la prima volta. Un mese e mezzo senza toccare la bici, sapendo che sarebbero arrivate le Olimpiadi già compromesse nel 2016 per la frattura del polso nel finale del Tour. Arrivò a 47 secondi da Cancellara e secondo sarebbe arrivato a Tokyo dietro Roglic, dopo una preparazione svolta quasi di nascosto.
«Eppure allenandomi da solo – ha detto – sentii che mi piaceva ancora andare in bicicletta. Avrei continuato, eppure appena finirono le Olimpiadi, fu di nuovo difficile tenere lontani tutti i pensieri. Così ho deciso di essere onesto con me stesso: la mia vita non poteva più essere quella di un grande atleta. Così, complice il mal di schiena per cui ho dovuto lasciare il Giro d’Italia, ho deciso di mollare. Dovevo chiudere ai mondiali, l’ho fatto prima. In Australia ci sono andato come tifoso. Sono stato nell’hotel della nazionale. Ho incontrato i miei amici, gli allenatori, i meccanici, i massaggiatori con cui ho lavorato per tanti anni. Mi è piaciuto essere in cima a quello strappo per incoraggiare i miei compagni di squadra, ma in nessun momento ho sentito che avrei voluto essere lì come corridore.
«Non mi sono mai sentito un eroe, semplicemente sapevo andare forte in bicicletta. E’ l’unica cosa che so fare meglio degli altri. Pochissime persone possono vivere quei momenti in cui sei tra i migliori a un passo dalla cima, è qualcosa speciale. Ma non mi sento speciale come persona. Se però posso dare speranza e ispirare qualcun altro, allora questo sarà molto positivo».
Certi capitoli quando si chiudono fanno male, non si è pronti ad affrontare la fine, soprattutto se non lo si era preventivato. Per Canola questo inverno ha il sapore di qualcosa che è terminato e non si sa bene il perché. Anzi, il motivo è presto detto, la Gazprom non c’è più ed il veneto non ha trovato una sistemazione consona al suo livello.
Le motivazioni che hanno portato a questo momento della carriera di Canola sono l’insegnamento che nella vita, purtroppo, non è possibile controllare tutto quello che ci circonda.
L’ultima uscita del veneto con la maglia Gazprom RusVelo, al Tour of OmanL’ultima uscita del veneto con la maglia Gazprom RusVelo, al Tour of Oman
La fine
«Si tratta di un periodo particolare – racconta Canola dalla sua macchina – non è una mia abitudine non avere squadra. Ma alla fine, ero stanco di aspettare una situazione che a fatica mi avrebbe soddisfatto. Non avevo voglia di svalutare la mia carriera, ero fiducioso di trovare un progetto valido al quale portare la mia esperienza. Mi ero dato una scadenza e questa è poi arrivata. Ora mi guardo intorno e cerco di capire quale strada potrò percorrere in futuro. Ho parlato con delle aziende per eventuali idee da sviluppare nel mio post carriera».
Canola (a destra) ha speso tutto se stesso per questa battaglia, non avendo mai paura di esporsiCanola (a destra) ha speso tutto se stesso per questa battaglia, non avendo mai paura di esporsi
Nel tuo futuro vedi ancora la bici?
Mi piacerebbe, nonostante tutto, rimanere in questo mondo. Non so se dal punto di vista amatoriale o cicloturistico. Siamo in un momento nel quale la bici è di tendenza ed il movimento degli amatori è in continua crescita. Quest’ultimi hanno voglia di fare esperienze sempre più simili a quelle dei professionisti e io potrei fornire loro la mia esperienza, i miei insegnamenti.
Questa esperienza avresti potuto metterla anche al servizio di un team…
Certamente, ma non c’è stata occasione. Nella mia carriera ho sempre cercato di imparare dai più grandi, apprendendo tante piccole sfumature che fanno parte di questo mondo. Nel tempo la situazione si è capovolta, sono diventato io quello che dava consigli, l’esperto.
Con una voce forte, come quella usata contro l’ingiustizia che vi ha colpito.
La situazione Gazprom è stata anomala. Ci siamo trovati in mezzo ad un discorso politico. Mi sono battuto tanto, l’ho fatto per un interesse comune. Il mio può essere l’esempio che se si sta in silenzio si possono ottenere compromessi, ma io di stare zitto non ne avevo voglia.
David Lappartient, presidente dell’UCI non ha mai risposto agli appelli lanciatiDavid Lappartient, presidente dell’UCI non ha mai risposto agli appelli lanciati
Il silenzio è arrivato da parte di chi avrebbe dovuto sostenervi: l’UCI in primis.
L’UCI ha preso una linea sbagliata e senza pensare alle conseguenze, la loro preoccupazione principale è stata chiudere la squadra. Sarebbe bastato incontrarsi e parlare, un’idea sarebbe venuta fuori. Io ne ho avute alcune, ma non ho mai avuto modo di discuterle con chi di dovere. Il presidente Lappartient non l’ho mai incontrato, abbiamo avuto qualche scambio di mail, ma appena domandavo di vederci spariva.
Del tipo?
Per salvare la squadra sarebbe bastato cercare un nuovo sponsor o portarne di privati. Anche correre in maglia neutra sarebbe bastato, insomma, farci correre era doveroso. Hanno lasciato a casa e senza tutela delle persone e delle famiglie. Ho scoperto anche una cosa che mi ha fatto poco piacere.
Quale?
Sono venuto a sapere che l’UCI negli anni passati ha messo mano al fondo per gli ex professionisti, usando quei soldi per una causa contro un diverso esponente. Hanno usato i soldi per gli atleti per motivi differenti, avrebbero potuto usarli per noi, per non farci sparire.
Nel dicembre 2021 Canola era in ritiro con la Gazprom pronto a rilanciarsi, un anno dopo è finito tuttoNel dicembre 2021 Canola era in ritiro con la Gazprom pronto a rilanciarsi, un anno dopo è finito tutto
La bici la stai usando ancora?
Faccio qualche giretto, mi serve per sbloccare la mente, per pensare.
Cosa pensi?
E’ difficile – la voce di Canola si fa sempre più pesante – molte volte ho pensato “perché doveva capitarmi”. Mi sono trovato a prendere decisioni difficili che mi hanno complicato la vita, ma dai momenti duri impari sempre qualcosa. Un giorno, voltandomi, spero di poter dire che tutto questo è servito a qualcosa.
Abbiamo saputo che stai facendo il corso da diesse, magari questa esperienza potrà esserti utile in questo campo…
Il diesse è una figura che deve dare serenità e carica, deve portare coesione all’interno del team. Nel ciclismo moderno al corridore si chiede sempre di più, ma bisogna ricordare che dietro i numeri ci sono le persone. L’aspetto umano è un aspetto di cui ci si sta dimenticando sempre di più. Mi piacerebbe riportarlo al centro di questo mondo.
Il veneto ha provato altre discipline: eccolo in una gara di mtb a Recoaro Terme (foto organizzatori)Il veneto ha provato altre discipline: eccolo in una gara di mtb a Recoaro Terme (foto organizzatori)
Ne sei stata una prova, visto quanto hai speso per questa battaglia.
Ho parlato con estrema sincerità, lo si deve fare sempre, non bisogna aver paura di dire la verità. Il ciclismo ha avuto la possibilità di dimostrarsi famiglia e così non è stato, anzi, alcuni ci hanno voltato le spalle. Sono stati pochi a combattere questa battaglia con noi e quando sei solo in un mare grande trovi sempre un pesce più grosso di te.
Dieci anni nel professionismo non si cancellano così facilmente.
Pensate, dieci anni e sono stato trattato così. Nel mio piccolo mi sono battuto per rendere questo sport migliore. Ho contribuito a mandare avanti il circo del ciclismo per anni e poi appena ha potuto mi ha voltato le spalle.
In occasione del ritiro di Nibali, Aru ricorda i 4 anni all'Astana. Da quando erano amici a quando divennero rivali. Aneddoti da una rivalità mai sbocciata
Mads Pedersen non ha peli sulla lingua. Pane al pane e vino al vino. Quando condividiamo questa sensazione con Paolo Barbieri, responsabile stampa della Trek-Segafredo, lui annuisce consapevole. Dal danese che nel 2019 impallinò Trentin ai mondiali di Harrogate non aspettatevi sviolinate o frasi convenzionali.
Mads Pedersen ha 27 anni ed è professionista dal 2017. Aprirà il 2023 all’Etoile de BessegesMads Pedersen ha 27 anni ed è professionista dal 2017. Aprirà il 2023 all’Etoile de Besseges
Al Giro con Stuyven
In squadra ricordano ancora di un mattino in cui Pedersen e Nibali dovevano lasciare l’hotel alle 6 per un servizio fotografico. Pare che Vincenzo si sia presentato in ritardo mentre l’altro aspettava in auto. Mads si infuriò senza alcun timore reverenziale per il ritardo e perché a suo dire l’italiano non riusciva a capire la gravità della situazione. «Sono duro con gli altri – commentò – perché sono duro con me stesso». Da allora i due presero le rispettive misure e tutto filò liscio.
Il suo 2022 parla di dieci vittorie, le più preziose la tappa del Tour e le tre della Vuelta (con 4 secondi posti). E quando eravamo tutti convinti che avrebbe fatto un sol boccone del mondiale, Pedersen ha cambiato direzione e in Australia non c’è andato. La sensazione è che non abbia un gran feeling con i voli a lungo raggio, dato che dal 2018 non ha più corso fuori dall’Europa, ma evidentemente alla squadra sta bene e il suo programma sarà tutto europeo anche nel 2023. L’unica eccezione dovuta è il viaggio in Wisconsin di fine anno, in cui i corridori visitano la sede di Trek. Fra le novità della prossima stagione, c’è invece che Pedersen e Stuyven verranno al Giro d’Italia.
Nel 2019, il giovane e semi sconosciuto Mads Pedersen si rivelò così al mondo, battendo Trentin ad HarrogateNel 2019, il giovane e semi sconosciuto Mads Pedersen si rivelò così al mondo, battendo Trentin ad Harrogate
Partiamo dal giorno in cui grazie a te c’è andato di traverso il mondiale. Cosa ricordi?
Che ho vinto la corsa (allarga le braccia, ndr). Prima del via non avrei mai detto che sarei riuscito a vincere. Speravo di fare un bel risultato, ma non certo a quel modo. A volte capita che tutto si metta nel modo giusto e quel giorno per me fu così.
Cosa sai del Giro?
In realtà poco, so che lo farò. Al momento giusto ci siederemo a un tavolo e studieremo il percorso. Prima però sarò concentrato sulle classiche, che restano l’obiettivo principale. Nessuna in particolare, vanno bene tutte. Il mio scopo è arrivarci in forma. Credo di aver fatto un bel passo di crescita fra il 2021 e il 2022 e mi piacerebbe mantenere lo stesso livello anche il prossimo anno.
Cercando di migliorare su qualche terreno specifico?
Non certo sulle salite, perché non mi servirebbe a molto. Devo essere a posto per le classiche e fare del mio meglio nel resto della stagione. Sono consapevole di avere nella volata il mio punto di forza.
Mads è alla Trek dal 2017. Nel 2022 ha vinto la tappa di Saint Etienne al Tour (nella foto) e tre tappe alla VueltaMads è alla Trek dal 2017. Nel 2022 ha vinto la tappa di Saint Etienne al Tour (nella foto) e tre tappe alla Vuelta
Dopo le tre tappe alla Vuelta, eravamo tutti sicuri che Mads Pedersen sarebbe stato l’uomo da battere ai mondiali di Wollongong.
Ma per vincere una corsa devi prima andarci e io ho deciso di non farlo. E’ stata una decisione molto facile da prendere. Volare laggiù sarebbe stato troppo, fino a quel momento avevo fatto una bella stagione e non avevo belle sensazioni sul fatto di andare. Si è trattato di dare fiducia al mio istinto e crederci.
Da dove comincerà il tuo 2023?
Dalla Francia come quest’anno, il primo di febbraio, con l’Etoile de Besseges. Il fatto di non andare in Australia o Argentina è dipeso al 100 per cento da una mia scelta, perché non mi piace fare lunghi viaggi.
Obiettivo classiche, dunque?
Da Sanremo alla Roubaix, esatto.
Cosa sai della Sanremo?
L’ho fatta una sola volta, quest’anno (si è piazzato al 6° posto, ndr). E’ una corsa noiosa, a essere onesto, che non mi piace, ma è una Monumento e questo la rende importante. Sono cinque ore a non fare nulla e poi diventa folle per un’ora e mezza. Non è la più bella che abbiamo nel calendario, ma devo provare a vincerla visto il suo status. Detto questo, non so come si possa fare, dovrò fare qualche ricognizione per capirlo bene. Dipende da come si correrà, ma se quel giorno avrò fiducia nel mio sprint, mi converrà aspettare. Credo un po’ meno invece alla possibilità di tenere la corsa per tutto il giorno. Servirebbe una squadra di corridori forti e tutti votati alla stessa causa, ma non credo che correremo così.
Stuyven, qui con Alafaci che alla Trek è massaggiatore, è nel gruppo classiche e sarà con Pedersen al GiroStuyven, qui con Alafaci che alla Trek è massaggiatore, è nel gruppo classiche e sarà con Pedersen al Giro
Invece la Roubaix?
Ho sempre pensato sempre di poterla vincere, già dal sopralluogo dei giorni prima (in apertura in allenamento lo scorso aprile, ndr). L’ho fatta più volte, sono capace di trovare la pressione delle gomme, tenere la posizione giusta nel gruppo, mangiare e bere quando si deve. Eppure negli ultimi due anni non l’ho nemmeno finita, per cadute o sfortune varie.
Prima il Giro e poi il Tour?
Ancheil Tour, sì, perché è la miglior preparazione per i mondiali. A Grasgow si correrà due settimane dopo e il Tour darà la velocità giusta alle gambe. Ovviamente anche pensando a vincere delle tappe. Io corro sempre per vincere.
Vedi il divertimento più nel correre o nell’allenarti?
Cinquanta e cinquanta. Dipende dalla corsa e dai giorni di allenamento. E’ un mix, mi piacciono entrambi. Di sicuro preferisco allenarmi da solo, questo al 100 per cento. Mi piace fare il mio passo e i miei lavori specifici. Per questo i training camp non mi piacciono. Devi preoccuparti di tanti altri corridori, non vai alla velocità che ti servirebbe e cose di questo tipo. Però il ritiro è utile per altri motivi. E’ una sorta di team building e ti permette di sistemare un sacco di cose pratiche. E poi mi diverto a stare con i miei compagni, non si tratta di questo. Ma se parliamo di allenamento, allora preferisco stare da solo.
Sul tavolo accanto al camion ci sono i prodotti Enervit per il supporto durante l’allenamentoE ci sono anche i prototipi, che Enervit porta ai corridori perché li usino e diano un feedbackSul tavolo accanto al camion ci sono i prodotti Enervit per il supporto durante l’allenamentoE ci sono anche i prototipi, che Enervit porta ai corridori perché li usino e diano un feedback
Fra classiche e Giro, prevedi di andare in altura?
Non vado in altura. Mai. Non mi piace stare seduto in cima a una montagna a guardare le rocce.
Meglio la musica ad alto volume del pullman prima di una grande corsa?
Decisamente. Il silenzio in quelle situazioni mi piace ancor meno. Perdi morale se pensi che il tuo capitano non sia sicuro di sé. Sul pullman della squadra prima di una corsa importante c’è musica ad alto volume, balliamo e ci urliamo le cose più disparate. E se capita un corridore che non appartiene al gruppo classiche e chiede di abbassare la musica, lo guardo e fra me e me penso: siediti e leggi il tuo libro, forse ci vediamo al secondo rifornimento. Se ci arrivi…
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