Battistella: i primi passi all’EF e l’esordio in Francia

07.02.2025
4 min
Salva

Dopo tanta attesa e un inverno diverso, sia per il cambio di maglia che per la nascita della piccola Mia, Samuele Battistella ha messo il numero sulla schiena a ha iniziato la stagione. In Francia, all’Etoile de Besseges, breve corsa a tappe che si snoda a sud nel dipartimento del Gard. 

«E’ partita anche la mia sesta stagione da professionista – ci ha raccontato il giorno prima dell’esordio – per quanto riguarda le sensazioni non è tanto differente dagli altri anni, ormai ci sono abituato. Devo dire che ho una motivazione maggiore visto il cambio di squadra, voglio dimostrare il mio valore».

Samuele Battistella, EF Education-EasyPost
Samuele Battistella, EF Education-EasyPost

Il metodo americano

Battistella è passato dall’Astana Qazaqstan team alla EF Education-EasyPost, fondamentalmente da una formazione dalla grande impronta italiana a una che di azzurro ha ben poco. 

«In EF – spiega il veneto – ho trovato un mondo molto organizzato dove tutto è schematizzato e incastrato in caselle. Un modo di lavorare molto americano. Mi trovo bene con questo metodo, mi piace sapere cosa farò e in quale periodo. Compagni e staff sono tutti preparati e pronti. Rispetto agli anni precedenti la programmazione della stagione è diversa, farò molta più preparazione a casa e meno gare. Tutto mi sembra più mirato ad arrivare alle corse al massimo della condizione».

La EF Education Easy-Post al via dell’Etoile de Besseges 2025
La EF Education Easy-Post al via dell’Etoile de Besseges 2025
Facci un esempio di cosa vuol dire per te un’organizzazione schematica…

Tutto è calibrato sulla coesistenza tra l’allenamento e l’alimentazione, in squadra sanno come devo arrivare per essere al meglio. Ognuno ha un nutrizionista che coordina la parte di alimentazione e integrazione con gli allenamenti. Attraverso un’applicazione ci dicono cosa fare.

Come funziona?

Il tutto è guidato da preparatore e nutrizionista. Il primo tramite Training Peaks ci lascia un piano di allenamento. Da quel momento interviene il nutrizionista, che tramite l’applicazione Hexis inserisce la dieta da seguire. 

EF Education Easy-Post, Etoile de Besseges 2025: Carapaz e Battistella
EF Education Easy-Post, Etoile de Besseges 2025: Carapaz e Battistella
Chi sarà il tuo preparatore ora che hai cambiato squadra?

Mi allenerà Michele Bartoli, che collabora con la EF Education-EasyPost da qualche stagione. Sono molto fiducioso del suo metodo di lavoro, già ci conosciamo un po’ e comunque lui segue corridori di grande livello.

Come sarà strutturato il tuo calendario?

Sarò al via delle gare più adatte alle mie caratteristiche, la cosa importante è che ci saranno dei lunghi periodi a casa per arrivare pronto. Il calendario prevede tanti appuntamenti diversi tra loro, con gare WorldTour e corse di secondo livello nelle quali provare a fare risultato. 

A Besseges l’uomo di classifica al momento è Van Der Berg che si trova a 10″ da Magnier vincitore della prima tappa (qui in foto)
A Besseges l’uomo di classifica al momento è Van Der Berg che si trova a 10″ da Magnier vincitore della prima tappa (qui in foto)
Cosa ti aspetti dal debutto a Besseges?

E’ una gara che serve per tornare a respirare l’atmosfera del gruppo e riprendere il feeling con la strada. Ci sarà una bella squadra e sarò in supporto dei miei compagni che potranno fare bene, le mie chance arriveranno più avanti. 

Trovi anche Carapaz, hai già avuto modo di conoscerlo?

Sì, nel ritiro di novembre. E’ uno che non pretende troppo da squadra e compagni, questo aiuta a non metterci troppa pressione. Si fida di noi e sa cosa possiamo dare. 

Sarai al suo fianco al Giro d’Italia?

Sono stato inserito nella lista lunga, se ci sarò cercherò di dare il giusto supporto a Carapaz e di fare bene in qualche tappa. Anche se il mio sogno nel cassetto, se devo guardare un appuntamento che mi piace, è il campionato italiano per il sogno e l’ambizione di indossare la maglia tricolore. 

Carapaz corre deciso verso il Giro. Inverno top e grandi stimoli

28.01.2025
5 min
Salva

«Ho studiato il percorso del Giro d’Italia e credo che sia particolarmente adatto alle mie caratteristiche». Ha parlato diretto, schietto e senza mezze misure Richard Carapaz. Tutto è successo qualche giorno fa in Ecuador, quando ha indetto una conferenza stampa per presentare di fatto la sua stagione. Poche ore dopo, l’ecuadoriano ha preso un volo ed è arrivato in Europa (in apertura foto di @albertserrataco).

Questa è una stagione decisamente importante per Carapaz. Il suo 2024 si può archiviare con un segno positivo senza dubbio: al Tour de France ha vestito la maglia gialla e si è portato a casa quella a pois. Un risultato più che sufficiente a salvare una stagione, ma il rendimento, almeno nella prima parte europea dell’anno, non è stato alla sua altezza. La “Locomotora del Carchi” ha stravinto a gennaio e febbraio in Sud America, ma poi ha avuto qualche problema fisico. Ora le cose, sembra, stiano andando diversamente.

Primo luglio 2024, a Torino Richard Carapaz si veste di giallo. Venti giorno dopo a Nizza sfoggerà la maglia a pois
Primo luglio 2024, a Torino Carapaz si veste di giallo. Venti giorno dopo a Nizza sfoggerà la maglia a pois

Come nel 2022

Il calendario agonistico di Carapaz avrà inizio con l’Étoile de Bessèges, a partire dalla prossima settimana. Di fatto, si tratta di un programma quasi identico a quello del 2022, esclusi i campionati nazionali, quando fu secondo al Giro d’Italia dietro a Jai Hindley. Quell’anno, un po’ inaspettatamente, Richard crollò nel finale del Fedaia, nonostante le pendenze e l’altitudine fossero teoricamente a lui favorevoli.

Il suo cammino di avvicinamento alla corsa rosa sarà un crescendo di condizione: Bessèges, poi Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Volta a Catalunya. A quel punto seguirà una prima pausa agonistica. Per lui un mese di allenamenti in altura, prima delle Ardenne. Forse…

«Potrei fare anche la Liegi – ha detto il campione olimpico di Tokyo – valuteremo più in là». Al momento, la Doyenne è nella lista delle gare a cui Carapaz dovrebbe partecipare. Assieme alle Strade Bianche, sarebbe l’unica corsa di un giorno in programma prima del Giro.

«Dopo il Catalunya – ha spiegato il suo direttore sportivo, Juan Manuel Garate – andremo in ritiro a Sierra Nevada. Forse Richard potrebbe tornare in Ecuador. Se tutto andrà per il meglio, scendere dall’altura, fare la Liegi e poi il Giro sarebbe il top. Ma se la classica belga dovesse interferire con la preparazione ottimale per il Giro, non avremo problemi a saltarla».

Se le previsioni saranno confermate, Carapaz affronterebbe il Giro con 19 giorni di corsa nelle gambe. Un numero non esagerato rispetto al passato, ma piuttosto alto se confrontato con i suoi rivali per la generale: Roglic dovrebbe arrivare in Albania con una dozzina di giorni, Gee con dieci, Landa con undici.

Nel 2019 Carapaz vinse il Giro: fu uno dei primissimi grandi trionfi sportivi per il suo Paese. Da lì Richard ha avuto una popolarità enorme

Carapaz e il Giro

Il legame tra Carapaz e il Giro è forte, così come è forte il legame tra il Sud America e la nostra corsa. Negli ultimi anni, specialmente la scorsa estate al Tour ma nelle tappe italiane, si è vista una comunità ecuadoriana sempre numerosa e presente. Segno che lo sport, il ciclismo e il Giro sono molto seguiti.

È proprio sulle strade del Giro che la stella di Carapaz è esplosa definitivamente. Era il 2019 quando uscì in maglia rosa dalle Alpi Occidentali e si prese la generale una settimana dopo. Da allora sono passati sei anni, ma in bacheca Richard ha aggiunto altri tre podi nei grandi tre Giri. Ora vuole tornare a vincere. E l’occasione è (quasi) perfetta: il percorso e il parterre sono ideali.

«Mi piace molto il percorso del Giro – ha detto Carapaz – in particolare la terza settimana. È davvero dura, con salite lunghe, e sono convinto che lotteremo per il titolo. Del resto, lì abbiamo già fatto bene! In più, penso che quest’anno la mia EF Education-EasyPost sia una squadra molto solida, e questo è uno dei fattori che può aiutarmi a rivincere il Giro. Sì, rivoglio la maglia rosa. Sogno di riportarla in Ecuador».

Secondo Garate Carapaz ha passato un inverno molto buono e sereno sulle strade di casa (foto @albertserrataco)
Secondo Garate Carapaz ha passato un inverno molto buono e sereno sulle strade di casa (foto @albertserrataco)

Parla Garate

Carapaz si è riposato bene. Lo scorso anno, a causa di un problema di salute della figlia, è tornato in Ecuador subito dopo la Vuelta saltando il mondiale. Questo gli ha permesso di recuperare a fondo, un aspetto sottolineato sia da lui stesso che da Garate.

«Credo – ha ripreso il diesse spagnolo – che Richard abbia passato il miglior inverno da quando è con noi. Non ha mai avuto problemi di salute, si è sempre allenato e la sua condizione è stata un crescendo. Ha fatto un inverno davvero solido.

«Per quanto riguarda il resto del suo cammino, il nostro obiettivo è il Giro. E tutto, anche la Liegi, ruota intorno a questo. Anche la decisione di non fare i sopralluoghi, almeno direttamente con il corridore. Ormai il più delle volte quando vai a vedere una tappa di montagna trovi un passo chiuso. Quindi riscendi in macchina, ti sposti dall’altra parte della valle, risali in bici… Alla fine vedi e non vedi».

Carapaz e lo stesso Garate ci sono sembrati molto motivati. L’operazione Giro è già partita. In questi giorni, Richard si trova nella sua residenza europea a Monaco. Con Garate si sente quasi ogni giorno. «Anche se io – confida Garate – non lo chiamo spessissimo. L’importante è che si senta con il suo coach: so che le cose vanno bene e va bene così».

Il 2025 di Carapaz è chiaro: al Giro per la generale, al Tour per le tappe, e poi il lungo stacco che potrebbe portarlo al mondiale in Rwanda. Un mondiale che lo stuzzica parecchio. Il percorso è duro, simile a quello delle Olimpiadi di Tokyo, ma più impegnativo e ad alta quota. L’occasione è troppo ghiotta anche se di mezzo c’è la querelle ormai annosa con la Federciclismo di Quito. Ma questa è un’altra storia, prima… sotto con il Giro.

Wegelius sicuro: «Con noi Albanese e Battistella vinceranno»

15.11.2024
5 min
Salva

Con 24 vittorie, l’EF Education Easy Post è stata tra le squadre che ha chiuso il suo 2024 in attivo. Affiancando a un vincente di razza come Carapaz un emergente come Powless protagonista di fine stagione con i successi al Gran Piemonte e alla Japan Cup, valorizzando giovani rampanti come Rafferty al fianco di intramontabili come Rui Costa. Eppure la formazione americana cambia profondamente il suo assetto per la prossima stagione, investendo anche sull’Italia.

L’annuncio dell’ingaggio di Vincenzo Albanese sui social della squadra americana
L’annuncio dell’ingaggio di Vincenzo Albanese sui social della squadra americana

La squadra perde infatti il campione tricolore Bettiol, ma acquisisce Albanese e Battistella che arrivano all’EF Education EasyPost attraverso percorsi diversi e con prospettive apparentemente differenti, anche se alla realtà dei fatti non è proprio così. Per saperne di più abbiamo quindi sentito il direttore sportivo Charly Wegelius, decisamente soddisfatto di come sono andate le cose durante l’anno.

«E’ stata un’ottima stagione – ragiona – considerando non solo i successi dei ragazzi, ma vedendo che abbiamo ritrovato Carapaz ai suoi livelli e un comportamento generale della squadra sempre attivo e protagonista, in particolare al Tour dove al di là dei risultati ho visto grande dedizione e l’atteggiamento giusto. Ciò non toglie che a fine stagione abbiamo dovuto un po’ rivedere i nostri quadri come sempre avviene. In chiave italiana, ci mancherà Bettiol, che è stato molto importante per la nostra storia, per la nostra evoluzione, ma i corridori vengono e vanno, è una legge dello sport».

Neilson Powless sul podio della Japan Cup, ultima delle 24 vittorie del team
Neilson Powless sul podio della Japan Cup, ultima delle 24 vittorie del team
Il vostro team è stato, anzi è molto attivo sul fronte acquisti…

Siamo fedeli alla nostra filosofia, andare alla ricerca di un continuo progresso, cercare dei valori che altri non vedono, abbiamo sempre fatto i nostri acquisti così. In particolare abbiamo trovato in Albanese e Battistella due grandi opportunità che il ciclomercato ci ha dato e abbiamo voluto coglierle al volo. Albanese ad esempio è un corridore che ha fatto vedere belle cose già con Basso, che ha dimostrato di saper stare al più alto livello e che sa piazzarsi bene, portando molti punti ai suoi team.

Un ottimo piazzato, non rischia però di essere solo questo?

E’ questa l’opportunità di cui parlavo. Io sono convinto che con noi può fare quel salto di qualità, quell’ulteriore step per trasformare qualche piazzamento in vittoria. Se nelle gare più importanti, alla fine sei lì, insieme a chi lotta per vincere significa che hai tutto a disposizione per farlo tu. Serve solo fare quel piccolo passo in più e noi possiamo metterlo nelle condizioni di farlo. Per vincere devi mettere insieme tante cose e non è facile, ma Vincenzo ha dimostrato di essere costante come pochi, si allena per essere sempre nel vivo della corsa. Io credo che la prossima stagione potrà fare ancora bene come suo solito, ma mi aspetto la ciliegina sulla torta, ossia un paio di vittorie almeno.

La formazione americana si aspetta molto da Battistella, dandogli maggiori responsabilità
La formazione americana si aspetta molto da Battistella, dandogli maggiori responsabilità
Per Battistella il discorso è diverso: ex campione del mondo Under 23, poi ha svolto sempre ruoli di supporto…

Quando passi di categoria con la maglia iridata addosso è quasi un fardello. Nella storia si sono visti tanti corridori campioni del mondo poi finiti nell’anonimato. Noi pensiamo però che, se ha vinto quella maglia, del talento c’è, bisogna capire come ritrovarlo, farlo emergere. Io dico che ci sono corse nel calendario dove Samuele può correre pensando al risultato. Abbiamo molta fiducia in lui, può fare molto di più di quanto fatto vedere fino a ora.

La vostra squadra è da considerare più attrezzata per le gare d’un giorno o le corse a tappe?

E’ difficile dare una simile definizione così netta. Nel cercare i corridori noi pensiamo a quel che possono dare, tecnicamente e umanamente, non al tipo specifico di corse dove possono emergere. Abbiamo un team che è una buona miscela, che può essere forte su tutti i terreni, che può emergere nelle corse d’un giorno come nelle piccole o medie corse a tappe, perché è chiaro che nei grandi giri devi avere una struttura e uomini specifici che oggi pochissimi team hanno. Anche se Carapaz ha sempre dimostrato di poter dire la sua. Noi abbiamo gente forte per le salite e per le cronometro. E’ vero, ci manca il velocista, ma in quel caso avremmo bisogno di costruire una squadra completamente diversa.

Richard Carapaz resta il riferimento del team, soprattutto per corse a tappe e Grandi Giri
Richard Carapaz resta il riferimento del team, soprattutto per corse a tappe e Grandi Giri
La cosa che colpisce guardando il vostro team è che pur essendo affiliato  negli Usa, non ha una vera identità nazionale, come può essere per le formazioni francesi o britanniche…

E’ la nostra forza, lo dico sempre. Nel 2024 la nostra squadra aveva 32 corridori di 18 nazioni diverse, coprendo tutti i continenti. Noi abbiamo sempre creduto che questa commistione di linguaggi, culture fosse un valore aggiunto e a me è qualcosa che è sempre piaciuto perché credo che porti risultati migliori. Non c’è un solo approccio alle cose, noi viviamo sul confronto e vedere che questo sistema funziona è un ottimo esempio.

Marcato in estasi: «Yates ha fatto una cavalcata alla Tadej»

25.08.2024
6 min
Salva

«Non avevo mai sofferto così tanto», ha detto Adam Yates subito dopo l’arrivo. «Fa così caldo che dall’ultima salita ho avuto i crampi. Non sapevo davvero se avrei potuto continuare così. Ho avuto molta sfortuna negli ultimi grandi Grandi Giri, per cui sono felice di essere riuscito finalmente a vincere di nuovo una tappa. Abbiamo fatto molto bene come squadra, con Marc e Jay (Soler e Vine, ndr) nella fuga. Mi hanno lanciato alla perfezione. Dopodiché sono rimasto solo con Gaudu.

«Quando ho visto che stava attraversando un momento difficile per il caldo – prosegue il britannico – ho capito che avrei dovuto approfittarne. E da quel momento in poi è stata solo sofferenza e sofferenza fino alla fine. Se posso dirlo, non mi interessa la classifica. Oggi era tutta una questione di vittoria di tappa. Ho dato tutto quello che avevo perché non avevo niente da perdere».

Adam Yates è rimasto in fuga per 58 chilometri e alla fine ha vinto con 1’39” su Carapaz e 3’45” su O’Connor
Adam Yates è rimasto in fuga per 58 chilometri e alla fine ha vinto con 1’39” su Carapaz e 3’45” su O’Connor

La giornata perfetta

Difficile dire se Marcato lo abbia ascoltato, dato che il diesse vicentino sulla prima ammiraglia della UAE Emirates in quel momento la stava guidando fino all’area dei pullman. Di certo però la sua idea in questo momento è ben altra. E anche se i ritmi sono convulsi perché c’è da prendere l’aereo che porterà il gruppo al riposo di Vigo, c’è spazio per il ragionamento. Adam Yates ha vinto la tappa di Granada con una fuga di 58 chilometri. Ben altro stile rispetto ai colpi chirurgici in salita con cui ha vinto ad esempio il Giro di Svizzera.

«Hai presente – sorride Marcato – quando fai un piano e va tutto bene? Oggi è andata così. Siamo partiti prima per la tappa, perché magari Adam alla classifica non ci credeva ancora tanto. Noi invece pensiamo che tutto sia ancora possibile, vedendo come corrono. Nulla vieta che arrivi un’altra fuga come quella che ha dato la maglia rossa a O’Connor. Si sta correndo in situazioni meteo impegnative, diverse tappe si sono fatte sopra i 40 gradi. Anche oggi abbiamo fatto un gran lavoro di idratazione lungo il percorso per permettere ai ragazzi di non soffrire troppo. E devo dire che la prestazione è un gran segnale che dà tanta motivazione, perché è stata una grande performance di squadra».

Tiberi è incorso in una pessima giornata, piegato da un colpo di calore che lo ha costretto al ritiro
Tiberi è incorso in una pessima giornata, piegato da un colpo di calore che lo ha costretto al ritiro

Un colpo di calore per Tiberi

Granada ha accolto la nona tappa della Vuelta con il calore di una fornace e purtroppo il primo a farne le spese è stato Antonio Tiberi. L’italiano del Team Bahrain Victorious si è fermato una prima volta alle prese con il mal di testa e poi ha alzato bandiera bianca, vittima di un colpo di calore. La squadra ha messo in atto tutti i metodi per abbassare la sua temperatura, che hanno dato buon esito, ma non hanno scongiurato il ritiro.

Il ragionamento di Marcato non ha grinze. L’impresa di Adam Yates e quella di Carapaz riaprono la classifica e riportano dentro due uomini pericolosi. Si vedrà nei prossimi giorni se davvero il britannico non abbia davvero in animo di risalire posizioni. Intanto va al riposo con un minuto di ritardo dal podio e magari, sfogliando le tappe, capirà che l’occasione non va sciupata. Anche perché nonostante la vittoria di ieri, Roglic non appare ancora quello dei bei tempi, per cui nessun epilogo potrebbe stupirci. E O’Connor sarà un osso duro da mandare a casa. Oggi intanto ha sprintato e ha colto il terzo posto.

«Ho preso l’abbuono nello sprint per il terzo posto – ha detto il leader di questa Vuelta – non è esattamente la mia specialità, ma quei 4 secondi erano lì da prendere. Penso di aver dimostrato che non mi toglieranno questa maglia tanto facilmente. Il giorno di riposo sarà bello, anche perché sono saldamente al comando e con una squadra forte intorno a me. Felix Gall ha fatto un buon lavoro, ma in genere tutti i ragazzi hanno fatto la loro parte. Mi dà fiducia per il proseguimento di questa Vuelta».

Una cavalcata alla Tadej

Marcato va avanti nel ragionamento. Durante la riunione sul pullman ha fatto i complimenti ai ragazzi e dato le indicazioni più importanti per le prossime ore. Domani si riposa, ma prima è stato giusto riconoscergli la bontà del lavoro, all’indomani del ritiro di Almeida che sembrava la figura più vicina a un leader per la generale.

«Joao – racconta Marcato – era uscito benissimo dal Tour e teneva a fare bene. Si sono preparati entrambi alla grande, per cui sono partiti alla pari e poi sarebbe stata la strada a parlare. Ma visto che Adam aveva pagato tantissimo il caldo e sembrava fuori dai giochi, ci eravamo concentrati di più su Almeida. E le cose poi sono andate così. Per questo stamattina abbiamo detto che la cosa migliore sarebbe stata andare in fuga con Adam e due compagni. Lui poi ci ha messo del suo e ha fatto una cavalcata alla Tadej.

«Soler è stato fantastico e anche Vine. Ma quando ha visto che Gaudu soffriva e Carapaz si stava avvicinando – prosegue Marcato – Adam ha semplicemente fatto il suo passo, che però è bastato per andare al traguardo e aumentare il vantaggio. Ora il riposo sarà importante per ricaricare le batterie. Andrà gestito bene. La tappa di martedì ha una salita di prima categoria in partenza e se ci arrivi ingolfato, rischi di restarci. Vedremo come vorranno gestirlo…».

Ancora tutto da scrivere

Nell’angolo della EF Education, Carapaz ha appena dichiarato che vincere la Vuelta potrebbe diventare un obiettivo. In casa Red Bull-Bora invece, Roglic ricorda a tutti di aver avuto ancora fastidi dalla schiena e ci si chiede se lo sloveno stia bluffando o in realtà non fosse davvero pronto per rientrare e abbia dovuto farlo per esigenze di squadra. Come dicevamo ieri, la Vuelta è appena decollata. Vivremo le prossime due settimane senza un italiano in classifica, ma convinti che ne vedremo delle belle.

Tappa e maglia (a pois): il magico Tour del marinaio Carapaz

23.07.2024
5 min
Salva

NIZZA (Francia) – La faccia dolce ma niente affatto mite del Tour de France ha lo sguardo di Richard Carapaz, salito con orgoglio sul podio di Nizza per la maglia a pois, dopo aver calcato nel 2021 quello di Parigi alle spalle di Pogacar e Vingegaard. Non si può essere gente qualunque per frequentare certi posti. E così quest’anno per impedire a Pogacar di conquistare anche la classifica degli scalatori c’è voluto un campione olimpico, vincitore nella sua storia del Giro d’Italia e del Giro di Svizzera. E quando è sceso da quel gradino così bello, aveva gli occhi che scintillavano, come dopo aver vinto la tappa di Superdevoluy in quel giorno altrettanto scintillante.

«Tenere questa maglia – ha detto Carapaz dubito dopo – era diventato un puntiglio ed è ora motivo di orgoglio. La squadra ha fatto un ottimo lavoro per permettermi di entrare in ogni fuga. E’ un premio prestigioso. Tutti i corridori del mio Paese la sognano perché in Ecuador ci sono molte montagne. Essere il re della montagna al Tour de France significa molto per me».

La sua cocciutaggine e la determinazione nello sfuggire ogni giorno alla morsa feroce del UAE Team Emirates, risultando l’unico in grado di sfilare un osso dalla bocca del mastino in maglia gialla, gli sono valse il premio di Supercombattivo del Tour.

A Superdevoluy, la vittoria di tappa che finora mancava nel palmares di Carapaz
A Superdevoluy, la vittoria di tappa che finora mancava nel palmares di Carapaz

Qualcosa che mancava

Dopo la maglia gialla di Torino, ceduta con orgoglio sul Galibier, il giorno più bello è stato quello di Superdevoluy. In cima a quella salita a quota 1.500, dove non c’era neanche il fresco tonificante dell’alta quota, Richard ha coronato il sogno di alzare le braccia al cielo. Qualcosa che gli mancava e che in qualche modo gli ha permesso di regolare qualche conto in sospeso con la corsa francese. 

«Tre anni fa sono salito sul podio – ha spiegato Carapaz – ma sentivo che mancava ancora qualcosa: dovevo provare a vincere una tappa. L’ho fatto e anche questo è molto speciale, è stata un’emozione molto potente. Lo senti sulla pelle che è la corsa più grande del mondo. Dopo la caduta al Giro di Svizzera, sapevo che non avrei potuto lottare per la generale. Nella prima settimana abbiamo provato a vedere in che modo avrei potuto inserirmi in quel discorso, ma è stato subito chiaro che non potevo continuare fino a Nizza. E allora abbiamo deciso di aspettare il momento giusto, cioè la terza settimana. Sapevo che avrei potuto fare la differenza in alcune tappe, come poi è successo».

Sabato verso il Col de la Couillole, con Powless a tirare: la conquista della maglia a pois ha richiesto una strategia ben precisa
Sabato verso il Col de la Couillole, con Powless a tirare: la maglia a pois ha richiesto una strategia ben precisa

Lavoro di squadra

L’idea di partenza non era questa, ma aver saputo riadattare le ambizioni e il battito del cuore ha fatto sì che il Tour nato male si sia trasformato forse nel più bello della sua carriera. Il ritiro dal Giro di Svizzera, nello stesso giorno in cui decise di non ripartire anche Alberto Bettiol dopo la caduta nella tappa del San Gottardo, non lasciava presagire niente di buono. Invece la squadra ha saputo gestire al meglio il suo avvicinamento.

Charly Wegelius, che lo ha guidato dall’ammiraglia, ha ammesso sorridendo che qualsiasi altro corridore fosse uscito così male dalla corsa svizzera, non sarebbe stato selezionato per il Tour. Eppure nessuno nella dirigenza della EF Education-EasyPost ha avuto dubbi nel concedere una chance a Richard. Di lui il capo Vaughters ha un’opinione singolare. Lo punzecchia spesso perché si impegni di più in allenamento e sfrutti meglio il suo talento. Ma Richard di fronte a queste battute sorride, annuisce e tira avanti.

«Tutti arrivano qui con la loro squadra migliore – spiega – i migliori corridori, il miglior staff e con la voglia di avere successo e noi siamo riusciti a portare a casa qualcosa di bello. La vittoria di tappa ha avuto un gusto speciale. La squadra è stata sempre in prima linea. Abbiamo parlato molto con i direttori sportivi nella riunione, sapevamo che sarebbe stata una giornata dura per il vento e il lavoro dei velocisti per la maglia verde. Non si poteva prendere vantaggio tanto presto nella tappa. Ma siamo stati intelligenti, abbiamo aspettato che le acque si calmassero e soprattutto abbiamo lavorato insieme».

Carapaz ha resistito alla voglia di Pogacar di prendere anche la maglia a pois: complimenti reciproci al Col de la Couillole
Carapaz ha resistito alla voglia di Pogacar di prendere anche la maglia a pois: complimenti reciproci al Col de la Couillole

La corsa nella corsa

Sabato, come pure il giorno prima a Isola 2000, per qualche chilometro ha pensato di poter assistere in prima persona al duello fra i primi della classe. Al Col de la Couillole, i due lo hanno preso e lasciato all’ultimo chilometro. Il giorno prima invece era stato Pogacar a saltarlo al doppio della velocità, ingolosito da quell’arrivo per lui così speciale.

«Soprattutto sabato – ammette nella zona mista di Nizza – mi sarebbe piaciuto arrivare con loro, ma andavano troppo veloci per me che avevo trascorso buona parte della giornata in fuga. E’ stata molto dura e un po’ snervante. Abbiamo dovuto fare molti calcoli e l’unico modo per blindare questa maglia era andarsela a prendere ogni giorno con un’altra fuga. Durante il Tour sono progredito giorno dopo giorno. Non dico che sia stato facile riuscire a stare davanti, ma ho avuto le gambe per farlo. Non poteva finire meglio, la squadra ha lavorato davvero bene. Conquistare una maglia  di classifica significa fare una corsa nella corsa. Studiare una strategia a parte rispetto a quella dei primi. Il Tour è sovrapposizione e intreccio di tante corse diverse, ma finché non ci sei dentro, non lo capisci».

La sua estate conoscerà ora finalmente il riposo, prima di riaccendere i motori e fare rotta vero la Vuelta e i mondiali di Zurigo. Le Olimpiadi non saranno affar suo per questa volta, il percorso iridato gli si addice invece molto di più. Se ne va con il sorriso dolce e l’appagamento del marinaio che ha raggiunto il porto anelato. Si guarda intorno, riempie gli occhi di bellezza, sapendo che presto sarà il tempo per alzare nuovamente le vele.

Carapaz, il sogno è nel cassetto. Ma l’applauso è per Vingegaard

17.07.2024
6 min
Salva

SUPERDEVOLUY (Francia) – E’ un sogno che si realizza, ma Carapaz è troppo stanco per mettersi a saltare. Il sole a piombo disegna ombre profonde sul suo volto sfinito, solo i denti bianchi brillano più degli occhialoni specchiati. Il venezuelano ha vinto la sua prima tappa al Tour, dopo essere stato il primo ecuadoregno a indossarne la maglia gialla. E forse per averci parlato del tutto casualmente stamattina prima del via, capiamo che in quella voglia di arrivare e vincere c’è anche altro.

La bici dorata da campione olimpico ha fatto ottimamente la sua parte, quasi alla fine di un viaggio durato un anno meno di tutti gli altri, dato che Il Covid s’è mangiato un anno e da Tokyo è passato appena un triennio.

«Ci riprovo – le sue parole alla partenza – penso che manchi una settimana molto dura. Spero che la classifica si sia assestata, così arriveranno anche le fughe di giornata. La verità è che sto bene, sto ritrovando buone sensazioni. Spero di continuare questa crescita e di riuscire a trovare qualcosa qui al Tour. Ormai mi sono fatto una ragione del fatto che non mi porteranno alle Olimpiadi, è un problema che ho già affrontato. Penso di avere davanti ancora una bella stagione. La Vuelta e persino il campionato del mondo, che sarà una bella conclusione della stagione».

Una vittoria per sempre

Meno di cinque ore dopo, la sua missione si è compiuta e a giudicare da come la racconta, potrebbe non essere ancora del tutto completa. La linea di arrivo è un ribollire di massaggiatori, perché il caldo si è fatto sentire e i corridori arrivano stremati. Le ultime due salite piene di gente hanno offerto uno scenario pazzesco e persino educato, per quello che si è potuto vedere dal nostro punto di osservazione.

«Questa vittoria significa tutto! Ho cercato di ottenerla dall’inizio del Tour – racconta – quello era l’obiettivo. Sono riuscito a ottenere questo risultato che ricorderò per sempre, ho sfruttato al meglio il momento. Conoscevo bene la salita finale avendola studiata con il mio direttore sportivo. Avevo vinto tappe al Giro e alla Vuelta, ma il Tour de France è la corsa con tutti i migliori corridori del mondo. Ogni squadra arriva con il suo miglior assetto e la squadra migliore. Il Tour è la gara più bella. Sono felice anche per tutte le persone che mi seguono, sono orgoglioso di essere qui e rappresentare tutta l’America nel miglior modo possibile».

Pogacar si volta, dietro c’è Evenepoel: Vingegaard è in difficoltà, l’attacco prosegue
Pogacar si volta, dietro c’è Evenepoel: Vingegaard è in difficoltà, l’attacco prosegue

L’istinto stupido

Mentre davanti la fuga dei 48 si andava scremando e da dietro prima Simon Yates e Poi Carapaz rientravano sui primi e li saltavano, nel gruppo della maglia gialla quel diavoletto di Pogacar si è accorto che Vingegaard non avesse esattamente una bella cera. E così, prendendo bene la rincorsa sul Col du Noyer, ha attaccato e l’ha messo sulle ginocchia. Il senno di poi dirà che non è servito a molto, dato che i distacchi sul traguardo sono stati contenuti.

«E’ stata una giornata molto bella – dice Pogacar nella zona mista – c’è stata una partenza veloce, come se nei primi 125 chilometri fossimo in una gara juniores. Forse per questo prima dell’ultima salita c’è stata un po’ di fatica e ne ho approfittato. Non so se tanto attaccare faccia parte del mio dna, potrebbe essere. Non so davvero perché ho provato. Ho seguito l’istinto, ma è stato un istinto stupido. Ho tolto due secondi a Jonas e ne sono felice. Invece Remco è stato bravissimo. Ha fatto un ottimo attacco nel finale. La Visma ha lavorato molto bene come squadra. Se Jonas non avesse più uomini davanti, penso che io e Remco potremmo mettergli più pressione e il risultato sarebbe stato diverso».

Evenepoel ha attaccato per la prima volta in questo Tour: un bel segno della condizione che cresce
Evenepoel ha attaccato per la prima volta in questo Tour: un bel segno della condizione che cresce

Remco cresce

Vedere Vingegaard in difficoltà ha dato infatti morale a Evenepoel. Il belga ha prima risposto a Pogacar. Assieme a Vingegaard e a Laporte lo hanno raggiunto in discesa. E quando poi si sono ritrovati sugli ultimi chilometri verso Superdevoluy, la maglia bianca ha attaccato in prima persona. Vingegaard ci ha provato, ma quando alla fine gli è andato via anche Pogacar, ha capito che le stagioni non sono tutte uguali. Alla fine Evenepoel ha guadagnato 10 secondi su Pogacar, che ne ha guadagnati due su Vingegaard. Non è tanto per il margine in sé, ma quello che significa alla vigilia di altre tre giornate sulle montagne.

«Mi sentivo ancora bene – dice Evenepoel – e avevo ancora Jan Hirt davanti. A un certo punto mi hanno gridato all’orecchio che avrei potuto attaccare se il ritmo fosse sceso ai piedi dell’ultima salita. E’ quello che ho fatto. Forse avrei dovuto essere più aggressivo, ma per me è tutto nuovo. Non oso ancora dare il massimo su un arrivo in salita di quattro chilometri. Jan è stato fortissimo, mi ha lasciato all’ultimo chilometro come gli avevo chiesto. Poi io ho fatto un altro chilometro a tutta. Alla fine la differenza con Pogacar e Vingegaard è di pochi secondi. Ma con gli uomini dietro di me in classifica oggi è stata di oltre due minuti. Mi aspettavo che Pogacar rispondesse, ma forse visto che ho 5 minuti di ritardo ha preferito far lavorare la Visma. Non so se ci riproverò, vorrei rispettare il nostro piano che prevede podio e una tappa. Forse ne vincerò un’altra, ma tutto ciò che di nuovo potrò sperimentare è un vantaggio. Perciò resto concentrato sul terzo posto e poi si vedrà. Jonas ha vinto due Tour, non credo sia semplice riprendergli due minuti».

Vingegaard si è difeso bene, tenendo testa a Pogacar e onorando il Tour
Vingegaard si è difeso bene, tenendo testa a Pogacar e onorando il Tour

Onore a Vingegaard

A questo punto forse si impone una riflessione. La presenza di Vingegaard al Tour è un miracolo. Visto l’incidente di aprile non avrebbe mai potuto recuperare il suo livello migliore. Ma siccome da più parti lo si ritiene una sorta di robot e la sua squadra capace di tirare fuori l’acqua dal sale, erano tutti convinti che sarebbe venuto e sarebbe stato tutto come al solito. Così non è. E se l’anno scorso si è accettato lo scafoide di Pogacar come causa nel ritardo di condizione, davanti a questo ragazzo danese tutto pelle, grinta, ossa e muscoli, bisogna solo togliersi il cappello.

«Alla partenza avevo immaginato una tappa conservativa – dice Vingegaard – ma a un certo punto ho visto che la Trek attaccava e ho pensato che sarebbe stato possibile che partisse Tadej. E in quell’istante lui ha attaccato. Ogni volta che qualcun altro rende la corsa difficile, allora devi aspettarti che se ne andrà. Poi Remco ha attaccato e Tadej si è messo alla mia ruota. Pensavo che l’avrei ripreso, ma avevo già chiesto tanto ai miei compagni di squadra, che oggi devo ringraziare molto. Laporte è stato davvero prezioso. Sulla mia condizione, cosa dire? Mi sento ancora come se stessi migliorando e oggi forse non è stato il mio giorno migliore. In un Grande Giro può capitare di avere una brutta giornata e se questa è la mia brutta giornata, allora sono felice».

Avrebbe potuto fregarsene e puntare tutto sulla Vuelta. E’ qui a rendere più grande la vittoria di Pogacar. Già solo per questo Jonas Vingegaard merita che gli si faccia un applauso.

La gialla di Carapaz, progettata e raggiunta. Ecuador in festa

02.07.2024
6 min
Salva

TORINO – Tutta l’America Latina in visibilio nel nome di Richard Carapaz. Il campione olimpico di Tokyo 2020 ha un rapporto speciale con Torino. E dopo averci sfrecciato in rosa il 21 maggio di due anni fa, ieri ha coronato il lungo inseguimento giallo, regalandosi una giornata storica non soltanto per l’Ecuador ma per l’intero Continente.

Dopo la maglia conquistata quasi per sbaglio da Tadej Pogacar a Bologna, ne arriva una cercata, voluta e sudata nel primo arrivo per ruote veloci nonché la tappa più lunga di questo Tour (230,8 km). Nell’arzigogolata classifica dopo le prime due tappe, erano ben quattro e a pari tempo i pretendenti al simbolo del primato. Oltre all’asso sloveno c’erano Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard e appunto Carapaz. Quest’ultimo, con la rabbia ancora in corpo per l’esclusione dai Giochi di Parigi 2024 da campione uscente, era per tanti il candidato numero uno a indossare la maglia tanto ambita. E così è andata con il quattordicesimo posto nella tappa vinta da Biniam Girmay.

«Richard, ma sei in maglia?», gli chiediamo pochi metri dopo lo sprint. Lui ribatte: «Credo di sì», ma al tempo stesso fa segno di aspettare e butta giù alcuni orsetti gommosi. Poi arriva l’ufficialità e comincia la festa. «Good job, guys» il messaggio di un euforico Carapaz al traguardo, dopo la conferma che la missione era compiuta e prima di abbracciare il campione portoghese Rui Costa, tutti i compagni che arrivano alla spicciolata, artefici dell’impresa corale.

Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla
Carapaz è 14° all’arrivo: sta realizzando proprio ora di aver preso la maglia gialla

Il piano giallo

A pilotarlo fuori dal traffico nel concitato finale, evitando la caduta ai – 2 km è stato Marijn Van der Berg (13°) che, mentre defatica sui rulli, rivive quegli istanti con noi: «Ho provato a tirargli la volata – dice – è stato qualcosa di nuovo trovarsi lì davanti con uomo di classifica alle tue spalle, ma è stato spettacolare e penso che Richard fosse super felice di quello che abbiamo come squadra».

Poi, racconta il piano maglia gialla: «Al mattino, prima della partenza da Piacenza, abbiamo cominciato a studiare come prenderla e abbiamo fatto di tutto perché diventasse realtà. Avere la maglia gialla è super speciale. Ovviamente, tutti sognano di conquistarla in prima persona, ma se la indossa un tuo compagno, la senti davvero vicino ed è qualcosa di pazzesco. Siamo stati uniti come squadra e ora speriamo di tenerla per un po’, anche se ci aspetta subito una giornata molto dura, ma ci proveremo».

L’irlandese Ben Healy gli fa eco: «Ce l’abbiamo fatta, siamo andati a tutto gas e ci siamo riusciti. Il mio lavoro è stato meno tattico e più di fatica perché è arrivato ben lontano dal traguardo, ma credo che faremo un po’ di festa ora. Sarà bello vedere Richard vestito di giallo».

Una festa di paese

Il diesse della EF Procycling Charly Wegelius racconta ancora: «Dopo la grande prestazione di Richie a Bologna, abbiamo guardato la classifica. Sapevamo che in caso di parità, si sarebbe guardata la somma dei piazzamenti. Valeva la pena lavorare per un obiettivo di questo calibro, ma sapevamo che in un arrivo così concitato allo sprint poteva succedere di tutto».

E a chi mormora che Pogacar volesse comunque cedere la maglia, ribatte: «Abbiamo fatto il nostro lavoro senza pensare a chi la voleva lasciare. Ora teniamo i piedi per terra e cercheremo di difenderla, ma sarà la strada a parlare».

I tifosi al motorhome fucsia attendono il loro beniamino e fanno un gran fracasso. «Eravamo a Verona quando ha trionfato al Giro 2019. Ora siamo qui per questa festa gialla che proseguiremo a Pinerolo, acclamandolo alla partenza della quarta tappa», racconta Osvaldo, originario di Ambato, ma oramai trapiantato a Torino, e a capo della curva ecuadoregna.

Attorno al bus della squadra americana si sono radunati tifosi provenienti anche da Panama, Costa Rica, Colombia tutti uniti nella festa della Locomotiva del Carchi. Accanto al costaricano Ricardo e alla panamense Argelia si fa largo Josè, ecuadoregno arrivato da Varese, che fa da capocoro col suo megafono e poi ci racconta. «Sono originario di Milagro – dice – ma oramai vivo qui ed è fantastico averlo visto raggiungere questa maglia storica. Ora speriamo che vinca il Tour».

Il sogno giallo

Il bus della squadra se ne va, non c’è nemmeno la troupe di Netflix a immortalare questo giorno storico perché oggi aveva la giornata libera. Però Johannes Mansson, video e social manager della squadra ci assicura che la nuova maglia gialla è in arrivo ed è pronto a filmare tutto. La strada viene riaperta e comincia a ripopolarsi di macchine, scendono le prime gocce di pioggia, ma ecco che alle 18,11 compare un puntino giallo in lontananza e si sente musica latina nell’aria.

I tifosi rimasti in via Filadelfia, proprio davanti allo Stadio Olimpico Grande Torino, vengono ricompensati dalla visione paradisiaca. Richard sorride a tanto affetto e ci concede qualche battuta: «Mi sto godendo questo momento unico. Ho sempre sognato di portare questa maglia, è davvero speciale e non potete capire quanto sono felice in questo momento».

Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra
Il pullman è andato in hotel: Carapaz tornerà su questo van della squadra

Torino porta bene

Torino gli ha regalato un’altra giornata magica, da aggiungere al cassetto dei ricordi: «E’ una bella casualità. Passai proprio qui da leader del Giro nel 2022 e ora guardate, sono qui vestito di giallo».

E’ il primo sudamericano a indossare tutte le tre maglie dei Grandi Giri in carriera, lui sorride e replica: «Sono molto contento di questo». E chissà che non ci torni l’anno prossimo nel capoluogo piemontese che dice bene ai ciclisti dell’Ecuador. Lo aveva già dimostrato l’accoppiata tappa e maglia di Jhonathan Narvaez (preferito a Carapaz per l’imminente Olimpiade) nella prima tappa dello scorso Giro. Torino, infatti, ospiterà anche la grande partenza della Vuelta nell’agosto del 2025 come confermato ieri da più fronti istituzionali per un tris inedito.

Sul calore proveniente da ogni angolo del Centro e Sud America, commenta: «E’ qualcosa di splendido rappresentare insieme questi Paesi e vedere che il ciclismo sta crescendo anche lì. È una grande cosa e mi rende molto felice». La dedica? «E’ per la famiglia, perché soltanto loro sanno quanti sacrifici ho fatto e quanto tempo passo lontano da casa. I miei figli quando saranno grandi potranno rendersi conto di quello che ho fatto e sono questi gli sforzi che vale la pena fare». 

Johannes carica la bici sul tetto, le porte si chiudono, ma il tripudio latino-americano prosegue per le strade torinesi: «Carapaz-Carapaz-Carapaz». Un ritornello che travolgerà anche Pinerolo in un altro abbraccio giallo prima che la corsa lasci l’Italia.

Carapaz vince in Svizzera e prenota un’estate a cinque cerchi

29.04.2024
5 min
Salva

Sarebbe perfettamente in linea con la preparazione per il Giro d’Italia. Invece Richard Carapaz, che la maglia rosa la vinse nel 2019 e la perse il penultimo giorno nel 2022, se ne va dal Romandia e mette nel mirino il Tour de France. Lascia la Svizzera con una vittoria di tappa che vuol dire tanto e si somma ai due successi di inizio stagione nel campionato nazionale e poi in una frazione del Tour Colombia.

L’effetto benefico

Sull’arrivo di Leysin, il campione olimpico di Tokyo è rimasto freddo fino ai 2,2 chilometri dall’arrivo, lasciando sfogare persino Egan Bernal. E poi, quando è partito, nessuno dietro è riuscito a contrastarlo. Ci ha provato il sorprendente Lipowitz, che lo ha quasi preso, ma non è riuscito a passarlo.

«Sapevo che la tappa era importante – ha detto – e che avevo molte opzioni. Alla fine ho colto l’occasione e ci ho provato fino al traguardo. Conoscevo le strade e aspettavo il momento giusto per partire. Sono molto felice dopo questa prima parte di stagione in Europa, penso che la squadra abbia dimostrato di che pasta sia fatta. Ma sta per arrivare la parte più bella della stagione».

Subito dopo il successo, forse il più contento di tutti è parso il direttore sportivo Charly Wegelius, che lo ha seguito dall’ammiraglia.

«Richard – dice – ha avuto un inizio di stagione davvero difficile, con alcune battute d’arresto. Ma si è allenato bene, sappiamo che è bravo, ora deve continuare così. Penso che abbia fatto un ottimo lavoro, senza arrendersi. Ha aspettato fino al momento giusto e poi è andato. Avere intorno un corridore del suo livello è motivante per l’intero gruppo».

La vittoria di Carapaz a Leysin rilancia la sua stagione, non proprio fortunata
La vittoria di Carapaz a Leysin rilancia la sua stagione, non proprio fortunata

Il Tour verso Parigi 2024

La scelta del Tour per una volta non è figlia del prestigio della corsa francese, ma di un programma che dovrebbe portare Carapaz di nuovo in gran forma per la sfida di Parigi. L’oro olimpico che simbolicamente porta appeso al collo merita di essere difeso. Anche nel 2021 passò per il Tour e lo chiuse al terzo posto, dietro Pogacar e Vingegaard e poi in Giappone staccò tutti quanti, resistendo anche al fuso orario e a complesse vicende federali che dopo la vittoria lo spinsero a un attacco inatteso.

«Alla fine – dice quando lo incontriamo – penso che sto facendo una buona stagione. Non ho avuto sempre fortuna durante le gare di quest’anno, ma penso di essere molto felice e questo lo trovo la cosa più importante. Questi tre anni da campione olimpico sono stati un periodo molto bello. Ci sono stati molti cambiamenti e penso in meglio. Mi sono divertito molto a essere conosciuto grazie a questo titolo e per lo stesso motivo del 2021 quest’anno è molto importante per me e per il mio Paese. Sto bene, penso che voglio affrontare le Olimpiadi nel migliore dei modi».

Le beghe politiche

La sua partecipazione al Tour dello scorso anno è durata circa 160 chilometri. Poi la stessa caduta che ha messo fuori uso anche Enric Mas ha tolto di mezzo anche lui. A 22 chilometri dall’arrivo della tappa di Bilbao, lo spagnolo si è ritirato, mentre Richard è arrivato fino al traguardo e poi ha deciso di non ripartire. Le radiografie avevano infatti evidenziato una microfrattura della rotula che sconsigliava di insistere.

«Torno in Francia anche per questo – sorride – e penso che ho ancora le carte in regola per dire la mia. Le Olimpiadi si terranno la settimana successiva e ripeteremo lo schema di Tokyo, che per me ha funzionato benissimo. Ho una possibilità e voglio giocarmela. Rispetto ai problemi dell’ultima volta molte cose sono cambiate anche in Ecuador. Nella federazione sono arrivate persone nuove e credo che avremo tutto il supporto di cui abbiamo bisogno per questa avventura».

A Leysin, per Carapaz 2,2 chilometri di attacco in apnea: alla fine era davvero provato
A Leysin, per Carapaz 2,2 chilometri di attacco in apnea: alla fine era davvero provato

Lo studio dei percorsi

Tornando brevemente alla tappa, Carapaz ha fatto capire quanto sia ormai importante conoscere bene i percorsi perché l’attacco sia efficace. Per cui, dopo aver approfittato del lavoro della Ineos per Rodriguez, Richard si è mosso proprio al momento giusto.

«Conoscevo la salita – dice – sapevo che nel finale era più veloce e avrei dovuto anticipare. Conoscere il finale è spesso decisivo. Quando a febbraio ho vinto la tappa regina del Tour Colombia, sapevo di avere una sola opportunità e l’ho sfruttata al meglio possibile. Conoscevo la salita, mi ero allenato da quelle parti. Avevamo studiato il profilo, l’altitudine, il fondo stradale. E alla fine ero riuscito a vincere. Qui in Svizzera è stata la stessa cosa. Ma adesso è tempo di tornare a casa e di rimboccarsi le maniche. Il Tour sembra vicino, ma non manca poi così tanto…».

Carapaz e quei denti un po’ troppo stretti al Delfinato

20.06.2023
4 min
Salva

Dopo David Gaudu ed Enric Mas è Richard Carapaz il terzo deluso del Delfinato. Il campione olimpico ha chiuso 36° nella generale ad oltre 35′ da Jonas Vingegaard. Dati preoccupanti in vista del Tour de France.

La stagione del corridore della EF Education-Easy Post è stata tutta un’altalena. Una vittoria e una battuta d’arresto. Ma se nei mesi precedenti tutto sommato le cose erano sotto controllo, adesso che il tempo stringe è allarme rosso. O quantomeno arancione.

Carapaz (classe 1993) vince il Mercan’Tour pochi giorni prima del Delfinato. Sin ad oggi solo 24 giorni di corsa per il campione ecuadoriano
Carapaz (classe 1993) vince il Mercan’Tour pochi giorni prima del Delfinato. Sin ad oggi solo 24 giorni di corsa per il campione ecuadoriano

Altalena 2023 

Carapaz ha esordito vincendo il titolo nazionale a febbraio, poi ha avuto una forte tonsillite. E’ arrivato tardi in Europa ed è quasi sempre stato costretto ad inseguire la condizione, tanto da saltare le Ardenne. Dopo i Paesi Baschi infatti c’è stato ancora uno stop per l’ecuadoriano.

Ma quando è rientrato a fine maggio ha vinto la Mercan’Tour Classic Alpes-Maritimes. Okay, non è una gara di primissimo piano, ma aveva dato pur sempre ottimi segnali.

Segnali che lui stesso aveva interpretato così: «Questa vittoria – aveva detto Carapaz – mi dà fiducia in vista del Tour. Adesso so di essere sulla strada buona e che devo continuare così al Delfinato».

Polveri bagnate 

E al Delfinato in effetti ha continuato ad attaccare, come del resto è nel suo Dna, ma il risultato non è stato lo stesso.

E’ stato proprio Richard ad aprire le danze tra i big sulla salita finale della quinta frazione. Salvo poi rimbalzare pesantemente. Eppure era partito bene con un secondo posto, nella seconda frazione. Ma forse sono stati proprio questi risultati a portarlo fuori strada.

In casa EF sembrano tranquilli. Voci non ufficiali hanno parlato di un calo prevedibile dopo cinque giorni di corsa a questi livelli. In fin dei conti era un bel po’ che Carapaz non si scontrava con certi avversari.

Però qualche dubbio resta, come per esempio nella tappa contro il tempo. Okay, Carapaz non è un cronoman e si trattava di una frazione per specialisti, però ha incassato oltre 2’30”, facendo peggio persino di Bernal e soprattutto di Gaudu che è meno cronoman di lui.

E nell’ultima frazione ha incassato mezz’ora, arrivando con l’ultimo gruppetto, scortato dal fido Amador e da Arcas. E’ chiaro che non era il corridore che conosciamo.

Anche la stampa sudamericana non è stata benevola. «Carapaz ha avuto grosse difficoltà, adesso avrà tempo di recuperare per il Tour?». E ancora: «Non è il Carapaz che c’era alla Movistar e che è arrivato alla Ineos Grenadiers».

Sui Pirenei Carapaz ha testato delle nuove ruote Vision e anche un materasso a temperatura controllata (foto EF Education-Easy Post)
Sui Pirenei Carapaz ha testato delle nuove ruote Vision e anche un materasso a temperatura controllata (foto EF Education-Easy Post)

Da Andorra al Tour

Dalla squadra non giungono commenti e neanche Richard ha rilasciato grosse dichiarazioni dopo Delfinato. Durante la corsa continuava a dire di lottare, ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo le gambe.

Tuttavia una chiave di lettura corretta si può ricostruire dalle parole di Nate Wilson, performance manager della EF. Wilson sostanzialmente aveva detto che Carapaz e i suoi compagni avevano lavorato bene e duramente a Font Romeu, località pirenaica a 1.800 metri di quota. Aveva aggiunto che era importante arrivare al Delfinato se non proprio al 100 per cento, quasi. Altrimenti si sarebbe usciti da questa corsa peggio di come la si era iniziata.

E allora è lecito ipotizzare che una volta visto che certi fuorigiri stavano diventando dei boomerang, Carapaz e il suo staff abbiano deciso di “alzare il piede dall’acceleratore” e abbiano pensato solo a concludere la corsa, facendo un blocco di lavoro, come si usa dire oggi.

Nei giorni scorsi Carapaz è salito di nuovo in altura, ad Andorra, con alcuni compagni di squadra. 

«In questo camp – ha dichiarato Wilson – il primo step è stato il recupero. Poi abbiamo iniziato a fare l’ultimo piccolo blocco prima del Tour: grandi salite, anche dietro allo scooter per fare del buon ritmo gara».

Basterà? Lo capiremo tra pochi giorni sulle strade del Tour.