Vigilia della Doyenne, Pellizzari senza paura. E sul Giro…

26.04.2025
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LIEGI (Belgio) – Dopo quattro edizioni, la presentazione delle squadre della Liège-Bastogne-Liège, la Doyenne, torna in centro, nella piazza di Saint Lambert sotto al (bellissimo) palazzo vescovile, dentro al quale c’è anche la sala stampa. Scriviamo sotto volte barocche con affreschi, quadri giganti, tappeti antichi e scalinate che sembrano degne di una principessa di Walt Disney nel suo castello.

In tutto ciò la gente si raduna nell’assolata piazza sottostante. Una lunga fila di bus inizia a scorrere dalla Mosa fin sotto al palco. La prima a presentarsi alla firma è la DD Group, piccola squadra belga, l’ultima è la corazzata di Tadej Pogacar che sale sul palco assieme all’altra UAE, la UAE Team ADQ di Elisa Longo Borghini.

Autografi pre-Doyenne per Longo Borghini. La campionessa italiana è la speranza numero uno per vedere un’atleta di casa sul podio
Autografi pre-Doyenne per Longo Borghini. La campionessa italiana è la speranza numero uno per vedere un’atleta di casa sul podio

L’Italia che non molla

E’ un bel caos, simile a quelli che ieri vi avevamo raccontato sulla Redoute, tra l’altro stamattina ancora più affollata. La vigilia è passata veloce alla fine. Una visita al museo della Doyenne e l’incrocio fugace proprio di Elisa. L’abbiamo vista durante la sua sgambata mescolarsi per un attimo al serpentone degli amatori.

«Spero – ci aveva detto Elisa – che la corsa si accenda sulla Redoute anche per noi, perché vorrà dire che ci sarà gara dura, perfetta per donne di fondo come me». La determinazione di Longo Borghini è proverbiale. Pensate che il giorno dopo la Freccia si è sciroppata quasi quattro ore sotto la pioggia. Quattro ore in cui ha provato una parte di percorso. Poi ieri altre tre ore e un’altra parte di Liegi e oggi una semplice (meritata) sgambata.

La compagine italiana non è affatto male in questa Doyenne, almeno se si pensa alle altre classiche e non lo è sia per numero di atleti ed atlete che per la qualità. Oltre ad Elisa e le sue compagne, per esempio, c’è il duo della Liv AlUla Jayco, Anna Trevisi e Monica Trinca Colonel. C’è Soraya Paladin (qui il video della vigilia) pronta a correre per Niewiadoma, Marta Cavalli… E anche tra gli uomini i corridori aggressivi non mancano: Ulissi (qui il video della vigilia), Ciccone appena arrivato dal Tour of the Alps, Zambanini, Scaroni… E poi Giulio Pellizzari.

Pellizzari al debutto

E in qualche modo la presenza last minute del marchigiano della Red Bull-Bora Hansgrohe in questa Liegi ha tenuto banco. Una presenza che potrebbe non limitarsi alla sola Doyenne. Vederlo quassù al primo anno nel WorldTour non era poi così scontato. Ma le sue prestazioni, che hanno convinto i tecnici, e qualche forfait dei compagni, hanno giocato a suo favore.

E così, Giulio, eccoti alla prima Liegi. Quando l’hai saputo?

L’idea ha iniziato ad esserci dopo il Catalunya. Quando ho saputo che non avrei fatto il Giro dei Paesi Baschi. Poi qualche mio compagno è stato poco bene, quindi mi hanno chiamato lunedì scorso e mi hanno detto che avrei corso qui. Non potevo che essere più felice!

Dov’eri quando hai ricevuto la chiamata?

Ero al Teide, dopo sei ore di allenamento, quindi ero finito, ma ero contento!

Eri con Roglic?

Sì, sì, e proprio in quel momento mi hanno chiamato. Allora l’ho detto a Primoz e lui: «Stai tranquillo, stai safe (sicuro, ndr)…». Era contento perché io ero contento. E questo mi ha fatto piacere.

Come stai? Stai andando forte…

Il Catalunya direi che è andato bene, ed è stato impreziosito dalla vittoria di Primoz. Quindi come squadra siamo contenti. Ora vediamo i prossimi appuntamenti, come andranno. Siamo preparati e abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. Io anche sto bene, certo non corro da un po’ (proprio dal Catalunya, ndr) e per queste corse serve ritmo… Bisognerebbe avere un po’ di fortuna affinché le cose girino bene.

Ieri abbiamo seguito la tua ricognizione. Sei sempre stato davanti, come mai?

Proprio sempre no, dai! Ci sono stato spesso. Un po’ le strade le conoscevo, avendo fatto la Freccia Ardennese con la VF Group-Bardiani da under 23. Qualche salita me la ricordavo. Più che altro volevo fare un po’ di fatica, diciamo così…

Dal Teide alla Doyenne. Pellizzari è alla prima Liegi. Emozione e adrenalina non gli mancano (foto Instagram)
Dal Teide alla Doyenne. Pellizzari è alla prima Liegi. Emozione e adrenalina non gli mancano (foto Instagram)
Che corsa ti aspetti domani? E che corsa dovrai fare?

Mi aspetto che sarà dura! La Liegi è una gara lunga. Spero di partire non con le migliori sensazioni…

Ma come? Perché…

Perché per come sono fatto è meglio “volare bassi”. Se sto bene finisce che mi gaso troppo e rischio che parto “in palla”, spreco e poi vado giù. Mentre se sono costretto a stare più tranquillo, magari poi sto meglio nel finale. Purtroppo, come accennavo, la squadra ha avuto un po’ di sfortuna in queste classiche, quindi cerchiamo di dare il massimo e vedremo come andrà.

Giulio, ma quindi con che ruolo parti? Sei il leader…

No, non leader… Vediamo intanto come saranno quelle sensazioni. Sicuramente se starò bene non ci saranno problemi per poter fare la mia gara. Però, ripeto, vediamo le gambe: è la Liegi. E’ tanto lunga.

Una delle voci che più gira quest’oggi, pensando a Pogacar ed Evenepoel, è che tanti, anche ottimi corridori, vogliono anticipare…

Sicuramente qualcuno anticiperà. Sappiamo che Tadej attaccherà sulla Redoute, o almeno sembra sia scontato, pertanto immagino che qualcuno si muoverà. Noi partiamo per provare a far una top ten, magari una top five. Il top sarebbe un podio… Sappiamo che vincere è difficile, però ci proviamo.

Insomma Pellizzari “vecchio stile”: all’arrembaggio. Ma tu ce l’hai l’incoscienza di seguirli sulla Redoute?

Eh – ride Giulio, ma non smentisce – per prima cosa la Redoute bisogna prenderla davanti, perché se sei dietro non segui proprio nessuno. E prenderla davanti non è mica facile. Poi vediamo. Lo stimolo, la voglia da parte mia c’è sempre, ma a volte bisogna correre più di testa che di cuore.

Un’ultima domanda, Giulio: ieri sarebbero dovuti uscire i nomi della Red Bull-Bora per il Giro. E’ cosa nota che tu fai parte della “lista lunga”, delle riserve diciamo così, ma cosa puoi dirci in merito? Insomma, ci sarai al Giro?

Sicuramente io mi sono preparato bene. Ho fatto l’altura… Quindi la possibilità di essere in Albania la prossima settimana c’è. Sarebbe bellissimo.

Sarebbe davvero bello vederlo impegnato nella corsa rosa. La Red Bull-Bora sin qui lo sta gestendo benissimo. La sensazione è che questo sogno possa realizzarsi, ma non si può dare per certo: la comunicazione ufficiale giustamente spetta al team. Noi non possiamo far altro che incrociare le dita.

Intanto andiamo a cena pensando (sognando) che domani, quando si scatenerà la guerra tra i due giganti, Pellizzari possa buttarsi nel mezzo. Rispondere senza paura, il che non sarebbe la prima volta. E se poi si dovesse staccare… pace. L’importante è provarci. Testarsi, sbagliare, ma stare nella corsa. Vicino ai grandi.

Roglic verso il Giro: serenità e grinta. A tu per tu con Gasparotto

22.04.2025
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Non solo classiche. Al Giro d’Italia mancano ormai meno di tre settimane e la voglia della corsa rosa inizia a farsi sentire. Uno dei protagonisti sarà un corridore di cui in questi mesi si è parlato molto poco, ma che il Giro lo ha già vinto: Primoz Roglic.

Il leader della Red Bull-Bora Hansgrohe ha conquistato la Volta a Catalunya con una grande azione, battendo quello che sulla carta dovrebbe essere il suo rivale principale al Giro: Juan Ayuso. Di questo, ma anche dell’avvicinamento alla grande partenza da Durazzo, abbiamo parlato con Enrico Gasparotto, direttore sportivo del team di Roglic.

Enrico Gasparotto (classe 1982) è alla quarta stagione sull’ammiraglia della Red Bull-Bora (foto Instagram)
Gasparotto (classe 1982) è alla quarta stagione sull’ammiraglia della Red Bull-Bora (foto Instagram)
Enrico, partiamo dal Catalunya. Un gran bel Roglic e immaginiamo belle risposte per voi…

Direi bellissimi segnali, di risposte uno come Primoz non ne ha bisogno. Non credo ci si sia mai fatti delle domande su di lui. Preferisco definire così quella sua prestazione. Primoz ha interpretato la corsa in modo spensierato. E’ famoso per essere attendista e sfruttare il suo spunto veloce nel finale, per attacchi brevi, invece a Barcellona, nella tappa finale, ci ha regalato un bello show.

Te lo aspettavi già in questa condizione?

Torno a dire che è stato un bel segnale. Credetemi quando vi dico che lui alle corse parte per vincere e mai per fare secondo. In Algarve, alla prima gara stagionale, sapeva di non essere al top e per questo è partito senza pressioni e con una certa consapevolezza e nonostante tutto ha finito in crescendo con una buona crono. Al Catalunya invece, che è anche più adatto alle sue caratteristiche, immaginavo volesse vincere.

In effetti la tappa finale con il circuito del Montjuic è stata spettacolare. Puoi dirci della vostra tattica?

Quella tappa così esplosiva è stata figlia della cancellazione per maltempo della frazione del giorno prima. Se ci fosse stata la tappa come previsto, che era dura e con arrivo in salita, sicuramente il Catalunya si sarebbe deciso lì e non sul Montjuic. E il fatto che Primoz si sia mosso in prima persona, abbia preso in mano la situazione, è un grandissimo segnale. La dice lunga sul suo stato anche mentale.

Ayuso e Roglic il preannunciato, grande, duello del prossimo Giro d’Italia
Ayuso e Roglic il preannunciato, grande, duello del prossimo Giro d’Italia
A proposito di stato mentale, Enrico, passiamo ad altri aspetti. E’ il secondo anno che ci lavori, che Roglic hai trovato? E’ cambiato qualcosa?

Forse bisogna fare un passo indietro. Io e Primoz ci eravamo visti tante volte al Teide quando ancora correvo. Lui magari veniva lì qualche giorno prima della sua squadra e stando da soli ci siamo conosciuti bene come persone e come atleti. Delle differenze ci sono. L’anno scorso era al primo anno e Primoz ha trovato un nuovo ambiente, cosa non facile o scontata per lui. Bisogna infatti considerare che Roglic sino ad allora era sempre stato nella stessa squadra, nello stesso gruppo. A prescindere dal nome, era sempre Visma. Pertanto qui da noi ha trovato un approccio diverso.

Chiaro…

Ma dopo 12 mesi anche lui si è inserito nei meccanismi, nella nostra mentalità, in quella dello staff. Ora conosce tutti. In più abbiamo aggiunto delle nuove figure: nutrizionista, ingegnere aerodinamico, mental performance coach. Insomma era come se Roglic fosse uscito dal guscio l’anno scorso. Bisognava conoscersi. E questo valeva da entrambe le parti: lui e noi, la squadra. Non sapevamo come prenderci e non è stato facile. Lui abituato a certi metodi e noi con un corridore così grande. All’inizio non è stato facile, ma già a fine stagione le cose erano diverse e adesso in questo 2025 è molto più rilassato, più a suo agio. Lo siamo tutti. Ed è più facile parlare.

E non è cosa da poco. Nelle poche apparizioni lo abbiamo visto più sereno, quindi confermi anche tu questa sensazione?

Primoz è sempre stato sereno. A parte quando si è dovuto ritirare dal Tour, lì era giù. Consideriamo anche che Roglic ha un palmares incredibile e non deve dimostrare niente a nessuno. La cosa bella è che lui si diverte, nonostante la sua esperienza. Prima vi ho detto che saliva prima sul Teide: ebbene, a lui piace andare lassù. E’ un posto speciale, gli piace correre, preparare gli obiettivi. Se ancora provi piacere in tutto questo, nel tuo mestiere, è normale che tu sia sereno.

Roglic scatenato sul Montjuic: 20 km di fuga solitaria e una vittoria di peso in casa di Auyso
Roglic scatenato sul Montjuic: 20 km di fuga solitaria e una vittoria di peso in casa di Auyso
Spostiamoci un po’ sul Giro: al Catalunya Roglic batte Ayuso. Ne avete parlato di questo duello?

Decisamente se ne parla. Ma attenzione, il Catalunya non è il Giro. Il Giro dura tre settimane ed è una corsa che storicamente ha mille insidie, anche più del Tour. Ha tante tappe medio-dure in cui non puoi mai mollare… e questo è il bello del Giro. Noi rispettiamo tutti, Ayuso e non solo, ma come squadra e con un corridore del calibro di Roglic pensiamo solo a fare bene i “compiti per casa” per arrivare all’appuntamento nel miglior modo possibile. Stiamo ovviamente studiando le variabili nelle varie tappe, facciamo analisi sugli avversari, sul meteo…

Enrico, alla fine Primoz arriva al Giro con sole due gare: Algarve e Catalunya, per un totale di dieci giorni di corsa. Non avete mai pensato d’inserire la Liegi?

No, questo è quello che era stato deciso ad inizio stagione e questo è quello che si fa. Ricordo che dopo il Giro Primoz ha il Tour de France. Non è la prima volta che fa delle doppiette. Quando abbiamo analizzato questo doppio impegno sulle tre settimane, Roglic ha sempre vinto la seconda gara, in pratica la Vuelta. Solo che in quel caso eravamo a fine stagione, dopo il Tour invece è ancora lunga. E a fine stagione c’è un mondiale molto duro, adatto agli scalatori.

Insomma, non finisce a luglio la sua stagione…

No, e poi è vero che gli piace allenarsi, stare all’altitudine come dicevo, ma consideriamo che ha anche una famiglia e deve stare fuori casa una marea di giorni l’anno… E poi, ripensando alla domanda: la Liegi l’ha vinta!

Ultima domanda Enrico, hai detto del Tour dopo il Giro. Ma in Italia viene per la maglia rosa o per “allenarsi”?

Ve l’ho detto prima, Roglic parte per vincere e non per fare secondo!

Obiettivi chiari per Finn: esperienza, maturità e Giro NextGen

04.04.2025
5 min
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RICCIONE – Il suo approccio nel mondo dei grandi è in linea con la personalità che abbiamo imparato a conoscere. Basso profilo, idee chiare, poche parole e tanti fatti a parlare per lui. Lorenzo Finn è un diciottenne atipico per questa generazione di baby-fenomeni cui si vuol far bruciare le tappe più del dovuto. Lo splendido mondiale vinto l’anno scorso a Zurigo tra gli juniores non lo ha cambiato più di tanto, nonostante stia crescendo in uno dei vivai più importanti del WorldTour.

Lui sa che ora deve accumulare esperienza di qualsiasi genere tra gli U23. Perché anche se Finn può apparire come un predestinato, al momento non c’è la necessità di caricarlo di responsabilità. Ha avuto un debutto stagionale da più giovane in gara che non lo ha spaventato e che fa parte del percorso di crescita graduale. Infatti un mese dopo essere diventato maggiorenne (essendo nato il 19 dicembre 2006), il ligure a Mallorca ha aperto il 2025 direttamente con la prima squadra della Red Bull-Bora-hansgrohe benché faccia parte della “Rookies”, ovvero il devo team. Dopo un piccolo stop fisico, è poi tornato ad attaccarsi il numero sulla schiena alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali dove lo abbiamo incontrato.

Lorenzo ha aperto il 2025 correndo a Mallorca e mettendosi subito alla prova tra i pro’ (foto Getty Sport)
Lorenzo ha aperto il 2025 correndo a Mallorca e mettendosi subito alla prova tra i pro’ (foto Getty Sport)

Avvio ad ostacoli

Quando scende dal pullman, Lorenzo Finn indossa la tuta ed il piumino della squadra. Piove, fa freddo, la riunione pre-gara è già finita è meglio tenersi ancora un po’ al caldo prima di cambiarsi e andare verso la partenza. Notiamo un tape verde che spunta dal polso sinistro e non possiamo chiedergli cosa sia successo.

«Al termine della seconda tappa – racconta – sono caduto a circa quattro chilometri dal traguardo di Sogliano al Rubicone quando iniziava l’ultima salita. Siamo caduti in tre della mia squadra, assieme ad altri atleti. E’ stata a centro gruppo e non ho potuto fare nulla. A quel punto non aveva senso provare a rientrare, ormai era andata. Peccato perché il finale mi piaceva ed ero curioso di vedere cosa avrei potuto fare.

«Per fortuna – prosegue Finn – il polso non è gonfio e non mi ha dato troppe noie con la pioggia e l’umidità. Diciamo che avevo già dato in quel senso. A fine febbraio mi sono rotto la clavicola in allenamento. Era una frattura composta, quindi un male e un disagio sopportabili. Sono riuscito a fare una decina di giorni di rulli e poi sono riuscito ad allenarmi su strada per prepararmi a questa gara e alle altre».

Il meteo inclemente della Coppi e Bartali non ha condizionato le prestazioni di Finn, che sotto la pioggia vinse il mondiale di Zurigo
Il meteo inclemente della Coppi e Bartali non ha condizionato le prestazioni di Finn, che sotto la pioggia vinse il mondiale di Zurigo

Osservato speciale

La lente di ingrandimento su Finn c’è dai tempi del suo primo anno juniores quando aveva dimostrato le sue grandi doti in salita. Ed è continuata quando ad inizio 2024 era diventato il primo italiano di quella età ad andare a correre in una formazione estera, il Team Grenke-Auto Eder. Mentre ci sta spiegando la sua nuova vita da corridore, spuntano Marino Amadori e Marco Villa, rispettivamente i cittì delle nazionali U23 e professionisti.

«Di sicuro – ci dice – il mondiale vinto l’anno scorso è un ricordo che rimarrà per sempre, che terrò per tutta la vita e che non me lo potrà togliere nessuno. Ripensandoci mi dà ancora morale, però con questa categoria è iniziata una nuova carriera per me. Chiaramente con nuovi obiettivi».

Ma correre davanti ai due tecnici azzurri che effetto crea? «Tutte le gare sono sempre toste – risponde mentre li saluta con un cenno della mano – a maggior ragione correndo in mezzo ai pro’. Inevitabilmente so di avere gli occhi puntati addosso, però non la vivo con pressione. So che è tutta esperienza. Dall’anno scorso con gli juniores ai pro’ è un salto comunque è enorme. Sono tutte gare impegnative».

Finn a colloquio con Villa e Amadori, cittì dei pro’ e U23. Un corridore che può tornare utile ad entrambi
Finn a colloquio con Villa e Amadori, cittì dei pro’ e U23. Un corridore che può tornare utile ad entrambi

Tra scuola e ciclismo

Per un ragazzo dell’età di Lorenzo che corre in bici, il primo anno tra gli U23 coincide quasi sempre anche con l’ultimo di scuola. Il diploma da conseguire tra i libri e i banchi è il primo vero appuntamento della categoria, che verosimilmente diventa più “semplice” da luglio in poi. Il ligure della Red Bull-Bora-hansgrohe Rookies ha sempre avuto buone medie scolastiche, così come in bici. Merito della sua gestione in cui cerca di conciliare anche la programmazione agonistica.

«Quest’anno ho la maturità e devo organizzarmi – va avanti Finn – è ancora dura per decidere tutto, ma intanto sono già riuscito a farmi posticipare l’esame di stato dopo il Giro NextGen, che è un grande obiettivo per noi. Anzi non nascondo che è il grande obiettivo della mia prima parte di stagione. Assieme agli altri cinque ragazzi con cui farò il Giro andremo in altura ad Andorra per tre settimane prima dell’inizio e lo prepareremo. Prima di allora farò tutto il calendario U23 con Liegi, Belvedere, Recioto e altre corse. Fino all’estate non credo che correrò ancora con la formazione WorldTour. Eventualmente vedremo nella seconda parte di stagione se si presenterà nuovamente l’occasione di fare qualche gara di un giorno».

La Coppi e Bartali per Finn è stato uno step importante per acquisire subito ritmo dopo l’infortunio alla clavicola
La Coppi e Bartali per Finn è stato uno step importante per acquisire subito ritmo dopo l’infortunio alla clavicola

Ammiraglia italiana

In ammiraglia può contare su Cesare Benedetti, all’esordio da diesse e prima ancora atleta-simbolo del gruppo sportivo dal 2010 fin quando si chiamava NetApp ed era un team continental.

«Con Cesare mi trovo molto bene – chiude Finn – per me è una grande fonte di esperienza e consigli. Non ho problemi con l’inglese, ma ogni tanto è anche bello parlare in italiano col tuo diesse. Sta procedendo bene anche l’inserimento con i nuovi compagni. Naturalmente ho legato un po’ di più con Davide (Donati, ndr), ma siamo un bel gruppo e si è creata subito sintonia fra tutti. Siamo convinti di fare tutti assieme una bella annata e di crescere bene».

Pellizzari, Roglic e il Catalunya: 7 giorni all’università

02.04.2025
6 min
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Basta sbirciare tra i vari post Instagram di Giulio Pellizzari per rendersi conto di come il marchigiano si sia ben integrato nella Red Bull-Bora-Hansgrohe e abbia stretto un bel legame con Roglic. Il Catalunya lo ha mostrato nella veste di uomo di fiducia e considerando il fatto che lo sloveno si è aggiudicato la classifica finale, si può dire senza il rischio di essere smentiti che la collaborazione abbia dato ottimi frutti.

Quando ci risponde, Giulio è finalmente a casa. La stagione finora è vissuta sulle prime tre corse a Mallorca. Poi tre settimane di ritiro sul Teide. Il Catalunya. E ora, dopo questi pochi giorni a Camerino, ripartirà di nuovo per l’altura, in attesa di ricevere il resto del programma. Intanto fra i segnali da interpretare c’è che il Giro dei Paesi Baschi è stato tolto dal calendario, perché ritenuto troppo pesante dopo il Catalunya. Su tutto aleggia la suggestione del Giro d’Italia, che per ora tuttavia non è nei programmi.

Pellizzari è arrivato al Catalunya dopo le tre gare di Mallorca e tre settimane di altura
Pellizzari è arrivato al Catalunya dopo le tre gare di Mallorca e tre settimane di altura
Hai pubblicato un post in cui racconti della conoscenza con Roglic e di come adesso per te sia semplicemente Primoz.

Non posso dire che siamo amici, non andiamo a cena insieme. Però c’è un rapporto di stima. Vedendo tutte le attenzioni che ha quando è giù dalla bici, cerco di disturbarlo il meno possibile. Per me è una persona normale, forse mi ha preso bene perché lo tratto come se fosse uno qualunque. Ho tante domande, gliele faccio per curiosità. Mi racconta aneddoti, quindi è bello starlo a sentire.

Al Catalunya sei sembrato protagonista anche nel tuo ruolo da gregario, con uno scopo ben chiaro.

Sono arrivato con un po’ di timore, perché avevo corso pochissimo. Avevo fatto le tre gare di Mallorca, ma al Catalunya c’era un altro livello, quindi avevo qualche dubbio. Invece col passare dei giorni, sono andato sempre meglio. Sinceramente non mi aspettavo neanche io di andare così forte, ho fatto i migliori valori della vita, quindi si vede che prima ho lavorato bene.

Vuol dire che tanta altura ha funzionato. Come sono state quelle tre settimane?

Sono passate velocissime, non credevo. Eravamo tutti quelli del Catalunya, a parte Tratnik. C’erano Wandahl, Hajek, Nico Denz, Roglic, Aleotti, poi Meeus e anche Pithie. Sono state giornate piene. Sei lassù per allenarti, fai da 26 a 28 ore a settimana. Per cui rientri alle quattro, hai giusto il tempo di fare pranzo, massaggio, aspetti l’ora di cena. Dopo cena partita a FIFA con Jordy Meeus, chiamata alla mia ragazza e poi via a letto.

Chi vinceva a FIFA con Jordy Meeus?

Ha vinto sempre lui, ho perso 200 euro (ride di gusto, ndr)…

Il Teide prima del Catalunya e il Teide dalla prossima settimana: qui Pellizzari è con Jordi Meeus (immagine Instagram)
Il Teide prima del Catalunya e il Teide dalla prossima settimana: qui Pellizzari è con Jordi Meeus (immagine Instagram)
Come è stato vivere il Catalunya nella squadra del vincitore?

Finché ero alla Bardiani, magari c’ero io al centro e avevo addosso tanta pressione. Si potrebbe pensare che avendo un leader da aiutare, ce ne sia di meno, invece vuoi essere all’altezza del ruolo. Magari l’anno scorso arrivavo alle gare e, comunque andasse, la vivevo senza troppi pensieri. Ora invece riconosci i sacrifici della squadra. Pensi al ritiro sul Teide e al fatto che hanno prenotato le stanze per quattro mesi. Massaggiatori, meccanici, voli: per la squadra sono sacrifici. Per cui un po’ di pressione c’era ugualmente e sono stato contento quando dopo la prima tappa Ralf Denk (il general manager della squadra, ndr) mi ha abbracciato tutto contento e mi ha detto che ero stato bravo ed ero andato forte. Ho sentito la loro fiducia. Fino a quel momento avevo visto tante gare in televisione e mi era venuta voglia di dimostrare che anche io fossi forte.

Che effetto fa lavorare per un altro?

Un bagaglio di esperienza enorme. Mi hanno detto che il miglior capitano è quello che è stato gregario e io sono sicuro che arriverà anche il mio momento.

Sei sembrato anche più composto in bicicletta: c’è voluto tanto per abituarsi alla nuova posizione?

Pochissimo. Sono andato da loro a ottobre, mi hanno cambiato la posizione e mi hanno detto di andare. Sono partiti dalla vecchia posizione e hanno messo a punto la nuova. Una sera del Catalunya mi ha chiamato Wladimir Belli e mi ha chiesto se finalmente fossi diventato composto sulla bicicletta. Non so come sia successo, però anche in bici mi sento proprio bene. Sono un po’ più basso di sella, più corto di 5 millimetri e ho il manubrio più stretto.

Pellizzari e la sua Specialized: telaio più corto, manubrio stretto, sella più bassa
Pellizzari e la sua Specialized: telaio più corto, manubrio stretto, sella più bassa
Come ti trovi con la sella più bassa?

Sento che spingo meglio. Come quando uno è a tutta e va in punta di sella, anche a crono. Ora vado tanto in punta di sella, sento che spingo meglio così che da dietro. Lavoro più con il quadricipite, sento di fare più forza.

In quale momento del Catalunya ti sei sentito meglio?

Nella tappa in cui ho fatto decimo, mi pare la quarta. Sono partito male, ero imballato, avevo sensazioni bruttissime. Poi sono arrivate le montagne, mi sono sbloccato e sull’ultima salita non sentivo la catena. Volavo sulle ali dell’entusiasmo, ero proprio felice. Da quel momento ho cercato di fare quello che mi diceva la squadra e quello che mi chiedeva Primoz. Ho tirato. Ho fatto il gregario, però alla fine il lavoro pesante l’ha fatto tutto la UAE. Io ho tirato qualche salita, ma sono stato spesso accanto a lui. Ho preso le misure e nell’ultima tappa sono riuscito a capire quello che voleva senza che quasi dovessero dirmi nulla.

In tutto questo, Aleotti è il tuo maestro di vita nel team?

Al Catalunya eravamo in camera insieme e mi ha dato tanti consigli. Anche il giorno che io ho fatto decimo e ha vinto Primoz, io ero a ruota di Landa quando è partito Ayuso. Non sapevo se dovessi seguirlo, se tirare, che cosa volesse lui. Invece Aleotti dopo la tappa mi ha detto che in questi casi devo spostarmi sempre, perché Primoz ci pensa da solo. Consigli di questo genere. Lui ormai è nei meccanismi della squadra da tre anni. Mi ha detto di seguirlo nel giorno dei ventagli, però purtroppo non ci sono riuscito. Mi ha davvero aiutato tanto.

Come va con l’inglese?

Meglio! All’inizio avevo paura di parlare, adesso invece parlo e sbaglio. E quando sbaglio, mi metto a ridere e loro ridono assieme a me, questo è positivo. In corsa invece, sull’ammiraglia c’era Patxi Vila. Lui è spagnolo, quindi il suo inglese è simile al nostro per cui lo capivo bene.

Prossima altura nuovamente sul Teide?

Esatto, già dalla prossima settimana. Se lo avessi saputo, avrei lasciato su la valigia. Molto meglio tenerla in hotel che andare in giro con un bagaglio di 40 chili. Qua piove e fa freddo, non mi dispiace tornare al caldo. Di quello che verrà non so ancora. Si sta parlando di varie ipotesi, però è meglio aspettare e non crearsi false attese.

Il punto su Roglic: dopo Algarve, Catalunya e subito il Giro

28.02.2025
4 min
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Tra i grandissimi che si sono visti in corsa la scorsa settimana c’era finalmente anche Primoz Roglic. Lo sloveno è la grande stella annunciata del prossimo Giro d’Italia, il primo Grande Giro in programma. E’ chiaro, dunque, che ci fosse parecchia curiosità intorno a lui, tanto più che torna alla corsa rosa dopo averla vinta alla sua ultima partecipazione.

L’atleta della Red Bull-Bora-Hansgrohe ha esordito alla Volta ao Algarve e ne è uscito con un rincuorante ottavo posto. Ma “rincuorante” è un termine che va analizzato per bene. Al netto dell’acqua gettata sul fuoco, infatti, i 49” incassati da Vingegaard nei 19,6 chilometri della crono finale hanno un certo peso.

Roglic ha ritrovato il suo ex compagno (alla Jumbo-Visma) e amico, Jan Tratnik
Roglic ha ritrovato il suo ex compagno (alla Jumbo-Visma) e amico, Jan Tratnik

Quasi allarme

Roglic, come sempre, è parso sereno, mite… e di poche parole. Dopo la crono si è limitato a dire: «Mi sono divertito molto ed è stato bello. Non ho raggiunto il massimo e non sono stato il miglior Primoz in Algarve. Ho davvero deciso che era solo l’inizio della stagione e che ho ancora molto lavoro da fare».

Il che può anche starci. Chi deve andare forte al Giro (e poi anche al Tour) è normale che non sia già al top e che la condizione cresca progressivamente, ma il distacco resta importante. Il picco di forma Roglic dovrà toccarlo a maggio. Tuttavia ci sono alcuni aspetti da considerare.

Una cosa che ha colpito più di qualcuno è stato il comportamento della Red Bull-Bora nella seconda tappa, quella in salita. A un certo punto della frazione, quando ormai mancavano meno di 20 chilometri all’arrivo, Tratnik e un altro compagno hanno preso in mano la situazione, quasi a voler spianare il terreno a Roglic.

Tutto lasciava presagire un suo attacco. Poi, però, ad affondare il colpo sono stati altri: Almeida e Christen, entrambi della UAE Emirates, e Primoz si è trovato a correre di rimessa. Ecco dunque un primo indizio che qualcosa non ha funzionato. O non è andata secondo le aspettative.

Roglic durante i test in pista a Mallorca (foto Instagram)
Roglic durante i test in pista a Mallorca (foto Instagram)

Verso il Giro

Roglic e la Red Bull hanno previsto un avvicinamento al Giro d’Italia con grandi volumi di allenamento, anche in altura, e poche gare. Oltre all’Algarve, Primoz prenderà parte solo al Catalunya. E’ chiaro, dunque, che in Portogallo fosse davvero lì per “allenarsi”.

«Mancavo dall’Algarve da un po’ – ha detto Roglic – bisognava pur iniziare da qualche parte. Per me questa è stata una semplice corsa per cominciare a mettere i primi chilometri di gara nelle gambe. Sono venuto anche per la crono finale che era importante per noi. Come è andata? Io sono tranquillo: sono esattamente dove dovevo essere».

Che sulla crono ci fosse grande interesse è vero. E questo non solo ai fini della prestazione, ma anche per verificare le piccole modifiche effettuate durante l’inverno. Roglic e Specialized hanno lavorato anche in pista.

Lo sloveno ha chiuso la crono all’11° posto e la generale all’8° a 53″ da Vingegaard
Lo sloveno ha chiuso la crono all’11° posto e la generale all’8° a 53″ da Vingegaard

Quasi come nel 2023

Da casa Red Bull-Bora e lo stesso Roglic non sono arrivate grandi dichiarazioni. E allora si possono generare dei ragionamenti. Fare solo due gare prima del Giro è una bella scommessa. Questo perché Roglic vuole fare anche il Tour e, da quel che trapela, non per andare a caccia di tappe. Lo sloveno e il suo staff vogliono quindi limitare al massimo gli sforzi “non controllati”, come ormai i preparatori chiamano le gare, e gestire invece i volumi e i carichi in allenamento.

A questo punto però viene da chiedersi se davvero potrà funzionare in vista del Giro: a 35 anni suonati, solo 12 giorni di corsa in totale, l’ultimo dei quali a 39 giorni dall’inizio della corsa rosa sono pochini. Va però detto che anche nel 2023, quando poi conquistò la maglia rosa, fece un percorso simile, con la Tirreno al posto dell’Algarve, per un totale di 14 giorni di gara. Probabilmente questa scelta è stata fatta per gestire l’altura in modo differente, cosa che potrebbe essere un passaggio chiave sulla via del successo.

«La strada è quella giusta – ha detto Primoz a botta calda alle TV dopo la crono – non ero al top, ma mi sono sentito bene». Diamogli fiducia, dunque. Il distacco nella crono, dicevamo, non è stato poco, però è anche vero che nel duro strappo finale lo sloveno è stato il più veloce. Ha guadagnato 3” anche su Vingegaard e questo ha dato una piccola, forse grande, spinta morale.

Sono ancora KOO gli occhiali di Roglic e compagni

05.02.2025
3 min
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La stagione del ciclismo su strada è iniziata con il tradizionale debutto in Australia al Santos Tour Down Under. La corsa australiana ha sancito l’ufficializzazione di alcune nuove partnership tecniche, e nello stesso tempo la conferma di collaborazioni già in atto, come quella tra KOO Eyewear e il team Red Bull-BORA-hansgrohe che hanno deciso di proseguire insieme anche nel 2025 (in apertura foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries). 

KOO, Red Bull-BORA-hansgrohe (foto Red Bull-BORA-hansgrohe /Max Fries)
KOO, Red Bull-BORA-hansgrohe (foto Red Bull-BORA-hansgrohe /Max Fries)

Dialogo continuo

Nel comunicato stampa inviato ai media dalla stessa KOO Eyewear ci ha colpito una dichiarazione di Simona Tironi, Marketing Director del brand, nella quale si sottolineava l’importanza del “dialogo” esistente fra azienda e team. Ecco le sue parole: «La parola che meglio descrive il rapporto tra KOO e il Team Red Bull-BORA-hansgrohe nel corso della collaborazione è “dialogo”, grazie al continuo scambio di opinioni e idee con gli atleti, che testano costantemente gli occhiali KOO e forniscono al nostro marchio un feedback prezioso, gettando le basi dello sviluppo di prodotti che saranno poi a disposizione del pubblico».

Come ha sottolineato la stessa azienda, la partnership tra il Team Red Bull-BORA-hansgrohe e KOO Eyewear non solo permette la raccolta di feedback, ma è anche allineata per quanto riguarda i principi condivisi dalle due realtà. I valori fondamentali di KOO, ovvero protezione, comfort, design e performance, vanno di pari passo con l’ambizione di Red Bull-BORA-hansgrohe di diventare un punto di riferimento nel mondo del ciclismo professionistico.

La formazione tedesca ha già esordito nel 2025, al Santos Tour Down Under (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
La formazione tedesca ha già esordito nel 2025, al Santos Tour Down Under (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)

Un nuovo occhiale

La collaborazione fra Red Bull-BORA-hansgrohe e KOO Eyewear porta in dote al team tedesco il nuovo occhiale Hype, che si distingue per la massima ventilazione, grazie ad apposite aperture collocate sopra il nasello e su entrambe le aste. 

Il nuovo occhiale ha fatto il suo debutto in gara proprio in occasione del Santos Down Tour dove KOO ha presentato un modello firmato Red Bull-BORA-hansgrohe. La sua presentazione ufficiale  è però avvenuta alla fine dello scorso anno, in occasione di Rouleur Live di Londra. 

Oltre al nuovo Hype, la collezione di occhiali KOO indossati dai ragazzi della Red Bull-BORA-hansgrohe comprende il modello Alibi, scelto dagli scalatori grazie alla sua leggerezza, e Demos pensato per i velocisti essendo caratterizzato da aste più lunghe e quindi più stabili.

La collezione KOO x Red Bull-BORA-hansgrohe è disponibile per l’acquisto su kooworld.cc. 

KOO

Moscon alla Red Bull: per portare esperienza e mentalità

11.01.2025
5 min
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A 30 anni, che saranno 31 il prossimo aprile, Gianni Moscon approda alla Red Bull-BORA-hansgrohe. L’arrivo del ragazzone trentino nel team tedesco è un qualcosa che incuriosisce, dopo nove anni trascorsi tra i professionisti la sua è diventata una figura di esperienza in gruppo. Lo hanno capito i tecnici della Red Bull-BORA-hansgrohe che hanno deciso di portarlo con loro in questa stagione (in apertura foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries). Insieme a Moscon e al suo occhio esperto entriamo nel mondo di questo team, che dopo sei mesi di collaudo dello scorso anno, è pronto a partire per la sua prima stagione corsa interamente nella categoria WorldTour. 

«Nel 2024 – spiega Moscon con la sua voce ferma e tranquilla – sono tornato ad avere le sensazioni che cercavo da un po’ di tempo. Ho fatto delle belle gare e la stagione è stata positiva. Tanto che è arrivata la chiamata della Red Bull-BORA-hansgrohe. Mi hanno contattato alla fine dello scorso Tour de France. Mi hanno presentato il progetto, dicendomi che cercavano una figura come la mia: di esperienza».

Moscon è stato contattato dalla Red Bull-BORA-hansgrohe dopo il Tour de France
Moscon è stato contattato dalla Red Bull-BORA-hansgrohe dopo il Tour de France

Riconoscere il valore

Quando una squadra come la Red Bull-BORA-hansgrohe viene a cercarti è difficile stare a pensare, certe offerte vanno colte al volo. Soprattutto se il progetto risulta ambizioso e stimolante. 

«Effettivamente non mi sono messo a riflettere molto – continua a raccontare Moscon – ho accettato praticamente subito la proposta del team. Il mio ruolo sarà, innanzitutto, quello di portare la giusta esperienza in squadra per supportare i capitani nelle grandi corse a tappe. Questo nella prima parte di stagione. Poi, dalla seconda metà dell’anno in avanti, potrei avere degli spazi per cercare dei risultati personali. Ma l’obiettivo principale sarà portare il giusto contributo alla causa, il resto si vedrà. Anche perché sono uno tra i più grandi in rosa».

Per il corridore trentino è il momento di mettere al servizio della squadra la sua esperienza (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Per il corridore trentino è il momento di mettere al servizio della squadra la sua esperienza (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Di esperienza in nove anni ne hai accumulata parecchia…

Sono stato in grandi squadre e per tanti anni nel mondo Sky e poi Ineos. Nel 2024 ho corso anche con la Soudal Quick-Step. Ma se devo guardarmi indietro e pensare a quale sia stata l’esperienza più grande dico Sky. Lì ho capito cosa vuol dire lavorare per una squadra che ha ambizioni di classifica. 

Cosa senti di poter dare di tuo alla squadra?

Proprio questo. Riuscire a dare il giusto supporto alle ambizioni dei capitani, come Roglic, Hindley e Martinez. Qui ci sono tanti giovani forti, mancava l’esperienza e io sento di essere nel posto giusto. Io  sento di aver accumulato tanto in questi anni, anche per questioni anagrafiche. 

Moscon sarà accanto ai capitani durante la stagione negli appuntamenti più importanti (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Moscon sarà accanto ai capitani durante la stagione negli appuntamenti più importanti (foto Red Bull-BORA-hansgrohe/Max Fries)
Un ruolo importante…

Sì. So cosa posso dare e metterò tutto me stesso a disposizione dei miei compagni. I giovani mantengono delle ambizioni personali, com’è giusto che sia. Toccherà a me coordinare le varie energie e gestire la squadra. 

Hai parlato del mondo Sky, vedi qualche somiglianza in questo progetto?

Qualcuna sì. Vedo la stessa voglia di raggiungere il massimo, sia a livello di energie investite che di denaro. Tutto è volto al continuo miglioramento. Si respira anche la consapevolezza di non essere mai arrivati, ma che bisogna sempre crescere e perfezionarsi. Da questo punto di vista penso siano due squadre che non si fermano mai. Ogni corridore è chiamato a dare il meglio e tutti sono consapevoli di quale sia l’obiettivo. C’è una leggera pressione, ma tutti danno il massimo. 

Moscon ha corso l’ultima stagione alla Soudal Quick-Step ritrovando buone sensazioni
Moscon ha corso l’ultima stagione alla Soudal Quick-Step ritrovando buone sensazioni
E’ una caratteristica rara?

Quando si cambia squadra o azienda, se si è nel mondo del lavoro, non si trova sempre lo stesso modo di fare. Però si riconoscono le realtà che vogliono raggiungere il massimo. 

Questa “direzione” da seguire pensi ti sia mancata negli ultimi tre anni, da quando hai lasciato la Ineos?

Personalmente ho sempre avuto in testa quale dovesse essere il mio cammino, anche se quando manca il contesto è difficile avere il supporto. La Soudal Quick-Step è un grande team e ai corridori non manca nulla. Qui si vede che c’è tanto più personale rispetto alle altre realtà. Una cosa che deriva sicuramente dal budget superiore, ma anche dalle linee guida del team. Ora sento di avere un ruolo specifico, e di non dover essere contemporaneamente tre cose insieme. 

Moscon tornerà alla Tirreno-Adriatico, l’ultima volta fu nel 2022 in maglia Astana
Moscon tornerà alla Tirreno-Adriatico, l’ultima volta fu nel 2022 in maglia Astana
Pensi che questo equilibrio possa darti una mano anche a livello personale? Per tornare ai risultati che hai ottenuto quando eri in Ineos?

No. Per quanto riguarda me stesso nel 2024 ho fatto registrare valori pari a quelli del 2021. Solo che quattro anni fa bastavano 5,2 watt per chilo e si faceva la differenza. Ora con gli stessi valori non rimani nei primi. Per quanto fatto la scorsa stagione, se si parla di numeri, non ho nulla da invidiare alla mia ultima stagione in Ineos. 

Credi sia possibile tornare a quel tipo di risultati?

Se si parla di determinate gare magari ce la si può cavare con un po’ di visione di gara e di classe. Ad esempio alcune corse del Nord, però se si parla di Fiandre e Roubaix è difficile. Anche sui muri si parla di watt per chilo, e se non si hanno le gambe si può fare poco. In alcune corse minori ce la si può ancora giocare. La Roubaix, che è sempre stata la gara più imprevedibile, negli ultimi due o tre anni ha avuto poche storie. Se una squadra spacca il gruppo a 100 chilometri dall’arrivo o sei tra i primi oppure sei tagliato fuori. 

Tornando al presente sai già che calendario farai?

Partirò con la Valenciana, poi sarò in altura a preparare le prime Classiche di stagione. Farò la Strade Bianche, la Tirreno-Adriatico e la Sanremo. Da lì, insieme al team, tireremo una riga e capiremo se sarò più utile al Giro oppure al Tour de France.

EDITORIALE / Ubi maior, minor cessat

16.12.2024
5 min
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Ubi maior, minor cessat. Quando l’altro giorno Matxin ha annunciato la presenza di Ayuso al Giro d’Italia e poi ha aggiunto che potrebbe esserci anche Pogacar, il giovane spagnolo non ha fatto salti di gioia. Ovviamente ne avevano già parlato, ma sentirsi chiedere dalla stampa se per lui cambierebbe qualcosa, ha costretto Ayuso ad aprire gli occhi e fare l’inchino. Se ci sarà Pogacar, si correrà in modo completamente diverso, perché sarà lui il capitano.

Poche ore dopo, dal ritiro mallorquino della Red Bull-Bora è arrivata la conferma che anche Roglic correrà il Giro d’Italia, già conquistato nel 2023 (in apertura, immagine Red Bull-Bora). Lo sloveno, che è ironico e realista, ha dichiarato che farà i suoi programmi sulla base di quelli di Pogacar, andando dove non sarà Tadej. Era una battuta? Se c’è Pogacar, non si vince: ubi maior, minor cessat. Anche per questo nei giorni scorsi anche O’Connor ha spiegato il motivo per cui al Tour bisogna comunque andare. E l’apice del ciclismo, si partecipa pur consapevoli di essere sconfitti.

Pogacar, qui nel ritiro di Benidorm, è il riferimento e lo spauracchio del gruppo
Pogacar, qui nel ritiro di Benidorm, è il riferimento e lo spauracchio del gruppo

Pellizzari e il Giro

Il ciclismo non è una scienza esatta, lo ha spiegato bene Matej Mohoric, ma si sta lavorando perché lo diventi. Pogacar ha ringraziato perché nel 2024 gli è andato tutto liscio. Ricorda bene infatti la caduta della Liegi 2023 che gli costò la Doyenne e la preparazione per il Tour. E magari è consapevole che un Vingegaard al meglio gli avrebbe reso la vita più dura. Tuttavia il suo strapotere spingerà sempre di più gli avversari a concentrarsi sugli obiettivi raggiungibili.

Per questo motivo, la Red Bull-Bora-Hansgrohe del Giro vedrà accanto a Roglic gregari come Hindley, Martinez, Aleotti, Sobrero e Moscon. Manca Tratnik, che verosimilmente sarà il pilastro per la squadra del Tour. E manca anche Pellizzari, stella nascente del ciclismo italiano, che per ora è riserva e dovrà semmai guadagnarsi il posto a suon di risultati. Sarebbe un peccato non vederlo nuovamente al via, ma anche nel suo caso, la regola è ancora la stessa. Ubi maior, minor cessat. Piace la scelta di Piganzoli di insistere ancora un anno con la Polti-Kometa. Si metterà nuovamente alla prova nel Giro, prima di diventare un numero (pur importante) in squadre più grandi.

Giulio Pellizzari, passato alla Red Bull-Bora, per ora è riserva al Giro
Giulio Pellizzari, passato alla Red Bull-Bora, per ora è riserva al Giro

Chiude il CT Friuli

E’ notizia di poche settimane fa che il Cycling Team Friuli chiuderà la sua storia di successi fra gli under 23, diventando a tutti gli effetti il devo team della Bahrain Victorious. Roberto Bressan le ha provate tutte per difendere l’identità della sua squadra, ma alla fine è stata fatta la scelta più logica. Andrea Fusaz era da tempo uno snodo decisivo fra i preparatori del team WorldTour e dispiace semmai che Fabio Baronti, cresciuto alla sua scuola, non abbia trovato posto e sia passato alla Jayco-AlUla.

Proprio la squadra australiana nel frattempo ha assorbito la Hagens Berman Jayco di Axel Merckx, protagonista di una storia di talenti lanciati nel WorldTour. Mentre la Lotto-Kern-Haus è entrata nell’orbita della Ineos Grenadiers. Anche in questo caso, neanche a dirlo: ubi maior, minor cessat.

I team WorldTour sono gli unici a possedere le risorse per mandare avanti uno sport diventato costosissimo, con buona pace degli altri che per sopravvivere hanno la doppia opzione di restare piccolini finché ce la fanno o farsi assorbire. L’esempio della BePink-Bongioanni di Walter Zini è perfetto per illustrarlo. Il team manager milanese aveva adocchiato uno sponsor polacco che gli avrebbe permesso di fare il salto tra le professional, ma alla fine l’azienda ha preferito diventare il terzo nome della Canyon-Sram. Essere il terzo nome di una grande squadra è stato ritenuto più redditizio dell’essere il primo di un team più piccolo. Ubi maior, minor cessat, tanto per cambiare.

Daniel Skerl è l’ultimo neopro’ del Team Bahrain Victorious nato nel CT Friuli
Daniel Skerl è l’ultimo neopro’ del Team Bahrain Victorious nato nel CT Friuli

L’esempio di Piemonte e Friuli

In questo quadro, cosa dovrebbe fare il presidente della Federazione ciclistica italiana? Può a nostro avviso concentrarsi sulla base, puntando a riportare in alto i numeri dei tesseramenti che da troppi anni a questa parte vivono una picchiata apparentemente incontrollata. Va bene preoccuparsi per le società U23 che spariscono, ma varrebbe forse la pena lavorare prima su quelle di base che intercettano i talenti e gli danno una forma.

Vi siete mai chiesti come mai il Piemonte e il Friuli, regioni che pure non hanno grandissime squadre, sfornano o hanno sfornato atleti di primissima fascia? Ganna, Longo Borghini, Sobrero, Barale, Covi, Balsamo, Gasparrini, Mosca, De Marchi, Viezzi, Cimolai, Buratti, Olivo, Fabbro, Milan, Cecchini, Skerl. Sono bandiere nate negli anni da società giovanili che lavorano bene e portano ragazzi sani e motivati fin sulla porta delle categorie internazionali. Li prendono dalla strada, la pista, il cross e anche dalla mountain bike. Hanno tecnici competenti e capaci anche di essere animatori del movimento. Coinvolgono le famiglie come si è sempre fatto e come in realtà accade sempre meno di frequente.

Anche in quelle categorie ci sono genitori purtroppo sensibili alla corte di team più grandi. Ne è l’esempio quanto accaduto di recente nella squadra di Jacopo Mosca. Se non si lavora su numeri e non si fa capire che c’è un tempo per essere grandi e uno per crescere, la sorgente si esaurirà. E a quel punto saranno guai seri. E’ vietato, parlando di bambini, rassegnarsi al cinismo di “Ubi maior, minor cessat”. Dal futuro presidente federale, ci aspetteremmo la determinazione nel fare scelte impopolari, assieme al coraggio di lasciar andare qualche medaglia. Meglio investire sul futuro o continuare nella conta dei trofei?

Van Gils alla Red Bull non è solo una questione di stipendio

13.12.2024
4 min
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Maxim Van Gils, giovane promessa del ciclismo belga, in questi giorni è stato al centro di un importante cambiamento che ha scosso il ciclismo belga e non solo. Dopo sette anni di crescita e successi con Lotto-Dstny, il fiammingo ha deciso di intraprendere una nuova sfida, firmando con la Red Bull – Bora Hansgrohe.

Una mossa un po’ improvvisa, che in Belgio hanno fortemente imputato ai procuratori di Van Gils, i Carera, che non solo riflette le ambizioni del corridore, ma anche le dinamiche complesse di un mondo che sta cambiando tanto e rapidamente. Quali sono dunque le motivazioni dietro questa scelta? Quali le implicazioni per il futuro del corridore? E quali le possibilità anche per la Red Bull-Bora-Hansgrohe? Questo innesto non è da poco e dice di una squadra che vuole ampliare i suoi orizzonti.

Maxim Van Gils (classe 1999) quest’anno ha vinto tre corse e ha chiuso al 14° posto nel ranking UCI
Maxim Van Gils (classe 1999) quest’anno ha vinto tre corse e ha chiuso al 14° posto nel ranking UCI

Lotto-Dstny addio

Van Gils ha descritto il suo rapporto con Lotto-Dstny come una “seconda famiglia”, ma nonostante i legami personali, il richiamo di nuove opportunità è stato irresistibile. La decisione non è stata semplice: lasciare un team che l’ha cresciuto e valorizzato ha comportato un’intensa e lunga riflessione.

Anche se poi sono circa sei mesi che questa idea di cambiare aria gironzolava nella testa dell’atleta. Si erano fatte aventi Ineos Greandiers e Astana-Qazaqstan che offrendo più denaro lo avevano in qualche modo destabilizzato. La questione dell’importante aumento di stipendio (2 milioni l’anno a fronte dei 600.000, riporta sudinfo.be) è centrale in tutta questa storia.

Tuttavia Van Gils è un prodotto del settore giovanile della Lotto-Dstny come detto e anche l’atleta che più aveva portato (preziosi) punti UCI al team. Il cambiamento era possibile, specie in Belgio dove le regole in tal senso sono più flessibili, ma non scontato insomma. Chi lascerebbe andare via un prodotto del proprio vivaio, tra l’altro senza avere più la garanzia di un certo bagaglio di punti?

Van Gils si è mostrato competitivo sia alla Sanremo (4°) che alla Strade Bianche (3°) mostrando una grande duttilità
Van Gils si è mostrato competitivo sia alla Sanremo (4°) che alla Strade Bianche (3°) mostrando una grande duttilità

Approdo nel nuovo team

Ma chiaramente non ci si può limitare al solo peso del contratto. La Red Bull è una squadra molto ambiziosa, così come Van Gils. Ha messo il piede sul podio di due grandi Giri l’anno scorso: Martinez secondo al Giro e Roglic primo alla Vuelta. Ha un pacchetto scalatori come abbiamo visto molto forte e dei leader, su tutti Roglic, che danno garanzie nei grandi Giri. Ci sta che si voglia passare in un team così.

Ma mancava qualcosa: le classiche. La squadra di Denk vuole iniziare a costruire qualcosa d’importante anche sotto quel punto di vista. E a farlo in modo più strutturale, rispetto magari ai tempi di Sagan che era abbastanza isolato. Solo quest’anno sono arrivati Tratnik, Lazkano, Moscon, Meeus e Pithie: non sono nomi banali. Tra l’altro, togliendo l’italiano e lo sloveno, sono tutti piuttosto giovani. Questo è forse il risvolto tecnico più interessante di questa storia. E sarà curioso vedere come evolverà nel corso della stagione. Di certo, ora ad una Sanremo per esempio, anche la Red Bull-Bora Hansgrohe si schiererà con altre velleità.

Van Gils troverà una struttura di supporto di alto livello. La squadra ha investito su di lui non solo per il suo talento, ma anche per il potenziale di crescita a lungo termine. 

Eccolo impegnato alla Liegi, una delle classiche che preferisce
Eccolo impegnato alla Liegi, una delle classiche che preferisce

Qualcosa su cui riflettere

Maxim Van Gils incarna il cambiamento e l’ambizione nel ciclismo moderno, un ciclismo che inizia a vivere il “gigantismo” come si è letto e scritto ultimamente. Il suo caso, ma se vogliamo anche quello di Pidcock, rappresenta una riflessione sul delicato equilibrio tra ambizione personale e sostenibilità del sistema sportivo. Sarà interessante vedere come Van Gils saprà sfruttare questa nuova fase per confermare il suo talento e consolidare la sua posizione.

«Sono stato orgoglioso dell’interesse mostrato dal team Red Bull-Bora-Hansgrohe sin da subito – ha detto intanto Van Gils – Fin dai primi contatti ho sentito un legame speciale con questa squadra. Mi metterò al lavoro senza indugi per raggiungere gli importanti obiettivi prefissati. Più passa il tempo e più rendo conto che sono per le corse di un giorno, piuttosto che le corse a tappe. Le classiche sono mia passione. Preferisco iniziare e gareggiare con una batteria completamente carica per una gara, piuttosto con una che è già all’80 per cento tappa dopo tappa».