L’Ora è italiana: Bussi chiude con un nuovo record

15.10.2023
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Vittoria Bussi l’ha fatto di nuovo e, poco più di un anno dal sensazionale 56,792 km di Filippo Ganna, ecco il 50,267 della trentaseienne romana, prima donna della storia ad abbattere la fatidica barriera dei 50 chilometri per rendere questo primato tutto tricolore.

Non si è fermata di fronte a nulla Vittoria e, tenendo fede al suo nome, è volata ancora una volta in altura ad Aguascalientes (1.887 metri di quota), come aveva fatto in occasione del primo record datato 13 settembre 2018 (48,007). Stavolta, ha spodestato dal trono l’olandese Ellen Van Dijk (49,254 il 23 maggio 2022 a Grenchen). Oltre 200 giri di passione per prendersi quel primato che avrebbe dovuto tentare già lo scorso 11 ottobre, prima che il maltempo spostasse l’appuntamento con la storia di qualche giorno. Dopodiché, via qualche sassolino dagli scarpini per il primo record ottenuto col crownfunding e senza il sostegno sperato.

La romana ha migliorato il precedente primato di oltre un chilometro
La romana ha migliorato il precedente primato di oltre un chilometro
Che cosa vuol dire riuscirci di nuovo?

L’aspetto principale era il confronto con me stessa ed è stato importante tornare qui e avere il confronto diretto con la Vittoria Bussi del 2018. Mettere altri due chilometri nelle gambe è stato un lavoro minuzioso non solo mio, ma di un team personale che mi sono scelta: il mio allenatore personale Luca Riceputi, le sessioni in palestra col professor Giuseppe Coratella, il mio nutrizionista Marco Perugini e poi grazie al posizionamento in bicicletta di Niklas Quetri.

Ci racconti qualche retroscena?

Le difficoltà sono state tantissime perché mi è successo di tutto: dal muoversi da soli, fino ad arrivare al meteo inverso degli ultimi giorni. Non far parte di alcun team WorldTour è complicato e fare una roba del genere a certi livelli nel ciclismo di oggi non è una passeggiata. Ho dovuto fronteggiare tanti ostacoli.  

Tanto entusiasmo intorno alla nuova primatista, anche da parte del pubblico locale
Tanto entusiasmo intorno alla nuova primatista, anche da parte del pubblico locale
Dove hai trovato le forze di riprovarci a dispetto delle insidie?

Quando, a maggio 2022, il record della Lowden è stato battuto dalla Van Dijk, l’asticella si è alzata oltre i 49. Così ho pensato: «Perché non facciamo qualcosa di storico?». Alla fine, i record vengono battuti, però sicuramente la prima donna a battere i 50 chilometri rimarrà per sempre. Da lì, ho iniziato a coinvolgere altri “pazzi” che credessero nel progetto, a partire dagli inglesi della Hope, che ha realizzato la mia bicicletta.

Hai chiesto qualche consiglio a Ganna?

No, non ci siamo parlati.

Che effetto fa però vedere il suo nome accanto al tuo e pensare che l’Ora è tutta italiana?

L’Ora è italiana ed è molto bello, però se ci fosse stato un po’ più di supporto sarebbe stato meglio. Ad esempio, non ho avuto nessuna spinta dalla Federazione.

Il tentativo di Vittoria Bussi era previsto l’11 ottobre, ma il maltempo aveva costretta al rinvio
Il tentativo di Vittoria Bussi era previsto l’11 ottobre, ma il maltempo aveva costretta al rinvio
Come ti sei mossa per costruire il tentativo?

Economicamente avevamo pochi mezzi, ma dal punto di vista delle risorse, le persone che avevo attorno erano eccellenti. Poi sono arrivati anche i fondi e penso che sia stato il primo tentativo al mondo finora realizzato con un crowdfunding.

Quanto hai raccolto?

Dodici mila euro.

In tanti ti vogliono bene…

Le persone normali si sono identificate nell’impresa di una persona comune, che non ha un entourage intorno e non è servita e riverita. Si sono immedesimati e anche donazioni di 10 euro hanno fatto la differenza.

Su strada l’anno migliore per Bussi è stato il 2020: quinta agli europei (foto) e decima ai mondiali a cronometro
Su strada l’anno migliore per Bussi è stato il 2020: 5ª agli europei (foto) e 10ª ai mondiali a crono
Il numero finale era quello atteso?

Volevamo solo battere i 50, poi non guardavo sicuramente i 51, ma aver sorpassato la barriera di più di un giro significa aver girato in 17”8 per un’ora.

Quali sono state le sensazioni durante il tentativo?

E’ stata una buona giornata. Sono partita tranquilla e sapevo sin dall’inizio che ce l’avrei fatta. Tutto si è incastrato alla perfezione ed è stato anche un lavoro di famiglia.

Con il record Vittoria dovrebbe chiudere la sua carriera, nella quale ha sempre spiccato nelle prove contro il tempo
Con il record Vittoria dovrebbe chiudere la sua carriera, nella quale ha sempre spiccato nelle prove contro il tempo
Come mai?

I tempi me li dettava mio marito Rocco. In realtà, futuro marito: stiamo insieme da 15 anni e a breve ci sposeremo. Adesso che ho fatto il record, cercherò di organizzare il matrimonio.

Altri sogni in sella?

Avrei tanto da dare, ma purtroppo occasioni non ne ho, per cui penso che chiuderò questi 10 anni di carriera. Sono partita con un record e chiuderò con un record, sono contenta così. Non mi sento finita perché l’età è relativa: sono sempre stata una fan di Annemiek Van Vleuten e sono convinta che a 36 anni un’atleta non sia finita. Però, non gareggiando su strada, è giusto che guardi a qualcos’altro nella vita.

L’Ora di Bussi, per abbattere i 50 chilometri e i pregiudizi

27.07.2023
6 min
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FIORENZUOLA – Ad oggi l’unica certezza è che Vittoria Bussi si sta preparando forte per il suo secondo assalto al record dell’Ora femminile. Un appuntamento che vuole significare qualcosa in più del mero sforzo fisico o della relativa campagna di crowdfunding. La prima volta ce l’aveva fatta ad Aguascalientes il 13 settembre del 2018 al terzo tentativo facendo registrare 48,007 chilometri.

Da allora la nuova misura da battere è diventata quella di Ellen Van Dijk della Lidl-Trek – attualmente ai box per la maternità – che a maggio 2022 a Grenchen aveva fermato la distanza a 49,254 chilometri. Cinque anni fa Bussi era stata la seconda italiana della storia, dopo la pionieristica Mary Cressari, a centrare questo primato. Adesso però la 36enne romana vuole alzare l’asticella e possibilmente sdoganare qualche pregiudizio sulla specialità femminile. Avvicinare o meglio ancora superare la soglia dei 50 chilometri è l’intenzione principale, considerando tutto quello che c’è dietro ad un’atleta piuttosto anacronistica. E’ per questo motivo che una chiacchierata con Vittoria non è mai banale.

Per quattro volte Bussi è salita sul podio agli italiani a crono. Quest’anno ha disputato la prova senza una preparazione specifica
Per quattro volte Bussi è salita sul podio agli italiani a crono. Quest’anno ha disputato la prova senza una preparazione specifica
Una buona prestazione nella crono tricolore su strada, poi seconda nell’inseguimento individuale agli italiani in pista. Queste corse facevano parte dell’avvicinamento al record dell’Ora?

No, per una serie di ragioni. Il mio staff ed io a giugno saremmo dovuti essere in un altro posto in un altro continente per fare delle prove per il record in un impianto candidato e molto interessante. Purtroppo quella trasferta è saltata per lavori sulla pista e così all’ultimo momento abbiamo rimontato la bici da crono facendo qualche lavoro specifico. In pista ci passo molto tempo, ma anche l’inseguimento individuale lo avevo accantonato. A quel punto il mio allenatore ha ritenuto che dovessi fare entrambe queste prove. Il percorso della crono non era adatto alle mie caratteristiche e l’inseguimento non l’avevamo preparato. Tuttavia io non gareggiando mai, dovevo correre per vivere più l’adrenalina di gara che altro. Arrivare al record senza nessuna gara poteva essere pesante a livello mentale.

La crono aveva una durata che potrebbe tornarti utile…

Sì certo. Era una prova lunga quasi 26 chilometri con un dislivello di 400 metri, ma soprattutto erano quaranta minuti di sforzo psicofisico intenso. Solitamente faccio allenamenti molto duri in un velodromo, lontana dalle distrazioni e restando concentrata sull’obiettivo. Quaranta minuti a crono però volano rispetto a girare in pista. Su strada mantieni sempre alto il livello dell’attenzione. Ci sono rotonde, curve, discese, salite. In un velodromo invece c’è il rischio che la noia prenda il sopravvento.

Agli ultimi tricolori in pista, Bussi ha conquistato l’argento nell’inseguimento individuale dietro Paternoster e davanti ad Alzini (foto fiorenzuolatrack)
Agli ultimi tricolori in pista, Bussi ha conquistato l’argento nell’inseguimento individuale dietro Paternoster e davanti ad Alzini (foto fiorenzuolatrack)
C’è un modo per combattere quella noia?

Diciamo di sì. Programmo dei lavori a bassa intensità per abituarmi alla concentrazione. Non bisogna avere paura della noia in pista. Bisogna farci amicizia ed imparare ad usarla. Prendo quei sessanta minuti come tempo per me, visto che la vita di adesso è sempre frenetica. Dipende dalla giornata ma penso sempre a tante cose, ad esempio cosa mangiare a cena o il programma del weekend (sorride, ndr).

Ed i dati non vuoi saperli mentre giri?

I valori sono importanti, ma il computerino ho imparato a non guardarlo perché contano altre cose. Quell’allenamento è un atto ad ascoltare il proprio corpo. Il record dell’Ora è una specialità a sé, non paragonabile ad una crono o un inseguimento. So che forse è un po’ utopistico, ma sarebbe bello vederla inserita ogni tanto in qualche manifestazione importante. Magari ad un campionato italiano dare possibilità ad un uomo e ad una donna di misurarsi con l’Ora, anche se è una prova che deve essere preparata tantissimo.

E tu come stai procedendo con i tuoi programmi?

Mi sto allenando tanto. Ho iniziato la preparazione ad inizio anno ad Aguascalientes, in Messico. Mentre la prima volta ho fatto il record dell’Ora perché volevo farlo, stavolta la faccio per portarmi al limite. Mi piace superarlo. Potrebbe essere un modo per chiudere la mia carriera dicendo: «Ho fatto davvero tutto quello che potevo fare». Voglio sorprendermi.

Quando e dove lo farai questo tentativo?

Non possiamo dire nulla sulla data così come sul posto. Ci sono continue novità. Fra poco saprete tutto, ma posso dirvi che ho valutato varie cose tra cui il farlo in altura piuttosto che a livello del mare. Ho fatto tanti test. A giugno vi dicevo che ho avuto alcuni intoppi per le trasferte nei velodromi. Purtroppo contano ancora i nomi ed io, non avendo gareggiato tanto, non ho la fama necessaria che ti permette di essere accettata anche solo per fare allenamenti in questi velodromi. Ho fatto tante domande e ho ricevuto tante risposte negative. Però non ho mai mollato o demorso.

Perché Vittoria Bussi vuole riprovare a battere il record dell’Ora?

E’ una prova inusuale per il ciclismo femminile, però attraverso il mio tentativo vorrei raccontare una storia, a prescindere che io riesca o meno a batterlo. La storia di una donna che viaggia un po’ a rilento rispetto agli uomini. Una donna che non ha un nome, ma che vuole fare qualcosa di grande portando un messaggio. Ovvero, ognuno di noi se si impunta può fare qualcosa di importante. Sono fuori dal grande ciclismo, dove i team maschili e femminili arrivano con grandi bus. Vorrei tornare appena indietro, a quel ciclismo essenziale dove bastano una bici, buone gambe, sacrificio e organizzazione per realizzare imprese. Sono romana e, scusate, ma mi piace farmi il mazzo (sorride, ndr). Sono sempre stata abituata così.

Bussi in pista si concentra, combatte la noia e si prepara ad andare oltre i propri limiti (foto Edoardo Frezet)
Bussi in pista si concentra, combatte la noia e si prepara ad andare oltre i propri limiti (foto Edoardo Frezet)
Da una Vittoria all’altra. Tra le stradiste, secondo te Guazzini potrebbe essere l’equivalente di Ganna nel femminile?

Il record dell’Ora è massacrante, lo abbiamo visto proprio con Filippo. Negli uomini però molti cronoman ci hanno provato e vorrei che anche tante ragazze che fanno doppia attività potessero farlo. Magari lei, e non solo, potrebbe riuscirci. Ovvio che devi avere il supporto del proprio team altrimenti direi di non farlo perché lo sto vivendo sulla mia pelle. Io non ho una squadra e ho passato molto tempo a fare test aerodinamici o lavorare sullo sviluppo dei materiali. Ho dovuto studiare tante cose o fare tanti calcoli alla scrivania sfruttando anche il mio dottorato in matematica pura. Ganna è un fenomeno però ha avuto il supporto della squadra e di Bigham che aveva fatto tanti test, oltre che il record prima di lui. Per me era impossibile preparare a dovere un tricolore a crono, un inseguimento individuale ed un record dell’Ora. Mi mancava il tempo perché ho seguito personalmente tutta la burocrazia che c’è dietro. Ma questo lo sapevo già e per me rende tutto più stimolante per centrare il bersaglio.

La storia di Mary Cressari: quell’Ora da cui nacque tutto

12.12.2022
5 min
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«Tempo fa partecipavo a un dibattito. A un certo punto un giornalista specializzato disse che il ciclismo femminile in Italia è nato negli anni Ottanta. Non ci ho visto più: “E allora, caro il mio signore, il record dell’Ora del 1972 chi lo ha stabilito?”. E’ diventato di tutti i colori». Parole di Mary Cressari, che a 78 anni non ha perso neanche una briciola della sua verve, di quel carattere spumeggiante che la portò a emergere nel ciclismo a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta.

La Cressari è stata per lungo tempo l’unica italiana capace di stabilire il record dell’Ora (poi ci è riuscita Vittoria Bussi), quello che ora, in campo maschile arricchisce il palmares di Filippo Ganna. La conquista di quel record fu un’autentica avventura e a cinquant’anni di distanza molti si sono ricordati di questa ricorrenza. Mary si sottopone di buon grado, ogni volta, ad aprire lo scrigno dei ricordi, ma ogni volta compare sempre qualche spunto diverso, importante.

La Cressari vanta 4 titoli italiani su strada dal 1964 al 1973, più due nell’inseguimento
La Cressari vanta 4 titoli italiani su strada dal 1964 al 1973, più due nell’inseguimento

«Chi ci mette i soldi?»

La storia di quel record nasce da prospettive ben diverse: «Il mio obiettivo era conquistare i record dei 5, 10 e 20 chilometri, ma decisero che il 30 ottobre avrebbero chiuso il Vigorelli e quindi mi trovavo senza velodromo dove allenarmi e tentare i primati. Venne da me il presidente della società Terraneo suggerendomi di provare i record in Messico dove Merckx aveva appena realizzato il primato dell’ora, a patto che provassi anche io ad allungare. “Bell’idea – feci io – ma chi ci mette i soldi?”. Da lì Terraneo mise in moto tutto il movimento e arrivarono i fondi per provarci.

«Mi allenai a Busto Garolfo, ma l’ora non l’avevo mai fatta, così iniziai ad allungare. Il 17 novembre siamo partiti, un po’ all’avventura. Solo il giorno prima avevamo pagato la tassa necessaria per il tentativo e fatto la richiesta del medico perché fosse valido. Le difficoltà però erano tante e avevamo solo una settimana a disposizione».

La Cressari in pista a Città del Messico: il caschetto è quello del tentativo di Merckx
La Cressari in pista a Città del Messico: il caschetto è quello del tentativo di Merckx

Una Pogliaghi personalizzata

I problemi principali riguardavano la bici: «Prima di partire, il mio diesse Alfredo Bonariva chiese informazioni su tutto quel che sarebbe servito e su quel che avremmo trovato a Città del Messico ad Albani, il direttore sportivo che aveva accompagnato Merckx nel suo riuscito tentativo. Avevamo impostato la preparazione su molte delle sue indicazioni, ma non avevamo una bici adatta. Mi offrirono una Pogliaghi superleggera, pesava 4,7 chili, l’avevano realizzata proprio per il record dell’ora tentato dal dilettante Brentegani tre anni prima. Le misure c’erano, ma c’era da lavorarci sopra perché al tempo sulla bici non potevano apparire pubblicità all’infuori del mio gruppo sportivo.

«Toccò lavorare di carta vetrata sui tubi e anche sulla sella per togliere il marchio Selle Italia. Il risultato fu che andavo avanti e indietro sulla bici e non era proprio la situazione ideale… Pochi però sanno che come casco utilizzai lo stesso di Merckx, nel senso che il campione belga lo aveva dimenticato negli spogliatoi del velodromo. Lo riadattammo alla mia testa con un po’ di imbottiture…».

«Rinunciare? Non se ne parla…»

L’appuntamento era previsto per il mercoledì mattina, era il 22 novembre: «Realizzai i record dei 10 e 20 chilometri e tirai dritto, ma avevo speso tanto nella prima parte. Alla fine mancai il record per appena 70 metri e scoppiai a piangere. Non avevamo i fondi per restare e riprovarci. Venne da noi il console italiano e ci disse che era esaltato dall’impresa e che non se ne parlava di rientrare. Dovevo riprovarci, avrebbe sostenuto lui tutte le spese supplementari».

L’esperienza fu utile per riuscire nell’intento: «Il giorno dopo riposai perché ero distrutta, al venerdì feci il tentativo di record sui 5 chilometri che riuscì. Dovevamo però concentrarci sull’Ora. Prevedemmo di provarci il giorno dopo ma cambiammo i rapporti, passando dal 51×15 al 55×16. E questa volta partii più piano, d’altronde dovevo pensare solo all’Ora, così nel finale avevo più energie e chiusi con 41,471 metri e 74 centimetri. Sì, ricordo anche quelli…».

Il miglior risultato ai mondiali per la bresciana arrivò alla sua ultima presenza: decima nel 1973
Il miglior risultato ai mondiali per la bresciana arrivò alla sua ultima presenza: decima nel 1973

I rapporti con la Fci

Quel record ebbe risonanza? «Molta, ma erano tempi diversi e non era facile gestirla. Mi offrirono molti ingaggi pubblicitari ad esempio, ma non potevo accettarli perché avrei perso lo status di dilettante. Il nostro, quello femminile, era un ciclismo alla disperata. Non ci voleva nessuno e le cose non cambiarono così tanto. Soprattutto la Federazione mal ci sopportava. Pensate ad esempio che nel 1974 non ci portarono ai mondiali perché dicevano che non eravamo all’altezza. Io per tutta risposta andai al Vigorelli e feci il record mondiale sui 100 chilometri: altro che non all’altezza…».

La carriera di Mary è vissuta spesso su scontri con la Fci: «Avevano messo il limite di attività a 30 anni, ma io andavo ancora forte, protestai e lo tolsero, poi lo posero a 35 anni. Dissi: “Ma come, ai mondiali la Burton partecipa a oltre 40 anni con sua figlia? Il limite dobbiamo averlo solo noi?”. Lo tolsero, ma io avevo praticamente saltato la preparazione per colpa loro e non ottenni risultati all’altezza degli anni precedenti. Era il 1979 e decisi che ne avevo abbastanza».

La consegna della sua bici al Museo del Ghisallo: a sinistra il diesse Bonacina, a destra il presidente Terraneo
La consegna della sua bici al Museo del Ghisallo: a sinistra il diesse Bonacina, a destra il presidente Terraneo

Lo sgarbo di Los Angeles ’84

Poco dopo le offrirono l’incarico di commissario tecnico della nazionale femminile: «Naturalmente gratis… Intanto però era stata accettata la proposta di portare le donne alle Olimpiadi, io cominciai a lavorare con tre ragazzine che mi sembravano adatte al percorso di Los Angeles. La Canins non lavorava con noi, ma d’altronde era una ciclista atipica. Doveva per forza staccare tutte perché non aveva volata, io volevo lavorare con atlete più adatte. In Federazione fecero storie, io dissi che avrei pagato di tasca mia per la loro permanenza. Risultato: a Los Angeles portarono la Canins e tre altre atlete, le mie, quelle federali, non vennero neanche tenute in considerazione. Era troppo…».

La Cressari diede le dimissioni e da allora ha guardato in tv la crescita del ciclismo femminile, invitata spesso da organizzatori e appassionati: «Quando guardo le campionesse di oggi penso che siano lì anche per le battaglie che sostenni io, per i sacrifici che affrontavamo in famiglia pagando tutto di tasca nostra. Oggi? Un altro mondo…».

Baldini, addio a un pezzo di storia. I ricordi di Adorni

11.12.2022
5 min
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Per Vittorio Adorni ricordare Ercole Baldini non è facile. Perché il campione emiliano ha condiviso tante avventure di un’epoca ciclistica lontana e ormai avvolta nella leggenda. Pochi più del campione del mondo di Imola 1968 hanno vissuto Baldini in così tante vesti: ha condiviso parte della carriera su strada da avversario, lo ha ritrovato come direttore sportivo, ha poi vissuto a vario titolo la passione per il ciclismo come commentatore. Pochi lo conoscevano come lui. E adesso che Ercole ci ha lasciati, il ricordo di Vittorio è un omaggio che sentivamo di volergli portare.

Su un principio Adorni mette l’accento: «Baldini ha avuto un peso notevole nella storia del ciclismo italiano perché è arrivato subito dopo l’epopea di Coppi e Bartali. Con il fisico che aveva, nessuno pensava potesse vincere quello che ha vinto, invece riusciva a scaricare sui pedali una potenza mai vista».

Il podio di Melbourne 1956. Baldini precede di 1’59” Geyre (FRA) e Jackson (GBR). L’Inno lo cantano gli emigrati italiani (foto Gazzetta)
Il podio di Melbourne 1956. Baldini precede di 1’59” Geyre (FRA) e Jackson (GBR). L’Inno lo cantano gli emigrati italiani (foto Gazzetta)
Voi avete corso insieme…

Io ho iniziato da pro’ nel ’61 quando lui era già una stella. Nel 1963 ci ritrovammo insieme alla Cynar e l’anno dopo alla Salvarani, quando lui vinse il titolo mondiale d’inseguimento su pista, il secondo della sua carriera. Il 4 novembre mi chiamò per condividere con lui l’esperienza del Trofeo Baracchi, finimmo secondi e con quel risultato chiuse la carriera. Ma non il nostro sodalizio.

Perché?

Ci ritrovammo nel 1967 alla Salamini-Luxor Tv. Io come corridore e lui come direttore sportivo. Fu un anno molto importante: Ercole non era un diesse come gli altri, non urlava mai, non era di quelli “cattivi”. Lasciava molto fare, ma seguiva sempre con attenzione diceva la sua, aveva sempre il consiglio giusto.

19 settembre 1956: in un Vigorelli gremito Baldini stabilisce il nuovo record dell’ora con 46,394 chilometri (foto Gazzetta)
19 settembre 1956: in un Vigorelli gremito Baldini stabilisce il nuovo record dell’ora con 46,394 chilometri (foto Gazzetta)
Qual è l’impresa che lo identifica meglio?

Non è semplice identificarne una, anche se secondo me il record dell’Ora del ’56 è stato qualcosa di eccezionale. Il Vigorelli di Milano era strapieno per l’occasione e lui, che ancora era un dilettante, strappò il primato a Jacques Anquetil, non a uno qualunque… Poi a fine stagione vinse anche l’oro olimpico a Melbourne su un percorso che non era propriamente nelle sue corde. Ma questa era la caratteristica di Baldini: saper sovvertire le leggi non scritte del ciclismo e vincere corse che non ti saresti mai aspettato da lui.

Può essere considerato un passista?

Uno dei più grandi, ma con il fisico che aveva non poteva certo emergere in salita, eppure riuscì a vincere il Giro d’Italia nel 1958 e non solo perché sfruttò appieno le due cronometro di Comerio e Viareggio, ma diede la paga a Charly Gaul anche in salita, addirittura nel tappone dolomitico. L’anno prima era stato terzo, quindi non fu un fulmine a ciel sereno, ma con il fisico che aveva fu comunque un’impresa epica.

Baldini con la prima pagina de La Gazzetta che celebrò la sua vittoria al Giro del ’58
Baldini con la prima pagina de La Gazzetta che celebrò la sua vittoria al Giro del ’58
Molti lo accusavano di essere troppo grasso per essere un professionista…

Non era grasso, ma robusto e questo si traduceva in una grande potenza sui pedali. Ricordo che un giorno, da giovane, lo vidi con un mio compagno dalla vetrina di un ristorante, rimasi sorpreso da quanto mangiava. Poi mi resi conto che per portare a regime quella “macchina” aveva bisogno di mangiare qualcosa più di noi.

Qual era allora la sua forza?

Non era solo la potenza sui pedali, che sicuramente non era comune, ma anche il suo modo di correre che per quell’epoca era qualcosa di assolutamente nuovo, fatto più di potenza, di ardimento calcolato. L’esempio fu a Reims nei mondiali del ’58: era andato subito in fuga Nencini con Bobet e Voorting, sembrava l’azione decisiva perché in casa del favorito Belgio c’erano Van Steenbergen e Van Looy che si facevano la guerra. Lui uscì dal gruppo al secondo dei 14 giri previsti e si agganciò al terzetto, poi stroncò Bobet e vinse con oltre 2 minuti di vantaggio. Fu il primo ed è stato l’unico a vincere titolo olimpico e mondiale e un grande Giro.

A Reims il toscano stacca tutti e batte i francesi in casa loro: Bobet è a 2’09”, Darrigade a 3’47” (foto Repubblica)
A Reims il toscano stacca tutti e batte i francesi in casa loro: Bobet è a 2’09”, Darrigade a 3’47” (foto Repubblica)
Siete rimasti in contatto nel tempo?

Non come avremmo voluto. Baldini ha poi avuto una grande carriera dirigenziale, anche come presidente di Lega. Il suo valore nel ciclismo italiano è stato forse sottovalutato perché non ha vinto tantissimo, ma come qualità delle sue vittorie in pochissimi sono in grado di stargli al passo. Quel che mi resta nel cuore è il suo modo di agire da direttore sportivo, soprattutto con i ragazzi più giovani, il classico rapporto padre-figlio con lui che cercava di trasmettere la sua grande esperienza. Un campione anche fuori dalle gare.

Il diario di Cioni: l’Ora che non abbiamo visto (2ª parte)

17.11.2022
7 min
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Le ultime parole di Cioni ci hanno riportato al mondiale di Wollongong. Laggiù Ganna ha sentito crescere lo spirito di rivalsa dalle tante critiche, traendone lo spunto per andare verso l’Ora con la determinazione necessaria (in apertura Pippo nell’immagine Ineos Grenadiers/Cauld Photo).

Si aveva la sensazione di due treni paralleli, in attesa dello scambio che li avrebbe portati sullo stesso binario. Se tutto fosse andato per il meglio, l’amalgama sarebbe stata perfetta. Da una parte la grande organizzazione Ineos Grenadiers, dall’altra l’uomo sulle cui spalle poggiava l’intero progetto. Cioni, nel mezzo, avrebbe guidato lo staff performance e allenato il campione. Se il meccanismo si fosse inceppato, si sarebbe rischiato il deragliamento. Del caffè non resta che il ricordo, il discorso va avanti da più di mezz’ora.

Cioni a Montichiari, nei test non si è mai raggiunta l’Ora: non c’era abbastanza tempo (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Cioni a Montichiari, nei test non si è mai raggiunta l’Ora: non c’era abbastanza tempo (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Col senno di poi, il mondiale è stato davvero una giornata storta?

Penso di sì e può aver avuto diverse ragioni, dall’adattamento al fuso, fino alla differenza di temperatura fra il posto in cui l’Italia aveva l’hotel e la zona di gara. Si passava da 5 gradi in alto ai 20 di Wollongong. Di certo, Pippo al mondiale ci teneva. Sarebbe stato il terzo: non una cosa da poco. Nell’approccio era stato tutto in linea, avevamo dei buoni riferimenti. L’unica cosa che si può dire è che non ha mai amato quel percorso. Non per un fatto di tecnica, ma per l’asfalto sconnesso e le tante vibrazioni. Al terzo intermedio sapeva di lottare per nulla e a quel punto se ne è andata anche la voglia di stringere i denti. In proporzione ha digerito meglio la durezza del percorso di Tokyo.

Si torna sull’Ora. Hai parlato di poco tempo per provare: abbiamo in testa i problemi al soprassella che lo hanno fatto calare negli ultimi 10 minuti…

Se decidessimo di rifarlo, quello sarebbe il primo aspetto. Il materiale è buono, ma ci sarebbe qualche dettaglio da approfondire. Non è detto insomma che sia la sella. Per questo, nel suo mondo ideale, Bigham è stato avvantaggiato. Non avendo altre incombenze di calendario, ha potuto fare tutti i suoi test. Fare due o tre prove ti permette di allenare i muscoli, adattarti davvero al tipo di sforzo e di individuare le criticità.

Con la bici pronta e i test fatti, l’UCI ha cambiato le regole: rimandare? No (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Con la bici pronta e i test fatti, l’UCI ha cambiato le regole: rimandare? No (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Nel frattempo l’UCI ha cambiato il regolamento tecnico, consentendo agli atleti di grossa taglia di sollevare il manubrio da crono, chiudendo di più fra mani e testa.

E questo è uno dei motivi per cui il record andava fatto nel 2022. Il discorso della modifica è venuto fuori dopo il Tour e a quel punto si era fissata la data. Si poteva decidere di posticipare, ma non sapevamo se la nuova posizione sarebbe stata più redditizia. Bisognava ripartire con tutti i test in galleria. In più, si sarebbe trattato di vanificare il lavoro di Pinarello. Siamo andati dritti anche per questione di rispetto, ma questo ha significato scatenare polemiche per il giorno. A cose fatte però, sembra che il piano abbia funzionato.

Che cosa ha rappresentato l’Ora per la Ineos Grenadiers?

Siamo andati a Grenchen con uno staff non usuale. C’era la parte marketing in misura importante, ma non hanno mai interferito con l’area tecnica. Io coordinavo la parte performance, fra Ineos, Team Italia e Filippo. Noi eravamo in 3-4. L’Italia aveva Villa, più Giovanni Carini, Fred Morini e Piero Baffi nel mezzo. E’ il team che aveva scelto Pippo.

Cioni spiega che è stato Ganna a chiedere Villa a bordo pista (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Cioni spiega che è stato Ganna a chiedere Villa a bordo pista (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Quando lo ha fatto?

Un anno fa gli chiedemmo chi avrebbe voluto accanto. Parlò subito di Villa a bordo pista e di un meccanico della nazionale. Lo stesso Diego Costa, meccanico alla Ineos, aveva detto che sarebbe stato meglio ci fosse uno esperto della pista. Il nostro staff della performance invece aveva già lavorato con Bigham e sapeva cosa aspettarsi. Ecco, anche in questo è stata importante l’esperienza di Bigham, che di Ore ne ha fatte 4-5 ufficiali e almeno 3 in allenamento. Noi eravamo completamente al buio.

Ci sono stati imprevisti?

Uno che non sa neanche Pippo (sorride, ndr). Uno dei ragazzi della performance il giorno stesso ha preso la bicicletta per verificare che fosse tutto a posto ed è rientrato dicendo che c’era un rumorino nella scatola del movimento. Hanno iniziato a smontarla tutta e stavano impazzendo, quando si sono resi conto che dipendeva da un tappetto di plastica sulla pedivella. Era un check fatto di proposito: meglio sia successo a lui che a Pippo durante il tentativo…

Se il record non fosse venuto al primo assalto o ci fosse stato un problema tecnico, avreste riprovato il giorno dopo?

Non ci abbiamo proprio pensato. Il record si faceva quel giorno a Grenchen, nessun dubbio su questo.

Abbiamo letto delle mille attenzioni su catena e pignone.

La catena aveva girato anche il giorno prima. Per il pignone, invece, Muc-Off diceva che il trattamento ha solo un’ora e 15 minuti di utilizzo. A partire dagli sponsor, ognuno ha fatto la sua parte. Nella scelta dei rapporti è entrato direttamente Pippo. Si sarebbe deciso tutto nella prova del venerdì. Il dubbio era fra il 65 e il 66. Quale sarebbe stato il migliore per quella velocità?

Tu cosa pensi?

Il 65 con cui ha corso forse lo ha salvato nel momento della crisi. Il 66 magari gli avrebbe permesso di mantenere una velocità più costante. Certo nel pacing, Pippo non è stato impeccabile. Ma può darsi che avendo dolore, alla fine non sia riuscito ad esprimersi.

Si direbbe che da questa Ora abbiate imparato quel che serve per fare la prossima…

Impossibile che dalla prima volta non si impari nulla. E’ un’esperienza estrema in un ambiente controllato, in cui sei costretto a tenere una posizione fissa che su strada non riesci a simulare. Da quest’Ora abbiamo identificato una serie di punti dove si potrebbe migliorare.

Oltre a Fred Morini, nello staff c’era anche Piero Baffi, fisioterapista (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Oltre a Fred Morini, nello staff c’era anche Piero Baffi, fisioterapista (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Che tipo di esperienza è stata per te?

Come allenatore non è stato facile. C’erano mille interrogativi ed erano tutti nervosi, mentre io ero super sicuro. Se Filippo aveva detto di volerlo fare, essendo un corridore per cui la testa conta tanto, per me era la garanzia che avrebbe fatto il record. L’ho sempre detto, lo avrei firmato prima. Poi magari sarà battuto, ma chiunque decida di provarci, dovrà investirci molto tempo e molte risorse.

Chi vedi provare con buone possibilità?

Si parla tanto di Kung, io vedo anche Ethan Hayter, che ha quel tipo di attitudine. Evenepoel e Van Aert dovrebbero sacrificare tanto della loro preparazione, perché magari hanno la potenza, ma non l’adattamento tecnico alla pista. E poi soprattutto, chiunque sia il corridore, dovrebbe avere alle spalle una squadra che ci creda. Non tanti farebbero quel che ha fatto per noi Pinarello. Una cosa è certa: non c’era niente di rimediato o adattato. Ganna ha avuto materiale top, con le ruote addirittura costruite per quel telaio.

Sui fogli, i tempi sul giro per la tabella più efficace (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Sui fogli, i tempi sul giro per la tabella più efficace (foto Ineos Grenadiers/Cauld Photo)
Quanto conta l’adattamento alla pista?

Tantissimo. Nella parte finale, anche Ganna che è uno specialista si è un po’ disunito e ha perso quale linea. Immagino che se uno non ha questa attitudine, è un attimo che si disunisca e faccia 200 metri in più.

Ci alziamo che inizia a scurire. Il quaderno è pieno di appunti. Non che lo avessimo mai pensato, ma dal racconto di Cioni appare chiaro che il viaggio di Ganna nell’Ora sia stato molto più lungo di quei 60 minuti. E che le tante polemiche sulla data non si basassero sulla conoscenza dei fatti, quanto piuttosto sul semplice sfogliare il calendario. Come se davvero si trattasse di girare per un’ora fra una corsa e l’altra…

La prima parte

La prima parte dell’intervista a Cioni sul record dell’Ora di Filippo Ganna è stata pubblicata il 16 novembre ed è consultabile a questo link.

La pazza idea di un’altra Ora? Non sarebbe così pazza

22.10.2022
5 min
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Il mondiale andato di traverso. Il record dell’Ora. L’argento nel quartetto con un gran tempo. E poi l’inseguimento col record del mondo. Volendo rileggere il finale di Pippo Ganna, prima di chiudere il file e passare oltre, abbiamo interpellato nuovamente Dario Cioni, il coach che sta sempre un passo indietro, avendocene spiegato anche il perché.

Il ritiro di Nizza, l’ultimo della vecchia stagione e insieme il primo della prossima, ha chiuso l’interminabile 2022 della Ineos Grenadiers. Ieri sera è stato dato il “rompete le righe” e da oggi i corridori e i tecnici potranno tirare un po’ il fiato. Il prossimo appuntamento sarà il ritiro di dicembre a Mallorca e per allora si comincerà a parlare anche di programmi e dei percorso per raggiungerli.

Il finale di stagione di Ganna è stato orchestrato e gestito da Villa e Cioni: un ottimo lavoro
Il finale di stagione di Ganna è stato orchestrato e gestito da Villa e Cioni: un ottimo lavoro
Dario buongiorno, ripartiamo dall’Australia. Ci sono state due giornate irresistibili e due un po’ meno.

Il mondiale è andato di traverso. Alla fine i fatti hanno confermato che si è trattato di una giornata storta. Il quartetto invece l’hanno perso con un bel tempo, quello non è stato una giornataccia. Hanno trovato una Gran Bretagna tosta e anche la Danimarca. Ed è servito per capire che in vista delle Olimpiadi ci sarà da lavorare.

Credi che il recupero fra l’Ora e i quartetti sia stato sufficiente?

Era il tempo che c’era, non si poteva spostare il mondiale. Di fatto, il giorno dopo Grenchen hanno viaggiato sui furgoni, quindi magari un giorno in più avrebbe fatto comodo. Però bisogna anche guardare il cronometro.

Cioè?

Se il quartetto avesse fatto 3’50” allora si sarebbe potuto parlare di delusione, ma hanno fatto 3’46″033 che resta una delle migliori prestazioni di sempre. Gli altri hanno fatto 3’45″829, parliamo di 20 centesimi.

Dopo le prove di fine stagione, è evidente che nella crono australiana, Ganna pagò un giorno storto
Dopo le prove di fine stagione, è evidente che nella crono australiana, Ganna pagò un giorno storto
E’ possibile che il quartetto sia stato un utile passaggio dopo l’Ora, verso l’inseguimento individuale?

Pippo teneva a fare bene il quartetto, l’individuale nemmeno sapeva se lo avrebbe fatto. Però rispetto al quartetto, quello individuale l’ha fatto con un rapporto più lungo con cui magari s’è trovato meglio. Sono scelte però che si fanno anche per le velocità che aumentano.

In effetti ci sarebbe stato da aspettarsi che anche Bigham dopo il quartetto facesse un bell’inseguimento…

Invece non ha tenuto, mentre Pippo e anche Milan sono cresciuti di prova in prova e quella è la differenza fra chi ha il fondo della strada e il pistard. Pippo è uno dei pochi che in finale fa il tempo migliore che in qualifica. Ai campionati britannici, Bigham aveva fatto 4’06, comunque un bel tempo. Solo che per farlo a ripetizione c’è bisogno di un’altra base. E alla fine ha preso il bronzo con 4’09”.

Si può dire che abbiate avuto tempi un po’ stretti?

Strettissimi, tanto che rispetto a prima del mondiale, il programma è stato cambiato. Nell’ultima settimana, siamo andati dritti. Avessimo seguito i piani, saremmo dovuti andare altre due volte a Grenchen e fare una prova sull’ora, che ci avrebbe fatto capire la distanza cui potevamo arrivare nel vero tentativo. Invece abbiamo fatto una sola prova di 35 minuti il lunedì prima.

Nelle varie fasi del quartetto, Ganna è sempre andato in crescendo. Qui nel 1° round contro la Francia
Nelle varie fasi del quartetto, Ganna è sempre andato in crescendo. Qui nel 1° round contro la Francia
Il test sull’ora avrebbe permesso di gestire diversamente il tentativo vero e proprio?

Lo avremmo gestito meglio. Avremmo fatto la prova sulla distanza di Boardman, capendo se e come puntare ai 57 chilometri. L’idea di partenza è sempre stata il record assoluto. Con Pippo sapevamo di poter battere i 56,375 di Boardman, ma non gli abbiamo mai creato pressione. Sappiamo che si conosce alla perfezione. Con Bigham la parte mentale era secondaria, perché aveva tutti i riferimenti. Invece per Pippo, anche se non in maniera… artistica, la testa è il vero punto di forza.

Quindi avere una tabella troppo rigida sarebbe stato controproducente?

Esatto. A Ganna non vanno messi limiti, l’ho capito nelle crono del Giro che ha vinto. Non bisogna limitare il suo orizzonte e per questo a Grenchen aveva le famose tre tabelle, i tre scenari che avrebbe scelto lui. Una situazione in cui si sentisse padrone.

A Grenchen un’Ora stellare, forse limitata dal poco tempo per la preparazione
A Grenchen un’Ora stellare, forse limitata dal poco tempo per la preparazione
E allora quel voler accelerare prima del tempo è stata la mente che ha provato a stupire oltre ogni limite?

Credo che abbia dato quella brusca accelerazione per far capire che andava per i 57. Il calo degli ultimi 10 minuti è stato più per un fatto di poco comfort sulla sella, che si è riflesso sulla prestazione.

Puoi anche non rispondere, ma questi problemi possono essere dipesi da un fondello non adeguato?

I fattori possono essere multipli. Su strada ad ogni curva fai un rilancio, ti alzi, ti muovi. Su pista sei… inchiodato alla sella. Per cui abbiamo provato nei giorni precedenti a fare un paio di manovre per rendere la situazione più confortevole, ma non è bastato. Avessimo fatto quel test sui 60 minuti, magari ce ne saremmo accorti prima.

Alla luce di tutto questo, verrebbe da dire: riprovateci presto…

Sapevamo che da questo tentativo di Pippo avremmo tutti imparato qualcosa. Rifarlo? O vai subito, perché sfrutti il materiale e quindi si parla di qualche mese. Oppure aspetti che ci provi qualcun altro, ricordando anche che fra un anno e mezzo ci sono le Olimpiadi.

Il richiamo di entusiasmo attorno a Ganna di questo ultimo mese è stato travolgente
Il richiamo di entusiasmo attorno a Ganna di questo ultimo mese è stato travolgente
Pensi che lo batteranno?

Prima o poi arriverà qualcuno, lo sviluppo tecnologico è continuo e di nuovi fenomeni in gruppo se ne vedono tanti. E’ un’utopia pensare di aver fatto il record eterno, la curiosità sarà vedere se qualcuno proverà presto convinto di poterlo battere o se passerà del tempo, perché hanno capito che sarà dura.

I 57 mancati di poco sono un rammarico?

No, siamo convinti di aver fatto un’impresa enorme, come conseguenza di un lavoro iniziato da lontano. Si è parlato tanto di Bigham, ma lui è arrivato solo alla fine. E la posizione in sella di Pippo è sempre rimasta la stessa. E’ stato il record di Ganna. Un record gigantesco.

Kask Bambino Pro Evo, il casco del record

13.10.2022
4 min
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Il record dell’Ora di Filippo Ganna è il frutto anche di un lavoro di squadra compiuto intorno all’atleta dallo staff del Team Ineos Grenadiers. Dietro a questo risultato storico c’è una serie di innovazioni tecniche che hanno visto investimenti e trovate tecnologiche degne di entrare di diritto nella storia della tecnica. Una su tutte la sua bici Bolide F HR stampata con tecnologia 3D. Tra i protagonisti c’è anche Kask con il casco Bambino Pro Evo e la nuova visiera Aero Pro. Accessori che hanno permesso a Top Ganna di ridurre ancor di più la resistenza aerodinamica durante il primato e assecondare la sua prestazione mostruosa.

Le prove a cronometro nel ciclismo, si sa, sono un concentrato di forza e tecnologia e quella andata in scena nel velodromo di Grenchen in Svizzera, ne è stata ancora una volta la dimostrazione. La forza ce l’ha messa Filippo Ganna che, con una prova magistrale è riuscito a battere il precedente record dell’Ora firmando a 56,792 chilometri il nuovo limite.

Tutto in 340 grammi

Il casco Bambino Pro Evo è lo stesso scelto da Ganna per le prove in pista, come gli stessi mondiali attualmente in corso. Si distingue per un design innovativo a coda lunga. Sei fori di aerazione nella parte frontale che offrono freschezza e comodità e un’imbottitura dello spessore di 5 millimetri che consente una dissipazione molto rapida dell’umidità, ideale per le gare più intense.

Peso di 340 grammi in taglia M, vede una forma della calotta studiata all’interno della Galleria del Vento del Politecnico di Milano. L’imbottitura vanta una costruzione a cella aperta 3D anallergica, rimovibile e lavabile così come il cinturino sottogola Faux Leather Chinstrap.

La livrea nera è stata dipinta del tricolore con linee che hanno accompagnato l’incredibile velocità di Filippo. Stefano Barzaghi è l’artista dei caschi dei campioni che ha disegnato l’estetica del casco con la bandiera italiana sfumata, ripresa anche sul lato posteriore del body Bioracer Katana.

La visiera 

Lo sviluppo della nuova visiera Aero Pro è partito da studi approfonditi di fluidodinamica computazionale, che hanno visto i tecnici Kask realizzare numerosi test in galleria del vento in collaborazione con il Team Ineos Grenadiers per poi consegnare il prodotto allo staff per le successive prove sul campo. 

La complessità del progetto di questa nuova visiera si è avuta nella combinazione del materiale impiegato, il policarbonato, che ha permesso l’adozione della forma desiderata dai tecnici, senza per questo inficiare la sua classe ottica. Il suo debutto lo abbiamo visto in occasione del Tour de France 2022.

Marginal gains

Sin dalla sua creazione nel 2010, il Team Ineos Grenadiers lavora sui cosiddetti “marginal gains” ovvero quei miglioramenti impercettibili che possono fare la differenza, e Kask, in questo processo di continuo miglioramento, ha dimostrato anche in occasione del Record dell’Ora di Filippo Ganna di essere un partner solido e determinante. 

Il record di Pippo Ganna è stato di 56,792 km
Il record di Pippo Ganna è stato di 56,792 km

«Nelle prove contro il tempo abbiamo un solo obiettivo: ridurre la resistenza all’aria degli atleti mentre pedalano – spiega Luca Viano, Product Director di Kask – e nel caso della nuova visiera Aero Pro il processo di sviluppo è iniziato nello scorso gennaio: dopo sei mesi di lavoro siamo stati in grado di offrire un prodotto che sentiamo possa essere un grande alleato per tutti gli atleti».

Kask

Il record di Pinarello per dare a Ganna tre bici in tempo

11.10.2022
5 min
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Al centro della pista di Grenchen si è passati in un’ora dalla scaramanzia più cauta a ripetute esplosioni di soddisfazione. Così per tutti. Dai ragazzi della nazionale della pista a quelli del Team Ineos, passando per lo staff azzurro, in cui l’unico assente era per sfortuna Daniele Bennati, bloccato a letto dall’influenza. Forse però il più orgoglioso di tutti è parso Fausto Pinarello, l’artefice della Bolide F HR per l’Ora, tirata insieme in meno di quattro mesi sulle misure di Ganna. Parlandone alla vigilia, Pippo ne aveva commentato i 9 chili di peso, dicendo che Fausto vi avesse versato dentro troppo amore. E proprio con la sua battuta iniziamo il viaggio nell’Ora di Pinarello.

«Pesa perché innanzitutto usa una tecnologia nuova – spiega Pinarello – con un materiale nuovo. E’ fatta in Scalmalloy, una lega di Alluminio, Magnesio e Scandio ed è sicuramente più pesante di qualsiasi composito del mondo. Però per riuscire a fare queste forme, questi spessori, questi diametri, questi tubercoli (si chiamano così) non c’era altra soluzione. Magari in futuro proveremo a farlo in carbonio però questa volta non c’era neanche il tempo di fare i test. In questi quattro mesi, era l’unico sistema».

Pinarello ha raccontato la sua Bolide F HR come un motivo di vanto per l’azienda
Pinarello ha raccontato la sua Bolide F HR come un motivo di vanto per l’azienda
Una bici destinata a durare oppure un prototipo unico?

Potrebbe diventare la bici per il quartetto, però bisognerebbe alleggerirla un po’. Potrebbe andare bene per l’inseguimento individuale, però oggi era un po’ prematuro dire questa cosa. Di base è la stessa tecnologia che abbiamo usato già nel 2014, prima per il record di Bradley Wiggins, poi per le crono di tutti i ragazzi delle squadre. Solamente che loro avevano il manubrio in titanio, mentre questo è in alluminio.

La bici di Bigham ha aiutato nello sviluppo per Ganna?

E’ la stessa bici, sono stati modificati i cuscinetti, le sedi dei cuscinetti dello sterzo e l’asse del movimento centrale. Quella era abbastanza a buon punto. E devo ringraziare i ragazzi, perché hanno fatto un grande lavoro. Ci hanno messo tre mesi e mezzo, quattro, quindi pochissimo. Ne hanno fatte solo tre però (ride, ndr).

E’ la terza Pinarello per il record dell’Ora, la prima fu quella di Indurain, ma nel frattempo è cambiato il mondo…

Dall’Espada di Indurain sono passati quasi trent’anni. Io personalmente in quegli anni non sapevo cosa volesse dire aerodinamica e del composito avevo appena sentito parlare. E’ cambiata completamente la tecnologia. Adesso è molto più veloce, quasi facile. Questa bici stampata in 3D è stata fatta in lega, ma i nostri telai, qualsiasi telaio ora potremmo farlo stampato, perché così è facilissimo. E’ più veloce e ti permette di fare molto più lavoro. Ho sempre detto che la mia politica e la mia filosofia è che a me non importa da che parte arrivi la tecnologia. Se americana o inglese, giapponese o australiana, perché sono stati gli australiani dell’Università di Adelaide ad aiutarci in questo progetto con i loro studi sui tubercoli e la famosa storia delle Megattere.

Pinarello ha costruito 3 esemplari della Bolide per l’Ora, qui nelle mani di Carini. Accanto Roberto Amadio
Pinarello ha costruito 3 esemplari della Bolide per l’Ora, qui nelle mani di Carini. Accanto Roberto Amadio
Che cosa significa per voi aver prodotto questa bici?

Innanzitutto è il consolidamento del marchio, che praticamente ci dovrebbe permettere di rimanere lì. Un marchio di biciclette veloci: ecco quello che è sempre piaciuto a me e quello che sto cercando di tramandare a tutto lo staff. Dai ragazzi agli ingegneri, il marketing, la produzione stessa e tutti quelli che stanno arrivando. Chiaro che se il motore è Filippo, con lui è molto più facile. Tra l’altro giochiamo in casa con un italiano, per me personalmente è un orgoglio. Ho sempre avuto questa mentalità di fare bici veloci, poi con un team come Ineos…

Cosa cambia?

Trent’anni fa c’era Miguel (Indurain, ndr), c’era la Banesto e noi che costruivamo la bici, qui è tutto elevato all’ennesima potenza. Noi siamo cresciuti con il team Sky, adesso Ineos. Ci hanno aiutato molto, quindi benvenga la collaborazione e non finisce qui. Perché fra poco ci saranno altre news. C’è Filippo. Ci sono corridori per le corse a tappe. Parliamo di ciclocross e non solo, faremo molte cose… 

La Pinarello per l’Ora è stata realizzata con una lega di Alluminio, Scandio e Magnesio
La Pinarello per l’Ora è stata realizzata con una lega di Alluminio, Scandio e Magnesio

Nuove misure

In pista c’era anche Michael Rogers, per interesse e per rappresentare l’UCI, dato che il presidente Lappartient nel weekend si è dedicato al Lombardia e al mondiale gravel. E così fra una cosa e l’altra, l’australiano ha spiegato che dal prossimo anno cambieranno le misure della distanza fra punta sella e manubrio: non più due standard come ora, bensì tre. Con diverse possibilità di altezza per le protesi da crono. Come dire che Ganna dal primo gennaio avrebbe potuto avere misure diverse. E quando le bici le stampi su misura, non basta fare una regolazione, ma va rifatto (ad esempio) il manubrio. Ha ragione Pinarello, probabilmente per certi aspetti siamo appena agli inizi.

L’altra sera a Grenchen anche “il Principe” era commosso. Uno storico marchio italiano. Un atleta che più italiano non si può. Scherzando gli abbiamo detto che la perfezione sarebbe stata aver fatto il record a Spresiano. Ma a quel punto anche Fausto ha allargato le braccia. Chissà che in futuro Ganna non possa tornare a sfidare la sua misura in una pista anch’essa italiana…

EDITORIALE / Il ciclismo in Italia, tesoro dimenticato

10.10.2022
5 min
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Alla vigilia del Lombardia, ospiti della cena per i 20 anni di Promoeventi Sport, che fra le sue cose organizza le corse bergamasche per RCS Sport, abbiamo ritrovato un gruppo di amici. E come accade da qualche tempo a questa parte, il discorso è finito sul ciclismo di casa nostra e la necessità di un team WorldTour italiano. Un concetto che oggi anche Ivan Basso riprende in un post pubblicato su Linkedin.

La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano
La cena per i 20 anni di Promoeventi di Bettineschi e Belingheri è stata l’occasione di riflessioni sul ciclismo italiano

Un team italiano

Enrico Zanardo, che ha avuto squadre dilettanti per anni ed è oggi il referente di Vini Astoria nel ciclismo, era abbastanza perplesso circa la possibilità di fare una squadra di soli italiani. I grossi sponsor hanno interessi in tutto il mondo e questo fa sì che abbiano bisogno di corridori da diversi Paesi. Discorso ineccepibile.

Claudio Corti, manager della Saeco di Cunego e Simoni, ricordava di quando Sergio Zappella (il signor Saeco) raggiungeva il budget per la squadra raccogliendo il contributo delle filiali mondiali. Ne era ovviamente l’azionista di maggioranza, quindi l’impegno centrale era il suo, ma in questo modo raggruppava attorno alla squadra interessi in ogni angolo del mondo.

Serge Parsani, oggi alla Corratec (in procinto di rientrare come professional), ricordava gli anni alla Mapei in cui non mancavano corridori internazionali, ma con un forte nucleo italiano al centro. Sottolineando che anche il team di Giorgio Squinzi faceva un gran lavoro di coinvolgimento delle filiali estere.

La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa
La Saeco ruotava attorno a italiani come Cunego, Simoni, Cipollini e Savoldelli, ma vinse il mondiale con Astarloa

Cresce la Svizzera

Oggi tutto questo sembra irraggiungibile. Eppure i grossi sponsor non mancano: manca piuttosto la voglia di fare il passo in più, impegnarsi davvero a fondo.

Probabilmente il sistema fiscale italiano non aiuta, magari è per quello che i nostri campioni risiedono all’estero e la nuova Q36.5, squadra di sponsor e dirigenza italiani, per partire ha scelto la Svizzera.

E proprio in Svizzera, i nuovi team saranno due. Oltre a quello che avrà fra le sue schiere un Vincenzo Nibali in veste di consulente d’eccezione, sarà varato il nuovo Tudor Pro Cycling Team di Fabian Cancellara. Mentre qui registriamo il rischio chiusura della Drone Hopper-Androni e non sarà certo il probabile ritorno della squadra toscana, che negli anni è andata e venuta con alterne vicende, a bilanciare la situazione.

L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend
L’addio di Nibali e Valverde al Lombardia non è stato il solo grande evento del weekend

La fuga dei talenti

E intanto i nostri se ne vanno all’estero ed entrano in un mercato florido che offre prospettive interessanti. In squadre ricche, che però metteranno al primo posto i corridori di casa. Pertanto, allo stesso modo in cui Paolo Bettini, già vincitore delle Liegi e dei mondiali, non ha mai potuto correre il Fiandre perché aveva davanti Boonen, altri verranno su come luogotenenti più che come leader. Perché il leader deve fare la corsa, non tirare per altri e poi osservarli andar via. Restano le poche occasioni di quando i capitani di casa non ci sono. E in quei casi i vari Bagioli, Aleotti e Covi hanno la possibilità di venir fuori. Ma non è facile. Il ciclismo non ti dà tutto e subito, la maturazione ha bisogno di esperienza e l’esperienza ha bisogno di occasioni ripetute.

In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media
In Belgio basta la presenza di un campione (qui Tom Boonen) per richiamare decine di media

Parliamo dei media

Il perché in Italia il ciclismo sia finito nell’angolo s’è sempre spiegato con i problemi di un tempo. Il fatto tuttavia è che niente è come prima, mentre provoca stupore il relativo disinteresse da parte dei grandi attori della comunicazione, che si sono ormai appiattiti sul calcio in modo a volte imbarazzante. I grandi giornali non mandano più inviati ai grandi eventi e quando lo fanno hanno vergogna di sparare la vittoria in prima pagina. Come il record dell’Ora di Ganna: il confronto delle prime pagine rispetto a quando il record lo fece Moser provoca ben più di un interrogativo.

La televisione ha aumentato le ore di diretta. Eurosport e i suoi ragazzi fanno vedere con competenza corse che un tempo erano soltanto nomi esotici, mentre la Rai continua con il suo lavoro complesso difendendo la posizione.

Lo scorso weekend è stato un fiorire di ciclismo, anche eccessivo (l’UCI compila i calendari senza logiche apparenti: non si è accorto il presidente Lappartient di non aver avuto il tempo per presenziare a tutti gli eventi?). Lombardia. Record dell’Ora. Parigi-Tours. Mondiale gravel (in apertura, Van der Poel firma autografi). Romandia donne. Perché lo si è vissuto come un problema e non come una risorsa?

La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto
La fantastica Ora di Ganna ha avuto il giusto risalto mediatico? Forse non del tutto

Parliamo degli sponsor

In questo quadro avaro di coraggio, perché uno sponsor dovrebbe investire tutti quei soldi, se per molto meno può avere la scintillante vetrina del calcio? Giorgio Squinzi chiuse la Mapei ed entrò nel calcio, prima con la nazionale e poi col Sassuolo. Chi resta, attinge alla passione. Gli altri che magari vorrebbero, prendono atto delle porte chiuse e vanno altrove.

«Il nostro è uno sport che garantisce un ritorno importante – scrive Basso – ma non lo garantisce nell’immediato e io capisco che per un’azienda oggi è importante avere ritorni a breve termine. Però, il ciclismo non è solo un veicolo pubblicitario: è anche, e soprattutto, un veicolo di valori…».

Parole condivisibili, che faticano ad attecchire in un mondo in cui i grandi organizzatori cercano di accaparrarsi le corse importanti per arricchire il proprio portafogli. Nessuno si sogna di fare sistema, come ad esempio avviene in Francia con il Tour. Sono tutti attorno all’osso, vantando posizioni di privilegio vero o presunto, cercando di mangiarne più che possono.