Se ci dovessimo attenere solo ai punti UCI, al termine del ciclomercato invernale ci sarebbero due verdetti piuttosto chiari. Uno: la Ineos Grenadiers è il team che si è più indebolito. Due, la Bora-Hansgrohe, è quello che si è più rafforzato. In questo secondo caso incide chiaramente Primoz Roglic. Lo sloveno ha spostato moltissimo l’ago della bilancia.
Ma al netto di Roglic, delle partenze di corridori come Geoghegan Hart o Pavel Sivakov, e gli acquisti di questi atleti nelle rispettive squadre di destinazione, davvero questa graduatoria corrisponde alla realtà? Davvero la Ineos è così meno forte e la Bora è cresciuta in proporzione?
Stando a questa classifica, anche l’Astana-Qazaqstan si è rinforzata molto, ma è innegabile che il divario dalla UAE Emirates, per esempio, resti altissimo.
I rendimenti contano
Questi dubbi li abbiamo posti all’attenzione di Roberto Amadio, team manager dell’ultima grande squadra italiana, la Liquigas poi divenuta Cannondale. Certi equilibri pertanto il manager delle squadre Nazionali della FCI li conosce bene. Lui si ritrovò a gestire Nibali e Basso. Sagan e Viviani. E tanti, tanti altri corridori di ottima caratura.
«Il discorso – spiega Amadio – è sempre quello. I campioni, quelli proprio grandi, fanno la differenza. La Ineos avrà anche perso più di altre squadre in termini di valore di corridori, ma resta sempre una squadra solida. Al tempo stesso la Bora si è rinforzata molto, ma già aveva un’ottima rosa. Però non bisogna dimenticare che ogni stagione è una cosa a parte e non è detto che certi equilibri vengano rispettati».
Per Amadio i campioni, possono fare la differenza ancora di più nelle classiche, al netto della squadra che hanno attorno. La squadra resta importante chiaramente, ma un filo meno rispetto ai grandi Giri.
«In queste grandi corse c’è tutt’altra strategia e quei tre, Vingegaard, Pogacar e Roglic hanno più bisogno della squadra.
«Per le classiche la squadra leader era la Soudal-Quick Step di Lefevere e forse ha perso qualcosa, specie per le prove delle pietre. Ma molto dipenderà dal recupero di un atleta che già avevano in casa, Alaphilippe. Poi immagino che Evenepoel farà la Liegi, ma mi sembra che con lui si siano spostati parecchio anche sui grandi Giri».
L’esempio di Sagan
Il borsino dei valori numeri alla mano, non per forza corrispondono ai valori reali. E l’esempio perfetto fu proprio un certo Peter Sagan alla corte di Amadio. Quando approdò alla Liquigas non aveva chissà quanti punti venendo dalle categorie giovanili. Né poteva dare certezze.
«Quando lo ingaggiammo – racconta Amadio – era impossibile immaginare ciò che avrebbe fatto. Sapevamo che era un talento, ma non così. Ma capimmo presto, già dalle prime corse in Australia, che era un fenomeno. Ebbi la conferma alla Parigi-Nizza perché lì il parterre è importante, i corridori cominciano a mettere gli obiettivi nel mirino e il livello si alza. Lui vinse subito e si rivelò protagonista».
Quindi Sagan, su carta era un ragazzino, nella realtà un conquistatore seriale di punti UCI. E sempre come ha detto Amadio ogni stagione ha la sua storia.
«Non c’è un corridore che mi abbia colpito negativamente – prosegue Amadio – quando li ho presi tutti hanno dato il loro massimo. Se proprio dovessi dirne uno, direi Pippo Pozzato. Ma attenzione, non perché abbia fatto male, anzi con noi ha ottenuto il suo record di vittorie in una stagione, ma perché ci si aspettava che potesse conquistare un Fiandre, una Roubaix».
Tra le sorprese, invece l’ex manager ricorda Moreno Moser. Un vero talento secondo lui. Preso per farlo crescere fece subito bene.
«Noi lo avevamo preso per lavorarci su, lui invece è esploso subito: “pam , pam” e fece sue Laigueglia e Strade Bianche».
Il bacino delle development
«L’avevamo preso per lavorarci su, lui invece è esploso subito», questa frase di Amadio ci riporta al discorso che il valore di un team possa essere legato anche alla sua development. Ci si costruiscono i campioni in casa. E proprio la Ineos Grenadiers è tra le squadre che negli ultimi anni si sono più attivate in tal senso.
«I progetti dei devo team – dice Amadio – c’erano già ai tempi in cui io ero un manager, ma ora c’è uno sviluppo enorme. E c’è perché si va alla ricerca dei giovanissimi a tutti i costi. Fu Lefevere con Matxin a segnare la svolta con il loro scouting approfondito. Cercavano i corridori in tutto il mondo e questo vale anche per i nostri che finiscono in quelle squadre straniere.
«Trovo logico e giusto che il regolamento consenta di portare dei giovani in prima squadra e anche viceversa. Magari un ragazzo si può portare alla Valenciana o un corridore esperto che magari non è pronto, perché deve rientrare da un infortunio, può andare alla corsa più piccola per fare la gamba. Questo è il vero cambiamento».
Dunque il valore di un team passa anche dalla sua devo e dallo scambio che può esserci fra le due squadre. Bisogna intenderla nel suo insieme. Esempi positivi ci sono, pensiamo alla Groupama-Fdj che su carta è la seconda più indebolita dell’anno, ma ha una super devo.