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Fuga in Sicilia: la provocazione (rientrata) di Auro Nizzoli

10.12.2022
7 min
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L’Italia del ciclismo non è unita e guai fingere che lo sia. Sentite cosa è successo quando Auro Nizzoli, sponsor di un team juniores di Reggio Emilia, ha annunciato l’intenzione di affiliare la squadra in Sicilia. La sua non era una provocazione, ma lo è diventata. E ha fatto capire che c’è tanto da fare.

Lo avevamo ascoltato durante un recente viaggio in Sicilia, lo abbiamo richiamato per approfondire il discorso. La sua azienda ha esperienza decennale nell’attività di demolizione, bonifica, autotrasporti e, a partire dal 2014, anche nell’edilizia. Auro è del 1959, ha corso fino al 1981 e ha dentro una passione sconfinata per il ciclismo, che vede soprattutto come una scuola di vita. Mentre parlavamo era davanti alla palestra, con i ragazzi dentro al lavoro. Il ritorno in sella ufficiale avverrà invece ai primi di gennaio, con un ritiro a Noto.

Anche i ragazzi del team emiliano-siculo di D’Aquila e Nizzoli hanno partecipato ai test della nazionale a Montichiari
Anche i ragazzi del team emiliano-siculo hanno partecipato ai test della nazionale a Montichiari
Com’è la vita da sponsor?

Ho corso per tanti anni. Mi sono divertito. Ho conosciuto un sacco di persone che mi hanno aiutato. E quando ho smesso e ne ho avuto la possibilità, ho cercato di dare indietro quello che ho ricevuto. A stare in mezzo ai giovani si rimane giovani. Le persone che ho vicino hanno passione e volontà. Sono sacrifici e soldi, ma vado avanti da 22 anni. Non c’è ritorno economico, il ritorno è la persona che sei. Se fai delle cose di cuore per i giovani, che tu sia un ingegnere oppure uno che non ha studiato, sicuramente quello che ti dà il ciclismo è un valore aggiunto.

Come nasce l’abbinamento con la Sicilia?

Per puro caso. Conoscevo da quasi vent’anni la famiglia D’Aquila. Mi aveva presentato un mio grandissimo amico, Giancarlo Ceruti (presidente FCI dal 1997 al 2005, scomparso nel 2020, ndr), che era amico anche di Salvatore d’Aquila. Mi propose di andare da lui, avrei conosciuto una persona valida e squisita e avremmo partecipato alla corsa che organizza: il Memorial Cannarella. Mi disse anche che portando giù la squadra, avremmo fatto vedere in Sicilia un po’ di movimento. Ho conosciuto così Salvatore. Sono sempre andato alla sua corsa e ho visto l’impegno che mette per far crescere il ciclismo. Così ho pensato di dargli una mano. Avevo delle biciclettine da giovanissimi e gliele ho portate giù. Poi, a distanza di anni, quegli stessi ragazzini li abbiamo fatti passare juniores.

Ha visto la sua stessa passione?

E’ una cosa di famiglia. Di Salvatore e di Giuseppe, suo figlio. Investono. Ci mettono soldi loro. Quando incontri queste persone e cominci a parlarci, senti la voglia di collaborare. Il progetto è nato così.

Il progetto Sicilia nacque dalla conoscenza con Salvatore D’Aquila, a sinistra di Nizzoli
Il progetto Sicilia nacque dalla conoscenza con Salvatore D’Aquila, a sinistra di Nizzoli
Perché affiliarsi in Sicilia?

Perché la Sicilia ha bisogno di far vedere qualcosa. Finché noi portiamo via i ragazzi più forti, come si può creare una cultura ciclistica giovanile sull’isola? I genitori devono lasciare che il figlio a 16 anni vada in un’altra famiglia o in un ritiro dove vivrà da solo o con altri ragazzi come lui. Sono dei bimbi, dopo 22 anni di juniores vedo bene cosa sia un sedicenne di oggi. Quando Nibali è venuto su, era il fenomeno che in Sicilia staccava tutti e si faceva fughe di 30 chilometri da solo. Trovò una famiglia (quella di Carlo Franceschi a Mastromarco, ndr) e fu fortunato. Altri vivono nei ritiri, devono cucinarsi, andare a scuola e allenarsi. Per quella che è l’opinione di Auro Nizzoli, è troppo presto. Come può crescere così il ciclismo giovanile?

Quindi l’obiettivo è non farli partire?

Ho pensato che se riesci a fare qualcosa di locale, se fai vedere che c’è un movimento, allora nasce la mentalità, che è importante quanto i soldi. Il genitore si fa anche 200 chilometri per portare suo figlio alla corsa e lo vede. Vede i dirigenti e la gente che gli sta attorno. Si entusiasma e magari lo trasmette ad altri genitori. Condivide e assapora qualcosa di diverso.

Adesso funziona diversamente.

Facile vincere quando prendi due forti, li porti su perché sono dotati, li metti lì e fanno qualcosa. Ma il rischio qual è? Quando a un giovane di 16 anni chiedi di dare il massimo e lo fai sentire importante, puoi star certo che non andrà lontano. A quell’età non hai la mente per resistere. E quando la vita si farà dura sul serio, lui mollerà. La sua asticella mentale resta bassa, quindi c’è bisogno che crescano in maniera diversa. Quello che ho fatto voleva essere un segnale, visto che sono stati tolti i vincoli regionali.

Il Memorial Cannarella si svolge a maggio a Monterosso Almo (foto Ragusa Oggi)
Il Memorial Cannarella si svolge a maggio a Monterosso Almo (foto Ragusa Oggi)
Poteva funzionare?

L’Emilia Romagna ha tanti corridori e comunque la mia attività sarà svolta principalmente qui. Non è che tutte le domeniche potrò fare avanti e indietro con la Sicilia, però saremo un po’ giù e un po’ qua. L’Emilia poteva anche sfruttare questa cosa per far capire ci potrebbero essere delle sinergie. Invece mi hanno ostacolato, questa cosa l’hanno utilizzata contro i miei ragazzi e i genitori. E’ stato difficile, ma comunque io non mollo. Vorrei dire ai due Comitati Regionali che dovrebbero dialogare per il futuro del nostro ciclismo…

Cosa pensa Nizzoli dell’eliminazione dei vincolo regionale?

Gli juniores sono una categoria internazionale e in Italia ci sono cinque squadre semi professionistiche. Offrono soldi a ragazzi di 16 anni, fanno delle squadre vincenti con dentro 5-6 corridori fortissimi. Per me è sbagliatissimo. Di quei cinque, forse uno diventerà un corridore, mentre gli altri smetteranno. Intanto però ammazzano la corsa e mettono in ombra l’80 per cento del gruppo, composto da quelli che stanno crescendo e prendono paura. Sono preparatissimi, stipendiati, sono già dei professionisti. Se invece ci fosse una cultura di crescita anche per questi più forti, in squadre in cui non li gestiscano come fenomeni, allora può darsi che il nostro ciclismo migliorerebbe.

Era prevedibile che l’Emilia Romagna si mettesse di traverso?

Diciamo la verità, ci sta. Dopo 22 anni che sono tesserato in regione, penso di aver dato qualcosa al ciclismo emiliano e togliersi non è bello. Forse dovevo dialogare, andare a parlare con loro del progetto. Forse potevo anche aspettare un anno per vedere come andava con questo nuovo regolamento. Ma i segnali sono chiari…

Il diesse Scribano e Damiano Caruso, entrambi cresciuti alla Libertas Ibla del professor Guarrella
Il diesse Scribano e Damiano Caruso, entrambi cresciuti alla Libertas Ibla del professor Guarrella
Cioè?

In Emilia Romagna, i 6-7 corridori più forti sono stati presi e portati in altre regioni. Hanno cercato anche qualcuno dei miei. Gli hanno offerto uno stipendio, ma hanno detto di no. Non è corretto pagarli. Io spendo già soldi per formarli, dovrei pagarli perché stiano con me? Non sarebbe più una scuola di ciclismo, almeno io la penso così. Mi dispiace solo per la figura, perché Salvatore lo aveva annunciato. Ho dovuto ritirare quello che ho detto e non è bello. Però questo non sposta niente, io continuo. Perché al di fuori dei tesserini di cui non mi importa nulla, noi saremo emiliani e siciliani. 

Come fate a tenerli insieme?

Si confrontano oggi tutti i giorni sui canali a disposizione. Le problematiche, gli allenamenti, anche su quello che fanno a scuola. Fra le regole della nostra società, la scuola è al primo posto. E’ tassativo che a giugno tutti vengano promossi e questa è la prima vittoria per tutta la squadra. A chi viene bocciato, taglio il tesserino. Se vinci a scuola perché ti impegni, vuol dire che puoi andar bene anche in bicicletta. Dopo 22 anni, ho fatto la media dei ragazzi passati da me che hanno vinto e che andavano bene a scuola. Quelli che hanno continuato nello sport non sono quelli che vincevano di più, ma quelli che andavano bene a scuola. La scuola apre la mente e impari a gestirti meglio. 

Dal 2022 ad allenare i ragazzi di Nizzoli è Adriano Malori, che nel team ha corso da allievo
Dal 2022 ad allenare i ragazzi di Nizzoli è Adriano Malori, che nel team ha corso da allievo
Qualche esempio?

Covili, ma come lui anche Zhupa, Malori e altri che sono arrivati al professionismo. Covili ha vinto una corsa in due anni da junior, era un ragazzo come tutti gli altri. A scuola andava benissimo e passato dilettante, è sempre migliorato. Non ha mai vinto, ma ora è professionista. Ha fatto l’università e sta migliorando di continuo. Magari non è un fenomeno, ma ha la testa per fare belle cose ed è importante per il nostro territorio. Oggi si diventa professionisti, perché c’è la testa. Le gambe servono per vincere nei giovanissimi, negli esordienti e negli allievi. Poi arriva il momento che devi collegare il cervello alle gambe e la differenza la fai per i sacrifici, i chilometri, per la tattica e perché sai dosare la fatica. 

Mezz’ora con Caruso: il Giro, i giovani, Milan e Ciccone

23.10.2022
8 min
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Con i suoi 35 anni, Damiano Caruso è l’ultimo italiano ad essere salito sul podio del Giro d’Italia e se quest’anno non ha difeso il piazzamento del 2021 è stato perché la squadra l’ha spedito in Francia. Punto. Lo ha detto anche Cassani, che venerdì l’ha inserito fra gli italiani più concreti per il prossimo Giro. Ma è ancora presto per dire se il prossimo anno sarà diverso e non è neppure questo il motivo per cui l’abbiamo chiamato.

Ci incuriosisce infatti sapere che cosa pensi del percorso del Giro e soprattutto, guardandosi intorno, se abbia visto fra gli italiani giovani qualcuno che in futuro possa puntare a un buon piazzamento. E se, rivedendo la sua esperienza, avere una WorldTour italiana cambierebbe davvero le cose.

Con questa vittoria a Monte Spluga, al Giro 2021 Carusò blindò il secondo posto dietro Bernal
Con questa vittoria a Monte Spluga, al Giro 2021 Carusò blindò il secondo posto dietro Bernal

Un Giro da fughe

«Tre tappe con 5.000 metri di dislivello – dice – due da 4.000. Parecchie sul filo dei 200 chilometri e anche più lunghe. Poi le tre crono, la seconda di 33 chilometri e mezzo. E’ un Giro particolare. Dopo quattro giorni c’è il primo arrivo in salita e dopo altri tre si va a Campo Imperatore, che è bella dura.

«E’ nello stile del Giro fare tapponi duri e lunghi e secondo me è un po’ in controtendenza. Perché alla fine si è visto che le azioni più spettacolari sono venute nelle tappe da 140-150 chilometri. Ce ne sono due di 218 chilometri. Quella di Campo Imperatore sono sei ore di bici con 4.000 metri di dislivello.

«Vedo tante tappe da fuga. Quella di Crans Montana (13ª tappa, ndr) ha l’ultima salita lontana dal San Bernardo e nella valle, che si fa al Romandia, decide tutto il vento che al mattino tira in un verso, il pomeriggio nell’altro. Sono lunghe e non puoi inseguire tutto il giorno. Chi tira? Sarà un Giro per gente che va forte in salita, ma deve andare forte per forza anche a cronometro».

Due tappe vinte per Caruso quest’anno al Giro di Sicilia, corso con la nazionale: a Caltanissetta e sull’Etna
Due tappe vinte per Caruso quest’anno al Giro di Sicilia, corso con la nazionale: a Caltanissetta e sull’Etna
Dicono Evenepoel…

Da lui c’è da aspettarsi di tutto. Se davvero verrà, avrà un bagaglio di esperienza superiore, un anno in più di maturazione e il morale altissimo. Sicuramente sarà uno dei favoriti. Questo ragazzo secondo me è ancora da scoprire, neanche lui conosce i suoi veri limiti. Alla Vuelta grandi cali non ne ho visti. Nelle varie occasioni si è gestito con intelligenza ed è arrivato in fondo in scioltezza. Alla fine l’unico che poteva impensierirlo in salita era Roglic, ma si è autoeliminato.

Si parla anche di lui e di Mas.

Se confermano questi tre nomi, abbiamo già il podio. Se vengono loro, ci saranno tre squadre attrezzate per supportare tre capitani, quindi il Giro comincia a diventare più complicato. Non sarà il classico Giro. Il vero problema secondo me è ostinarsi a voler assomigliare al Tour. Non si deve snaturare, il Giro deve vivere di luce propria. Non devi sempre cercare di fare qualcosa per attirare questo o quel corridore. I corridori a un certo punto capiranno che solo pochi possono vincere il Tour. Se io fossi un corridore di classifica, intanto comincerei a vincere il Giro. Il problema viene dalle squadre, perché purtroppo per loro il Tour vale di più e il ragionamento smette di essere tecnico.

Evenepoel viene al Giro? Secondo Caruso (i due insieme alla scorsa Liegi), troverà un percorso perfetto per lui
Se Evenepoel viene al Giro (i due insieme alla scorsa Liegi) troverà un percorso perfetto per lui
Parliamo un po’ di italiani?

Per adesso non vedo tanti che possano ambire all’alta classifica, però mi piacerebbe cominciare a vederne qualcuno che prova a entrare nei 10. C’è Fortunato, per cui la vittoria sullo Zoncolan è diventata molto pesante. Per i grandi Giri non siamo attrezzatissimi, mentre per le gare di un giorno e i traguardi di tappa secondo me non siamo messi male.

Dopo Nibali sarebbe toccato ad Aru, ma ha smesso anche prima.

Di sicuro non abbiamo l’erede di Nibali, speriamo almeno in un corridore che abbia la voglia di cimentarsi per provare a fare classifica. Noi abbiamo Zambanini, che nel 2022 ha fatto vedere che può tranquillamente fare questo mestiere e farlo bene. Ha bisogno di crescere, non è Pogacar, ma lavora per migliorare. Dobbiamo prendere i buoni corridori che abbiamo e dargli il tempo di maturare. Zambanini secondo me è ha talento e, se farà un percorso di crescita adeguato alle sue potenzialità, un giorno potrà arrivare anche ad ottenere dei risultati sopra la media.

Zambanini è uno di quei corridori che ha bisogno del suo tempo per emergere, ma ha qualità e talento
Zambanini è uno di quei corridori che ha bisogno del suo tempo per emergere, ma ha qualità e talento
Cosa pensi di Ciccone?

“Cicco” è uno di quelli su cui ci sono grandi attese, però forse non è un corridore da Giri. Lui lo pensa perché glielo hanno inculcato dall’inizio. Prendete Formolo: dicevano che fosse un corridore da corse a tappe, il nuovo Ivan Basso. Ti fanno crescere con un determinato obiettivo e ti fanno credere che la strada è quella. Poi in corso d’opera riprogrammarsi non è semplice.

La tua storia in fondo è simile a quella di Ciccone, no?

Non tanto, io mi sono semplicemente disabituato. La mia generazione è stata l’ultima cui dissero, lo ricordo ancora bene: «Tutto quello che hai fatto da dilettante lo devi dimenticare, qui si ricomincia da zero. C’è da fare la gavetta e portare le borracce. E poi, pian piano, se dimostri che hai talento, ti diamo spazio». Invece forse questo è stato deleterio, perché mi sono adagiato sul ruolo che mi avevano assegnato.

Ciccone fa bene a insistere sui grandi Giri? Caruso ormai ha più di un dubbio: «Ma Giulio è fortissimo»
Ciccone fa bene a insistere sui grandi Giri? Caruso ormai ha più di un dubbio: «Ma Giulio è fortissimo»
Avevi davanti Basso e Nibali…

Quando sono arrivato alla Liquigas, per me già era un sogno poter fare il Giro d’Italia con Ivan Basso. Figuratevi se pensavo di fare il leader. La prima volta che mi è stata data l’opportunità di fare classifica fu alla Vuelta del 2014, quando feci nono. Ma non mi fu detto che sarei partito da leader. L’anno dopo invece arrivai ottavo al Giro e partii dall’inizio con quell’obiettivo.

Al Giro del 2012 ci fu un momento chiave.

Forse la svolta di tutta la mia carriera. Il penultimo giorno ero in fuga con Cunego e De Gendt. Eravamo rimasti soli sul Mortirolo, dovevamo scendere e fare lo Stelvio su cui c’era l’arrivo. Invece in fondo al Mortirolo mi fermai letteralmente per aspettare Basso, che era con un gruppetto dietro. Eppure in quel momento ero super contento, perché mi sembrava tantissimo staccarmi per aspettare Ivan che doveva provare a vincere il Giro. Col senno di poi, se quel giorno non mi avessero fermato, magari non avrei vinto la tappa, però si sarebbe aperto un altro scenario.

Quello che succede ad altri italiani in giro per il mondo…

Come fai a valorizzare un talento italiano se va nelle altre squadre, dove ci sono altri grandi campioni? Se ti vuoi inserire nel gruppo, devi fare quello che la squadra ti chiede. O sei un talentuoso e allora già a 22-23 anni dici al vecchietto di andare a tirare per te, altrimenti fai quello che ti dicono. Se vuoi lavorare in questo mondo è così. Prima o poi nascerà un altro Pantani, ma intanto valorizziamo quel che abbiamo. Siamo bravi a buttarci giù, intanto però abbiamo un po’ di certezze come Ganna e anche tanti giovani promettenti a cominciare da Milan.

Forte, Johnny…

Secondo me ancora non ha fatto vedere neanche il 60 per cento della sua forza. Jonathan è una… bestia. Quest’anno al Giro di Croazia mi ha stupito in maniera assurda ed ha ancora margine. Deve ancora cominciare ad allenarsi da professionista, perché per un motivo o per l’altro finora ha giocato e ha avuto un po’ di infortuni.

Alla partenza de lLombardia con Alessandro De Marchi, compagno di Caruso alla BMC
Alla partenza de lLombardia con Alessandro De Marchi, compagno di Caruso alla BMC
Cosa può fare?

Se arriva in condizione ad un grande Giro e soprattutto riesce a controllare la sua foga, con un po’ di esperienza entro 2-3 anni diventerà uno dei velocisti più forti del mondo. Ma può andare bene anche al Fiandre e alla Roubaix, Jonathan secondo me ha dei margini notevoli, è forza bruta. Questo, è un toro.

E ha solo 22 anni

Non ditelo a me. Al Giro di Croazia ero il più vecchio seduto a tavola e un giorno abbiamo festeggiato il compleanno di Santiago Buitrago che faceva 23 anni, poi il suo che ne compiva 22. E io ero frustrato pensando che la settimana dopo a casa ne avrei compiuti 35. 

Milan secondo Caruso non conosce i suoi limiti. Potrebbe davvero diventare uno dei velocisti più forti?
Milan secondo Caruso non conosce i suoi limiti. Potrebbe davvero diventare uno dei velocisti più forti?
Programmi?

Adesso siamo a riposo tranquilli e poi a dicembre si farà il classico ritiro ad Altea e poi un altro a gennaio. Ci sarà il gruppo che torna in Australia, ma io credo che comincerò in Spagna fine febbraio. Comunque in Europa, a noi vecchietti certe trasferte le evitano, con tutti quegli sbalzi di temperatura. Poi vedremo che programma fare, io ho fatto una richiesta, vedremo se sarà accolta. Per ora me ne sto a casa con la famiglia. Oggi ho fatto un giretto sul tardi, qui fa un bel caldo. Giù al mare fanno ancora il bagno.

Dal Teide la sensazione di un Caruso ancora più tosto

04.02.2022
6 min
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Quando da Ragusa si affaccia verso Comiso, nei giorni limpidi Damiano Caruso vede chiaramente l’Etna. Quei 130 chilometri sono niente al cospetto dei 3.357 metri del gigante nero di Catania. Da un paio di giorni, il suo scenario è pieno di un altro vulcano, alto appena 200 metri di più, ma così vicino da poterlo toccare. Il Teide, luogo mitologico di eruzioni e campioni, che per due settimane farà compagnia alle sue uscite.

«Da un vulcano all’altro – sorride – uno lo vedo in alto, qua siamo quasi in cima. E’ il secondo ritiro di stagione, ho evitato di andare a quello di gennaio con la squadra per non rischiare contagi. Non era il momento per viaggiare. E alla fine è venuto fuori un inverno bello lungo, anche perché ho staccato abbastanza presto, il 5 settembre dopo la Vuelta. Sono arrivato a fine stagione con le batterie scariche e bisogno di tirare il fiato. Ho pedalato ancora a settembre e ottobre, perché da noi in quel periodo è ancora caldo. Poi quando a novembre, guardando la bici, ho avuto voglia di ripartire, ho ricominciato. A pedalare. A curare l’alimentazione. A lavorare, insomma…».

Sul Teide Caruso rifinirà la preparazione, in vista del debutto alla Ruta del Sol (foto Instagram)
Sul Teide Caruso rifinirà la preparazione, in vista del debutto alla Ruta del Sol (foto Instagram)

Il debutto della 14ª stagione da professionista di Damiano Caruso è fissato alla Ruta del Sol, fino ad allora resterà quassù a macinare chilometri e pensieri.

E’ sempre facile riprendere o dopo un po’ diventa complicato?

Dipende sempre da come finisci la stagione. Quando faccio il Tour e poi stacco, la condizione va giù ed è sempre più difficile. Questa volta, avendo fatto la Vuelta, la ripresa è stata buona, perché andando ancora in bici, il corpo non ha mai smesso in effetti di essere efficiente. E comunque anni e anni di adattamento alla bici e a certi meccanismi non si cancellano per poche settimane senza allenarsi.

Come è stato congedarsi dal 2021?

Se guardo indietro, è stato uno spasso. E’ filato tutto liscio. Guardo quello che ho fatto e mi faccio i complimenti, sono soddisfazioni. Sto ancora metabolizzando il tutto, perché un anno così proprio non me lo aspettavo. Anche se pensavo che dopo tanto lavoro, qualcosa di buono prima o poi sarebbe venuto fuori.

Fare la differenza nel gruppo dei migliori ha fatto crescere in Caruso la consapevolezza
Fare la differenza nel gruppo dei migliori ha fatto crescere in Caruso la consapevolezza
Un anno che fa alzare l’asticella?

E’ facile farsi prendere dall’euforia, soprattutto quando ci sei ancora dentro. Sappiamo tutti però che non tutte le annate sono uguali. E poi c’è la carta di identità che potrebbe presentare il conto, anche se continuando a lavorare con lo stesso impegno, il livello sarà ancora buono. Finché hai voglia di fare il tuo lavoro, le cose filano come devono.

Pensi di avere ancora margini?

Fisicamente magari no, non lo so. Però ho lavorato bene per tanto tempo, probabilmente senza ottenere quel che era giusto. Invece a 34 anni ho tirato fuori l’anno migliore. Contano tanto la determinazione e capire che non si deve essere al top in ogni corsa. A questo livello ne bastano 2-3 fatte al top e fai la differenza. Serve la testa per sopportare lo stress e i carichi di lavoro e questa viene con l’esperienza di anni e anni.

Su Instagram, un selfie con il figlio maggiore Oscar, prima di partire
Su Instagram, un selfie con il figlio maggiore Oscar, prima di partire
Come la mettiamo con i ragazzini degli ultimi due anni?

A parte i veri fenomeni, come Pogacar ed Evenepoel, sono curioso di vedere come evolverà la situazione nei prossimi 2-3 anni. Prima o poi il conto da pagare arriva e qui c’è gente che per euforia o necessità, ha corso 4 grandi Giri in un anno. Non siamo fatti per pedalare 40 mila chilometri a stagione. Io credo di aver trovato il giusto equilibrio che mi ha dato una carriera lunga, ma sono pronto a sentirmi dire che se un ragazzo riesce a guadagnare in 6 anni quello che io ho raggranellato in 15, allora può smettere prima. Di certo se quando sono passato fossi stato capace di certi risultati, neanche io mi sarei tirato indietro.

Hai pubblicato un messaggio di auguri a Bernal, con il podio del Giro e la speranza che torni quel sorriso.

Sto male per incidenti del genere, anche quando coinvolgono il vicino di casa. Capisci quanto siamo vulnerabili. Poi ho capito la dinamica e mi sono reso conto che Egan sia fortunato ad essere qui per raccontarlo. E credo che anche lui se ne starà rendendo conto.

Sul podio del Giro, Caruso con Bernal, cui dopo l’incidente va il suo pensiero
Sul podio del Giro, Caruso con Bernal, cui dopo l’incidente va il suo pensiero
Arrivasti in questa squadra per aiutare Nibali, però alla fine del primo anno lui se ne andò.

All’inizio fui spaesato, andava via la persona per cui ero arrivato. Ma mi sono detto che il Team Bahrain Victorious (allora si chiamava Bahrain-Merida, ndr) mi aveva voluto per i miei numeri e così iniziai a fare bene il mio. Cercavano un gregario e avevano trovato un altro corridore. Le cose della vita sono così, forse se lo scorso anno il povero Landa non avesse avuto quella caduta, non avrei mai fatto un Giro così. Ero partito con l’intenzione di vincere una tappa, sapevo che sarebbe venuta, perché avevo le carte per riuscirci.

E il Giro ha cambiato la consapevolezza?

Sono andato alla Vuelta sapendo che una tappa potevo vincerla ancora e così è stato.

In squadra c’è la stessa euforia dello scorso anno?

Se possibile anche di più. Chi ha fatto risultato vuole ripetersi o migliorarsi, gli altri non vogliono essere da meno. Ci sono i presupposti per fare bene. Se due anni fa ci avessero detto che avremmo vinto più di 30 gare, non ci avremmo creduto.

La vittoria di Caruso all’Alto de Velefique alla Vuelta ha dato più spessore a quella del Giro all’Alpe di Mera
La vittoria all’Alto de Velefique alla Vuelta ha dato più spessore a quella del Giro all’Alpe di Mera
Il Giro è stato la conseguenza di alcune situazioni, l’idea era vincere una tappa.

E’ la mia idea anche adesso. Fare un grande Giro per tenere duro tre settimane è logorante a livello mentale. Meglio partire con una buona condizione, puntando a una tappa e vedere se viene fuori altro. Il bello è che per vincere non devo andare in fuga. E vincere andando via dal gruppo dei migliori è una bella sensazione.

Debutto alla Ruta del Sol e poi?

E poi in Belgio a provare la tappa del pavé del Tour. Sfrutteremo i mezzi che sono su per l’Het Nieuwsblad e spero che piova. Voglio provare il pavé nelle condizioni in cui Sonny (Colbrelli, ndr) ha vinto la Roubaix. Affronterò quel giorno con serietà. Voglio mettermi a ruota di uno che conosce quelle strade. Mi piace ancora fare il mio lavoro…

Bisogno di riposo? Caruso si goda pure il suo mese di stop

31.08.2021
4 min
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Questa idea di Damiano Caruso di prendersi un mese di stop a ottobre è stata meravigliosamente destabilizzante. Guidone Bontempi ad esempio ha storto il naso. Il ciclismo vive di pratiche consolidate, che vanno dalle gambe in alto dopo la corsa al fatto che con il passare degli anni serva aumentare la quantità di allenamento per tenere testa ai più giovani. Così se un corridore di vertice di colpo cambia direzione, il sistema vacilla. Anche se il sistema, ad esempio non tiene conto che il corridore in questione viva a Ragusa. E anche questa è un’eccezione cruciale e inedita.

Ne parliamo con Paolo Slongo, oggi tecnico della Trek-Segafredo, che ha lavorato con Caruso negli anni alla Liquigas e seppure non ne conosca gli ultimi sviluppi, può inquadrare il discorso e riferirlo anche a un altro illustre… anziano del nostro ciclismo. Quel Vincenzo Nibali che ha preparato per le vittorie più belle.

Slongo ha lavorato con Caruso a partire dal 2011 alla Liquigas
Slongo ha lavorato con Caruso a partire dal 2011 alla Liquigas
Uno stop di quattro settimane…

Bisogna conoscere la storia del corridore. Sapere se si tratti di un cambiamento dell’ultima ora o di un’abitudine consolidata. E’ normale che per la testa un lungo stacco dopo una stagione intensa come quella di Damiano sia una necessità, ma io non andrei oltre le tre settimane.

Perché?

Perché poi serve più tempo per ricostruire. Ma c’è da capire che cosa si intenda con stacco. Se nelle quattro settimane capita il giro in mountain bike oppure la camminata o la palestra, ecco che non si tratta di un vero stacco e in qualche modo il corpo resta attivo. Tante volte un corridore abituato a fare una media di 4 ore al giorno, dice che non fa niente, perché il giretto di un’ora per lui è obiettivamente poca cosa. E poi comunque dipende dai programmi della squadra.

Damiano Caruso, funghi, inverno, Monti Iblei
Andare a funghi è uno dei passatempo di Damiano quando è a casa. E si tratta pur sempre di camminare per ore nei boschi, altro che stop
Damiano Caruso, funghi, inverno, Monti Iblei
Andare a funghi è uno dei passatempo di Damiano quando è a casa. E si tratta pur sempre di camminare per ore nei boschi
Quando lo vogliono competitivo, insomma.

Esatto. Se devi andare in Australia e poi vuoi lottare per le classiche, quattro settimane a ottobre le recuperi difficilmente. Ma se l’obiettivo è il Giro d’Italia, allora hai tutto il tempo.

Damiano ha parlato del fatto che il vero segreto per la ripresa a novembre sia il clima di Ragusa.

E ha ragione, mentre ci sono corridori che per trovare un meteo favorevole devono partire per la Spagna. Il clima della Sicilia lo aiuta in maniera considerevole, senza fargli perdere troppi giorni di allenamento. E se puoi lavorare bene a novembre, dicembre e gennaio, ecco che la preparazione segue un binario ottimale.

Caruso arrivò alla Liquigas nel 2011 dopo due anni alla Lpr
Caruso arrivò alla Liquigas nel 2011 dopo due anni alla Lpr
Quindi si può sfatare il luogo comune sui lunghi stop?

Più che altro sono dell’idea che non abbia senso e sia anche improponibile che con il passare degli anni si debbano aumentare le ore di lavoro. Ho un archivio storico di tutti i miei atleti e si vede bene come in un monte di 80 ore mensili, con il passare degli anni vada cambiando la suddivisione dei lavori. Non puoi aumentare la quantità, rischi di passare 24 ore al giorno in sella. La qualità ti permette di fare la differenza. La progressione non fa male, però bisogna misurarla avendo tutti i dati alla mano. Prendiamo Nibali…

Prendiamolo.

Vincenzo ha lavorato tanto, ma ha margini. Può aumentare i volumi all’interno dello stesso monte di ore, perché non è arrivato a fare il massimo. Questa gestione gli ha reso la vita più lunga e lavorando nel modo giusto può essere ancora competitivo. Magari non per vincere un Giro, ma per essere più brillante.

Quindi Caruso non ha commesso eresia?

Se lui è convinto e se la squadra gli fa il programma giusto, che si goda pure il suo ottobre di stacco. La testa in certi casi è più importante delle gambe.

La notte che Ragusa s’è fermata e ha cantato per Damiano

Giada Gambino
14.06.2021
5 min
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Accompagnato dal fratello Federico, Damiano entra allo Stadio di Ragusa e, così, tutti in coro cantano: «Un capitano, Damiano un capitano». Non ci crede, si mette le mani in testa, gli spalti sono pieni di persone tutte per lui, da tutta la Sicilia, per rendere onore a chi ha suscitato tante emozioni. E’ una notte magica.

Cammina, va verso il palco, ha gli occhi lucidi, stenta ancora a crederci. Prende il microfono, ringrazia tutti, con un filo di voce piena di riconoscenza e felicità.

Oscar e Greta

I primi a raggiungere Damiano sono i familiari, compresi i piccoli Oscar e Greta, che raccontano qualche piccolo aneddoto di ciò che succedeva a casa durante il Giro d’Italia. Poi il Professore Guarrella, il presidente della squadra che ha lanciato Damiano al ciclismo. Successivamente i compagni di allenamento ragusani che gli regalano due tele con le immagini più importanti della Corsa Rosa. Anche il sindaco e gli assessori portano targhe e pergamene, riconoscendo Damiano come il più grande sportivo della storia della città.

Foto ricordo con il professor Guarrella, suo scopritore: fu lui a spedirlo in Toscana a Mastromarco
Foto ricordo con il professor Guarrella, suo scopritore: fu lui a spedirlo in Toscana a Mastromarco

La voce del Magro

La proiezione del filmato con le immagini e i video dei momenti più belli del Giro con la telecronaca di Magrini, fa venire i brividi a tutti. I racconti della moglie fanno sorridere: è stata l’unica al mondo ad essere in aereo mentre Damiano vinceva la tappa. Per tutto il volo ha dormito, una volta atterrata il cellulare le è esploso di messaggi e chiamate e, non appena capito cosa fosse successo, ha iniziato a piangere senza sosta. Il signore seduto accanto a lei la guardava senza parole, visto che sino a due minuti prima stava dormendo. Ma Ornella era in aereo per una giusta causa: poter abbracciare suo marito a Milano.

Il sole del Bahrein

Ornella continua a raccontare. Qualche giorno dopo sono andati in Bahrein su invito del Principe, sconvolto per il fatto che nel pomeriggio avessero visitato la città sotto il sole cocente, gli unici ad aver fatto una cosa del genere! Ma essendo siciliani il sole non li ha spaventati.

Rotta su Tokyo

La serata è stata commentata da Mario Tribastone, speaker di professione ragusano e Valerio Capsoni per la grande conoscenza del ciclismo e l’amicizia che lo lega al campione. 

L’ondata di affetto che ha travolto il capitano del Team Bahrain Victorius e il numero di tifosi che ha incontrato per strada durante il Giro d’Italia sicuramente non l’hanno lasciato indifferente. Probabilmente è il ciclista italiano più acclamato del momento ed è giusto così. Alcuni hanno tirato in ballo il nome di Pantani, dicendo che non si emozionavano così tanto per una vittoria in salita da quando c’era il Pirata. Perché la vittoria al Giro non è stata una qualunque, ma è stata la Vittoria. E adesso, aspettiamo con il cuore in gola Tokyo… 

Nonno Turi e quelle lacrime per suo figlio Damiano

29.05.2021
3 min
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Nonno Turi, così lo chiama il piccolo Oscar, se ne è andato in campagna, dove il telefono non prende. C’è solo internet. La tappa di suo figlio Damiano l’ha vista dal divano di casa e non deve essere stato facile tenerlo a bada.

«Ho sfasciato due sedie e un piccolo tavolino – ammette con la voce che gli trema – ma sarò ben contento di ricomprarli. E’ una soddisfazione enorme. Adesso hanno capito quanto vale Damiano, una vittoria che ci voleva. Mio figlio è un duro e non è vecchio. Lo vedranno».

Ragusa sta impazzendo per il ciclismo. Se prima nessuno se ne interessava, al di fuori degli appassionati, adesso anche il sindaco Cassì si è fatto prendere dalla febbre e ha illuminato il Municipio di rosa.

Da ieri sera, il Comune di Ragusa è illuminato di rosa: la città impazzita per il Giro
Da ieri sera, il Comune di Ragusa è illuminato di rosa: la città impazzita per il Giro

Un uomo retto

Nonno Turi l’hanno citato da tutte le parti, soprattutto il 23 maggio scorso, nella ricorrenza della morte del giudice Falcone. Salvatore Caruso faceva parte della sua scorta anche prima, quando venne trovata la bomba nella casa dell’Addaura, ma a lui non piace troppo parlarne. Di una cosa però va fiero: quando si parla di Damiano come di una brava persona.

«Sono fierissimo dei miei figli – dice Salvatore, in apertura con Damiano e Federico – hanno valori morali alti rispetto alla media. Avete visto il gesto che ha fatto con il compagno? Quello si chiama rispetto. Per Damiano la famiglia è tutto e vi do per certo che per restare a vivere a Ragusa, ci ha rimesso una barca di soldi. Ma lui sa che quando è via, sua moglie e i suoi figli sono in famiglia. Quando vede le foto di Oscar, suo figlio, che gioca con nonno Turi, lui è tranquillo. E Oscar è innamorato di me, perché lo faccio giocare e fare le capriole…».

Puntare in alto

Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato di sua nuora Ornella (la moglie di Damiano), ma anche il padre è per Caruso un bel punto di riferimento.

«Se la tappa va bene – sorride Salvatore – chiama lui, se va male chiamo io. Per quello non vado alle corse, perché gli metto ansia. Quaggiù abbiamo vissuto il Giro molto intensamente. Lo abbiamo visto caricarsi di questa responsabilità. Quando è caduto Landa, ci siamo sentiti e mi ha detto che non sapeva se puntare a una tappa o a provare la classifica. Io non ho avuto dubbi e gli ho detto di puntare in alto. E oggi ha vinto da campione».

Il ringraziamento a Pello Bilbao dà la misura dell’uomo (immagini tv)
Il ringraziamento a Pello Bilbao dà la misura dell’uomo (immagini tv)

«Non mi staccano più»

Nonno Turi è in campagna perché ha voglia di stare da solo. E sul finale del Giro ha chiaramente il punto di vista di un padre.

«Io credo che Bernal abbia paura di lui – dice – l’avete sentito come ci scherzava? Damiano andrà forte anche nella crono, lui quando ha la testa giusta è un toro. Vi ricordate la crono dell’ultimo Tour? Sapete quando gli è scattata la molla? Dopo Montalcino. Quella sera mi ha chiamato e mi ha detto: “Papà, non mi stacca più nessuno!”. Così siamo andati avanti una tappa dopo l’altra. E vi confesso che oggi ho pianto, io che non piango mai. E’ la terza volta. La prima quando è nato Damiano. La seconda quando è nato suo fratello Federico. E poi ho pianto anche oggi. Grazie della telefonata (la voce si increspa, ndr), adesso vorrei stare ancora un po’ da solo…».

Il Giro di Ornella, volume a tutta, faccende e famiglia

Giada Gambino
28.05.2021
4 min
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A Ragusa splende il sole e fa tanto caldo. Ornella prende un gelato con i suoi bimbi Oscar e Greta che sono avvolti da un clima di felicità e gioia in parte inaspettata, ma quando si tratta di papà Damiano Caruso tutto è possibile…

I giorni prima di una partenza per un grande Giro…  

Sono particolari! Cerchiamo di fare il più possibile insieme ai bambini; pesa più a loro che a me.  Io ormai – riflette Ornella – sono abituata a questo ritmo frenetico: c’è, non c’è, sta una settimana poi va via dieci giorni, sta due giorni e va via due mesi. Nei giorni pre partenza stiamo tutti insieme, con i genitori, gli amici: non ci facciamo mancare nulla, questo gli serve anche per avere un po’ di carica quando sta lontano da casa. 

Caruso è professionista dal 2009, è nato nel 1987
Caruso è professionista dal 2009, è nato nel 1987
Il suo essere (teoricamente) un gregario.  

Non è un compito da niente, è molto importante: è l’ultimo uomo del capitano. Ha dimostrato di saper superare qualsiasi situazione, finché ha le forze c’è sempre. Per fare un lavoro del genere oltre le gambe ci vuole tanta testa.  A lui va bene questo compito, lo gratifica, certo però… quando arriva una vittoria è ancora più bello. 

Quando, improvvisamente, è diventato capitano della Bahrain Victorious in questo Giro d’Italia…

Abbiamo condiviso lo stesso pensiero: era già in classifica, doveva pensare a quella, nel caso in cui fosse andata male… avrebbe puntato ad una tappa. Solo lui sa fin dove può arrivare e cosa può fare; da casa possiamo solo tifare, ma purtroppo non siamo lì a fargli da gregari, anche perché non saremmo abbastanza forti, non abbiamo le sue gambe (sorride, ndr).

Quando vi sentite?

La mattina prima della tappa e dopo, ma non subito dopo, so che ha tante cose da fare e non voglio disturbarlo. Quando va a letto, dedica cinque minuti a me e ai bimbi. 

Cercate di motivarlo?

No, parliamo di tutt’altro; principalmente di cosa hanno fatto i bambini durante la giornata. Nonostante stiamo insieme da tantissimi anni… non è che ne capisca tanto di ciclismo (ride, ndr), il fatto che vada forte in salita lo sanno tutti, lo sa lui e non ha bisogno di sentirsi dire questo da me

Suo figlio Oscar ora ha 6 anni (foto Instagram)
Suo figlio Oscar ora ha 6 anni (foto Instagram)
Quando è tornato a casa con quel baffo… 

L’ho guardato e gli ho detto: «Tu sei pazzo!». Spesso fa delle scommesse con i suoi amici, i quali credono che determinate cose non le faccia, ma siccome è un po’ matto accetta tutte le sfide. Poi, però, l’ho guardato nuovamente e ho esclamato: «Dai… un po’ mi piaci!». E siamo scoppiati a ridere. Il tutto è partito come uno scherzo, ci abbiamo scherzato su, anche noi ragazze ci siamo disegnate il baffo finto e gli abbiamo inviato le foto… se gli ha portato fortuna? Questo lo lascio decidere agli altri. 

Oscar… 

Lo segue un po’ in televisione, ha sei anni, non capisce bene tutto quello che sta succedendo nel particolare. Sa che suo papà è in televisione, che è bravo, sa che è il suo lavoro e che lo porta lontano da lui. Però, naturalmente, si distrae facilmente, la corsa non lo riesce ad intrattenere molto. Gli piace di più quando il suo papà è a casa, va ad allenarsi e quando torna giocano insieme

Come descrivi tuo marito? 

Damiano è una persona molo molto umile, dà tanto, fa tanto per gli amici, ma è testardissimo. Quando si mette in testa una cosa la deve raggiungere per forza, non dice mai: «No, non posso farcela». Lui dice sempre a noi che non c’è niente di impossibile, ma che possiamo riuscire in tutto.  

Con sua moglie Ornella: restare a Ragusa è una scelta nel pieno interesse della famiglia
Con sua moglie Ornella: restare a Ragusa è nel pieno interesse della famiglia
Come stai vivendo queste tappe del Giro? 

Guardo tutte le tappe dal Villaggio di partenza sino all’arrivo. Ovviamente non sto sei ore davanti alla televisione, la metto a tutto volume, faccio qualcosina a casa e mi distraggo anche un po’

Quando Bernal ha iniziato a soffrire e Damiano era lì, solo, che provava a staccarlo… 

Ero felice per lui e per come sta affrontando la situazione. Il momento di crisi ci sta per tutti, sono già alla terza settimana, sono stanchi. In quel momento ero emozionata, un cedimento ci può stare: fa parte del gioco. Testa, cuore e gambe… in alcuni momenti servono tantissimo. 

Hai mai pensato di fare ciclismo? 

Sinceramente… no! Come dice Damiano, sono l’antisportiva per eccellenza. In realtà, anni fa mi ero fatta comprare una bicicletta, ci sono uscita tre volte e poi ho scoperto di essere incinta di Oscar e l’ho posata. Questa è stata la mia carriera ciclistica (ride, ndr)! Preferisco farmi una passeggiata al mare. 

Cosa diresti a Damiano in questo momento?

Ho sempre creduto in lui, sono fiera di lui e di ciò che ha raggiunto oggi. Per me è già una vittoria, comunque andrà sono già soddisfatta. Gli auguro il meglio… (Ornella si emoziona e la voce quasi trema, ndr). Sa quanto vale e sa cosa fare. 

Damiano Caruso, funghi, inverno, Monti Iblei

Damiano, calore di Sicilia, profumo di casa…

Giada Gambino
20.11.2020
4 min
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Damiano pedala lasciandosi alle spalle Ragusa verso Giarratana. Il suo sguardo è sicuro e determinato come quando è in testa al gruppo a tirare. Si volta per guardare qualcosa, allunga il braccio ed indica una struttura lontana. 

«Quella è la mia scuola superiore – sorride – il primo giorno del primo anno, lì… ho incontrato mia moglie».

Ancora caldo

Continua a pedalare e, dopo avere percorso chilometri e chilometri d’asfalto, inizia a scalare Monte Lauro. Le sue narici si allargano, respira profondamente. 

«Mi piace l’aria dei Monti Iblei: è fresca e pulita. Da qui – dice il guerriero della Bahrain-McLaren – passano poche macchine, c’è serenità, l’unico rumore è quello del vento e di qualche foglia che sfiora l’asfalto. In questo periodo c’è ancora tanto caldo. Il paesaggio è prevalentemente giallo, quasi bruciato dal sole ed il terreno è asciutto. D’inverno, invece, è tutto di un verde così intenso e acceso che mi ricorda le Ardenne».

Damiano Caruso, Tour de France 2020
Il Tour de France è un viaggio di 21 tappe, fatto di alti e bassi
Damiano Caruso, Tour de France 2020
Il Tour è un viaggio di 21 giorni, un’avventura

Sicilia nel cuore

Si guarda intorno, i suoi occhi brillano. «Sono innamorato di questi posti, mi hanno accompagnato in tutti gli allenamenti e momenti importanti della mia vita. La mia terra, per me, è insostituibile. Il clima della Sicilia mi permette di allenarmi anche a novembre in pantaloncini. Abbiamo temperature simili a quelle del sud della Spagna. Molti ciclisti devono spostarsi per trovare un luogo ideale per allenarsi senza patire il freddo, io invece ho la fortuna di abitarci, di esserci nato. Ho sempre tratto dei privilegi nel vivere in una città siciliana. Forse l’unico problema è che ad agosto c’è così caldo che anche quando stai in acqua al mare sudi!».

Accenna appena un sorriso che si nota grazie alle fossette che si creano sulle sue guance, poi chiude gli occhi come se qualcosa gli fosse tornato alla mente…

La sua gente

«I sacrifici sono stati tanti, sono dovuto crescere velocemente e mi sono dovuto adattare a varie condizioni; ma l’ho sempre fatto con volontà, motivazione e tanta passione. Questi ultimi sono aspetti che tutt’oggi sono sempre presenti nella mia personalità. Ho sempre voglia di migliorarmi, di rendere felici ed orgogliosi i miei tifosi e la mia famiglia. In questi anni sono riuscito a crearmi uno staff di persone che mi vogliono veramente bene. Che mi aiutano ogni giorno e mi accompagnano in ogni allenamento, per far sì che possa andare tutto per il meglio. Vado sempre in bici con le stesse persone: poche, ma buone. Non mi piace avere attorno tanta confusione quando devo allenarmi seriamente».

Castello di Portopalo, Ragusa, Damiano Caruso
Castello di Portopalo, Ragusa: con questo panorama è bello allenarsi
Castello di Portopalo, Ragusa, Damiano Caruso
Castello di Portopalo, bello allenarsi così

Color tramonto

I colori del completino della Bahrain-McLaren si accendono, è un caso, ma sono proprio gli stessi dei tramonti della sua terra. Si alza sui pedali per fare uno scatto sino alla cima del monte, ha un’aria soddisfatta e allegra.

«Ogni volta che finisco un allenamento o raggiungo una meta – dice Damiano – penso a quanto sia bello l’arrivo di Parigi del Tour. La Grande Boucle l’ho sempre interpretata come un viaggio di ventuno giorni dove ci sono momenti belli, brutti, energici e noiosi. Ma quando tagli il traguardo dell’ultima tappa, indipendentemente dal tuo risultato, hai la consapevolezza di aver terminato una delle corse più importanti al mondo. E questo ti fa sentire forte ed orgoglioso. Soprattutto se, come nel mio caso, riesci ad arrivare tra i primi dieci dimostrando a tutti, e a se stessi, la propria costanza e tenacia nonostante il periodo particolare che si è affrontato».

Damiano Caruso, figlio Oscar 2018
Damiano con il figlio Oscar, al Giro d’Italia 2019
Damiano Caruso, figlio Oscar 2018
Con il figlio Oscar, al Giro d’Italia del 2019

La nostalgia

Scende dalla bici, l’appoggia ad un albero ed ammira il panorama che offre il Monte Lauro, sospira…

«Quando sono lontano da casa – racconta Damiano – mi mancano questi posti che tanto mi hanno dato e continuano a darmi. In realtà, quando sono lontano da casa mi manca tutto ciò che c’è nella mia terra. Soprattutto i miei figli. Quest’anno non ho potuto festeggiare il primo anno di Greta, ma a causa del Covid, stando a casa, ho vissuto momenti che con il mio primogenito, Oscar, avevo potuto osservare solo tramite un cellulare. I primi sorrisi, i primi passi, i primi dentini…».

Lui è il mio papà

«Oscar, adesso, inizia a guardarmi in televisione quando gareggio, comprendendo sempre di più il mio mondo. I suoi compagnetti, quando gli dicono che mi hanno visto in televisione, lo rendono felice ed orgoglioso. Qualche giorno fa, però, sono andato a prenderlo all’uscita da scuola, aspettandolo fuori dalla porta dell’aula. Quando i suoi compagni mi hanno visto, si sono messi a correre venendomi incontro per salutarmi. Hanno ignorato i rimproveri della maestra che diceva loro di tornare in classe. Oscar si è un po’ infastidito. “Lui è il mio papà – ha iniziato a dire – lasciatelo stare!”. Ho ancora la sua voce che rimbomba nella mia mente». 

Damiano ride, risale sopra la bicicletta e, come un fulmine, scende verso Ragusa per riprendere la sua routine da “normale” papà. Lanciato verso un nuovo lungo viaggio e i sapori che gli regalerà la nuova stagione…