Radio e giovani corridori: come insegnare ad usarle?

28.04.2023
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Tiene banco il tema della sicurezza e delle comunicazioni tra diesse e corridori una volta in corsa. Abbiamo sentito il parere di Sagan, e quello di Gasparotto riguardo i nuovi strumenti ed i metodi con i quali vengono utilizzati. Ma per quanto riguarda le radio, i corridori che cosa ne pensano?

Il tre volte campione del mondo aveva sottolineato come troppe comunicazioni distraggano il corridore ed allo stesso tempo creino un enorme stress in gruppo. Soprattutto tra i giovani che si ritrovano bombardati di informazioni e vengono così sopraffatti dal momento.

Pellizzari ha ricevuto tante indicazioni via radio nella tappa del Tour of the Alps con arrivo a Predazzo
Pellizzari ha ricevuto tante indicazioni via radio nella tappa del Tour of the Alps con arrivo a Predazzo

L’esempio Pellizzari

Al Tour of the Alps Giulio Pellizzari, sulle rampe di Passo Pramadiccio, mentre si lanciava alla ricerca della vittoria, continuava a ricevere incitamenti via radio. Ci siamo chiesti allora in che modo venga inserito questo strumento nella vita di un giovane corridore. Ne parliamo con Alessandro Iacchi, classe 1999 in forza al Team Corratec

«Ho fatto in tempo ad utilizzare la radio sia con i professionisti che con gli under 23 – ci dice – la differenza si nota. Rispetto a quando non c’era, si è molto più sicuri in gruppo. Se viene unita alle nuove tecnologie (VeloViewer e ciclocomputer) facilita le comunicazioni. Il diesse ha modo di segnalare i pericoli nei punti cruciali e viceversa».

Gli strumenti sono super accurati, sul ciclocomputer si può caricare il percorso e leggere l’altimetria
Gli strumenti sono super accurati, sul ciclocomputer si può caricare il percorso e leggere l’altimetria
In che modo si insegna ad un corridore giovane come utilizzare questo strumento?

Ti spiegano il funzionamento e come utilizzarlo per parlare. Dal punto di vista tecnico è estremamente facile, schiacci un bottone e sei in contatto con tutti: dai diesse ai tuoi compagni di squadra. 

Come ti spiegano il funzionamento una volta che sei in corsa?

Logicamente mi viene da dire che ti insegnano ad utilizzarla nei momenti importanti della gara. Per quanto riguarda noi corridori, la si usa quando fori, devi andare a prendere l’acqua o devi metterti in comunicazione con un compagno o un diesse. Mi è successo qualche volta di bucare, l’ammiraglia non ti vede a bordo strada e tira dritto. 

Tu hai corso anche senza radio, il modo di interpretare la gara cambia…

Assolutamente. La radio riduce i tempi di comunicazione, e di conseguenza aumenta la sicurezza. Non serve andare ogni volta alla macchina per avere un’informazione e in questo modo si riduce il via vai nel gruppo. 

Alessandro Iacchi compirà 24 anni il 26 maggio. E’ alto 1,70, pesa 59 chili ed è pro’ dal 2020
Alessandro Iacchi compirà 24 anni il 26 maggio. E’ alto 1,70, pesa 59 chili ed è pro’ dal 2020
Però aumenta il nervosismo. 

Questo succede perché alcuni diesse la utilizzano in modo sbagliato a mio modo di vedere. Con gli strumenti che abbiamo possiamo vedere tutto in tempo reale, i ciclomputer ci dicono quanto è lunga una salita e quale sia la pendenza media. Ci avvertono anche quando ci sono delle curve pericolose. 

I ciclocomputer di ora ti segnalano ogni minimo dettaglio del percorso…

Vero. Non servono comunicazioni tecniche, diciamo che è sufficiente ricordare che sta per iniziare una salita. Poi il resto lo vediamo da noi. 

Qual è il modo sbagliato di utilizzare la radio?

Quando la corsa diventa una radiocronaca, ogni minuto hai una voce in testa che ti dice qualcosa. Alla fine diventa fastidioso, soprattutto quando cerchi di concentrarti, che sia in volata o nel leggere il momento giusto della gara. Se il diesse mi parla tutto il tempo, si rischia che la sua voce diventi un brusio di sottofondo e, che tu voglia o meno, non lo ascolti più. 

Fanno eccezione gli eccessi di comunicazione quando si sta raggiungendo un’impresa. Qui Baldato e Marcato dietro Pogacar al Fiandre (immagine Velon)
Fanno eccezione gli eccessi quando si sta raggiungendo un’impresa. Qui Baldato e Marcato dietro Pogacar al Fiandre (immagine Velon)
Qual è secondo te il modo corretto?

Nei momenti concitati della corsa, come quando si forma la fuga, dall’ammiraglia ci dicono subito chi è nel gruppo davanti. In questo modo si possono aggiustare le tattiche in corsa, lì la comunicazione è fondamentale. Un altro esempio è quando il massaggiatore si trova al rifornimento ed inizia a piovere. Lui può avvisare che è cambiato il meteo e noi corridori ci regoliamo di conseguenza. 

Per i giovani allora la radio diventa quasi stressante?

Come detto, dipende da come la si usa dalla macchina. A me troppe comunicazioni non piacciono, altri invece le preferiscono. Però mi sento di dire che a volte è importante ascoltare il gruppo e i suoi rumori.

EDITORIALE / Ha davvero senso vietare le radio così?

26.09.2022
5 min
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Scatenando il solito putiferio, rimettiamo mano al ben noto discorso delle radio in corsa, tema a questo punto di grande complessità e attualità, a giudicare dalle parole appena sentite da Samuele Battistella.

La base ideologica sulla quale siamo cresciuti vuole che se ne dovrebbe fare sempre a meno. Ma le ideologie si evolvono, il mondo ha preso questa strada e bisogna adattarsi per evitare di rimanere indietro. Il ciclismo è cambiato e cambierà ancora. Ci stiamo spingendo verso limiti di prestazione inimmaginabili, su strade per contro sempre meno accoglienti. Per cui anche sul tema delle radio, in termini di sicurezza e supporto alla performance, bisogna fare una bella riflessione.

Rota ha ammesso che non sapeva che il gruppo stava rientrando forte alle loro spalle
Rota ha ammesso che non sapeva che il gruppo stava rientrando forte alle loro spalle

Azzurri in gara

Se ieri al mondiale i nostri corridori le avessero avute, l’ammiraglia avrebbe potuto avvisare i tre leader che i francesi stavano spaccando il gruppo, portando con sé anche Evenepoel e magari uno di loro (in base alle decisioni della riunione pre-gara) avrebbe fatto la sua mossa. Oppure Rota si sarebbe sentito ripetere di restare per tutto il tempo attaccato ad Evenepoel e successivamente avrebbe saputo che da dietro stavano rientrando e, anziché fermarsi a fare melina, si sarebbe giocato il podio insieme agli altri tre.

Se ieri in gruppo ci fossero state le radio, la corsa avrebbe avuto un altro svolgimento. Evenepoel non avrebbe vinto? Uno dei nostri lo avrebbe imbrigliato? Non possiamo dirlo, ma siamo certi che non tutte le dinamiche viste si sarebbero verificate.

Se per i cronometraggi si è passati ai transponder, l’evoluzione deve riguardare anche le comunicazioni
Se per i cronometraggi si è passati ai transponder, l’evoluzione deve riguardare anche le comunicazioni

Gli altri sport

Il problema delle radio è che si usano tutto l’anno, tranne per europei, mondiali e Olimpiadi. Non trovate che sia un controsenso? E’ come far correre i velocisti con le moltipliche libere, costringendoli però al 53 nella corsa più importante. Oppure negare ai cronoman il manubrio speciale solo nel giorno del mondiale. Perché mai?

Allargando il discorso, è difficile trovare un’altra disciplina olimpica in cui il tecnico non possa comunicare con la squadra. Nel calcio è a bordo campo con vari analisti in tribuna che sviluppano sistemi complessi e riferiscono alla panchina. Nel volley e nel basket stessa cosa, con la facoltà di poter fermare il gioco. Nel tennis suggerisce cose a ogni cambio campo. Perché nel ciclismo questo viene proibito nei giorni più importanti? E perché privare gli atleti di un supporto per loro decisivo? 

L’uso della radio in corsa è di uso comune anche per le comunicazioni fra atleti. Ha senso negarla per un paio di giorni all’anno?
L’uso della radio in corsa è di uso comune anche per le comunicazioni fra atleti: ha senso negarla?

L’azione di Evenepoel

Occorre sgombrare il campo da vecchi retaggi. Il ciclismo è lo sport dell’uomo contro l’uomo, dell’uomo contro la natura, questo non cambia. Se si vogliono vietare le radio, lo si faccia fino alla categoria juniores, dove è necessario imparare a correre davanti e sperimentarsi anche nelle situazioni più inattese per imparare a conoscersi. Poi permettiamo a corridori e tecnici dei livelli più alti di fare quello per cui sono pagati. 

A questo punto il tecnico di Evenepoel (Sven Vanthourenhout, con lui in apertura, ndr) potrebbe dire che si tratta di chiacchiere vuote, perché Remco non ne ha avuto bisogno e che sarebbe bastato che gli altri leader fossero stati davanti per vederlo partire. Avrebbe ragione, ma aprirebbe la porta su un altro tema molto delicato. Perché Remco è riuscito a fare senza?

L’abilità di fare la corsa nel finale discende dalla pratica e non sempre i nostri talenti (qui Bagioli) ne hanno l’occasione
L’abilità di fare la corsa nel finale discende dalla pratica e non sempre i nostri talenti (qui Bagioli) ne hanno l’occasione

Abitudine a fare la corsa

E’ emerso nell’avvicinamento al mondiale che anche i nostri corridori più forti sono tenuti quasi quotidianamente a fare la corsa per altri leader. Pur essendo talenti assoluti, riescono a sperimentare solo raramente le loro capacità di leadership. Non devono studiare il modo per vincere la corsa, perché tocca ad altri. E casomai fosse il loro turno, hanno chi nell’auricolare gli spiega cosa fare.

Corridori così non sanno cosa fare se devono giocarsi una grande corsa senza qualcuno che li supporti. E’ un fatto di attitudine e consuetudine. Non hanno quasi più l’abitudine di guardare le lavagne sulle moto e comunque, abituati ai messaggi in tempo reale, le trovano inadeguate. E’ indubbio che lo siano: ieri al mondiale il servizio informazioni è parso piuttosto approssimativo, anche perché gli organizzatori, dando per scontata la presenza delle radio, neppure gli dedicano troppa attenzione. E’ come ritrovarsi per un giorno senza il cellulare in un mondo che ha eliminato quasi del tutto le cabine telefoniche e quelle che ci sono neppure funzionano bene.

L’apporto dei tecnici (qui Velo e Sangalli) è minimo: poco più dell’assistenza tecnica
L’apporto dei tecnici (qui Velo e Sangalli) è minimo: poco più dell’assistenza tecnica

Direttori spogliati

Vietare le radio per tre giorni all’anno è una delle scombinate regole dell’UCI, che non portano al miglioramento dello sport ma incrementano la confusione. Se proprio qualcosa si vuole vietare, si tolgano i misuratori di potenza in gara. In questo caso non si tratterebbe di fermare il progresso, perché se ne consentirebbe l’uso in allenamento, mantenendo al ciclismo le sue prerogative di uomo contro uomo e uomo contro la natura, non di uomo contro quei numeri.

Vietare le radio per tre giorni all’anno, oltre che incoerente, significa spogliare i tecnici delle loro prerogative. E ci chiediamo se in questa continua ricerca del meglio, si tratti di una cosa tanto intelligente.

Radio Rai ci apre le porte. Come lavora la squadra del Giro?

24.05.2022
6 min
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Anche nell’era dei social e della tv in 4K il fascino della radio resta unico. Senti le voci e puoi immaginare ciò che accade, come quando leggi un libro. E se i commentatori (tecnici e giornalisti) sanno il fatto loro, tutto assume un altro sapore.

Il ciclismo alla radio è un ping pong di collegamenti. Microfoni, moto, caschi, cabine, furgoncini mobili… è la “piccola” ma super tecnica squadra di Radio Rai 1 Sport. E’ grazie a loro che ascoltiamo in diretta il Giro d’Italia, mentre magari ci spostiamo di fretta per lavoro o per andare a prendere i figli a scuola. O proprio perché ci piace seguirlo così.

E allora come lavora questa squadra? A guidare le fila della truppa è Cristiano Piccinelli. Toscano, il ciclismo era una passione di famiglia.

«Da bambino – racconta Piccinelli – lo seguivo in tv e ogni volta che passava, poche a dire il vero, scendevo in strada per assistere al Giro».

Silvio Martinello e Cristiano Piccinelli (a destra) nella cabina di commento sulla linea d’arrivo. Alle loro spalle Roberto Speranza
Silvio Martinello e Cristiano Piccinelli (a destra) nella cabina di commento sulla linea d’arrivo. Alle loro spalle Roberto Speranza
Cristiano, innanzi tutto quanti siete al Giro?

In tutto siamo nove. Due giornalisti, Manuel Codignoni ed io, e due commentatori tecnici, Silvio Martinello e Massimo Ghirotto. Io e Silvio siamo nella postazione sulla linea d’arrivo, mentre Manuel e Massimo sono in moto. Ci sono poi cinque tecnici suddivisi in due gruppi. Uno, prettamente tecnico, composto da tre persone che curano la postazione per la diretta. Questo team va diretto all’arrivo. E un altro, composto da altri due tecnici, a più stretto contatto con noi, che segue il coordinamento e la parte social.

Come avviene la scelta dei giornalisti per il Giro?

La scelta è del caporedattore generale Filippo Corsini. E a dire il vero non è una scelta così vasta, visto che oltre a me a seguire il ciclismo c’è Giovanni Scaramuzzino, il quale però fa anche il primo campo di Tutto il Calcio Minuto per Minuto e spesso è in studio.

Tu come sei arrivato al ciclismo?

Da buon toscano seguivo più il ciclismo che il calcio. Ma lo seguivo in tv, non ho mai corso. In bici ci andavo per piacere. All’inizio in Rai Sport in redazione seguivo il calcio e lì è un compartimento più stagno, nel senso che se sei su quello fai solo calcio. Con il passaggio alla radio c’è stata sin da subito una certa richiesta di “multidisciplinarietà”, in più con Manuele Dotto che è andato in pensione si è aperto uno spiraglio nel ciclismo. Ho fatto delle prove per arrivare sin qui.

Massimo Ghirotto, è sulla moto 1, solitamente quindi segue la fuga. Altimetria e lista dei partenza sono sempre a portata di mano
Massimo Ghirotto, è sulla moto 1, solitamente quindi segue la fuga. Altimetria e lista dei partenza sono sempre a portata di mano
Prove, nel senso che hai fatto dei test in studio?

Più che altro ho fatto delle prove a casa. Prendevo dei filmati e commentavo. Ho inviato i file audio a chi di dovere e poi sono stato buttato nella mischia, allo sbaraglio se vogliamo. E sono anche stato fortunato: la prima corsa che ho commentato è stato il Giro delle Fiandre vinto da Bettiol!

Come vi muovete, Cristiano?

Allora, il gruppo dei tre tecnici va direttamente all’arrivo e non è quasi mai con noi: loro dormono anche nei pressi dell’arrivo. Uno di loro come detto conduce il mezzo con attrezzature e strumentazioni necessari per i servizi e la diretta e gli altri due si spostano con un altro mezzo e curano la postazione per la diretta. Poi ci siamo noi sei: Codignoni, Ghirotto, Martinello, io e gli altri due tecnici: Roberto Speranza e Mauro Lorenzo. Anche noi abbiamo due macchine e dormiamo però in prossimità della partenza.

Una logistica diversa dunque per l’intero gruppo…

Esatto. Soprattutto perché Manuel Codignoni e Massimo Ghirotto devono prendere le moto. E ci regoliamo affinché possano entrare in corsa nel momento in cui la cronotabella dice che i corridori passeranno in quel punto per le 14 circa. I due tecnici che sono con noi li lasciano in quel punto e poi vengono all’arrivo. Martinello ed io, che abbiamo un’altra macchina, andiamo all’arrivo di tappa. Il sabato e la domenica iniziamo già alle 13:30, mentre durante la settimana alle 15.

Manuel Codignoni, è sulla moto 2, solitamente sul gruppo, ma chiaramente tutte le posizioni sono relative all’andamento della corsa
Manuel Codignoni, è sulla moto 2, solitamente sul gruppo, ma chiaramente tutte le posizioni sono relative all’andamento della corsa
Tutto è ben cadenzato.

Colazione tutti insieme e poi ognuno nel suo mezzo. Durante la colazione dalla sede centrale di Radio Rai ci arrivano gli spazi per gli spot e la scaletta. Da lì come detto ci regoliamo per essere in zona traguardo in abbondante anticipo così quando arriviamo abbiamo il tempo per verificare che tutto funzioni perfettamente. Pranzo veloce, che a volte si salta, e via in diretta.

E qui come funziona?

All’inizio, ogni 30′ abbiamo dai 5′ ai 7′ di spazio, dipende dal palinsesto, mentre dalle 16:30 con Scaramuzzino che è in sede, c’è la diretta. Coinvolgiamo sempre degli ospiti, solitamente ex corridori, tecnici, atleti che magari non sono in corsa e chiaramente commentiamo la tappa. La diretta va avanti fino alle 18. Nel week end finiamo un po’ prima, in quanto ci sono altri eventi sportivi, inoltre nella diretta del fine settimana si “palleggia” anche con il calcio, la Formula 1, la MotoGp…

La diretta dunque va avanti anche dopo il termine della tappa…

Sì, soprattutto con Manuel Codignoni che sceso di moto va in mix zone e intervista i protagonisti. Di solito vincitore e maglia rosa non mancano mai.

A fine tappa giornalisti e tecnici si radunano nel furgoncino con le strumentazioni per realizzare i servizi per i radiogiornali
A fine tappa giornalisti e tecnici si radunano nel furgoncino con le strumentazioni per realizzare i servizi per i radiogiornali
E dopo?

Chiusa la diretta ci mettiamo sui servizi da mandare in onda la sera. Abbiamo uno spazio interno nei radiogiornali delle 19, di mezzanotte e in quello delle 8 del mattino successivo. Mentre per il fine settimana abbiamo un po’ di spazio in più: 6′-7′ in cui fare dei riassunti, degli approfondimenti…

Quanto durano questi servizi e quanto tempo vi impiegano?

Durano un minuto, un minuto e dieci secondi, sono i tempi della radio. Per realizzarli cerchiamo di essere molto veloci, non perché si vuol essere sbrigativi, ma perché poi ci sono sempre dei lunghi trasferimenti da affrontare. Comunque ci vuole circa un’ora e mezza per quel minuto e poco più di servizio. E anche noi, come voi giornalisti, scriviamo quel che poi diciamo a voce. Solitamente mi preparo il testo a mente, mentre dalla postazione di commento sull’arrivo mi sposto al camioncino tecnico. Ogni tanto, se ci sono delle emergenze e tempi super stretti invece si va a braccio. Ma devo dire che i nostri tecnici sono bravissimi e se impieghiamo poco il merito è anche loro. Oltre ai servizi se c’è qualcosa di particolare inviamo anche un’intervista più lunga che poi in redazione utilizzano come meglio credono.

E quindi vi rispostate verso la partenza successiva…

Esatto e la sera stiamo a cena tutti e sei. Siamo un bel gruppo, affiatato. E a tavola ci rilassiamo scherzando e ridendo.

Bartoli, pochi dubbi: senza radio corse più belle

12.03.2021
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«Io non la sopportavo». Capita che durante una chiacchierata con Michele Bartoli, il discorso cada sulle famigerate radio, che collegano costantemente i corridori alla loro ammiraglia. Quando il vincitore di tante classiche correva, il loro utilizzo era stato appena sdoganato, ma non era massiccio come ora.

Uno strumento che secondo il toscano ha cambiato il ciclismo, e in peggio: «Il ciclismo di oggi è preordinato e quindi rischia di essere noioso, sempre svolto su copioni prestabiliti e diretti dall’esterno quasi i ciclisti fossero burattini manovrati da fili. No, non mi piace, non mi è mai piaciuto».

Non è cosa di poco conto, perché le radio hanno profondamente mutato il mestiere stesso del ciclista: «Quando affrontavi una gara, ad esempio era molto importante metterti lì a studiare il percorso, imparare a conoscerlo, magari fissare nella mente quei due-tre punti utili dove piazzare un attacco o comunque provare a smuovere la situazione. Senza la radio saresti chiamato a decidere metro dopo metro che cosa fare, quindi la radio toglie quella primaria qualità che consiste nel saper leggere la gara e la sua evoluzione».

Quali sono le qualità che inibisce?

L’estro, la fantasia soprattutto in quei corridori che hanno qualcosa in più che ne fa dei campioni, strutturati o potenziali. Il campione si vede non solo per lo scatto, per la continuità, ma anche per il suo saper capire come la gara sta per evolversi, che cosa fare per cambiare un destino che sembra già scritto. Le sfide più belle sono quelle dove ci si guarda in faccia, si studia l’avversario, si pensa a dove attaccare e quando. Ora invece è già tutto scritto.

«Con Ferretti si facevano le riunioni ei si usciva sapendo ciò che andava fatto»
«Con Ferretti si facevano le riunioni ei si usciva sapendo ciò che andava fatto»
Oltre al campione “finalizzatore”, non rischia di essere svilito anche il ruolo del “regista in corsa”, il corridore più esperto della squadra che pilota i suoi compagni verso le varie mansioni?

Certamente ed è una figura importante, forse tante volte dimenticata. Spesso è chi ha esperienza, chi ha vissuto quelle stesse situazioni che può dare il consiglio giusto in corsa, che può magari dirti: «Mettiti a ruota, ti riporto sotto». Oppure: «Risparmia le gambe, sono azioni velleitarie, lascia che se ne occupino gli altri». Ora non serve più, c’è chi guarda la gara dallo smartphone e ti dice che sta succedendo e che cosa devi fare. Ma il vero direttore sportivo non è questo…

Cosa intendi dire?

Io ho avuto la fortuna di correre con la guida di Ferretti: quando finivamo la riunione prima della gara avevamo sempre un piano A e uno B, sapevamo che cosa fare e uscivamo dalla riunione con le idee chiare. Il vero direttore sportivo sa prevedere la gara prima che si svolga, ti dà le indicazioni giuste mettendoti nelle condizioni poi di giocarti le tue carte in base alle tue sensazioni e ragionamenti. Secondo me oggi le gare sono appiattite e lo stesso ruolo dei Ds è svilito.

Quindi proibiresti le radio in corsa?

Diciamo che il loro utilizzo dovrebbe rimanere confinato nei limiti delle comunicazioni legate alla sicurezza, delle decisioni prese dai giudici. Il resto dovrebbe tornare in mano a chi corre e al suo intuito, solo quello dovrebbe fare la differenza insieme alle gambe…

Ghirotto, dieci Giri in moto Rai

07.10.2020
6 min
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Nella carovana del Giro d’Italia, Massimo Ghirotto rappresenta ormai una colonna portante. Vive ogni tappa da dieci anni, in sella alla moto di Radio Rai. Ex corridore, dopo diverse esperienze come commentatore radio a cavallo del 2000, un giorno Antonello Orlando, Giovanni Scaramuzzino e il caporedattore Riccardo Cucchi gli fanno la proposta: «Massimo te la senti di salire in moto?». «Perché no, risposi io», racconta il padovano. «Il ciclismo lo conosco e qualche esperienza col microfono l’ho fatta. Mi butto».

Ghirotto arriva da noi con l’attrezzatura da moto ancora in mano. Ci sediamo su un muretto a bordo strada ad Agrigento. Alle nostre spalle gli operatori della logistica smontano le transenne e di fronte invece il sole tramonta sul Mediterraneo. Questo non è un luogo casuale. Qui, nel 1994 Massimo rischiò di diventare campione del mondo, dopo una lunga fuga.

Giro d’Italia 2020, Massimo Ghirotto dopo la tappa arrivata ad Agrigento
Massimo Ghirotto dopo la tappa di Agrigento
Massimo, salire in moto significa tornare ogni giorno in gruppo?

Eh sì, vivi delle immagini e delle situazioni da così pochi metri che mi rivedo corridore. Anch’io vedevo queste moto che ci giravano intorno.

Cosa ricordi delle prime volte?

L’inizio non fu facile. La radio è bella, ma micidiale perché ha i tempi. E se non riesci a rispettarli e a fare tutto bene in quello spazio è un problema. Ho trovato giornalisti come Emanuele Dotto che mi hanno aiutato, che sono stati maestri. Professionisti gentili e molto aperti. Perché, credetemi, ci vuole molto poco ad andare in difficoltà

Spiegaci meglio…

Solitamente hai tra i 30 e i 50 secondi per il tuo intervento. E in quel lasso di tempo devi sviluppare il tuo concetto in modo chiaro e corretto. A volte appena chiudi il microfono ti rendi conto di qualche errore: un nome sbagliato, una frase che non scorreva bene. Inoltre se c’è un tema tecnico devi essere bravo a spiegarlo in poco tempo.

Ricordi un momento particolarmente difficile?

Ah sì! Fu proprio al primo Giro. Eravamo in Romagna, nella tappa che arrivava a Cesenatico e che vinse Manuel Belletti. All’epoca ero sulla moto 2, quindi dietro al gruppo. Mi chiama la regia e mi dice: Massimo vai avanti che la moto di Scaramuzzino si è rotta. Così piombammo sulla fuga, ma andai nel panico perché non avevo le informazioni dei fuggitivi. Cercai di arrangiarmi come potevo. Ad un certo punto nel fuorionda chiamai la regia e dissi loro di coinvolgermi il meno possibile. Capirono la situazione e mi diedero sostegno. Da lì però ho capito tante cose e mi sono organizzato meglio.

Gli appunti del “Ghiro” scritti in moto dietro ai comunicati stampa che emette la macchina d’informazione
Gli appunti del “Ghiro” scritti in moto
E adesso come gestisci il tuo lavoro?

Con questi (ed indica lo smartphone ciondolandolo tra pollice ed indice, ndr) tutto è più facile. A metà tappa vado nella macchina di radio informazioni e prendo i fogli dei comunicati. Inizio a leggerli e poi nel retro scrivo i miei appunti. Con lo smartphone ricostruisco la corsa e studio i corridori. Sapete, mi sono preparato un foglio Excell con tutti i partecipanti del Giro. Su ognuno posso cliccare e finisco sulla loro pagina di Wikipedia.

Quindi non segui tutta la corsa?

No. Noi entriamo in diretta solitamente alle 15, magari in altre tappe possono cambiare gli orari. Ma in base all’inizio della diretta prendo la tabella oraria del Garibaldi (il librone del Giro su cui c’è TUTTO, ndr) e con il motociclista arriviamo un po’ prima nel punto dove passerà la corsa e nell’orario stabilito. Mi cambio ed entro in gara.

Rispetto ai tuoi tempi cosa è cambiato nel gruppo?

Poco. Una strada, una bici e un corridore: l’essenza del ciclismo è ancora questa. Sono cambiati i materiali, ci sono le radioline, nuove tecnologie… ma alla fine resta l’atleta che fatica. Forse i corridori si conoscono un po’ meno rispetto a noi. Il ciclismo era meno globalizzato e noi eravamo sempre gli stessi. Quindi sapevamo quello che sarebbe caduto in quel tratto di strada, quello che sarebbe andato in fuga, quello che avrebbe fatto lo sprint.

Giro 2016, Guillestre – Sant’Anna di Vinadio. Nibali completa la rimonta su Kruijswijk e va in rosa
Giro 2016, Nibali verso la rimonta su Kruijswijk
Da quando sei sulla moto Rai chi è il corridore che più ti ha colpito?

Facile, Nibali. Vincere il secondo Giro come ha fatto lui non è stata cosa da poco. Anche noi tecnici lo davamo per spacciato. Vincenzo invece in due tappe ha ribaltato la situazione. E mi piace questa sua capacità di non sottovalutarsi mai. Evidentemente si conosce così bene che sa quando non deve mollare. In quel Giro fu l’unico a restare lì con le gambe e con la testa. E alla fine ci è riuscì. Anche come ha vinto la Sanremo senza essere al top. Stiamo parlando di un ragazzo che ha vinto i tre grandi Giri e questo dovrebbe bastare. Andiamo a vedere i nomi di chi ci è riuscito. Devi tirare giù Merckx, Anquetil, Gimondi, Hinault, Contador… E poi è sempre coi piedi per terra, modesto. Dà una bella immagine di sé

Ci sono dei momenti intensi coi corridori, in cui li inciti, vi guardate?

Cerco di farli stare tranquilli e concentrati. Anche perché non posso avvicinarli troppo per regolamento. Semmai li affianco per studiare il volto e capire come stanno. Piuttosto mi muovo tra le ammiraglie, con i direttori sportivi, molti dei quali sono stati corridori con me e sento il loro pensiero.

Giro d’Italia 2014, da Ponte di Legno a Val Martello. Nairo Quintana prenderà la maglia rosa accumulando vantaggio nella discesa dallo Stelvio.
Giro 2014, Quintana prenderà la rosa in fondo allo Stelvio.
In dieci Giri ne hai viste di situazioni e di corridori. Ci racconti come andò il “caos” della discesa dello Stelvio nel Giro 2014, quello di Quintana?

Quel giorno ci fu un errore della giuria e dell’organizzazione. Nessuno capì davvero se il tempo era stato neutralizzato o no. Il regolatore delle moto (era Marco Velo, ndr) iniziò a fare cenno di andare piano con le braccia, ma non ci furono comunicazioni ufficiali. Nairo Quintana non fece un attacco vero,  andò giù regolare per i fatti suoi, mentre dietro c’era chi si fermava, chi si cambiava perché nevicava. Una volta a valle ci si rese conto della frittata.

Alberto Contador con la sua andatura ciondolante sulle strade del Giro 2015
Contador e la sua andatura ciondolante
Diamo un po’ di giudizi tecnici: chi ti è piaciuto di più?

Tra gli scalatori Alberto Contador. Il suo stile era unico. Era un ondeggiare sui pedali molto elegante. Quel modo di mulinare i pedali. In generale mi piace molto Elia Viviani: un ragazzo che si muove bene, si prende le sue responsabilità e ammette quando sbaglia. Mentre il vero funambolo era Robbie McEwen, un bel limatore. E Caleb Ewan è sulla sua strada.

Filippo Ganna nella cronometro di Monreale. Il piemontese ha stregato il “Ghiro”
Nella crono di Monreale Ganna ha stregato il “Ghiro”
E a cronometro?

Fino a questo Giro avrei detto Tom Dumoulin. Quando vedo un ragazzo che fa velocità, che è composto, mi esalto. Inoltre Tom aveva la maglia di campione del mondo. Ma poi è arrivato Filippo Ganna! Pippo mi ha davvero stregato. Bello, potente, composto, mulinava il 60×11. L’ho seguito e sono rimasto affascinato dalla sua posizione. Questo busto perfettamente allineato con l’asfalto. Io metto il computerino che uso in bici sulla moto così ho dei dati a me più familiari. E vedere che per più volte ha superato i 100 all’ora e lui è rimasto fermo sulla bici è stato unico. Non a caso nelle mie pagelle alla radio, la sera gli ho dato 10 e oro!