Avevamo imparato a conoscere Quinten Hermans nel ciclocross. Non un corridore qualsiasi, ma uno dei più forti, almeno dopo i “tre tenori”. Dallo scorso anno avevamo anche cominciato a seguirlo non solo d’inverno, ma anche su strada. Resta però il fatto che il secondo posto di domenica alla Liegi-Bastone-Liegi abbia avuto un sapore speciale e per molte ragioni. Innanzitutto perché è stato il primo podio in una Classica Monumento nella storia dell’Intermarché Wanty Gobert. Poi perché lo ha ottenuto battendo in volata proprio uno di quei tre, Wout Van Aert, che gli ha sempre fatto mangiare terra e sabbia, ogni inverno.
«Sapevo che la mia condizione era abbastanza buona per sopravvivere a tutti questi chilometri – raccontava subito dopo la gara – ma quando ho guardato la lista di partenza, ho capito subito che non ero l’unico in grado di farcela. Fortunatamente, la gara è andata in modo perfetto. Sono sempre stato in testa al momento giusto e queste strade sono ideali per me: gli sforzi durano al massimo cinque minuti. Inoltre, so che il mio sprint resta buono dopo una gara lunga e dura. Ho solo fatto buon uso di tutto ciò».
Piva aveva visto le sue possibilità
Valerio Piva, il suo diesse, ha iniziato a conoscerlo lo scorso anno e dalla sua testimonianza di capisce come l’esplosione di Hermans fosse solo questione di tempo: «Lo portai al Giro dei Paesi Baschi, sapevo che aveva bisogno di tempo per recuperare dagli sforzi invernali, ma intuii subito che aveva un’esplosività tipica del ciclocrossista, una grande esuberanza tanto che andava quasi frenato, tanto era il suo ardore nell’affrontare le corse. Lavorandoci sopra, ha affiancato a queste qualità anche il fondo tipico dello stradista e ne è venuto fuori un corridore ideale per le classiche delle Ardenne».
Hai avuto bisogno di tempo per inquadrarlo?
Sì, è normale che sia così, ma già lo scorso anno fece vedere belle cose, finì vicino ai primi 10 alla Freccia Vallone e fu con i migliori alla Liegi fino alla Roche aux Faucons. Fu però al Giro d’Italia che mi colpì, fu lì che provò a sfruttare l’esuberanza di cui parlavo prima. Andava quasi sempre in fuga, era sempre tra i più attivi a inizio tappa e colse anche qualche buon piazzamento. Lì capii che, con una preparazione mirata, poteva fare grandi cose nelle classiche.
Cosa avvenuta quest’anno…
Eppure non è stato un avvicinamento facile. Aveva iniziato bene la stagione su strada, al Giro dei Paesi Baschi era già con i primi ma dopo essere stato terzo nella seconda tappa, alla terza ha chiuso con 39 di febbre e come lui gli altri compagni tanto che ho dovuto portarli via tutti. Era disperato, temeva di perdere proprio le classiche alle quali teneva di più. Da allora non ha corso più, si è allenato e una settimana prima siamo andati a fare la ricognizione sia della Freccia che della Liegi. Ha interpretato la prima come preparazione della seconda e i risultati si sono visti.
Il suo secondo posto ti ha sorpreso?
Per certi versi sì, considerando da che cosa arrivava. Sapevo che poteva far bene, sapevo anche che ha uno spunto veloce, ma quando in una volata secca ti ritrovi a battere Van Aert, significa che vali davvero tanto, anche perché non era stata una gara semplice. Ha corso con molta attenzione, gestendosi al meglio.
Battere in volata Van Aert, per un ciclocrossista come lui, deve aver avuto un significato particolare…
Credo che neanche lui se lo aspettasse. Alla radio glielo avevo detto: « Guarda che sei veloce, guarda che dopo una gara simile te la puoi giocare». Con Van Aert su 10 sprint ne perderà 9, ma in una situazione simile, con l’avversario alla sua prima gara dopo il Covid, non brillante come sempre, aveva le sue possibilità. Ho avuto l’impressione che anche Van Aert sia rimasto sorpreso dall’essere stato rimontato.
Quest’inverno Hermans aveva iniziato la stagione alla grande, vincendo nella tappa di Coppa del Mondo di ciclocross a Fayetteville tanto che Pontoni lo dava tra i favoriti per il mondiale, l’impressione è che però poi abbia un po’ calato il rendimento: pensava già alla strada?
Un po’ sì, ma non è solo per questo. Hermans ha sempre avuto un grande avvio di stagione, poi andava un po’ spegnendosi. E’ un corridore che vive molto di sensazioni, ad esempio soffre molto la rivalità con Iserbyt, ha come un complesso d’inferiorità. Durante la stagione del ciclocross abbiamo fatto un ritiro su strada e lui è venuto, ci aveva detto che teneva ai mondiali, ma anche che pensava molto al periodo delle Ardenne, credo che questo un po’ abbia influito sul suo rendimento a gennaio.
Il suo secondo posto è stata la ciliegina sulla torta per la vostra squadra.
Se me lo avessero detto all’inizio, di un avvio simile, avrei messo mille firme. Già 6 vittorie in stagione, con due classiche con Girmay a Wevelgem e Kristoff alla Schelderprijs e poi piazzamenti alla Roubaix e alla Liegi, significa che abbiamo lavorato bene, soprattutto in confronto allo scorso anno quando l’inizio non fu favorevole. I problemi non sono mancati, vedi quanto successo al Paesi Baschi, ma la stagione è ancora lunga.
Ora arrivano i grandi giri, dove la vostra squadra si è sempre ben distinta.
Ai ragazzi ho sempre parlato chiaro: non abbiamo l’uomo da classifica né il velocista per le tappe, quindi dobbiamo correre lavorando di fantasia, inventare ogni tappa e i risultati si sono visti Quest’anno al Giro avremo una squadra più forte dello scorso anno, con Hirt e Pozzovivo per la classifica, Girmay, Rota e Taaramae per le tappe, un bel mix di esperienza e freschezza. Non siamo lì per vincere la maglia rosa, ma per fare bottino e mettere pepe in ogni frazione. Hermans non ci sarà, sarà utile più avanti.