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Tag: psicologo

Le vacanze dei corridori: non importa dove, ma serve staccare

Stefano Masi
12.11.2024
5 min
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Lo stacco di fine stagione non è uguale per tutti, sia per i tempi che per la meta scelta. Molti corridori partono per viaggi oltre Oceano, verso isole caraibiche o Paesi lontani. Altri, invece, preferiscono la tranquillità di casa, non rinunciando all’attività fisica. Alcuni non rinunciano nemmeno alla bicicletta.

Questo periodo, quello che intercorre tra la fine delle gare e l’inizio della preparazione invernale, è fondamentale. In pochi giorni i corridori ricaricano le batterie, è importante riuscire a riposare e presentarsi pronti ai primi impegni. Non riuscire a creare un periodo di stacco tra una stagione e l’altra rischia di compromettere la salute fisica e mentale dell’atleta?

Le vacanze in posti lontani sono un modo facile con il quale staccare la mente e isolarsi dal mondo
Soprattutto per i giovani le vacanze sono un modo per fare una vita più normale (foto Instagram/Francesco Busatto)
Le vacanze in posti lontani sono un modo facile con il quale staccare la mente e isolarsi dal mondo
Soprattutto per i giovani le vacanze sono un modo per fare una vita più normale (foto Instagram/Francesco Busatto)

Sempre meno tempo

Il calendario delle corse, come visto, si allunga, arrivando a impegnare mesi che una volta rappresentavano un terreno neutro. Ora gli atleti si fermano un paio di settimane, massimo tre. L’aspetto psicologico diventa importante, abbiamo chiesto così a Enrico Rocca, psicologo sportivo, in che modo scegliere il giusto momento in cui fermarsi. 

«Il ciclismo è uno sport strano da un certo punto di vista – spiega Rocca – intanto perché ci sono le squadre, ma la prestazione è individuale. In uno sport di squadra come il calcio o il basket staccare diventa più semplice. Partire per destinazioni lontane è quasi un’abitudine, anche perché in vista della ripresa non ci sono grandi problemi nel tornare alla condizione migliore. Comunque dove non arriva uno di solito arriva un altro. 

«Nel ciclismo serve invece coscienza – riprende – perché poi in bici si sale da soli e le squadre fanno piani e programmi per ogni corridore. Il periodo di vacanza è sempre meno, sia per il calendario ma anche per scelta degli atleti stessi. Questo perché poi ritornare in condizione non diventa una cosa troppo difficile».

Bruttomesso si è concesso pochi giorni di vacanza, poi si è riposato a casa
Nonostante tutto anche un breve viaggio permette di ritrovare l’equilibrio
Le vacanze sono un modo per tenere vivo il rapporto tra compagni: qui Pellizzari e Paletti
Bruttomesso si è concesso pochi giorni di vacanza, poi si è riposato a casa
Nonostante tutto anche un breve viaggio permette di ritrovare l’equilibrio
Le vacanze sono un modo per tenere vivo il rapporto tra compagni: qui Pellizzari e Paletti

Il riposo della mente

Abbiamo visto sui social le diverse scelte fatte dai ciclisti. Queste dipendono tanto dallo stile e dalle condizioni di vita. I ragazzi giovani scelgono a volte di non partire perché coetanei o fidanzate hanno impegni scolastici. Altri atleti rimangono a casa perché hanno una famiglia e non si può sempre interrompere la vita di tutti per partire. Alcuni ancora, invece, riescono a lasciare tutto alle spalle e prendere un aereo.

«Dal punto di vista mentale – continua il nostro psicologo – ognuno gestisce lo stacco come meglio crede. La cosa importante è riuscire a riposare per ripartire con la giusta dose di energie e motivazione. C’è chi preferisce contesti insoliti e viaggiare, mentre altri gradiscono maggiormente restare nella propria città e fare le cose che normalmente faresti con gli amici. Una birra al bar, un’uscita in montagna… Lavoravo con un’atleta che preferiva rimanere a casa a fare giardinaggio. Mi diceva fosse il modo migliore per riconciliarsi con se stessa. Anche in questo caso si tratta di trovare un equilibrio».

Un’uscita in mountain bike con gli amici è comunque un modo per divertirsi e fare una pedalata spensierati
Un’uscita in mountain bike con gli amici è comunque un modo per divertirsi e fare una pedalata spensierati

Bici sì, bici no

Sui social dei corridori non circolano solamente foto di spiagge bianche o panorami mozzafiato. C’è chi anche aggancia i pedali e fa girare le gambe, con il solo scopo di divertirsi. Uno di questi è Pietro Mattio, che proprio qualche giorno fa si è sciroppato un giro di 300 chilometri con un amico. 

«La bicicletta – spiega ancora Rocca – non è da demonizzare. Rispetto al passato i corridori sono in grado di contestualizzare meglio quello che fanno. Ci sono atleti che vivono l’attività come una professione e quindi devono staccare per recuperare. Al contrario c’è chi ha la passione per la bici e ogni tanto si concede un’uscita, magari in mountain bike. Credo che questa libertà sia anche frutto dei preparatori e della loro grande competenza. Anni fa non era facile far rientrare i ciclisti in forma perché non c’erano così tante conoscenze, di conseguenza i diesse tendevano a uniformare il periodo di stacco. Ora l’atleta sa che può fare ciò che vuole, perché al primo ritiro sarà inquadrato e indirizzato verso la preparazione migliore».

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REmco Evenepoel 2023

Non di sole gambe: parole importanti di un insolito Mondini

Enzo Vicennati
06.06.2024
7 min
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Non di sole gambe, ha detto l’altro giorno anche Paolo Slongo. La vita del corridore si fonda soprattutto sull’aspetto psicologico. E in base alla formazione ricevuta, l’atleta sarà in grado di gestirsi fra le sue aspirazioni e le richieste di chi lo paga. Gianpaolo Mondini è stato corridore fino al 2003, vincitore di una tappa nel Tour del 1999. E anche se dal 2010 tutti lo conoscono come uomo di Specialized, nel cassetto ha una laurea in psicologia presa in quello stesso anno. Finora gli americani gli hanno dato da mangiare, ma questa volta abbiamo chiesto al romagnolo di Faenza di rispolverare il suo titolo.

Intendiamoci, in gruppo operano diversi psicologi, alcuni molto bravi e più preparati di lui. Tuttavia parlando con Mondini alla partenza della Freccia Vallone, avevamo notato quanto l’aver corso e poi frequentato il gruppo in una veste differente gli abbia dato un punto di vista piuttosto completo. Perciò, con il discorso di Slongo nelle orecchie a proposito di giovani atleti e pressioni da sopportare, abbiamo deciso di metterlo alla prova.

«Quello che bisogna cercare di fare è non generalizzare – dice sicuro Mondini – perché il problema grosso è capire quanto il soggetto sia indipendente per riuscire a gestire certe dinamiche. Quello che secondo me viene a mancare e che invece bisognerebbe riuscire a fare, è una sorta di adattamento, di preparazione mentale già partendo dagli juniores. Adottare pratiche per imparare a gestire lo stress nei vari momenti: nella preparazione, nella corsa e nel dopocorsa. Qualcuno potrebbe dire che sono cose basilari, ma non vengono fatte».

Gian Paolo Mondini
Gianpaolo Mondini, classe 1972, è stato professionista dal 1996 al 2003. Dal 2010 lavora per Specialized
Gian Paolo Mondini
Gianpaolo Mondini, classe 1972, è stato professionista dal 1996 al 2003. Dal 2010 lavora per Specialized
Un esempio?

La gestione della sconfitta e della vittoria. Sembra banale, ma alcune vittorie possono mettere in difficoltà più di alcune sconfitte. E’ più facile imparare quando perdi, perché comunque davanti al risultato non ottimale, hai una spinta a fare meglio. Prima ci sarà una fase di depressione o di accettazione. Poi però ti arriva la reazione che quasi sempre corrisponde a un allenarsi di più, a un incentivo per migliorarsi. Ma quando vinci, come fai a migliorarti? Quando arrivi al numero uno, cosa fai?

Già, cosa fai?

Chi vince corre il rischio di sedersi o comunque di dire a se stesso di aver ottenuto quello che voleva e sentirsi appagato. Mi riposo e mi guardo attorno. Questa è la fase più pericolosa. Pogacar ha stravinto il Giro d’Italia, ha dominato. E’ riuscito praticamente a vincere tutto quello che voleva, forse l’unica cosa che gli è scappata è stata la prima tappa. Ha fatto tutto quello che voleva e anche secondo i piani. Può succedere che alla prima difficoltà non prevista, potrebbe soffrire più di quanto si aspetti e questo può creare grossi problemi.

Il crollo dello scorso anno al Tour all’indomani della batosta nella crono potrebbe spiegarsi anche così? Non pensi però che siano fasi legate anche alla maturazione personale?

Certamente. Quello che secondo me intanto bisognerebbe riconoscere, parlando di atleti molto giovani, è che alcuni di loro sono ancora in fase preadolescenziale. E’ quella in cui viene sviluppata la capacità di risolvere i problemi in maniera autonoma e di imparare a risolvere i conflitti. Quando fai l’atleta professionista a questo livello, è una fase che viene accantonata, ma non vuol dire che sia risolta. Questi sono gli aspetti che creano la personalità. E questo capitolo andrebbe approfondito per capire come sono fatti questi campioni.

Tour 2023, il giorno dopo la crono di Combloux, Pogacar perde 5’45” da Vingegaard a Courchevel: anche per un crollo psicologico?
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Che personalità hanno secondo te?

Devono avere il classico killer instinct. Quando vedono l’avversario in difficoltà, gli passano sopra: in quei momenti non hanno pietà. Magari altri sono fortissimi, ma al momento di affondare il colpo si livellano verso il basso e alla lunga finiscono col perdere. Ultimamente ci troviamo davanti ad atleti che si preparano al 100% dal punto di vista fisico in una bolla, che può essere anche l’allenamento in altura. Sono in una comfort zone senza collegamenti con l’esterno, senza relazioni. Sei addirittura tolto dal tuo ambiente familiare, dove ci potrebbero essere delle dinamiche di vita normale. Al contrario, sei in un ambiente gestito da altri. E se non sei in grado di rispettare le indicazioni del direttore sportivo, rischi il panico, la caduta, rischi di fare degli errori banali.

Slongo parla dell’importanza di avere acanto un corridore più esperto a fare da parafulmine.

Ha due facce. Da una parte ti aiuta, dall’altra restare nell’ombra del campione può non essere utile. Potresti non uscirne fuori, potrebbe affermarsi la personalità di gregario, più che di leader della squadra. Avere davanti uno come Basso o Pellizotti può aver aiutato Nibali, ma sicuramente l’ha aiutato anche il fatto di aver pianificato obiettivi alla sua portata. Quando devi costruire un atleta, gli insegni come preparare la gara in tutti dettagli: dalla vigilia a quello che c’è dopo l’arrivo. Definisci con la squadra obiettivi a breve, medio e lungo termine, che possono essere anche modificati leggermente durante la stagione, ma cui bisogna attenersi. Ogni volta che cambi gli obiettivi, rischi di perdere un po’ di incisività.

Aru dice che fare due Grandi Giri in un anno potrebbe averlo danneggiato.

E’ assolutamente fondamentale che gli obiettivi siano determinati con la squadra, ma devono essere condivisi anche a livello concettuale. Se la squadra ti dice che quest’anno punti al Giro e alla Vuelta, ma tu nella tua testa sai che sarà dura riuscire a fare il Giro, non avrai mai la determinazione che serve. Perché Pogacar fa solo ora il secondo Grande Giro? Forse perché è in grado e ha la forza per definire gli obiettivi con la squadra. Altri invece si affidano ai preparatori e ai tecnici e accettano qualsiasi cosa gli venga detto di fare, spesso senza averli introiettati. Però aggiungerei una cosa…

Giro 2021, prima difficoltà per Evenepoel sugli sterrati: gestire gli imprevisti per Mondini è una dote da educare
Giro 2021, prima difficoltà per Evenepoel sugli sterrati: gestire gli imprevisti per Mondini è una dote da educare
Prego.

Quando vai a stipulare un contratto, se hai delle pretese dal punto di vista economico, è chiaro che la squadra si aspetta che tu rispetti certe consegne o certi accordi. Quindi a volte potrebbe essere meglio accettare di guadagnare qualcosa in meno, ma poter incidere sugli obiettivi. Pogacar finora si è gestito il calendario. Quando ha voluto fare il Fiandre, gliel’hanno fatto fare. Quando ha voluto fare le Ardenne, glielo hanno permesso, ma era un rischio enorme. Tanto che per una caduta alla Liegi, ha compromesso il Tour.

Avere accanto uno psicologo aiuta a non subire i piani fatti da altri?

Puoi arrivare alla partenza meno impreparato. Lo scheduling aiuta a calcolare quasi tutto quello che può succedere durante la gara. Quindi non è solo il team che ti dice la strategia, sta a te essere nella condizione di prevedere tutto quello che ti può capitare. Dall’alimentazione, alle condizioni del meteo, fino ai punti critici in gara. La sera prima di competizione dovresti fare questo. Chiederti: qual è il mio ruolo all’interno della gara? Molti atleti durante il Giro d’Italia, passate le prime 4-5 tappe, entrano in una sorta di trance non agonistica. Praticamente stanno in gruppo, ma non danno nessun contributo al team. Non sfruttano nessuna occasione di gara e tirano a finire il Giro. Questo secondo me è completamente inutile.

Lo psicologo gli impedirebbe di cadere in questi blackout?

Se hai iniziato il lavoro da prima, puoi provarci (Mondini su questo punto è perplesso, ndr). Purtroppo invece viene gestita con direttori sportivi che cercano di fare da motivatori, per tirare fuori il massimo. Lo psicologo invece cercherebbe di smuoverti internamente per trovare le tue risposte: le dinamiche perché tu riesca da solo a gestire questi aspetti. E’ una cosa che oggi manca. Siamo davanti a un sistema che funziona sempre più dall’esterno verso l’interno, cioè dal team verso l’atleta. Se non si costruiscono individui forti, avranno dei problemi alla fine della carriera anche nel gestire la quotidianità. Cosa che per certi versi succede anche ora.

Vuelta 2022, il ritiro di Aru. Non tutti i corridori dopo la carriera, dice Mondini, riescono a inserirsi facilmente nella quotidianità
Vuelta 2022, il ritiro di Aru. Non tutti i corridori dopo la carriera, dice Mondini, si inseriscoo facilmente nella quotidianità
In che senso?

Ci sono ragazzi che non sanno gestire il quotidiano. Il giorno in cui devono fare il lungo, escludono tutto il resto, anche cose di breve durata. Non si rendono conto che la giornata è fatta di 24 ore e possono tranquillamente fare altre cose. Non hanno una programmazione, non sanno risolvere le questioni più semplici. Quella fase di preadolescenza resta latente, poi esplode e provoca l’altissima percentuale di divorzi, separazioni e problemi dal punto di vista relazionale. Una volta che vengono a mancare l’obiettivo e le regole che ti dà lo sport, rischi di trovare individui completamente disequilibrati che perdono le facoltà quotidiane delle persone normali. Devono reimparare da zero, esattamente come fanno i ragazzi in comunità di recupero.

Perché il supporto degli psicologi, soprattutto nelle categorie giovanili, viene spesso escluso?

Perché in qualche modo ti può anche rallentare la prestazione. Se si trova davanti un ragazzo che sta facendo fatica come individuo ad affrontare certe dinamiche, che è in preda all’ansia, lo psicoterapeuta ti dice che per il suo bene è meglio che cali un pochino con la bici. Che stacchi un attimo, si rilassi e faccia un percorso per poi ritornare al suo livello. Ma questo vorrebbe dire stare fuori dalle corse per qualche mese e spesso la squadra non se lo può permettere. Stessa cosa per l’atleta, che ha paura di rimanere fuori squadra. Dicono che lo psicologo è un guaio perché tira fuori il problema…

Invece?

Se il problema c’è, non individuarlo e affrontarlo può diventare un guaio anche superiore.

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La Rostese e lo psicologo dello sport: l’importanza del gruppo

Stefano Masi
13.12.2022
5 min
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Sui canali social della Ciclistica Rostese abbiamo notato che durante uno degli ultimi ritiri di dicembre, oltre ai vari diesse e tecnici, era presente anche una figura differente. Abbiamo così indagato e chiesto a Beppe Damilano, scoprendo che si tratta di Mario Silvetti ed è un esperto in psicologia dello sport (nella foto di apertura assieme ai ragazzi del team Rostese). Alla richiesta di poter parlare con il dottor Silvetti per capire e comprendere che tipo di lavoro si può fare in una squadra di giovani con ragazzi juniores e under 23 la Rostese ci ha spalancato le porte. 

Gli incontri per il 2022 sono tre, poi dal nuovo anno passeranno ad essere uno al mese
Gli incontri per il 2022 sono tre, poi dal nuovo anno passeranno ad essere uno al mese

Tre incontri

Quello che si è tenuto pochi giorni fa era il secondo di tre incontri, tutti programmati e pensati per sviluppare il gruppo e creare uno spirito di coesione. 

«Sono 3 incontri informativi di sport coaching e di crescita personale in gruppo – ci spiega il dottor Silvetti – momenti e incontri ai quali partecipano anche i tecnici ed il presidente in compresenza. Ciascuno di 3 ore, meno non è possibile, gli argomenti sono molti e il tempo necessario deve essere preso tutto. Mi occupo da anni di psicologia dello sport entrando in contatto con tanti operatori sportivi in vari contesti: da quelli agonistici a quelli dilettantistici. Sabato ci aspetta il terzo ed ultimo incontro, mentre dal 2023 l’obiettivo sarà incontrarsi una volta al mese per continuare il nostro percorso». 

La cosa importante per la Rostese è rafforzare i legami tra i corridori per creare un gruppo coeso (foto Camille Richard)
La cosa importante per la Rostese è rafforzare i legami tra i corridori per creare un gruppo coeso (foto Camille Richard)

Il singolo parte dal gruppo

La squadra, in qualsiasi sport, è parte integrante della nostra vita e quando si è giovani diventa un laboratorio di quello che è il mondo là fuori. Nello sport si imparano valori e principi che sono importanti nell’attività agonistica quanto nella vita di tutti i giorni. 

«L’obiettivo – riprende Silvetti – è costruire un gruppo condividendo lo spazio ed il tempo dove ogni atleta possa trovare la propria centratura. Dove possa capire chi è ma soprattutto cosa vuole diventare non solo dal punto di vista sportivo. Dobbiamo mettere ordine e trovare equilibrio, questa società in cui viviamo mette sui ragazzi molta pressione, gli impegni nella vita sono tanti ed incalzanti. Da questi incontri capiamo che chi ci circonda può esserci di sostegno, possiamo dare e ricevere, ma si riesce a farlo solamente quando impariamo a conoscere chi abbiamo accanto». 

I temi mossi da Bragato nella nostra intervista ancora fanno discutere
I temi mossi da Bragato nella nostra intervista ancora fanno discutere

Le parole di Bragato

«Proprio sul vostro sito – ci dice ad un certo punto Silvetti – ho letto una bellissima intervista a Bragato. Gli spunti, soprattutto per chi fa un lavoro come il mio sono molteplici. L’obiettivo delle squadre giovanili è costruire degli atleti che siano pronti a maturare. Bisogna crescere con una mentalità costruttiva, mirando a degli obiettivi, imparare ad ascoltarsi e capire le proprie esigenze che non sono uguali tutto l’anno. Bisogna formare dei ragazzi sensibili alla loro performance e non solo alla prestazione, non si deve perdere il contorno». 

In un mondo che della comunicazione ha fatto il suo centro ci si è forse resi conto che si è perso il calore umano. Le nostre vite si sfiorano freddamente con quelle degli altri e, abituati a vedere tutto da dietro uno schermo, non siamo più in grado di riconoscere le sfumature e le emozioni che ci circondano. 

«Fin dal primo giorno – prosegue – ho voluto creare delle condizioni relazionali e comunicative affinché i ragazzi possano essere ben integrati e ognuno possa portare il proprio contributo. Non è una lezione, ma un lavoro di inclusione, di integrazione, per fare in modo che ogni ragazzo si senta parte di un gruppo. Si deve creare una consapevolezza di azione a partire dal sentire che il gruppo nel contesto è capire ciò che io voglio e di cui ho bisogno. Gli altri mi valorizzano e mi stimolano non facendomi sentire solo». 

La scuola

L’istruzione e l’apprendimento sono parte di qualcosa che fa parte sempre più della nostra vita e quotidianità, anche nello sport diventano importanti. Lo aveva detto recentemente anche Cassani: «E’ finita l’epoca degli atleti con i paraocchi».

«La scuola – conclude lo psicologo – non può essere messa in standby o sottovalutata. Si tratta di un contesto e di un laboratorio dove allenare il rispetto verso gli altri e la concentrazione. Ti costringe a prestare attenzione e capire dove sei. E nel momento in cui impari a sentirti bene con te stesso e con quello che stai facendo, ti permette di esprimere il meglio di te. Da come parlano mi rendo conto che i giovani soffrono di nevrosi di ansia e fanno lavorare tanto il cervello. Attraverso questo lavoro, riescono a condividere aspetti della vita che esulano dallo sport, ma che li aiutano ad essere sereni».

E’ stato lo stesso Damilano (il secondo da sinistra) a volere l’intervento dello psicologo dello sport
E’ stato lo stesso Damilano (il secondo da sinistra) a volere l’intervento dello psicologo dello sport

Le esigenze della Rostese

Beppe Damilano ha voluto fortemente che questa figura professionale collaborasse con la squadra. Si tratta di un’esigenza nata dopo anni di esperienza.

«Il dottor Silvetti deve aiutarmi nel mio lavoro – esordisce Damilano – per capire certe situazioni e certe dinamiche. Ci siamo incontrati all’aggiornamento per il tesserino da direttore sportivo e parlandoci mi ha subito incuriosito. La cosa interessante, che la nostra squadra ha sempre fatto, è quella di voler partire dal gruppo per arrivare al singolo. Il tutto attraverso il confronto e la condivisione delle varie esperienze e sensazioni. Alla fine di questo incontro abbiamo chiesto ai ragazzi di fare un gesto per capire come si sentissero. Loro si sono alzati e si sono abbracciati coinvolgendo anche noi tecnici ed il presidente: è stata una cosa che ci ha fatto piacere e che ci ha fatto capire che la strada intrapresa è quella giusta».

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Romoli-Carboni: dal riscatto una lezione per la vita / 2ª parte

Enzo Vicennati
02.07.2022
6 min
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«Avete trasformato una situazione negativa – dice Marina Romoli – in una altamente positiva. Magari non avreste mai avuto la possibilità di correre tutti e tre insieme in nazionale. Ti fa capire quanto conta non perdere se stessi e i propri valori, il crederci sempre. Perché nel momento in cui qualcuno ti dà un’opportunità, sei pronto a coglierla. Non eri solo, eri con dei compagni spinti dalla stessa motivazione».

Prosegue il racconto dell’incontro iniziato ieri fra Marina Romoli e Giovanni Carboni. Lo scopo è capire in che modo la delusione, la frustrazione e anche la rabbia per la chiusura della Gazprom sia diventata motivazione per tirare fuori il meglio e cambiare in modo permanente atteggiamento (in apertura, Christian Scaroni sul traguardo dei tricolori di Alberobello, chiusi al 9° posto).

«E’ stata proprio questa la differenza – risponde Carboni – con Malucelli ci cercavamo per allenarci, lui a Forlì e io a Fano. E tante volte ci dicevamo: per fortuna siamo usciti insieme, perché se ero a casa da solo, oggi non ce la facevo a fare questo allenamento. Ci siamo sostenuti a vicenda ed è stato questo che stringe e rafforza un rapporto non solo di squadra, ma di amicizia che ormai si è creato con tutti».

Allenarsi da soli non avrebbe portato frutti. Qui Malucelli (foto Instagram)
Allenarsi da soli non avrebbe portato frutti. Qui Malucelli (foto Instagram)

Una lezione di vita

ROMOLI: «Il rapporto umano è alla base. E poi vivevate le stesse situazioni, per cui non c’era nemmeno bisogno di dirsi le cose e di lamentarsi. Attraversavate tutti lo stesso momento difficile. E poi avete condiviso anche tutto il dopo, perché siete andati tutti forte. C’è un messaggio che si può tirare fuori da tutto questo?».

CARBONI: «Si è creata una condizione che ci ha permesso di tirare fuori il meglio di noi. Da soli non ce l’avremmo mai fatta. Difficile trovare un altro messaggio. Quello che ho capito di me stesso è che sono molto determinato. A un certo punto non trovavo squadra, le cose non andavano e ho pensato che se nessuno mi voleva, forse non ero all’altezza di essere un professionista. La cosa che mi ha cambiato è stata la determinazione di mettere quel punto dopo il Sicilia. Trovare delle cose da fare in un determinato periodo di tempo, per capire bene chi fossi. Non sono un fenomeno, ma di fenomeni in gruppo ce ne sono pochissimi. Ora ho la consapevolezza che con il lavoro e il modo giusto di lavorare posso arrivare pronto a una gara. Questa situazione mi ha insegnato tanto».

ROMOLI: «Sei maturato, ti senti più forte?».

CARBONI: «Dicevo ai ragazzi: trovatemi una situazione peggiore di questa. Non abbiamo colpe e nonostante tutto, siamo messi così. Se usciamo da questa storia qua, voglio vedere come ce la giochiamo nei prossimi anni».

Marina in Puglia per i campionati italiani. Anche lei nel suo cammino ha volto in positivo un momento ben peggiore (foto Instagram)
In Puglia per i tricolori. Anche Marina nel suo cammino ha volto in positivo un momento ben peggiore (foto Instagram)

Le persone più dei soldi

bici.PRO: «In cinque anni da professionista, eri mai stato così determinato, oppure quando le cose vanno bene si dà tutto per scontato e si diventa come i corridori di quel direttore sportivo?».

CARBONI: «Negli ultimi due anni avevo perso stimolo. In questa situazione mi sono ritrovato come da neoprofessionista, quando avevo un sacco di voglia di mettermi in gioco e convinzione in quello che facevo. Gli ultimi due anni sono stati difficili e mi sono messo in discussione anche io. Invece quando ho vinto mi sono ritrovato come da dilettante e i primi tempi da pro’, quando ho vestito la maglia di miglior giovane nel 2019. Ho ritrovato quelle sensazioni, il crederci prima del fare. Andare a letto la sera e avere la tranquillità che il giorno dopo sarebbe successo qualcosa di buono. Perché tanto quando vai forte, le cose te le senti».

ROMOLI: «Sarà vero che bisogna perdersi per ritrovarsi? Sei ripartito da zero, in qualche modo. Ma ascoltandoti e conoscendo un po’ la tua storia degli ultimi anni, non pensi che per arrivare a quello stato di grazia in cui ti sembra che tutto vada al rallentatore e tu sei lucidissimo o capisci d’istinto se la fuga sia giusta, non serva aver fatto 200 corse, ma avere dei compagni di cui ti fidi e qualcuno a livello tecnico che crede in te? Alla fine Bennati e la nazionale credevano in te e allo stesso tempo avevi dei compagni di cui ti fidavi altamente. Il resto contava anche poco…».

CARBONI: «E’ l’analisi giusta. Questa cosa qua nasceva dall’esperienza fatta con la Gazprom in ritiro. Io in quella squadra mi sono sentito coinvolto. Sentivo che il direttore sportivo e il preparatore facevano le cose perché ci credevano. Eravamo sul Teide e facevamo una cosa perché ci credevamo. Nessuno di noi era un fenomeno, a parte forse Zakarin per i suoi trascorsi. Eppure credevano in noi e questa cosa qua me la sono portata avanti anche se si è sfasciato tutto. Ho capito quello che serve per stare bene, quali sono le cose che ti servono. E ho capito che le persone fanno la differenza, più dei soldi».

Carboni, Scaroni, Piccolo e Zakarin, vigilia della Valenciana. Era ancora tutto normale (foto Instagram)
Carboni, Scaroni, Piccolo e Zakarin, vigilia della Valenciana. Era ancora tutto normale (foto Instagram)

ROMOLI: «Le persone contano più dei soldi. Possono anche darti 100 mila euro, ma se poi ti distruggono psicologicamente, li butti via. Ti fai del male, non corri bene, rischi gli infortuni, ti ammali».

Le occasioni

bici.PRO: «Questa determinazione, aver vissuto questa esperienza riuscirà a trasformarti? Ci sarà un nuovo Carboni che sia più continuo e mantenga questo livello?».

CARBONI: «Dentro di me non mi pongo nemmeno la domanda. Questa cosa mi ha fatto crescere. Non è stata tanto la rabbia che mi ha mosso nella preparazione, quanto la determinazione. La rabbia in gara c’è stata e mi ha fatto dare quel qualcosa in più che puoi non avere in certi momenti. Però mi ha fatto crescere in generale. A mio parere, ma penso che sia così per tutti noi, superare una situazione come questa ti fa crescere e ti dà delle consapevolezze in più».

ROMOLI: «Si vede che sei più forte. Sicuramente la paura è una cosa importante e tu l’hai trasformata in consapevolezza di poter riuscire. Se riesci a controllare una situazione così, ti sei già trasformato anche come corridore».

CARBONI: «Ho cambiato anche il modo di vedere le cose. Prima magari ingigantivo problemi che non lo meritavano. All’italiano ho bucato prima del penultimo strappo ed è andato tutto per aria. In altri tempi mi sarei abbattuto, domenica sera invece sono andato a dormire sereno, perché tanto non era dipeso da me. In certe occasioni puoi insistere quando vuoi, ma ci sono fattori che non puoi controllare. L’unico giorno in cui è andato tutto bene, è stato alla Adriatica Ionica Race, nella tappa di Brisighella che ho vinto».

Adriatica Ionica Race, vittoria di Scaroni nell’ultima tappa: i tre Gazprom sono unitissimi (foto photors.it)
Adriatica Ionica Race, vittoria di Scaroni nell’ultima tappa: i tre Gazprom sono unitissimi (foto photors.it)

ROMOLI: «Certo se non ti fosse arrivata la chiamata della nazionale, la botta sarebbe stata forte: in quel caso lo psicologo sarebbe stato utile. Perché mette parole che aiutano a metabolizzare le situazioni. Ce la puoi fare anche da solo, puoi galleggiare. Ma quando arriva l’onda troppo alta, lo psicologo lancia il salvagente. C’è pregiudizio. In realtà è come quando hai mal di schiena e vai dal fisioterapista. E’ l’ascolto disinteressato di una persona che ha gli strumenti per aiutarti…».

CARBONI: «Se la nazionale non ci faceva correre, eravamo messi davvero male. Quello è stato il primo e più grande aiuto concreto. Senza quello, eravamo finiti. Mi rendo conto quanto mi manchi il correre. In gara mi manca l’occhio. Quando all’italiano è andata via la fuga dei quattro, era indietro. Ho rimontato, poi Nibali ha fatto il buco per Battistella, come ha spiegato poi in un post, e io mi sono trovato spaesato. Mentre in altri anni, magari dopo aver corso il Giro, mi sarei mosso in automatico. La stessa caduta alla Adriatica Ionica nella tappa di Sirolo, è venuta per la troppa frenesia di fare. C’era ancora un po’ di insicurezza».

ROMOLI: «Serve sempre la fortuna, ma se ti fai trovare pronto quando ti danno una possibilità, come quella che vi ha dato Bennati, allora hai svoltato. I campioni fanno questo: sono pronti nel momento in cui si crea la possibilità».

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Romoli-Carboni: dalla delusione al riscatto / 1ª parte

Enzo Vicennati
01.07.2022
7 min
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C’è quella frase detta da un diesse WorldTour a Paolo Rosola durante la Adriatica Ionica Race che risuona nella testa. «Io ho corridori che guadagnano 300 mila euro all’anno e sono svogliati, quelli là non prendono lo stipendio da tre mesi eppure gli leggi in faccia la rabbia che serve per fare i corridori».

E’ solo un fatto di rabbia? Anni fa, in un’intervista parlando di Pozzato, Cancellara disse che Pippo faceva le cose migliori quando era arrabbiato e aveva qualcosa da dimostrare, per cui si trattava di una spinta effimera. Allora che cosa ha animato finora i ragazzi della Gazprom-RusVelo?

Lo abbiamo chiesto a Marina Romoli, prima atleta e laureata in psicologia. E lei ha proposto di aggiungere all’incontro anche Giovanni Carboni, come lei marchigiano e coinvolto direttamente nel discorso. E’ nata così una spettacolare tavola rotonda, che ha permesso di stare alla larga dal luogo comune e ha fornito la risposta alle domande. Chi scrive è rimasto a lungo in un angolo, lasciando loro il microfono.

Per rendere la lettura più avegole, abbiamo deciso di spezzare l’articolo in due parti. La seconda sarà pubblicata domani, ugualmente alle 9,30.

Anche la laurea di Marina Romoli (foto Instagram) è stata la reazione a una situazione inattesa e certo non voluta
Anche la laurea di Marina Romoli (foto Instagram) è stata la reazione a una situazione inattesa e certo non voluta

Teide, prima l’incredulità

ROMOLI: «Che cosa hai provato all’inizio, quando tutto è cominciato e non potevi più correre? Era rabbia o delusione? Prima di tutto vorrei capire da dove sei partito, per arrivare a dove sei adesso…».

CARBONI: «E’ stata una situazione molto strana. Eravamo in una squadra che ci metteva a disposizione il 100 per cento. Quando è successo tutto, ero sul Teide assieme a Conci e Zakarin. Erano già due settimane, una cosa che non avevo mai fatto prima. I dati di allenamento erano notevoli e mi dicevo ogni giorno: “Vedi che funziona?”. Avevo la testa alla Tirreno-Adriatico e al Catalunya. Ero in condizione di massimo benessere… Da un giorno all’altro, di colpo, sono passato da questi pensieri a non sapere cosa fare. Ero incredulo, mi sembrava una cosa assurda. Ho passato le prime due settimane a pensare che in un modo o nell’altro si sarebbe risolta. Poi di colpo ho iniziato a rendermi conto di quello che era veramente, che non sarebbe ripartito proprio niente».

ROMOLI: «Quindi sei passato da uno stato di confusione, a una fase di grandi domande…».

CARBONI: «Di mio sono sempre stato ottimista. All’inizio c’era lo stato di confusione, ma provavo a pensare positivo… ».

Lo stop della Gazprom è arrivato mentre Carboni e i compagni erano sul Teide preparando la Tirreno (foto Instagram)
Lo stop della Gazprom è arrivato mentre Carboni e i compagni erano sul Teide preparando la Tirreno (foto Instagram)

Tirreno, i giorni del crollo

ROMOLI: «Qual è stato il momento in cui hai capito che la situazione non si sarebbe risolta cosi in fretta?».

CARBONI: «La settimana della Tirreno-Adriatico, mentre gli altri correvano e noi siamo rimasti fuori. Era intorno al 12 di marzo. Quella settimana lì mi sono anche ammalato, sono stato costretto a rimanere fermo ed è stato il momento più basso di questi cinque anni da professionista. Mi sono reso conto che la guerra non passava. Dicevano tutti che doveva finire in fretta, invece non passava. Quando ho ripreso ad andare in bici, la condizione è passata da quella bella del Teide a sensazioni stranissime. Sono state due settimane difficili. Ho provato il vero sconforto, da chiedersi perché andassi in bici e che senso avesse. E perché fossi finito in una situazione del genere. Capitano tutte a me…».

ROMOLI: «Pensi di esserti ammalato anche per un fatto psicologico, per tutte le situazioni che stavi affrontando?».

CARBONI: «Secondo me sì, è stato un insieme di cose. Quella settimana nelle Marche era freddissimo e io venivo dal Teide dove ero caldo. Ho fatto qualche giorno senza allenarmi troppo, poi mi sono detto che fosse ora di ricominciare, perché di sicuro sarei tornato a correre. Così ho fatto un paio di allenamenti lunghi, anche se non c’era bisogno, ma per scaricare il nervoso. Un giorno ho preso un’oretta di acqua, che ci saranno stati 4 gradi e due giorni dopo mi sono ammalato. Era pieno inverno, eravamo tirati e magri, le difese immunitarie basse. Nervoso e stress in aggiunta ed è stato tutto un insieme».

Di colpo non c’era più una squadra per cui correre: cosa fare? C’è delusione più che rabbia (foto Instagram)
Di colpo non c’era più una squadra per cui correre: cosa fare? C’è delusione più che rabbia (foto Instagram)

ROMOLI: «Quindi nel momento in cui non hai potuto correre la Tirreno-Adriatico che era il tuo primo obiettivo vero di stagione, hai realizzato la situazione che è ancora attuale. In quel momento eri più arrabbiato o deluso? Riesci a fare la distinzione?».

CARBONI: «Tanta delusione. Mi sono ritrovato dalle stelle alle stalle senza poterci fare niente. In bici puoi sfogare e trasformare la rabbia in una spinta positiva. Ma quando non corri e hai davanti una situazione grande come una guerra, con chi ti arrabbi? Con le istituzioni è una battaglia persa».

Arriva la chiamata in azzurro. Dopo la Coppi e Bartali, il Giro di Sicilia: qui con Malucelli
Arriva la chiamata in azzurro. Dopo la Coppi e Bartali, il Giro di Sicilia: qui con Malucelli

Sicilia, inizia la reazione

ROMOLI: «Come hai fatto a trasformare il negativo in positivo, visto che poi sei arrivato alla vittoria? Come hai trasformato la delusione in voglia di riscatto? Hai avuto l’aiuto di qualcuno a livello psicologico? Hai parlato con i tuoi compagni? Quando c’è stata la svolta e ti sei detto: adesso conosco il problema, devo trovare la soluzione?».

CARBONI: «In un primo tempo, i familiari, gli amici e anche il fisioterapista mi hanno consigliato di rivolgermi a uno psicologo per farmi ragionare in maniera diversa. Io ho sempre pensato che il mental coach sia importante, ma siccome sono testardo, ho deciso che dovevo farcela da solo. Ho fatto la Coppi e Bartali, ho tenuto duro, ma capivo che le sensazioni non fossero le migliori. Stavo bene, ma anche al Sicilia ero strano, sentivo che mancava qualcosa. A quel punto ho tirato una riga. Ho analizzato il fatto che sono sempre andato forte dopo il Giro d’Italia. Ho guardato che corse potevo fare e ho visto che a giugno c’era la possibilità di fare l’Adriatica Ionica e il campionato italiano e mi sono detto: non posso mollare adesso. Era aprile, mancava un mese e mezzo. Sapevo cosa fare. Ho trasformato la delusione in razionalità».

La vittoria di Malucelli in Sicilia è diventata uno stimolo per tutti. La rabbia diventa motivazione
La vittoria di Malucelli in Sicilia è diventata uno stimolo per tutti. La rabbia diventa motivazione

Una bolla di condizioni favorevoli

ROMOLI: «Ti sei fissato degli obiettivi intermedi…»

CARBONI: «Avevo uno spazio temporale in cui lavorare. Avevo la sicurezza degli anni passati. Mentalmente ero sicuro che in un mese sarei tornato ad andare forte e ho cominciato a lavorare, non pensando più alla parte burocratica. Non ho più pensato ad Accpi e CPA, tante parole e pochi fatti, ho iniziato a essere concreto. Con l’aiuto di Marco Benfatto e Maurizio Mazzoleni che ci hanno seguito per la preparazione. Ha aiutato tanto anche il fatto di esserci legati tanto con Scaroni e Malucelli. Soprattutto con “Malu” ho condiviso tanti allenamenti. Tutto questo ha creato una bolla di condizioni favorevoli che dopo due mesi senza corse ci ha portato a essere in condizione alla Adriatica Ionica, lavorando a casa da soli. Perché un conto è essere lontani dalle corse, ma in ritiro con la squadra. Un altro è essere a casa da soli».

bici.PRO: «Nei giorni della Tirreno arrivò però la convocazione in nazionale. Quanto ha contato la possibilità di correre? E quanto ha contato il rapporto che si è creato fra voi, l’essere squadra senza avere una squadra?».

CARBONI: «Secondo me la differenza per tutti quanti l’ha fatta il vedere che lavorando bene, si arrivava a un risultato. Per chi corre, il risultato ripaga del lavoro fatto. E se ci arrivava uno di noi, poteva arrivarci anche l’altro. Si è creata questa forza di squadra che ti stimola. Vedere che tutti eravamo nella stessa barca e remavamo nella stessa direzione».

Ai mondiali del 2010, le azzurre inviano un messaggio a Marina pochi mesi dopo il suo incidente (foto Scanferla)
Ai mondiali del 2010, le azzurre inviano un messaggio a Marina pochi mesi dopo il suo incidente (foto Scanferla)

La fiducia di Bennati

ROMOLI: «E’ stato importante che la nazionale e Bennati abbiano creduto in voi e vi abbiano fatto correre. Non era una squadra qualsiasi, avete corso con la maglia della nazionale. E io so quanto quella maglia faccia a livello morale e di responsabilità. C’era stato qualcuno che credeva in voi…».

CARBONI: «Quella maglia e vedere Bennati e tutto lo staff lì per noi, ci ha reso squadra. E’ stato il punto che ci ha fatto svoltare e ci ha reso squadra più di quello che eravamo. Forse con la Gazprom avremmo potuto ottenere più risultati, ma saremmo stati meno squadra. La nazionale ci ha reso una squadra che ci ha legato e ci lega tutt’ora».

La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata domani, ugualmente alle 9,30

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EDITORIALE / Superman non esiste, la kryptonite sì

Enzo Vicennati
20.12.2021
4 min
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«C’è una linea sottile su cui essere in equilibrio ed è molto facile cadere dall’altra parte. E poi risalire non è per niente facile». Queste parole di Marco Canola, che probabilmente avrete letto nell’intervista pubblicata alle 10,30 aggiungono uno spunto di riflessione su quanto sia diventato difficile oggi essere un corridore. Se ci pensiamo bene, l’architettura barocca e maestosa con cui si sono ampliate le squadre WorldTour e in proporzione le altre poggia sempre e soltanto su uomini magri e cocciuti, benedetti dalla natura con fisici prodigiosi, ma al pari di tutti gli altri portatori di fragilità congenite al genere umano. Ciascuno ha la sua kryptonite, al pari di Superman. Può cercare di starne alla larga, ma non può fingere che non esista. E quando la tocca, deve saper gestire le sue reazioni.

I problemi alimentari di Brajkovic avevano cause psicologiche non intercettate in tempo
I problemi alimentari di Brajkovic avevano cause psicologiche non intercettate in tempo

Testa e pancia

Non è per caso che le squadre si siano riempite di mental coach e che il team Ineos abbia addirittura (da anni) in organico uno psichiatra. In tutti i pezzi pubblicati negli ultimi giorni, il ricorso allo psicologo è diventato un passaggio obbligato, al pari del nutrizionista. E non crediate che si tratti di due sfere tanto lontane da loro.

Giorni fa, lavorando al ritiro della Trek-Segafredo sul mare di Altea, è capitato di scambiare due parole con Elisabetta Borgia, che da quest’anno fa parte a tempo pieno del team americano. La riflessione che più ha richiamato l’attenzione verteva sulle abitudini di alcune squadre in tutto il mondo di estremizzare il rapporto col cibo. Alcune hanno addirittura delle tabelle e gli atleti ad esse devono attenersi. In soggetti predisposti, tali rigidità possono innescare pesanti problemi psicologici, ancor più rischiosi nel mondo femminile.

La centralina dell’atleta

Allo stesso tempo, la necessità per i giovani di ottenere prestazioni in tempi rapidi o di confermarsi al top per i più grandi rende necessario lavorare anche sull’aspetto mentale.

Modolo, lacrime dopo la vittoria: per ritrovare fiducia è passato dal mental coach
Modolo, lacrime dopo la vittoria: per ritrovare fiducia è passato dal mental coach

«La prestazione – ha detto nei giorni scorsi Marino Rosti – è fisica, tecnica e mentale. Per la performance ci si concentra sempre sull’aspetto fisico, sulla forza, la resistenza, la velocità, i carichi di lavoro. Si lavora sulla posizione in bici e poi magari il terzo aspetto raccoglie i precedenti. Perché come diceva il buon Franco Ballerini, puoi avere anche una macchina da 1.000 cavalli, ma se la centralina non va, la macchina non rende». 

Rischio burnout

Che cosa succede se la centralina si blocca? Puoi essere forte come Superman e avere nel dna tutti i filamenti giusti per essere un divoratore di avversari, ma di colpo di blocchi. Vedi il crollo di Roglic nella crono finale del Tour 2020, vedi lo stop inatteso di Dumoulin.

«Il ciclismo si fa ad un livello sempre più alto – disse al riguardo la stessa Elisabetta Borgia – e 10 anni fa ad un atleta era richiesto di andare forte e basta e nelle migliori delle occasioni aveva l’articolone a fine mese sul mensile, adesso non è così. Ci sono i social, ha tante figure intorno preparatore, fisiologo, dietologo… che sono tutte su di lui. E se da una parte avere tutto sotto controllo è un vantaggio, dall’altra è facile il rischio di “burnout”, cioè di andare in crisi. Perdi le sensazioni su di te. Sei disorientato. Questo momento arriva per tutti gli atleti di alto livello. Sei forte, hai pressioni e devi confermarti. Ma nel frattempo le cose non ti vengono più facilmente e non sei più un giovanotto in rampa di lancio, ma il campione con gente intorno che cerca conferme da te».

Dumoulin aveva smesso, poi ha iniziato un cammino che l’ha portato al rientro. Qui con la moglie dopo in nazionali a crono
Dumoulin aveva smesso, poi ha iniziato un cammino che l’ha portato al rientro

Uno zaino pesantissimo

Il mental coach fa questo. Traccia per gli atleti un percorso psicologico attraverso il quale possano tornare nei propri panni, eliminando il superfluo. Si resetta la centralina e quando si è certi di aver messo tutto a posto, si ricomincia a caricare sopra gli elementi necessari. Non ci si chiede se lo siano davvero, il gioco ormai ha preso questa direzione. E proprio in nome di essa, sarà sempre più difficile avere atleti longevi e capaci di farsi scivolare tutto addosso.

La linea è sottile ed esaudite le esigenze del marketing, quelle di squadra, quelle dei procuratori e quelle degli sponsor, resta anche il tempo per allenarsi.

E poi ci sono i giornalisti. Alcuni sono fortunati, altri meno. In questa epoca di Zoom e piattaforme, si è diffuso a macchia d’olio l’uso di limitarsi a incontri virtuali che non bastano. In Spagna la scorsa settimana c’erano solo due testate italiane: l’altra era la Rai. Forse sarebbe necessario riumanizzare la cosa, riaprire le porte e ricordarsi di volergli bene. Superman non esiste, di corridori schiacciati dalla Kryptonite ne abbiamo visti sin troppi.

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Remco e Jakobsen, come la mettiamo con la paura?

Enzo Vicennati
10.04.2021
5 min
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L’ultima corsa di Remco Evenepoel è a tutt’ora il Giro di Lombardia, nel giorno di Ferragosto del 2020. Si concluse con la paura per quel volo giù dal ponte e le relative fratture. La corsa del rientro sarà il Giro d’Italia: 8 mesi e 20 giorni dopo. Nel mezzo, come abbiamo visto, ci sono state una rieducazione frettolosa e nuovamente interrotta, quindi la seconda ripresa.

«Esci dal campo dopo un colpo vincente – diceva anni fa l’allenatore di tennis – perché se esci con un colpo in rete, nella tua mente resterà un’impronta negativa».

Quale impronta ci sarà nella mente del giovane belga al rientro in gruppo? Durante il recupero ha avuto accanto uno psicologo? Va bene andar forte in allenamento, ma quando sei nella tua comfort zone di certo non ti trovi a fronteggiare gli imprevisti della competizione.

Con bici.PRO c’è Erika Giambarresi, Psicologa dello Sport
Con bici.PRO c’è Erika Giambarresi, Psicologa dello Sport

La ripresa mentale

Abbiamo provato ad approfondire la sensazione di partenza con Erika Giambarresi, laureata con lode in “Psicologia per il benessere, l’empowerment e tecnologie positive” all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel suo curriculum c’è però anche un Master in Psicologia dello Sport. E il debutto è subito incoraggiante.

«Avete pescato uno spunto molto interessante – dice – perché ho studiato molto l’infortunio e la relativa componente psicologica, cogliendo il fatto che spesso ci si limita a curare il recupero atletico, senza rendersi conto che la ripresa mentale non corrisponde a quella fisica».

Erika è di Milano, collabora con la Figc e segue individualmente dei nuotatori, essendolo stata a sua volta.

Remco Evenepoel e Mikkel Frolich Honoré in ritiro sul Teide
Remco Evenepoel e Mikkel Frolich Honoré in ritiro sul Teide
Non basta riattaccare il numero e partire, quindi…

L’infortunio è un evento traumatico da rielaborare. Ha portato a un periodo di inattività. E’ un trauma bio-psico-sociale perché coinvolge l’identità dell’atleta in modo completo, per se stesso e per il suo rapporto con la squadra. Pertanto va trattato con un approccio integrato, coinvolgendo il benessere fisico, ma anche quello emotivo per la gestione dell’ansia. Poi il benessere sociale per quel che riguarda il ruolo dell’atleta nel team. Quindi l’area del sé tramite l’attenzione all’immagine corporea. Di fatto se da un lato l’atleta va resettato fisicamente, lo stesso lavoro va fatto psicologicamente.

Il ragazzo in questione è una macchina da guerra. Ha terminato la rieducazione in tempi rapidissimi, poi però lo hanno fermato di nuovo.

I tratti di personalità influenzano. Se è molto motivato, aveva una gran voglia di ripartire e lo hanno fermato di nuovo, ha dovuto affrontare una nuova ripartenza. In altre parole non c’è solo una gestione del momento, ma vanno osservate tre fasi, di cui il rientro è l’ultima.

La più delicata?

E’ sicuramente complessa per tante variabili. L’età. Lo status dell’atleta rispetto alla carriera. Se il recupero fisico è stato buono, una percentuale di atleti fra il 30 e il 60 per cento non sarà comunque in grado di riprendere come prima. Quelli motivati, quindi probabilmente lo stesso Evenepoel, tornano bene e con un buon aspetto mentale. Ma le risposte emotive influenzano tutti, anche i più determinati.

La drammatica caduta che stava per costare la vita a Jakobsen (che vola oltre la transenna)
La caduta di Jakobsen (che vola oltre la transenna)
Risposte emotive?

C’è sicuramente il peso delle aspettative dell’atleta, verso se stesso e verso gli altri, come sponsor e team. Se le aspettative sono irrealistiche, dietro l’angolo c’è la frustrazione. Per questo con i nostri atleti facciamo anche un lavoro di riprogrammazione per adeguare le aspettative.

Vuole dire quindi che rientrare in una gara di minore importanza sarebbe servito?

Direi proprio di sì, il Giro d’Italia dopo tutto quel tempo non è forse il debutto migliore.

Una domanda forse stupida, abbia pietà. Che cosa succederà la prima volta che il ragazzo si troverà ad affrontare una discesa stretta con un ponte e un dirupo in fondo?

Sono le situazioni dell’incidente? Quando subisci un infortunio, che non è stato uno scontro di gioco ma proprio un incidente, se ti ritrovi in circostanze simili, basta uno stimolo nervoso e scatta l’irrigidimento muscolare e… vedi buio. C’è da lavorare tanto anche sulla gestione della paura. Non per caso lavoriamo sulla kinesiofobia, sapete cos’è?

Il greco suggerisce qualcosa legato alla paura del movimento?

Esatto, la paura che ci si possa far male di nuovo. Lo facciamo con l’imagery, la visualizzazione. Ripercorri il cammino di guarigione e simuli anche le situazioni di gara al rientro. Così che quando sei nuovamente in competizione, sei pronto per quello che dovrai fronteggiare. Non è come affrontarlo davvero, ma la mente sa cosa deve aspettarsi. Allenarsi non è mai la stessa cosa, non vai a cercarti le situazioni di stress che solo la gara può darti.

Jakobsen, con il volto segnato dalle cicatrici, torna in gara al Presidential Tour of Turkey che inizia domani (foto Deceuninck-Quick Step)
Jakobsen rientra domani in Turchia (foto Deceuninck-Quick Step)

Il caso Jakobsen

Aveva ragione l’allenatore di tennis. E proprio nel giorno in cui abbiamo deciso di affrontare il tema Evenepoel, una conferenza stampa virtuale della Deceuninck-Quick Step ci ha mostrato Fabio Jakobsen alla vigilia del rientro dopo la devastante caduta del Polonia. L’olandese, di 24 anni, ha raccontato di aver avuto più volte paura di morire e di come un prete sia andato più volte a casa sua per pregare insieme. Ed ha anche ammesso di avere un po’ di paura per il debutto che avverrà domami al Presidential Tour of Turkey. Avrà lavorato con uno psicologo su questa paura? Troverà il coraggio di buttarsi ancora in volata o rivedrà ancora a lungo la scena di quel macello al Giro di Polonia?

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