SD Worx 2023 in diretta (esclusiva) su bici.PRO

17.01.2023
3 min
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Il gusto delle presentazioni in grande stile. Dopo aver avuto in esclusiva per l’Italia lo show della Jumbo Visma, ecco oggi le immagini della squadra numero uno al mondo per il 2022: la SD Worx. Lo squadrone femminile, che per il 2023 ha per giunta rinforzato la rosa con la campionessa europea Lorena Wiebes e l’azzurra Barbara Guarischi, si presenta ad Anversa, presso il KMSKA Museum, riaperto dopo un’imponente ristrutturazione lo scorso 24 settembre.

Una struttura storica e prestigiosa, con un allestimento dinamico e audace. Un dialogo costante fra antico e moderno, a rappresentare in qualche modo anche l’anima del ciclismo: classico per la sua storia antica, con un piede nel futuro per la scienza che lo sostiene. La più grande collezione delle Fiandre, un’importante raccolta di Rubens e da oggi anche le ragazze dello squadrone (in apertura, Lorena Wiebes, foto Getty Sport).

Numeri uno nel 2022

Squadrone per il ranking, per le atlete e per i tecnici che lo guidano. A tirare le file c’è Lars Boom, vecchia conoscenza del ciclismo professionistico e di bici.PRO. Accanto a lui, l’immensa Anna Van der Breggen e Danny Stam.

Il parco delle atlete è di primissimo piano, soltanto la Trek-Segafredo nel 2022 è riuscita a tenere loro testa, ma alla fine ha dovuto cedere sia pure di pochi punti. Lotte Kopecky. Demi Vollering. Elena Cecchini. Niam Fisher-Black. Christine Majerus. Marlene Reusser. Anna Shackley. Lonneke Uneken. Chantal Van den Broek. Kata Blanka Vas. Lorena Wiebes. Barbara Guarischi. Femke Markus. Mischa Bredewold.

Made in Specialized

L’equipaggiamento è di livello stellare: la rivalità con il team di Luca Guercilena inizia già dalle bici, dato che la SD Worx è il team ufficiale di Specialized. Creata anch’essa con il marchio americana, la nuova maglia fonde colori vivaci come arancione, rosa, viola e giallo, in un design simmetrico ed energico. Pantaloncini blu scuro, nel segno della classicità. Una divisa elegante e anche facile da individuare in gruppo: un dettaglio che non guasta.

«Questo è un kit – ha detto Fisher Black – che in strada ti giri a guardare. Mi piace molto la simmetria del disegno. I colori della maglia si abbinano perfettamente con i pantaloni blu scuro. Quindi penso che sia un design di successo».

Vuelta, l’assalto alla maglia rossa non passa solo dalle salite

19.08.2022
8 min
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Ieri ad Utrecht c’erano 25 gradi, un sole “pallido” ma la presentazione dei team è stata un vero spettacolo. La Vuelta Espana parte così, con l’abbraccio dell’Olanda. Se qualche giorno fa con Stefano Garzelli avevamo passato in rassegna i favoriti, adesso diamo uno sguardo al percorso.

Da Utrecht a Madrid i chilometri sono 3.280, ma questa volta sono distribuiti in maniera un po’ differente rispetto alle passate edizioni. Non ci saranno “solo” le salite, comunque tante. Tuttavia queste non saranno le sole a decretare la maglia rossa finale. Più pianura, più crono e tappe corte solo in apparenza.

Alla presentazione, i team sono stati protagonisti di un’entrata scenografica in centro Utrecht
Alla presentazione, i team sono stati protagonisti di un’entrata scenografica in centro Utrecht

Partenza insidiosa

La 77ª Vuelta, infatti, non ha frazioni superiori ai 200 chilometri, ma in virtù della cronosquadre iniziale, di quella di Alicante e dell’ultima tappa che misura appena 97 chilometri, in mezzo ci sarà da pedalare. E infatti le frazioni tra i 170-190 chilometri non sono poche.

Poi è chiaro, dati i chilometri totali e i giorni di gara, la media è quella: 156,2 chilometri per frazione. La tappa più lunga è la terza: la Breda-Breda in Olanda. La sua distanza è di 193 chilometri.

Si apre dunque oggi con una cronosquadre di 23,2 chilometri. Una cronosquadre che, ci dicono i corridori stessi che l’hanno provata, è alquanto tecnica. Poi tanta pianura nei due giorni a seguire.

In questi casi l’insidia maggiore può venire dal meteo, ma sembra (di questi tempi il condizionale è d’obbligo) che non ci dovrebbe essere vento forte. Gli scalatori possono stare tranquilli… al netto delle cadute e del tipico nervosismo iniziale dei grandi Giri.

Nel segno delle novità

Dei nove arrivi in salita, tre sono inediti. La prima novità è il Pico de Jano. La scalata cantabriaca non è impossibile, ma è lunga una dozzina di chilometri. La salita è divisa esattamente in due parti: la prima è più dura e termina con uno “scalino” all’11%, la seconda invece è più veloce. Ha pendenze tra il 5% e l’8%. Sembra l’arrivo perfetto per un Valverde. E anche prima non mancano le salite (ben quattro).

Il secondo arrivo inedito e anche il secondo in quota è il Collau Fancuaya. A differenza del primo è una salita dura, forse la più cattiva della Vuelta: 10,1 chilometri all’8,5% di pendenza media ma con dei lunghi tratti oltre l’11% e due punte al 17%, l’ultima delle quali proprio in prossimità del traguardo. E anche in questo caso non mancano le salite in precedenza con un’incetta di Gpm di seconda e terza categoria. Occhio davvero a questa frazione, che è l’ottava.

Senza contare che il giorno dopo c’è l’arrivo di Les Praeres. E’ un vero muro: 3,9 chilometri al 12% con una punta del 23%. Ci sarà da divertirsi, anche perché poi ci sarà il secondo giorno di riposo e nessuno si risparmierà. Qui vinse un certo Simon Yates nel 2018, quando si portò a casa la Vuelta.

Queste due tappe rappresentano una doppietta infernale.

L’Alto de Piornal è l’ultima delle novità. Questo arrivo potrà fare male per le sue pendenze e perché la fatica, siamo alla 18ª tappa, si farà sentire. Ma quando parliamo di pendenze non bisogna pensare a rampe mostruose (13,5 chilometri al 5%), anzi… Nel complesso è una scalata veloce e chi si stacca qui può perdere davvero tanto. Decisivi due fattori: vento e squadra… e chiaramente anche le gambe!

Una crono che pesa

Stefano Garzelli ci ha avvertito: «Attenti alla crono di Alicante». La Vuelta rispetto a quel si possa pensare non è mai stata avarissima di chilometri contro il tempo, ma c’era sempre una salitella di mezzo almeno, un tracciato ondulato… percorsi nei quali lo scalatore poteva difendersi. Qui invece c’è solo pianura e chi va forte può fare la differenza e neanche poco.

Una crono di quasi 31 chilometri inciderà anche sull’andamento tattico della corsa. Pensiamo a Joao Almeida o allo stesso Primoz Roglic. Se non dovessero essere al top potranno correre di rimessa. Mentre Hindley, Carapaz… saranno costretti ad attaccare.

Il tratto centrale tende anche a scendere: è per specialisti puri. E Affini è in gara!

Promoz Roglic, Richard Carapaz, Alto del Moncalvillo, Vuelta 2020
Primoz Roglic e Richard Carapaz: saranno ancora loro due a giocarsi la Vuelta spalla a spalla come nel 2020?
Promoz Roglic, Richard Carapaz, Alto del Moncalvillo, Vuelta 2020
Primoz Roglic e Richard Carapaz: saranno ancora loro due a giocarsi la Vuelta spalla a spalla come nel 2020?

Velocisti, c’è spazio

Non è vero che non c’è spazio per gli sprinter. Su carta si contano almeno sette volate, quella di Madrid inclusa. Lo sprint finale è quello che tra l’altro terrà in corsa molti velocisti fino alla fine. E saranno più motivati a farlo con il tracciato iridato che gli strizza l’occhio.

Nel complesso è davvero un bel percorso: completo, duro… che lascia spazio a molte tipologie di corridori. E poi le tappe intermedie sono interessanti, anche per le regioni in cui sono situate.

Per esempio la quarta frazione, quella di Laguardia, la prima in terra spagnola, è mica da ridere. Ci sono parecchie salite, due Gpm, uno di seconda e uno di terza categoria, e il finale è nervoso. E se nei Paesi Baschi dovesse piovere potrebbero essere guai.

Prima abbiamo parlato delle novità: non vanno dimenticati dei classici come la Pandera, la Sierra Nevada e la Navacerrada. Buona Vuelta a tutti!

GALLERY / Qui Liegi, tutto pronto per la Doyenne. Ecco i team

23.04.2022
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Van Aert è un gigante. E mentre tutti lo osservano con deferenza e quel passo indietro che si mantiene rispetto ai giganti, c’è un bambino biondo che reclama la sua attenzione. La pretende. Si infuria. Strilla come un’aquila. «Pa-pà! Pa-pà! Pa-pà!». Alla fine dalla cima del palco Wout lo sente, lo saluta e il bambino si cheta. Intanto Wout dal palco dice di sentirsi finalmente bene e di sperare di avere le gambe della Roubaix, che la Liegi è più dura e ci sono corridori più adatti. Ma che tutto sommato dalla fine dell’ultima salita al traguardo c’è tempo per ragionare e rincorrere…

E venne finalmente il momento del saluto di Van Aert
E venne finalmente il momento del saluto di Van Aert

Quai des Ardennes

Dall’ora di pranzo alle cinque del pomeriggio, il ciclismo di Liegi si è dato appuntamento a Quai des Ardennes, un brutto quartiere alla periferia della città da cui la Doyenne degli uomini prenderà il via domattina alle 10,15. La solita presentazione in Place Saint Lambert non s’è fatta per la costruzione di un tram che collegherà tutte le periferie della città vallone. Così le squadre arrivano lungo l’argine de L’Ourthe, scendono dai pullman, sfilano sul palco e se ne vanno. Dieci minuti per squadra, qualche intervista e la formalità s’è conclusa. Ma la gente si assiepa, applaude e questo basta. Mentre il Cafè des Ardennes, lungo la strada che entra in città proprio dalle celebri alture, fa affari d’oro e ne farà domattina.

Signore azzurre

Le WorldTour che hanno gli uomini e le donne salgono sul palco insieme. Le donne domattina partiranno alle 8,30 da Bastogne e saranno a Liegi quando gli uomini non avranno neanche messo i denti sulla prima Cote de Saint Roch. E la doppia formazione ce l’ha la EF, in cui Bettiol con la barba e i capelli lunghi dice di star meglio. La Israel in cui De Marchi dice che invece non va un granché. Alpecin. Cofidis. Trek-Segafredo. Lotto Soudal. Uae Emirates. DSM. Bike Exchange. Uno X. FDJ. E la Movistar.

Elisa Longo Borghini dice di aver recuperato dalla vittoria alla Roubaix, ma che non è stato semplice, soprattutto per la scarica di emozioni che la vittoria le ha dato: «Sono umana per fortuna – dice – e sto bene. Non è stato tanto un recupero delle forze, ma diciamo che mercoledì alla Freccia non ero decisamente al meglio».

Marta Cavalli, che la Freccia l’ha vinta, dice che è stato bello festeggiare con le compagne e che è stato meglio essere rimasta in Belgio. Se tanto era stato faticoso il dopo Amstel, figurarsi dopo quello che ha fatto sul Muro d’Huy: «Quegli ultimi 500 metri sono stati lunghissimi – dice – ma mai come il finale dell’Amstel, dove ero sola. Mercoledì sapevo di avere forze per vincere».

Il campione del mondo

Alaphilippe è magrissimo, più di quanto è capitato di vederlo altre volte. Anche se Bramati, sornione in un lato, dice che è sempre così. Il campione del mondo ha baciato la sua Marion, direttrice di corsa del Tour Femmes che intanto confabulava con il collega Prudhomme, poi si è avviato assieme a Evenepoel e il resto della banda alla presentazione. La Freccia al quarto posto non è stata il miglior segnale, ma se manca l’esplosività, magari ci sarà il fondo perché domani sia diverso.

Evenepoel, che invece è al debutto, tiene un profilo insolitamente basso. La gente gli tributa lo stesso un grande applauso. Non come quello riservato a Van Aert e a Gilbert, ma comunque corposo da farlo sorridere. Il ragazzino in un modo o nell’altro dovrà riempire il loro futuro.

C’è Caruso

Nel Team Bahrain Victorious che arriva da lontano, c’è una sagoma mascherata che gesticola in modo strano. Strano, pensiamo, Caruso aveva detto che non lo avrebbero fatto correre. Invece è lui.

«Ero qua – dice – ho chiesto io di poter correre. Sto bene, perché sarei dovuto restare a guardarla in albergo? Al Romandia ci pensiamo dopo».

Ben fatto, amico Damiano, sarà una bella notizia per gli sportivi che vedono di malocchio gli impegni col bilancino e per Mohoric, Landa e Teuns che avranno un grandissimo appoggio in corsa.

L’ultima del “Bala”

Tra le varie ed eventuali, fra i coriandoli di questo pomeriggio al sole di Liegi, il sorriso di Anastasia Carbonari della Valcar-Travel&Service, in fuga alla Freccia e forse anche domani. La calma placida di Vincenzo Nibali, giusto dieci anni dopo il secondo posto dietro Iglinskij che lo fece piangere. La curiosità di Aleotti, al debutto. Lo sguardo intrigante di Demi Vollering che l’ha vinta l’anno scorso. E poi il volto scavato e rinsecchito di Valverde, anche lui come Gilbert all’ultima Liegi, che ha già vinto per 4 volte. Come Argentin, ma una meno di Merckx che ne detiene il record.

Il “Bala” ha lo sguardo vispo e certamente il secondo posto della Freccia gli ha detto qualcosa. Ieri sera s’è pappato una torta di riso, gentile omaggio di Florio Santin, un italo-belga tifoso di Visconti, che era solito portarla quando Giovanni era alla Movistar. Ieri mattina, per salutare Valverde, l’ha passata al suo massaggiatore Escamez sulla cima della Redoute.

Gli ultimi a sfilare sono i corridori e le ragazze del UAE Team Emirates, poi la tribù si disperde verso gli ultimi hotel di questa trasferta ardennese. Domani sera, vada come vada, saranno tutti sulla via di casa.

Baschi, crono, Sierra Nevada: la Vuelta secondo Garzelli

25.12.2021
8 min
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Dopo aver conosciuto il Tour de France e il Giro d’Italia, qualche giorno fa si sono alzati i veli anche sulla Vuelta Espana. Le novità non mancano. Innanzitutto si partirà da Utrecht. Ed è la seconda volta che si scatta dall’Olanda. La prima fu nel 2009 da Assen e a Madrid fu incoronato Alejandro Valverde. Con Stefano Garzelli andiamo a scoprire i punti chiave dell’edizione 2022, che si annuncia molto dura pur senza tappe superiori ai 200 chilometri. E proprio pensando ai chilometraggi delle frazioni, prima di cedere la parola al varesino, due punti vogliamo evidenziarli noi: le tappe apparentemente meno corte, appunto, e i tre giorni di riposo.

Riguardo ai chilometri, la tendenza è sempre quella di avere tappe più brevi. E in questo la Vuelta è maestra. Tuttavia facendo un paragone proprio con quella del 2009, i chilometri sono più o meno gli stessi: 3.295 di quella edizione contro i 3.280 della prossima. Di diverso c’è che non essendoci frazioni superiori ai 200 chilometri, non ci sono tante “micro tappe” al di sotto dei 140-145 chilometri, come eravamo abituati: la media giornaliera è più alta.

I tre “rest day” poi possono cambiare non poco le carte in tavola e favorire i più giovani. In qualche modo danno più spazio al recupero. Sarà un aspetto da valutare sul campo.

Nel 2009 Vuelta a Valverde, portato in trionfo dai compagni
Nel 2009 Vuelta a Valverde, portato in trionfo dai compagni

Vuelta durissima

Con il campione varesino andiamo a scoprire quindi la corsa spagnola, la 77ª della sua storia, che si svolgerà dal 19 agosto all’11 settembre.

«E’ una Vuelta con molte novità – spiega Garzelli – ci sono tanti arrivi inediti ed è più impegnativa degli altri anni. Durissima, direi. Da quello che sento, sono le tante novità a generare maggiore incertezza. Gli stessi Landa e Mas non conoscono molte tappe e probabilmente le andranno a visionare. Per il resto è una Vuelta che dà continuità alle scelte fatte qualche anno fa e cioè tanti arrivi in salita e tappe mosse.

«Qualcosa che è stato ripreso dal Giro d’Italia. La vecchia Vuelta infatti prevedeva grandi piattoni e arrivi in salita. Invece negli ultimi anni è sempre stata molto mossa e di conseguenza la classifica è sempre stata movimentata. Merito anche del parterre, fra chi è all’esame di riparazione dopo il Tour, chi ha corso il Giro e chi della corsa spagnola ha fatto il suo vero obiettivo».

Paesi Baschi da imboscate

Dopo un giorno di riposo per consentire a tutti di rientrare in Spagna, la gara riprenderà dai Paesi Baschi. Da qui la corsa si muoverà più o meno nella direttrice verso Sud-Est. Nel cammino i corridori incontreranno nove arrivi in salita: La Guardia, Pico Jano, Collau Fancuaya, Les Praeres, Pena Blancas, Sierra de la Pandera, Sierra Nevada, Alto del Piornal e Puerto de Navacerrada e una crono di poco superiore ai 30 chilometri.

E proprio sui Paesi Baschi punta il dito Stefano Garzelli: «Posto che già la cronosquadre iniziale un pochino inciderà, l’arrivo in Spagna, nei Paesi Baschi è per me il primo punto chiave di questa Vuelta. Da quelle parti infatti non c’è mai pianura, non ci sono mai corse banali e il tracciato è quello caratteristico per le imboscate.

«Per esempio la frazione del Pico Jano è molto insidiosa. Quello è un arrivo parecchio duro. Per me, le tappe tra il primo e il secondo giorno di riposo saranno molto delicate e saranno certamente un punto chiave della corsa spagnola».

Crono decisiva?

Ma nonostante i tantissimi arrivi in salita per Garzelli rischia di essere decisiva la cronometro individuale. Si tratta della decima frazione, la Elche-Alicante.

«Questo è un altro momento molto delicato della Vuelta per due motivi. Primo, perché la cronometro è sempre un momento particolare. Secondo, perché viene dopo il giorno di riposo».

«Abbiamo visto come recentemente le cronometro intorno ai 30 chilometri, o poco superiori come quella di Alicante, spesso abbiano determinato distacchi importanti e siano state decisive ai fini di un grande Giro. E se capita lo specialista come Roglic che rifila due minuti a tutti non è facile poi recuperare quel distacco.

«Per quel che riguarda il giorno di riposo invece, questo sarà delicatissimo da gestire. A qualcuno potrebbe dar fastidio. Il giorno dopo infatti si è chiamati ad uno sforzo molto intenso. Ci si gioca molto anche nel giorno di riposo pertanto».

A Navacerrada un grande Fabio Aru (e una grande Astana) ripresero la maglia a Dumoulin e il sardo vinse la Vuelta 2015
Grazie all’attacco su Navacerrada, Aru (e una grande Astana) vinsero la Vuelta 2015

Sierra Nevada passaggio chiave

Altro momento importante secondo Garzelli sarà la scalata alla Sierra Nevada. Si è al termine della seconda settimana e l’intera frazione presenta un dislivello superiore ai 4.000 metri.

«Sierra Nevada arriva dopo la Pandera, altra frazione molto dura, ed è una scalata molto lunga. Non è durissima, ma è superiore ai 25 chilometri. Ma proprio perché non è durissima fa molta selezione, è sempre stato così. E’ una salita veloce e se non vai perdi tanto tempo. Un altro aspetto da valutare è che lì spesso fa caldo, le temperature sono molto alte e anche questo potrebbe incidere».

«Io ho fatto una sola Vuelta, nel 2004 – dice Garzelli – e quando la feci c’era Sierra Nevada, ma la salita la conosco bene. E anche i corridori la conoscono per via dei ritiri. Quella volta si arrivava lassù con una cronoscalata di 30 chilometri. Si partiva da Granada e si arrivava in cima. Noi salimmo dalla parte di Monachil, che è una strada parallela a quella principale. Non so se anche la prossima Vuelta passerà da lì. Ci sono tratti al 15 per cento, quando poi rispunti sulla strada principale ti restano davanti ancora 15 chilometri, più costanti e più pedalabili. Fu una cronometro infinita. In questa scalata conterà molto anche la squadra».

«Chiaramente – conclude Garzelli – sono molto dure anche le ultime tre tappe di montagna, come l’Alto del Piornal o Navacerrada. Quella nei dintorni di Madrid è una “classica”. I corridori la conoscono bene e non sono salite impossibili».

Però è anche vero che proprio su queste alture Fabio Aru nel 2015 vinse la Vuelta, ribaltando la classifica. Magari il prossimo 10 settembre toccherà ad un altro italiano…

Presentato il Tour. Ghirotto: «Decisivi Granon e Alpe»

14.10.2021
6 min
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Appena poche ore fa si sono tolti i veli sul Tour de France numero 109 ed già è scattata la giostra dei commenti. E’ facile, è duro, è il solito Tour, è diverso… Ognuno dice la sua, specie sui social. Noi invece un commento lo chiediamo a Massimo Ghirotto, che di percorsi e di grandi Giri se ne intende, per averli fatti da corridore e dalla moto come commentatore Rai.

Ma prima una panoramica. Da Copenaghen (Danimarca) a Parigi. Si parte con una crono e si affrontano prima le Alpi e poi i Pirenei. Si corre quasi esclusivamente nella metà orientale della Francia. Poche volte si è visto un tale sbilanciamento geografico, ma questo poco conta ai fini tecnici.

Tappe sempre più corte. Pensate solo due frazioni toccano i 200 chilometri: la sesta tappa (Binche-Longwy di 220 chilometri, la più lunga), e la quindicesima (Rodez-Carcassone di 200 chilometri spaccati). Il totale dei chilometri è di 3.328 per una media di 158,5 chilometri a frazione, quattro in meno della passata stagione

La mappa del Tour 2022. Si parte il 1° luglio da Copenaghen e si arriva Parigi il 24 luglio
La mappa del Tour 2022. Si parte il 1° luglio da Copenaghen e si arriva Parigi il 24 luglio

Vento e pavè 

«Ho guardato bene tappa per tappa – dice Ghirotto – e ho anche preso appunti. Per me è un Tour duro. Davvero. Più duro della sua linea normale e di quella vista negli ultimi anni. Bisogna stare sempre molto attenti, a parte la porzione centrale in cui ti puoi rilassare un po’. Anche se al Tour non ti puoi mai rilassare.

«Si parte da Copenaghen e più che la cronometro di 13 chilometri che è un po’ più lunga di un prologo, starei attento al fatto che si è vicini al mare e il vento può fare danni, ma tanti danni. E poi è la partenza: c’è la lotta per stare davanti, la paura di perdere terreno, il nervosismo. Tutto questo ti porta ad essere ancora più attento. E vale anche per la prima tappa in terra francese, la Dunkquerque-Calais».

Nel 2014 Nibali costruì gran parte del suo successo sul pavè
Nel 2014 Nibali costruì gran parte del suo successo sul pavè

Sulle tracce di Nibali

«Nella quinta tappa c’è il pavé. E questa può sconvolgere la classifica. Lo abbiamo visto con Nibali nel 2014. E vedendo la mappa sono quasi tutti settori nuovi, il che peggiora le cose. Non c’è nessuno che te li spiega. E se è brutto tempo? Siamo sempre al Nord. Senza contare che c’è anche la Foresta di Arenberg: una bestia. Lì sai che entri ma non sai se esci! Mi ricordo quando facevamo la riunione prima della Roubaix. Il direttore sportivo ci diceva: state davanti, te Massimo stai vicino a Bontempi… Sì, si ma poi devi anche uscirci bene e devi farle certe cose, perché tutti vogliono stare davanti! Questa per me è una delle tappe da cinque stelle.

«Per il resto poi inizia una parte centrale che invece è più da Tour classico. Frazioni nelle quali va via la fuga e le squadre dei velocisti aspettano gli ultimi chilometri per andarli a prendere. O magari arriva la fuga. Ma gli sprinter non se le lasciano scappare certe occasioni. Almeno non a questo punto di un grande Giro, perché poi con le salite in vista ogni tappa potrebbe essere ultima».

«Attenzione però in questa fase a non dimenticare la Planche de Belle Filles, se non altro perché ci ricorda i nostri successi italiani. Per me infatti, questo muro non segnerà grosse differenze».

Il pavè, la Planche e più avanti Hautacam… sembra di essere al Tour di Nibali e chissà che non sia di buon auspicio per qualche nostro corridore.

Alpi decisive

La prossima estate si affronteranno prima le Alpi e poi i Pirenei. Sono entrambi molto impegnativi, ma forse le Alpi lo sono di più. Si scalano arrivi impegnativi e giganti come il Galibier. E infatti Ghirotto non lesina giudizi netti.

«Per me il vincitore del Tour uscirà dalla doppietta alpina delle tappe 11 e 12. Si scalano salite lunghe e dure tra cui Telegraphe, Galibier ad oltre 2.600 metri, Granon, durissimo. Poi di nuovo Galibier e Croix de Fer, che se fa caldo è micidiale. Infine c’è l’Alpe d’Huez. Questa salita è forse la più impegnativa del Tour, ma in assoluto. Non dà respiro, a parte una brevissima spianata. Il finale è appena più dolce, ma a quel punto i giochi sono fatti. Queste due tappe sono di quelle che quando ti svegli sai che dovrai fare tanta, ma proprio tanta, fatica. Le vere differenze si faranno qui».

Pirenei e cronometro

Secondo l’ex pro’ veneto dunque, gran parte della torta ce la si gioca sulle Alpi. I Pirenei sono sì impegnativi, ma potrebbero incidere meno. E Ghirotto fa un discorso molto interessante. Una volta le differenze maggiori si facevano nel finale, adesso invece sembra avvengano prima.

«La 18ª tappa, quella di Hautacam è durissima – spiega Ghirotto – ma a quel punto ognuno ha il “suo posto”. Ci saranno fatica e stanchezza che livelleranno i valori in campo. Se guardiamo bene, l’anno scorso Pogacar il Tour lo  ha vinto nella prima parte. E’ lì che ha fatto i distacchi grandi. Poi sì, era forte, ma non ha più fatto le stesse differenze. E lo stesso discorso vale per Bernal al Giro. Per me dopo quelle tappe alpine non vedremo più grandi distacchi. Anche perché Hautacam me la ricordo. La presi davanti con un gruppetto e vinse LeBlanc, sì può fare la selezione, ma non per i primissimi, quanto piuttosto per coloro che lottano dal quinto al terzo posto».

«E lo stesso discoro vale per la crono. Questa penultima frazione prima di Parigi inciderà molto meno per chi dovrà guadagnarsi la vittoria. Anche perché oggi poi questi uomini di classifica vanno tutti forte a crono. Si potrebbe dire: okay ma due anni fa Pogacar ci ha ribaltato il Tour. Ma quella è stata un’eccezione (anche per il percorso con arrivo sulla Planche, ndr). Tadej quel giorno ha fatto un qualcosa di straordinario, una prestazione fuori dal comune. E se poi andiamo a vedere gli altri che ha battuto erano gente come DumoulinVan Aert, dei super specialisti»

Infine un occhio, rapidissimo, ai favoriti. Salvo novità, i tre migliori uomini per i grandi Giri attuali, Roglic, Bernal e Pogacar, faranno rotta sulla Grande Boucle.

«Beh – conclude Ghirotto – Pogacar è fortissimo, ma se io fossi il diesse della Ineos porterei Bernal a questo Tour. Dopo la vittoria al Giro credo che Egan non abbia altri sbocchi che ripartire dalla corsa francese».

Torino spalanca le porte alla carovana rosa. Nibali la star

06.05.2021
5 min
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La presentazione del Giro d’Italia sembra un po’ un ritorno tra i banchi di scuola. La carovana si è ritrovata (in apertura Vincenzo Nibali). Sguardi intensi, sorrisi celati dalle mascherine, qualche animo più rilassato come quello dei corridori che si affacciano per la prima volta alla Corsa Rosa e non perdono occasione di fare video e selfie con i compagni. Tra i fotografi d’occasione c’è anche un certo Ivan Basso, che non perde di vista per un secondo i suoi ragazzi della Eolo Kometa e li ammira mentre si avviano verso il palco a cielo aperto situato nel cuore pulsante di Torino, il Cortile d’Onore del Castello del Valentino. Il varesino l’ha vinto due volte il Giro, loro stanno cominciando a scoprirlo.

Sorrisi e silenzi

Sornione e soddisfatto è anche lo sguardo di Gianni Savio che nella sua Torino può gustarsi la passerella della squadra che ha plasmato, l’Androni Giocattoli Sidermec, ammessa in extremis, dopo essere stata esclusa in prima battuta a febbraio.

Poi c’è Peter Sagan, che si mette a scherzare con Enrico Gasparotto, passato dall’altra parte dopo tanti anni in sella e preciso nello spiegare l’ordine di entrata agli ex colleghi.

Molto riflessivo Simon Yates, con lo sguardo sempre fisso sul podio dove salirà da lì a poco, quasi a immaginarsi come sarebbe fare lo stesso tra tre settimane a Milano.

Concentrato e sulle sue anche Remco Evenpoel, approdato alla Corsa Rosa un anno dopo rispetto al previsto a causa del pauroso volo occorsogli al Lombardia dell’estate passata: che Giro sarà per me, sembra domandarsi.

Un occhiolino ce lo concede, invece, Mikel Landa, pronto a dare spettacolo quando la strada si impennerà verso l’alto. 

La nostra gente

Che effetto rivedere il pubblico ad attendere i corridori al termine della kermesse, tornare a sentire gli incitamenti, le richieste di autografi o le foto dopo mesi di gare seguite di fronte alla tv. Un ritorno al passato, sempre nel rispetto delle attuali norme sanitarie e con ordine, che ha fatto piacere anche ai corridori.

Basta vedere come Filippo Ganna si sia divertito a scherzare con tutti gli appassionati che gli rivolgono la parola. «Domani vai a tutta». «Mi sa che riposo, la crono è sabato», ribatte il verbanese, a testimonianza della sua grande tranquillità. Poi invita Gianni Moscon a firmare qualche autografo anche lui, prendendolo in giro scherzosamente perché qualche minuto prima c’è chi l’ha scambiato per Top Ganna.

C’è ancora tempo per scherzare, almeno fino a domani sera, poi da sabato si fa sul serio. Il Giro è tornato.