La forza del velocista negli anni ’90. Leoni era già nel futuro

02.01.2022
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Negli articoli che abbiamo dedicato al lavoro sulla forza ci aveva colpito il grande ricorso alla palestra che faceva, e che fa, Davide Cimolai il velocista chiamato in causa. Spesso abbiamo sentito dire che corridori di 20 o 30 anni fa si allenavano in maniera molto più semplice, salivano in bici e andavano. Incuriositi da tutto ciò, abbiamo chiesto ad Endrio Leoni, uno degli sprinter più forti degli anni ’90 e anche di inizio 2000.

Vi anticipiamo però che dopo averlo sentito siamo rimasti parecchio colpiti anche noi. Leoni infatti era un vero antesignano della preparazione moderna, anche se non mancavano, come vedremo, elementi vecchio stampo.

Endrio Leoni è stato pro’ dal 1990 al 2002, era davvero molto potente. Il guizzo dei 50 metri finali era il suo punto di forza
Endrio Leoni è stato pro’ dal 1990 al 2002 era davvero molto potente. Il guizzo dei 50 metri finali era il suo punto di forza
Endrio, come allenava la forza il velocista ai tuoi tempi?

Posso dire come facevo io e non tanti avevano i miei metodi. Oggi il preparatore ha una certa idea di forza e impone i suoi lavori agli atleti, ma ognuno è diverso. Io sono Leoni, tu sei Cipollini e lui è Van der Poel: ognuno è diverso e reagisce diversamente a questa componente. Io per esempio non credevo alle classiche SFR in salita. Almeno per un velocista, a mio avviso, non andavano bene perché rallentavano troppo le fibre.

E come facevi la forza in bici?

Facevo molte partenze da fermo e delle volate in salita. Entrambe con il rapportone… Iniziavo con durate di 12”-15” secondi fino ad arrivare a 30”. Le facevo al massimo.

E lavoravi anche in palestra?

Sì, molto, anche quattro volte a settimana.

Cosa facevi?

In palestra lavoravo con massimali abbastanza alti, al 90%. Facevo il “castello”, lo squat… Lavoravo da prima con una gamba, esercizi monopodalici, e poi con due gambe con le quali curavo soprattutto l’esplosività. Ero arrivato a fare lo squat anche con più di 120 chili.

Tante volate al massimo con il lungo rapporto per Leoni: così curava la forza in bici
Tante volate al massimo con il lungo rapporto per Leoni: così curava la forza in bici
Come eseguivi queste ripetizioni?

Facevo delle serie da 5-6 ripetute molto veloci. E già nel 1999 usavo il “biorobot” il quale mi dava dei range di velocità di esecuzione da rispettare.

Biorobot? Di cosa si tratta?

È un macchinario che si attaccava il bilanciere. Bisognava eseguire la ripetuta più o meno in 3-4 decimi di secondo. Se si era più veloci vuol dire che il carico era poco, se si era più lenti vuol dire che era troppo. Era un qualcosa di molto raro, di derivazione dall’atletica leggera. Mi seguiva Mario Del Giudice, un preparatore molto esperto appunto nell’atletica. Colui che accompagnò Manuela Levorato (fortissima sprinter degli ’90-2000 e tutt’ora primatista dei 100 metri, ndr) ai suoi record. Del Giudice poi lavorò anche con Davide Rebellin.

Quanto facevi palestra e quante volte ci andavi a settimana?

La iniziavo a novembre e la concludevo a fine gennaio. Anche perché poi si andava in ritiro e la si lasciava. I ritiri non erano organizzati come adesso. Ci andavo quattro volte a settimana: due volte facevo pesi e corpo libero e due volte solo corpo libero. Tanta palestra mi ha fatto molto bene, a mio avviso. Mi ha “ringiovanito” muscolarmente. E infatti nel 2001 e nel 2002, a 33-34 anni, ho vinto ancora abbastanza.

Durante la stagione mantenevi le sedute in palestra?

Ho fatto dei richiami, ma non mi davano grossi frutti. Credo che fosse un qualcosa di molto soggettivo. Avevo la sensazione di “incatramarmi”. Lavorare in palestra era un mesociclo che richiedeva 30, anche 40, giorni per essere metabolizzato. Invece oggi vedo che è cambiato molto. Ho sentito di gente che ha fatto i pesi prima delle crono o anche durante il Giro d’Italia. Poi vedo anche che si cura la forza in altri modi: con corde in sospensione, che riguardano anche l’equilibrio, come voi stessi avete scritto.

Hai parlato anche di esercizi a corpo libero: cosa facevi?

Sostanzialmente ci curavo l’esplosività, l’agilità generale del corpo. Penso per esempio al mezzo squat (balzi accosciati molto veloci, ndr), skip, corsa calciata…

In effetti c’è molta atletica leggera in tutto ciò…

Vero. Ma lo dice la parola stessa: atletica, atleta. Prima si forma l’atleta poi il corridore, il ciclista. Sotto questo punto di vista il ciclismo è stato indietro per molti anni. Ci si è messo un bel po’ a capire l’importanza della palestra e di certi esercizi.

Com’era pertanto una tua seduta in palestra?

Iniziavo con il tapis roulant, 20′ anche 30′ di riscaldamento. Poi passavo alla bici: 15′ di rulli. E poi ancora mi dedicavo agli esercizi a corpo libero. Successivamente passavo al castello, agli esercizi di squat. Dapprima monopodalico, anche per ritrovare una simmetria tra le due gambe che io non avevo, e poi con tutte e due. Quindi facevo la pressa. Al termine della seduta trasformavo tutto in bici. Ogni due o tre settimane aumentavo i carichi. Con il preparatore valutavamo i miglioramenti in modo costante.

Leoni faceva molta ruota fissa nel periodo invernale. Secondo lui sarebbe stato ottimale riprenderla anche nel corso della stagione
Leoni faceva molta ruota fissa nel periodo invernale. Secondo lui sarebbe stato ottimale riprenderla anche nel corso della stagione
Cosa facevi, agilità?

Uscivo con la ruota fissa. Per me è un gesto molto importante, fondamentale direi. Si utilizzano appieno i muscoli antagonisti e protagonisti. Completano la preparazione e il lavoro a secco.

Che rapporti giravi?

Utilizzavo il 39×19 e man mano andavo a scalare con il 18, il 17… a non meno di 110 rpm. Facevo la ruota fissa per un arco di tempo di 40 giorni, tre volte a settimana. Ci facevo anche 100 chilometri. Per un velocista potente è anche più facile farla rispetto ad uno scalatore, anche psicologicamente. Ecco, la ruota fissa sarebbe stato opportuno richiamarla anche durante la stagione, ma spesso per “pigrizia” nel preparare la bici non la si faceva. Se potessi tornare indietro…

Una tua settimana tipo d’inverno quindi com’era strutturata?

Il lunedì andavo in palestra e poi uscivo in bici due ore. Il martedì correvo a piedi, attività che se ben fatta dà molti benefici, facevo poi degli esercizi a corpo libero e un giretto in bici. Il mercoledì facevo esercizi a corpo libero e poi uscivo in bici. Il giovedì riposavo (giovedì e mercoledì a volte si potevano invertire). Il venerdì come il lunedì: palestra e bici. Il sabato e la domenica pedalavo con la bici normale. Iniziavo con un paio d’ore e man mano andavo ad aumentare.

Il motore per il cross non si fa nelle marathon, parola degli esperti

15.12.2021
7 min
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In Val di Sole ancora una volta abbiamo assistito alla netta supremazia dei crossisti del Nord Europa. E non ci riferiamo solo ai noti fenomeni, ma parliamo piuttosto della “massa” che gravita nelle prime posizioni. I nostri migliori interpreti, Gioele Bertolini e Jakob Dorigoni (foto apertura durante una marathon), sono molto bravi, guidano in maniera eccellente però alla fine il gap di “motore”, e di classifica, è sensibile.

Come e dove si può recuperare? Vediamo che Van Aert, Van der Poel, ma anche Quinten Hermans, per citare un buon nome ma non un extraterrestre, fanno della strada una colonna portante. Noi invece abbiamo visto che Dorigoni, a parte qualche parentesi tra i dilettanti, la scorsa estate ha preso parte alle marathon in mountain bike. Di fronte a tutto ciò una riflessione ci sembra lecita.

E come nel nostro stile queste riflessioni le facciamo con gli esperti. Abbiamo chiamato in causa chi ha esperienza sia sulla strada che nella mtb: Paolo Alberati, Massimo Ghirotto e Claudio Cucinotta.

Jakob Dorigoni e Gioele Bertolini, entrambi della Selle Italia Guerciotti, i più forti crossisti italiani
Jakob Dorigoni e Gioele Bertolini, entrambi della Selle Italia Guerciotti, i più forti crossisti italiani

Alberati: forza assoluta

«Il divario che si è visto in Val di Sole è molto ampio – dice Alberatisi parla sempre di rapporto potenza/peso, ma questo nel cross conta zero. Tanto più che in Val di Sole l’unico tratto di salita si faceva a piedi e in quel caso contano le lunghe leve. Nel cross si è quasi sempre in pianura.

«Facciamo due conti. Prendiamo due corridori che hanno la stessa potenza alla soglia, 6 watt per chilo, ma uno pesa 60 chili e uno 75. Quando quello di 60 chili è a soglia, viaggia a 360 watt, quello di 75 chili ne tocca 450, il che significa 90 watt di differenza! I nostri pagano non meno di 50 watt dai crossisti di vertice. Dunque parliamo di potenza pura.

«Pertanto affidarsi alle marathon come sistema di allenamento non ha senso per il cross. Nelle marathon lavori sul glicogeno, in un cross country o in un ciclcross si fa quasi tutto lavoro anaerobico, due sistemi metabolici differenti. In una marathon hai due (forse) picchi di forza esplosiva: uno in partenza e uno all’arrivo nel caso di volata. Sarebbe molto meglio semmai che Dorigoni partecipasse a gare di cross country, sia per tipologia di sforzo che per tipologia di fibre muscolari chiamate in causa.

«Di certo, rispetto alle marathon, meglio la strada, se non altro perché nelle gare a tappe aiuti ad aumentare la cilindrata del tuo motore ripartendo ogni giorno con il fisico che non ha recuperato al meglio. Sei costretto a spingere.

«E infatti – aggiunge Alberati – io non mi stupirei se Pontoni portasse i suoi crossisti a correre una Coppi e Bartali o un “Giro di Sardegna”. Così come non mi sorprende quando sento che vuole puntare sui più giovani».

Spesso i tracciati italiani sono troppo in stile gimkana per Ghirotto. Bisognerebbe formarsi su altri percorsi
Spesso i tracciati italiani sono troppo in stile gimkana per Ghirotto. Bisognerebbe formarsi su altri percorsi

Ghirotto: qualità e percorsi

E poi c’è Massimo Ghirotto. Il Ghiro di strada e di fuoristrada ne sa come pochi altri in Italia, visto il suo passato come corridore e tecnico.

«In effetti – dice Ghirotto – anche io mi sono posto qualche domanda sui nostri e su Dorigoni domenica scorsa. Siamo sempre lì. Ricordo un quinto posto ai mondiali di Bertolini qualche anno fa e in prospettiva mi dicevo: vedrai che può fare bene. Invece un salto di qualità definitivo non è arrivato. E su Dorigoni più o meno è la stessa cosa.

«In generale servirebbe più qualità. Servono più “cavalli”, perché se facciamo un confronto siamo a minuti. Cosa si dovrebbe fare? Non avrei una risposta, se non quella che bisogna lavorare sui giovani, il che richiede tempo. E vedo che Pontoni si sta allargando al settore giovanile».

«Se le Marathon aiutano nel cross? Non sono un preparatore, ma io non ho mai visto un Absalon preparare uno dei suoi cross country, che durano un’ora e mezza, con un allenamento di resistenza pur facendo lui parecchia strada in allenamento. Più di tanto non serve, serve qualità.

«E servono atleti di peso, nel vero senso della parola. Noi il bestione da 75 chili non ce lo abbiamo. In Val di Sole guardavo Fontana, che ha fatto 15º. Lui è forte, guida davvero bene, ma gli mancano i chili, quelli della vera forza. Ma non è facile, perché Van Aert pesa 75 chili ma poi ti regge i top 10-20 in salita. E che gli fai?

«Mi ricordo della Teocchi. Con quei due europei vinti da juniores dava fiducia, poi come si è approcciata ai grandi livelli internazionale si è ritrovata staccata di minuti. E come lo recuperiamo un gap così? Lavoriamo sul peso, okay. Curiamo la forza, okay… ma si tratta di limare qua e là. E alla fine torniamo a discorso della qualità dell’atleta.

«E poi una cosa che per me deve cambiare in Italia sono i percorsi, servono campi gara con altimetrie differenti e non percorsi stile gimkana. Servono spazi più aperti dove spingere. Perché nei cross internazionali del Nord Europa le prendi sui denti».

Dorigoni assieme ad altri biker ha preso parte in azzurro alla Serenissima Gravel
Dorigoni assieme ad altri biker ha preso parte in azzurro alla Serenissima Gravel

Cucinotta: questioni (anche) economiche

Claudio Cucinotta, coach dell’Astana, riprende sia quanto detto da Alberati, soprattutto, che da Ghirotto.

«Se facciamo riferimento ai soliti big – spiega Cucinotta – Van Aert e Van der Poel andrebbero forte anche se facessero bmx! Il problema non è solo la marathon, ma dipende anche dalle qualità degli atleti stessi. Poi chiaramente c’è un discorso tecnico, un disorso di intensità. Un conto è fare forte una salita nelle marathon, e un conto nei cross country o in un Giro delle Fiandre. Nelle marathon imposti un ritmo massimale ma pensando che la salita dura un’ora, in un Fiandre uno strappo dura molto meno. Dico dei numeri: un corridore di 63-64 chili in un’ora di salita si attesta sui 350 watt, su uno strappo delle Fiandre ne esprime 500».

«Il modello prestativo più vicino al ciclocross è quello del cross country. Si sviluppano intensità molto più alte. Si fa più esplosività. Di contro non so neanche se effettivamente il cross country serva ad aumentare il motore. Senza parlare dei soliti noti, penso alla squadra di Sven Nys (Baloise-Trek Lions, ndr): loro fanno delle gare a tappe, magari di livello basso, le 2.2: ne fanno tre o quattro in un anno di 4-5 giorni ciascuna, e alla fine mettono insieme un buon volume di lavoro».

«Il discorso – riprende Cucinotta – è molto ampio. Bertolini e Dorigoni anche recentemente hanno dimostrato che possono arrivare tra i primi dieci in Coppa se tutto fila perfettamente, ma certo se cerchiamo il campione del mondo non lo avremo a breve. E’ un lavoro di lungo termine».

«I nostri atleti migliori non fanno cross. Sembrerà un po’ brutto da dire, ma è anche una questione economica. Quando arrivi a 19-20 anni chiaramente sei portato ad andare dove ci sono maggiori risorse economiche, tanto più pensando che la vita dell’atleta è abbastanza corta. Cerchi di massimizzare. Noi abbiamo atleti che potenzialmente possono essere adatti al cross, penso ad un Colbrelli, ad un Bettiol, ad un Trentin, ma chi glielo fa fare? Quanto guadagnerebbero nel cross? Mentre su strada ottengono contratti importanti. Non puoi chiedere a Colbrelli, a 31 anni, di iniziare a fare ciclocross.

«Quello che mi auguro è che le nuove generazioni possono essere più coinvolte e stimolate a fare questa disciplina. Ecco, se dovesse diventare una specialità olimpica magari le cose potrebbero cambiare. Io seguo i fratelli Braidot e Nadir Colledani (biker che hanno fatto le Olimpiadi, ndr), loro ormai il cross quasi non lo fanno più se non per allenarsi e puntano tutto sul cross country che è disciplina olimpica».

Toon Aerts in azione al Tour de Wallonie con la sua Trek – Baloise Lion (foto Instagram)
Toon Aerts in azione al Tour de Wallonie con la sua Trek – Baloise Lion (foto Instagram)

Gap tecnico-culturale

Infine consentiteci di aggiungere una nostra valutazione. Va detto che c’è anche un gap “culturale”, nell’approccio al ciclocross in Italia, che poi di fatto si lega a quanto ha detto Cucinotta. Da noi il crossista è il “biker prestato” alla disciplina, all’estero è quasi il contrario: è il crossista che è “prestato” alla strada. E se non è così tra pro’, lo è di sicuro nelle categorie giovanili.

E questo presuppone una formazione atletica e tecnica ben diversa, una formazione che va ad incidere anche sul motore stesso del corridore. Bertolini e Dorigoni sono pertanto più che giustificati se oggi si ritrovano in queste acque. E nonostante tutto mostrano un impegno eccezionale. Questo articolo non è un processo su di loro, ma uno spunto di riflessione. Se in Val di Sole gli azzurri arrivano: 15°, 16°, 17° e 18° nell’arco di 62″ una domanda bisogna porsela.

Dai numeri alle sensazioni. Battistella “replica” a Mazzoleni

13.06.2021
4 min
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E dopo aver ascoltato Maurizio Mazzoleni sulla gestione degli atleti dal punto di vista medico-sanitario chiamiamo in causa Samuele Battistella, per affiancare ai numeri del preparatore le sensazioni del corridore.

Il corridore dell’Astana-PremierTech era alla sua prima partecipazione al Giro d’Italia. Per lui era tutto nuovo. Il “protocollo Astana” ha pertanto lasciato impressioni indelebili.

L’importanza di alimentarsi in corsa: Battistella è sempre stato molto attento durante il Giro
L’importanza di alimentarsi in corsa: Battistella è sempre stato molto attento durante il Giro
Samuele, allora come è andato questo Giro dal punto di vista dei controlli imposti dallo staff medico?

Eh, diciamo che fare tutti quei controlli mattina e sera è stato impegnativo. Però i dati che ha raccolto Maurizio mi serviranno per il futuro. Saranno utili per conoscermi. Devo dire però che per me soprattutto l’inizio del Giro non è stato facile perché ho avuto una gastrite, stavo curando delle intolleranze alimentare e all’inizio è stato destabilizzante.

Sensazioni e numeri andavano di pari passo?

Alla fine la gamba girava meglio di giorno in giorno e sono rimasto stupito da queste sensazioni. Il giorno della vittoria di Bettiol abbiamo fatto una tappa lunghissima e le salite finali dopo quei 231 chilometri non era così scontato tenerle. Sono rimasto sorpreso da queste buone sensazioni.

E anche sui famosi watt le sensazioni corrispondevano ai valori?

Diciamo che computerino e gambe andavano d’accordo. Nella prima settimana ho battuto record su record: ho fatto i miei best sui 5′, sui 10′ e così via. E anche nella seconda settimana le cose non sono cambiate troppo. Nella terza invece ci si è calmati un po’.

E la sorpresa negativa?

Non ho mai avuto di quelle crisi cattive che ti chiedi: «E adesso come la porto all’arrivo?». Quindi direi che non ho avuto sorprese negative. Merito della gestione alimentare e della dietista, Erica Lombardi, che ci seguiva prima, dopo e durante le tappe.

Patate lesse, riso, pasta: erano mangiati (a rotazione) già nel bus subito dopo la doccia
Patate lesse, riso, pasta: erano mangiati (a rotazione) già nel bus subito dopo la doccia
Durante?

Sì, il lavoro del nutrizionista non si limita solo al pre e post gara. Erica fa anche uno studio della gara e ti dice cosa mangiare di ora in ora. Poi dipende dall’intensità del momento. Se la prima ora è passata tranquillamente magari mangi meno, se si è andati forte mangi un po’ di più. Ma è molto sottile il limite tra il mangiare troppo o troppo poco. E’ importante azzeccare le quantità perché se mangi molto richiami troppo sangue dalle gambe per la digestione, se mangi poco poi resti a secco. Quando infatti riesci a seguire quelle indicazioni alla lettera, non vai mai in crisi.

Qual è stato il giorno più duro per te?

Quello del Giau. Ero caduto a Gorizia, mi ero fatto male ad un ginocchio e con il freddo è stato difficile finire la tappa, avevo dolore. Ma superato quel giorno poi è stato tutto più facile.

Mazzoleni ci ha detto che dopo la tappa di Ascoli, con arrivo in salita a San Giacomo, si sono accessi alcuni “allarmi rossi” nel software Astana. Tu facevi parte di quei corridori andati in “zona rossa”?

Quella tappa è stata molto dura. Il freddo nella discesa da Forca di Presta è stato inaspettato. Eravamo vestiti con le divise estive, non avevamo un abbigliamento adatto, inoltre siamo andati molto forte e non sono riuscito ad alimentarmi bene. A fine tappa in effetti ero un po’ sottopeso, ma sono riuscito a recuperare bene. Quel giorno oltre ai 170 grammi di carboidrati mi hanno fatto mangiare di più nel pasto del pomeriggio cioè in quell’ora, ora e mezza tra il massaggio e la cena.

Battistella in fuga nella tappa di Stradella che con i 231 chilometri è stata la più lunga del Giro
Battistella in fuga nella tappa di Stradella, la più lunga del Giro
E cosa si mangia per esempio?

Muesli e latte vegetale o qualche zucchero più semplice, magari anche una barretta.

E delle pulsazioni al mattino? Sentivi questa differenza di battiti tra Torino e Milano?

Eh sì, avevo dieci pulsazioni in più a fine Giro, ma è normale dopo 21 tappe. Ma anche se erano più alte, non ero finito. E questo è buono.

Con il riposo? E’ vero che si fa più fatica svegliarsi man mano che si va avanti con le tappe?

In generale nell’ultima settimana si tende a dormire meno perché si è più stanchi, meno rilassati. La mattina era poi difficile tirarsi su e quando appunto mi misuravo le pulsazioni sul letto avvertivo che i battiti erano più alti, che il cuore doveva pompare di più.

Potenziometri e giovani, mix esplosivo. Ha ragione Nibali?

12.03.2021
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Ancora giovani, ancora watt, ancora uno spunto su cui riflettere. Qualche giorno fa, sulle pagine della Gazzetta dello Sport, Vincenzo Nibali ha detto che con questi ragazzi non c’è più bisogno di tenere sott’occhio potenziometro e cardiofrequenzimetro, perché vanno sempre a tutta. Ma davvero ha ragione lo Squalo? E’ solo una sua battuta o è il nuovo, che avanza più veloce che in altre epoche, e sta rivoluzionando anche il modo di correre? 

Ne parliamo con ex corridori, atleti in attività, diesse e persino preparatori. 

Samuele Rivi, 22 anni, alla prima stagione da pro’
Samuele Rivi, 22 anni, alla prima stagione da pro’

Samuele Rivi

Partiamo da un rappresentante dei giovani, Samuele Rivi, che tanto bene sta facendo alla Tirreno-Adriatico. Il corridore della Eolo-Kometa è alla sua prima stagione tra i professionisti.

«I watt li guardo relativamente. Però penso che sia un’indicazione importante da osservare anche in corsa, poi ovviamente quando c’è da andare a tutta si va tutta. Nelle corse dei dilettanti è come se dovesse sempre andar via la fuga, quindi è uno spingere continuo. Nei professionisti c’è un po’ più di ordine all’inizio, però poi si fa la differenza quando ci si gioca la corsa. E si va molto più veloce».

A Rivi chiediamo se ascoltando i racconti dei più esperti percepisce un cambiamento, se si parla mai degli attacchi da lontano di Van der Poel… 

«Rispetto al passato credo si stia livellando tutto, ma con l’asticella più in alto pertanto è sempre più difficile fare risultati e competere con certi campioni. Guardare o no gli strumenti: credo dipenda dal corridore farsi influenzare o meno. Siamo tutti un po’ diversi su questa cosa».

Manuel Quinziato (a colloquio con Trentin) ha smesso nel 2017
Manuel Quinziato ha smesso nel 2017

Manuel Quinziato

Il trentino ora è un procuratore, ma è stato uno dei senatori del gruppo fino al 2017. Che cosa sente dire dai suoi ragazzi quando commentano le corse? Come vede da fuori il modo di correre attuale?

«E’ vero quello che dice Vincenzo, ma è anche bello perché alla fine penso che il ciclismo stia diventando sempre più spettacolare e il merito è anche dei giovani. Il rischio di farsi condizionare dagli strumenti c’è. Ormai sono anni che vedo corridori che coprono il numero dei watt e dei battiti sul computerino. E’ anche vero che se devi fare una salita di 20 chilometri è una cosa, se devi fare Le Tolfe, sei strappi brevi o un attacco in pianura è un’altra, in questi casi ha meno senso guardarlo. Se devi fare una salita di 20 chilometri e tu sai che i tuoi migliori numeri sono quelli lì e inizi a fare 60 watt in più probabilmente non arrivi in cima». 

«Se la domanda è: varrebbe la pena vietare gli strumenti durante le gare? Rispondo che secondo me non tolgono praticamente niente allo spettacolo. Non credo che in realtà limitino i corridori. Guardiamo gli ultimi grandi Giri quanto sono stati intensi».

Alessandro De Marchi, 34 anni, è arrivato quest’anno alla Israel Start-Up
De Marchi, 34 anni, è arrivato quest’anno alla Israel Start-Up

Alessandro De Marchi

Il friluano invece in gruppo c’è ancora e bene. Il corridore della Israel Start-Up in questa inchiesta è l’alter ego di Rivi, cioè il corridore esperto, così da avere anche un altro punto di vista.

«Sicuramente noi dalla vecchia generazione siamo costretti ad adattarci a questi nuovi ritmi, a questo nuovo modo di correre. Però non mi sento di dire che devi tagliare fuori i dati o i tuoi riferimenti. Credo che alla lunga gli strumenti conteranno ancora. Poi ricordiamoci che le stagioni sono lunghe, quindi tirare le somme dopo dieci giorni di gare mi sembra un “rischio”.
«È innegabile che c’è in atto un cambio di generazione e quindi noi esperti, per non dire vecchi, dobbiamo prendere un po’ le misure. In generale quando sei costretto a inseguire, quando sei tu che corri sulla difensiva, devi concentrarti su altro e quindi lasci perdere per un attimo quel dato sul display. Secondo me le parole di Nibali sono legate alla situazione del momento, all’attualità».

Vittorio Algeri, 68 anni, diesse della BikExchange
Vittorio Algeri, 68 anni, diesse della BikExchange

Vittorio Algeri

Il direttore sportivo della BikeExchange è senza dubbio uno dei più esperti del gruppo e lui va anche oltre le parole di Nibali.

«Ognuno conosce i propri valori, quando poi c’è da inseguire qualcuno che va troppo forte, penso ci si metta tutto quello che si può, indipendentemente dal computerino. Certo, adesso questi giovani sono dei veri campioni, perché per fare certe cose bisogna essere veramente bravi.

«Io sono contrario all’uso degli strumenti. Preferivo il ciclismo di una volta dove dove c’era più fantasia, più inventiva… Però adesso la tecnologia è avanzata e si usano questi strumenti che sicuramente sono utili per preparare le gare. Ma poi le gare forse vengono un po’ falsate, o meglio, condizionate». 

Claudio Cucinotta, uno dei preparatori dell’Astana
Claudio Cucinotta, uno dei preparatori dell’Astana

Claudio Cucinotta

Infine parola ad un preparatore. La voce di un tecnico non poteva mancare. Lui di giovani e strumenti se ne intende!

«Beh se devi seguire c’è poco da stare a guardare – dice Claudio Cucinotta, uno dei preparatori dell’Astana PremierTech – Se tu pensavi magari di metterti a 400 watt e poi per stare a ruota ne devi fare 450 li fai e basta. Almeno se devi vincere è così, se invece ti puoi staccare, perché devi andare all’arrivo e magari pensi al giorno dopo allora no, ti attesti sui tuoi valori e lo strumento in quel caso ti è utile.

«La cosa che più mi stupisce, e che può sembrare un paradosso, è che i giovani di oggi, che sono figli dei watt e della preparazione con gli strumenti, sono anche i primi che poi in corsa non li controllano. Fanno meno calcoli. Almeno i più forti, i fenomeni… che non sono poi così tanti. Fanno meno calcoli, non stanno a centellinare i watt come invece fanno gli altri (e in questo caso in teoria gli strumenti sembrano essere ancora più necessari, ndr). Van der Poel che non è più un giovane, ha 26 anni, sembra corra con il “portafoglio sempre pieno”.

E alla domanda se questo modo “garibaldino” di correre sia la nuova tendenza o una concomitanza di campioni Cucinotta replica: «Probabilmente dipende dal fatto che ci sono tanti campioni in questo momento, ma oggi tutte le gare sono di livello WorldTour, anche quelle che WorldTour non sono».