Il ciclocross chiude la stagione fra venti di bufera

18.02.2023
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Come sempre succede, la stagione del ciclocross va lentamente spegnendosi dopo la disputa dei mondiali. La rassegna iridata di Hoogerheide ha però lasciato degli strascichi, soprattutto in casa italiana con un montare di polemiche dettato dai risultati. Ma sarebbe meglio dire dalle mancate medaglie, visti i due “legni” ottenuti peraltro da Venturelli e Persico, le due annunciate punte della squadra.

A innescare le discussioni fra le società di ciclocross sono state le parole di Luca Bramati, tecnico della Trinx, messe per iscritto in una lettera inviata a dirigenti e addetti ai lavori immediatamente dopo la conclusione della rassegna iridata.

«Il comportamento e le decisioni del Cittì Daniele Pontoni, condivise dalla Federciclismo – ha scritto Bramati – sono stati sbagliati sia nel merito sia nel metodo per tutto l’arco della stagione. Nel metodo, è mancato totalmente il dialogo sia con la stragrande maggioranza degli atleti sia con i tecnici e i manager delle squadre. Malgrado questa grave lacuna gli sia stata puntualmente rappresentata a metà stagione in un incontro con presente Roberto Amadio, nulla è cambiato.

«Metodo totalmente assurdo che porta poi nel merito a voler gestire in proprio la rifinitura della preparazione degli atleti a questi campionati del mondo. Senza così coinvolgere chi la preparazione dell’atleta l’ha curata tutta la stagione, stravolgendo metodiche di allenamento e carichi di lavoro. Con esiti evidenziati dallo ZERO nel medagliere finale di Hoogerheide.

Pontoni e Bramati, rivali da atleti, oggi su posizioni concettuali diverse sul futuro del ciclocross italiano
Pontoni e Bramati, rivali da atleti, oggi su posizioni concettuali diverse sul futuro del ciclocross italiano

Pochi azzurri ai mondiali

«Altro grave errore nel merito – prosegue Bramati – portare solo 14 corridori ai mondiali nella vicina Olanda, quando si poteva quasi raddoppiare la nostra presenza. Non convocare atleti è una sconfitta per il movimento. In una disciplina che non regala soddisfazioni economiche, la convocazione ai mondiali è uno stimolo e una crescita per gli atleti, una soddisfazione ed un impulso ad andare avanti per le squadre. Sono stati lasciati a casa, delusi e sconfortati, parecchi atleti meritevoli che non avrebbero sfigurato più di quelli schierati, ma che da questi Mondiali avrebbero avuto motivazioni per continuare e per migliorare».

Ascoltato in merito Bramati ha rincarato la dose: «Le scelte di Pontoni, con il quale peraltro abbiamo frequenti contatti – dice – sono controproducenti per le squadre. Se non porti gli atleti di vertice delle società al mondiale che è la vetrina per antonomasia, cade tutta l’attività, che cosa porti agli sponsor? Se il mondiale viene riservato solo a una ristretta cerchia di corridori, qualsiasi sia il metodo di scelta, non si danno stimoli a tutto il movimento del ciclocross italiano.

Hoogerheide è stata una festa per 50 mila persone. In Italia i numeri sono molto diversi
Hoogerheide è stata una festa per 50 mila persone. In Italia i numeri sono molto diversi

Il contributo delle società

«Si è parlato di scelte dettate da scarsità di fondi – afferma Bramati – ma sono sicuro che ogni società ci metterebbe del suo per sostenere la trasferta. Parlando non solo degli atleti, ma anche del personale a loro disposizione. Faccio un esempio: i belgi ai mondiali, salvo i 2-3 di primissimo livello, hanno al seguito meccanici messi a disposizione dalle squadre di appartenenza. Praticamente ogni atleta ha il suo staff. Perché non possiamo fare lo stesso?».

Nel frattempo Pontoni dava indirettamente una risposta partecipando alla trasmissione Scratch Tv, ospite di Nicola Argesi.

«Ai mondiali erano in 14 – ha detto – ma nel corso dell’anno abbiamo sostenuto, fra trasferta in Spagna a inizio stagione, Coppa del mondo ed europei, 13 trasferte di ciclocross con 150 atleti ruotati fra le varie categorie. La filosofia, condivisa con Amadio, è dare ampio spazio a tutti in queste prove. Al mondiale però andrà un gruppo ristretto, una quindicina di atleti perché è la summa della stagione, dove si deve dare valore alla maglia e devono essere presenti i migliori.

«Le società non possono aspettare sempre che la Federazione si muova – rincara la dose il cittì – anche loro devono sostenere l’attività all’estero, dare possibilità ai propri ragazzi di fare esperienza, crescere ed emergere. E’ stata una decisione tecnica sulla quale sono convinto di andare avanti».

Vito Di Tano, Fabio Ursi, Scorzé 2005
Vito Di Tano, diesse della Gurciotti Selle Italia Elite. Il suo team ha fatto molta attività all’estero
Vito Di Tano, Fabio Ursi, Scorzé 2005
Vito Di Tano, diesse della Gurciotti Selle Italia Elite. Il suo team ha fatto molta attività all’estero

Una linea non condivisa

Il malessere coinvolge diverse società. La Torpado ad esempio, formazione nella quale milita Dorigoni, sarebbe portata ad esempio a limitare la partecipazione del suo pupillo ai soli campionati italiani per preservarlo per la stagione Mtb. Lo stesso Vito Di Tano, responsabile della Guerciotti Selle Italia Elite, non nasconde la sua perplessità.

«Il problema – spiega – è la mancanza di coinvolgimento delle società. Perché non concordare una linea d’azione con tutti i team, prima dell’inizio di stagione? Parliamoci chiaro: pensare di andare ai mondiali solo con gente che possa puntare al podio significa ridurre la presenza azzurra a un numero infinitesimale. Fra gli elite ad esempio, con quei due mostri (Van der Poel e Van Aert, ndr), è una strada impossibile per tutti. Noi facciamo tanta attività all’estero, siamo d’accordo con Pontoni su questo. Il mondiale però ha significati che vanno anche al di là del puro discorso legato al risultato».

Di Tano nella sua disamina chiama in causa anche altri fattori: «Qui in Italia affrontiamo percorsi che sono nella stragrande maggioranza molto diversi da quelli abituali di Belgio e Olanda, proprio per caratteristiche del territorio. E’ chiaro quindi che quando andiamo all’estero abbiamo un gap da colmare ed è difficile. Non essere presenti al mondiale toglie entusiasmo ai ragazzi e alle società, non si fa il bene del movimento».

Fontana ai mondiali ha chiuso 28°, lontano non solo dai campioni belgi e olandesi
Fontana ai mondiali ha chiuso 28°, lontano non solo dai campioni belgi e olandesi

Le differenze con gli altri

Il discorso, evidentemente, coinvolge soprattutto la categoria elite e analizzando le parole dei manager, questo gap è evidente. Non solo nei confronti di Belgio e Olanda, ma anche verso altre realtà più simili a noi, come Svizzera (3 atleti nella top 20), Francia, Spagna. Fontana, unico italiano al mondiale, ha chiuso 28°, preceduto da atleti di 9 Nazioni, quindi non solo le due corazzate che non a caso si sono divise le prime 8 posizioni.

Proprio partendo da questo assunto Pontoni da noi chiamato in causa ribadisce le sue scelte: «Non voglio rispondere a lettere ed entrare nel merito. Il mio pensiero l’ho già più volte condiviso avendo il pieno appoggio della Federazione. La convocazione va a chi se l’è meritata nel corso di tutta la stagione, ribadisco che per gli europei adottiamo una strategia, ma il mondiale è diverso».

Persico e Venturelli hanno chiuso quarte. Difficile considerare questa una mancanza di risultati…
Persico e Venturelli hanno chiuso quarte. Difficile considerare questa una mancanza di risultati…

L’orientamento per il futuro

C’è una preferenza verso le categorie giovanili? «Non è scritto: io considero di portare una media di 3 atleti a categoria. Quest’anno ce ne saranno stati di più in una e di meno in un’altra, ma non è detto che sarà così anche nel 2024. Resta il fatto che la maglia va guadagnata sul campo, perché al mondiale è mio dovere portare il meglio che c’è, la crema del movimento in grado di figurare in maniera degna».

Le bici da ciclocross andranno ora in soffitta per qualche mese, ma è facile presumere che di questi temi si continuerà a discutere. Ma al di là di lettere, chiacchiericci, polemiche, sarebbe bene che proprio a bocce ferme si procedesse con un confronto a viso aperto. Magari indetto proprio dalla Federazione, ascoltando le istanze delle società non solo in tema di convocazioni (Pontoni si assume la responsabilità tenendo fede al suo ruolo, in fin dei conti tornare a casa con due quarti posti qualche lustro fa sarebbe stato impensabile), ma di gestione più generale dell’attività, dalla struttura dei calendari alla promozione presso ai giovani fino all’incentivo verso la multidisciplinarietà. Farsi la guerra in casa difficilmente porta risultati…

Carapaz, dopo l’oro arriva la ruggine

30.07.2021
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Il sorriso gentile di Carapaz di colpo lascia il posto a uno sguardo mesto e ad un tono sorprendentemente duro, che non ti aspetti da un ragazzo che ha appena conquistato l’oro. Il campione olimpico parla, l’oro si macchia di ruggine e in Ecuador esplode la polemica.

«Per me è un giorno speciale – dice – per questo me lo godrò da solo. Sono un atleta partito senza l’appoggio del suo Paese. In Ecuador non hanno mai creduto in me, perciò questo oro è mio e di tutti quelli che mi hanno aiutato. So che ora tutti vorranno festeggiare questa medaglia, che però appartiene solo a quelli che mi hanno realmente appoggiato».

Lasciati da soli

Di colpo tornano alla memoria le immagini del suo ritorno a Quito dopo la vittoria del Giro d’Italia e quella commozione si ferma contro questa durezza. Carapaz non indietreggia, anzi rilancia.

«Alla fine – dice – non hanno mai creduto in me, ad eccezione di poche persone. Perciò adesso sono qui che mi godo quest’oro, ma bisogna seguire gli atleti che davvero meritano. Abbiamo dovuto trovare un massaggiatore. Siamo venuti da soli. Abbiamo approfittato del personale di Ineos (la squadra in cui corrono Carapaz e Narvaez, ndr) che era qui con l’Inghilterra e l’Irlanda. Abbiamo chiesto aiuto alla gente per questo e sono loro che ci hanno davvero dato una mano quando ne avevamo bisogno».

Ministro duro

L’Ecuador non è messo bene, fra crisi economica e crisi sanitaria. C’è un nuovo presidente, Guillermo Lasso, eletto lo scorso 24 maggio, ma il cammino è lunghissimo. Così se qualcuno pensava che l’oro del ciclista più amato avrebbe aiutato a non pensarci, avrà presto dovuto rivedere le sue stime. E la ruggine affiora.

Sebastian Palacios, Ministro dello Sport che ha seguito la delegazione a Tokyo, ammette la mancanza di tecnici e personale e risponde con un video.

«Siamo qui per accompagnare gli atleti – dice – e monitorare come si svolgono il coordinamento e la logistica del Comitato Olimpico Nazionale. E purtroppo abbiamo visto cose che hanno catturato la nostra attenzione, che ci preoccupano e ci fanno indignare proprio come si è indignato Carapaz. Nel momento in cui abbiamo vissuto uno dei momenti più incredibili nella storia dello sport ecuadoriano e siamo orgogliosi per la conquista e il trionfo di Richard Carapaz, dopo le sue dichiarazioni di atleta e ciclista, che capisco e condivido, ci sono alcune cose che so e che si dovrebbero chiarire sulla partecipazione dell’Ecuador ai Giochi Olimpici».

Quattro anni fa

La ruggine fra questi atleti e il Comitato olimpico ecuadoriano in realtà è vecchia di 4 anni. Te ne rendi conto seguendo lo scambio di tweet fra Carapaz e Narvaez dopo la vittoria.

Risale tutto ai Giochi Bolivariani del 2017, che si svolgevano a Santa Marta, in Colombia. E’ scritto in un comunicato ufficiale diffuso pubblicamente il 13 novembre di quell’anno.

Vi si legge che i due, più Caicedo (il vincitore dell’Etna 2020) vennero trovati ubriachi in una pizzeria dopo aver lasciato il ritiro della squadra. Il Comitato Olimpico emise appunto quel comunicato, che Narvaez deve aver conservato da allora nel suo telefono. C’è scritto anche che i ciclisti mancarono di rispetto ai delegati che erano andati a cercarli. Che furono riportati a forza in hotel, da cui gli fu impedito di uscire. E che in seguito all’episodio, la Commissione etica del Comitato chiese l’apertura di un procedimento disciplinare a loro carico.

Nel suo tweet, Narvaez ironizza sul fatto che ora avranno una medaglia da aggiungere al procedimento. Mentre Carapaz gli risponde di pensare a qualcosa di meglio e aggiunge tre emoticon con un sorriso, la medaglia d’oro e un boccale di birra.

Il Comitato risponde

Il Comitato olimpico ovviamente risponde. Scrivono di aver provveduto all’emissione dei biglietti aerei e di aver fornito ai due atleti le indicazioni per l’ingresso sicuro in Giappone. Poi spiegano, pubblicando anche le foto, che una delegazione, tra cui un medico e un fisioterapista, ha incontrato i ciclisti. Il dottor Pablo Sarmiento ha emesso un rapporto al riguardo.

«Abbiamo proceduto a valutarli – scrive – sapendo che i loro colleghi europei li aiutavano con i massaggi, ma che richiedevano stivali di decompressione. Richard Carapaz ha ricevuto la terapia per 45 minuti. Abbiamo discusso delle loro condizioni mediche prima della competizione, hanno detto che si sentivano bene, ma che avevano bisogno di una squadra che li aiutasse con l’idratazione…».

Sempre nel referto del medico si legge che dopo la vittoria di Carapaz gli atleti hanno indicato di non avere bisogno di assistenza medica, ma che la struttura medica sarebbe stata comunque a loro disposizione.

Dopo la vittoria, per qualche minuto il sorriso è mutato in un ghigno amaro che ha portato la ruggine in superficie
Dopo la vittoria, il sorriso è mutato in un ghigno che ha portato la ruggine in superficie

L’oro e la Vuelta

Ci sono rancori difficili da smaltire, ma per fortuna la soddisfazione della vittoria ha portato non solo ruggine, ma anche felicità vera.

«E’ incredibile – ha detto Carapaz aspettando la consegna della medaglia – qualcosa ancora difficile da digerire. Sono molto emozionato. Ero convinto di averlo nelle gambe. L’ho provato al Tour, volevo vincere anche là, ma non è stato possibile. Qui era una lotteria e ho cercato di fare del mio meglio. Eravamo in due, abbiamo cercato di sfruttare il lavoro degli altri. Narvaez mi è stato sempre molto vicino, aiutandomi e portandomi l’acqua. Sapevo che McNulty pedalava davvero forte e che potevo trarne vantaggio. E’ stato un attacco intelligente. Abbiamo iniziato a collaborare ed è stato fondamentale. Io in discesa, lui in pianura. Alla fine sapevo che ero il più forte e non era necessario attaccare. Ho solo continuato, ho continuato, ho continuato e al traguardo ero da solo».

Non ci sono immagini del ritorno di Carapaz in Ecuador, ma visto che il campione olimpico è atteso alla Vuelta, probabilmente ha deciso di fermarsi in Europa. Era decisamente inatteso che il momento della vittoria più bella potesse avere un simile strascico di ruggine. Resta da capire dove sia esattamente la verità e se troveranno il modo prima o poi di ricomporla.

Polemica Vuelta. Bennett fa a spallate, vince Ackermann

29.10.2020
3 min
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Un sole insolitamente tiepido per la Vuelta, colori autunnali… Il via questa mattina da Castrillo del Val sembrava piuttosto silenzioso con quel chilometro zero nel “deserto” delle colline castigliane.  Tutto tranquillo, prima della tempesta e delle polemiche.

Volata che Deceunick-Quick Step, ma soprattutto Bora Hansgrohe nel finale sono riuscite ad ottenere. I primi con Sam Bennett, i secondi con Pascal Ackermann.

La giornata era passata tranquilla. Una fuga a due non impensieriva il gruppo. L’unico brivido c’era stato a poco meno di 15 chilometri dall’arrivo, quando Primoz Roglic forava. Ma l’assistenza dell’ammiraglia, l’attesa dei suoi compagni e delle gambe davvero ottime lo riportavano in gruppo in pochissimo tempo.

Spallate old style

I due treni schierati entrano all’ultimo chilometro la Bora davanti e la Deceuninck dietro. La velocità è alta, ma forse non altissima. Infatti il lettone della Trek-Segafredo Emils Lipeins decide di buttarsi sulla ruota “pregiata” del gruppo, quella di Sam Bennet. La maglia verde di Parigi chiaramente non ci sta a perdere quel bel vagone. Tanto più che è a ruota di un suo compagno e così prima gli molla una spallata e poi un’altra. Di certo l’irlandese non gli ha fatto gli auguri per il compleanno. Lipeins si voleva fare il regalo ma evidentemente ha sbagliato giorno.

Sam Bennett (30 anni) nel retro del podio con la giuria
Sam Bennett (30 anni) nel retro del podio con la giuria

Scoppia la polemica

Si arriva ai 300 metri e parte tutta la cavalleria pesante. Bennett rimonta e passa Ackermann. Tra i due nessuna polemica. Ma quando l’irlandese si prepara per salire sul palco la giuria lo ferma e chiama il tedesco sul podio.

«Serve il var», tuona il manager belga Patrick Lefevere. La spallata di Bennet in effetti è forte, ma non è la prima volta che si vedono certi colpi in volata. Sam non parla. Mentre Pascal, che ha certamente rivisto lo sprint, glissa: «Ero davanti e non ho visto nulla. Io ho fatto il mio sprint e ho visto Sam che risaliva forte tanto da passarmi. Devo ringraziare i miei compagni che hanno fatto un lavoro eccezionale portandomi nella migliore posizione. E mi fa piacere di aver vinto una tappa alla Vuelta alla mia prima partecipazione».

Ma intanto la polemica è scoppiata. Patrick Lefevere della Deceuninck ripropone gli sprint a spallate che si sono visti anche in questa stagione. Luca Guercilena, manager della Trek Segafredo risponde che la scorrettezza è evidente. E soprattutto che le immagini televisive sono chiare e che non c’è bisogno del var.

Parla Petacchi

A questo punto quale parere migliore di Alessandro Petacchi? Alejet che certe situazioni le ha vissute chiarisce: «La spallata c’è. Diciamo che ia miei tempi non sarebbe successo nulla. Bennett è stato un po’ troppo “vistoso”. In fin dei conti erano un po’ “mezzo e mezzo”. Per me la giuria lo ha penalizzato più in ottica futura che non per il fatto. Sulla prima spallata il lettone si sposta e se ci fosse stato qualcuno o fosse stato alle transenne sarebbe stato un bel caos. La giuria vuole evitare altre situazioni tipo quelle viste in Polonia e scoraggiarle.

«Poi, ragazzi, bisogna vedere cosa è successo davvero tra i due – riprende lo spezzino – se c’erano dei pregressi, se gli ha detto qualcosa. Senza contare che Bennett era a ruota di un suo compagno e ci sono regole non scritte che vanno rispettate: non puoi inserirti così in un treno. Fosse stato a ruota di un altro uomo magari si sarebbe arrabbiato di meno».