In procinto di partire per le Paralimpiadi, che commenterà su Rai Sport accanto a Stefano Rizzato, Pierangelo Vignati ci riporta con il suo racconto agli eccitanti giorni in pista di Parigi 2024. Li ha vissuto ugualmente in cabina RAI accanto a Francesco Pancani. Vignati, ex atleta emiliano classe 1970, dopo qualche trascorso da atleta normodotato, ha partecipato e vinto l’oro nell’inseguimento individuale alle Paralimpiadi di Sydney del 2000. Il suo reclutamento in RAI risale agli scorsi mondiali di Glasgow. Pancani aveva bisogno di un supporto per commentare il quartetto, gli mise una cuffia e lo mise alla prova. Test superato in modo brillante, al punto da portarlo a Parigi.
Che cosa ha visto Vignati nei giorni della pista? Quali sono stati gli episodi più stimolanti da raccontare? Gli abbiamo proposto di riportarci laggiù e lo abbiamo sommerso di domande. Ecco le sue risposte.
Pierangelo, come è stato seguire le Olimpiadi in pista? Faticoso, emozionante..
Entrambe. Faticoso perché ti devi preparare e ti devi ricordare le cose. Devi essere anche fortunato di alloggiare nella parte giusta. C’è chi ogni giorno faceva 45 minuti per andare in velodromo, noi con la Rai eravamo a pochi metri e questo ci ha aiutato molto. Con le Paralimpiadi sarà diverso. Saremo in centro a Parigi, quindi lontani dalla pista e anche dai luoghi in cui si correranno le prove su strada, che non saranno gli stessi. E’ stato emozionante, invece, perché è stata la mia prima Olimpiade. Sono stati un’emozione proprio il contesto e il ruolo che mi hanno cucito addosso. Stare accanto a Pancani rende tutto più semplice, ti mette in condizione di dare il 110% senza che te ne renda conto.
Il commento tecnico di una gara su strada può essere lento per lunghi tratti, invece le gare in pista durano poco: quanta concentrazione serve per accorgersi di tutto?
Fa parte anche quello della fatica della pista. E’ quasi come correrla. Nella mia storia, nonostante la mia disabilità dalla nascita, ho avuto la fortuna di correre in pista sia con i normodotati e poi con i paralimpici. In più sono sempre stato uno molto curioso e attento. So perfettamente che quando vai a vedere una madison non la guardi dall’interno della pista, ma da fuori per avere una visione completa, quindi sugli spalti sei in una posizione privilegiata. Certo, non abbiamo citato la caduta dei tedeschi, l’unica cosa che non abbiamo colto, ma il resto l’abbiamo beccato tutto, soprattutto la conta dei giri. Chi fa la madison deve sapere dove si trova, guardare il suo compagno, guardare il tabellone e guardare come si sta sviluppando la gara. E anche lì quando fai una telecronaca, devi guardare queste cose. Devi avere sotto occhio il tabellone, il punteggio e capire dove è il compagno, per capire quando parte lo sprint finale.
Come te la sei cavata?
Sono stato col profilo molto basso dal punto di vista tecnico, perché mi è stato detto di cercare di far capire più che altro come si sviluppavano le gare. Spiegare a chi non le ha mai viste come funziona e come si decidono. Cos’è l’americana, l’omnium, l’inseguimento a squadre. Come funzionano, le dinamiche, tutta la tattica. E devo dire che chi mi ha ascoltato, non essendo del ciclismo, mi ha detto di aver capito. Non è tanto per il complimento, ma sono contento perché abbiamo raccontato tutto in modo chiaro. Pancani e Rizzato sono bravissimi. Stefano è giovane ed è molto computerizzato, ma è veramente una macchina da guerra. Il suo è il nuovo modo di fare giornalismo in tv, è veramente preparato e meticoloso in tutto e per tutto. Pancani è un archivio storico vivente. Ha il suo librone, prende appunti, segna tutto. Sono due diversi tipi di giornalismo, però entrambi ottengono lo stesso risultato in due modi differenti.
Avevate spesso contatti con il box azzurro?
Per scelta ho lasciato tranquillo Marco Villa. Ho parlato di più con Ivan Quaranta, perché ho corso con lui. Ho cercato di carpire un po’ di informazioni da Diego Bragato, ma da quella parte c’era un silenzio assordante. Villa ha deciso di tenere un velo di segretezza su quello che stavano facendo. Ha fatto una riunione e ha detto che tutte le decisioni sarebbero dovute rimanere riservate.
Vedendoli da lì, si capiva che il quartetto non fosse quello di Tokyo e avesse qualcosina in meno?
Sì. Più che si è capito che gli altri avessero qualcosa di più. Non eravamo gli stessi di Tokyo, però quel bronzo vale quanto l’oro. Ci hanno abituati a vincere e fare il record del mondo, però il bronzo tre anni dopo è una grande conferma. E’ un bronzo che pesa, calcolando anche le dinamiche. Nelle qualifiche non mi sono piaciuti. In semifinale non mi sono piaciuti per nulla, addirittura pensavo che non passassero. C’è stata troppa confusione nel giro e 200 metri di Consonni e secondo me non se lo aspettavano. Invece nella finale del bronzo, anche se Consonni ha fatto la stessa cosa, il quartetto è stato più fluido e si è visto che stava funzionando. Tanto che poi i danesi si sono disgregati. Quando ho visto luce prima del terzo danese, ho capito che era andata. Consonni a quel punto non lo staccavano neanche se gli tiravano una badilata sui denti...
Simone è stato eroico in quel frangente e quando è ripartito dopo la caduta.
E ricordatevi che la madison erano 50 chilometri corsi a più di 60 di media. Alla fine, quando volavano via, era per l’esaurimento delle forze. Sembrava che svenissero, al punto che tutti sapevano che cosa avrebbero fatto i portoghesi e glielo hanno lasciato fare indisturbati. Non ne avevano per provare a tenerli.
L’Italia ha pagato la caduta, ma è stata una caduta che abbiamo provocato noi. Se ne è parlato poco.
All’inizio pensavo che si fosse proprio toccato con Elia. Invece poi nel rallenty, ho visto che la caduta è avvenuta proprio durante il cambio. Simone andava troppo piano in quel momento. E poi con i manubri stretti che hanno ora, a volte cambiano tenendo la mano sotto e non sopra (foto di apertura, ndr). La mano sopra permette di avere un controllo più stabile della bici, con la mano sotto rischi di perderla. Questo è un aspetto che va considerato.
In più la caduta c’è stata in una fase piuttosto concitata…
Mancavano 26-27 giri dalla fine e in postazione ci siamo guardati e abbiamo temuto che avessero perso tutto. C’è stato un momento di panico, non si capiva più nulla. C’erano i neozelandesi all’attacco e per fortuna, non so per quale motivo o per quale santo in paradiso, hanno mollato. Se avessero insistito, saremmo arrivati quarti. In quel momento sono partiti i portoghesi che hanno fatto lo sprint e conquistato il giro. Bravi loro. Noi ce la siamo giocata bene.
Visto che faccia Consonni quando è ripartito?
Abbiamo visto tutti la foto, che è bellissima. Bisognerebbe farla vedere ai giovanissimi per spiegare cosa vuol dire la grinta in bicicletta. A quel punto non sapevamo che botta avesse preso e cosa potesse accadere. L’unico errore probabilmente è stato il cambio per l’ultimo sprint. Hanno cambiato troppo tardi, hanno rischiato perché è naturale che la dovesse fare Elia. Forse se avessero cambiato prima, sarebbe rimasto agganciato ai primi e a quel punto avrebbe potuto cercare di vincere l’ultimo sprint.
Invece Vignati come ha vissuto l’oro di Guazzini e Consonni?
E’ stato esaltante, la gara perfetta: la dimostrazione che avere coraggio premia. Solo due squadre hanno conquistato il giro: l’Italia e l’Australia. Le nostre sono uscite da sole, hanno conquistato il giro e hanno iniziato a fare poi la gara. Però restava un po’ di dubbio. Adesso cosa succederà? Hanno consumato troppo? Hanno chiesto troppo? Si staccheranno? Capita spesso che vai a prendere il giro e poi non riesci più a stare agganciato. Queste ragazze invece hanno dimostrato un grande coraggio, che poi è stato veramente premiato. Ed è bello perché è una medaglia che valorizza tutto il resto. La spedizione del ciclismo, compreso il Ganna nella crono, torna a casa con un oro, due argenti e un bronzo. Assolutamente un grande bilancio.