Chicchi: 20 anni fa a Zolder il mondiale al quarto anno da U23

22.09.2022
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Vent’anni fa, sulle strade di Zolder, che incoronarono campione del mondo Mario Cipollini, si mise in luce un altro velocista: Francesco Chicchi. Sullo stesso rettilineo il toscano di Camaiore si aggiudicò la maglia iridata della categoria under 23. Una volata di potenza pura a testa bassa sul manubrio, un successo forse insperato ma che gli ha aperto le porte del ciclismo dei grandi

Francesco Chicchi
Chicchi ha smesso di correre nel 2016 dopo 14 anni di carriera nel mondo del professionismo
Francesco Chicchi
Chicchi ha smesso di correre nel 2016 dopo 14 anni di carriera nel mondo del professionismo
Francesco, cosa ricordi di quei giorni?

Ormai i ricordi sono rimasti veramente pochi – ride – si parla di 20 anni fa. Ricordo però che il percorso mi piacque molto, era sostanzialmente tutta pianura ad eccezione di due strappetti. 

Che corsa fu?

Durante tutta la gara ebbi la fortuna di rimanere a ruota, avevamo la nazionale con quattro ragazzi che avevano il compito di entrare in fuga. Fusi, il cittì dell’epoca, aveva concordato che se non si fosse creato un gruppetto, la strategia era tirare per me ed arrivare in volata. 

Francesco Chicchi
Dopo aver smesso di correre Chicchi è stato diesse della Dimension Data Continental nel 2019
Francesco Chicchi
Dopo aver smesso di correre Chicchi è stato diesse della Dimension Data Continental nel 2019
Dalle immagini si vede che un tuo compagno, Bucciero, è stato ripreso ai 300 metri dall’arrivo…

Nell’ultimo giro ognuno dei miei compagni cercò di tirare acqua al proprio mulino, Antonio (Bucciero, ndr) scattò sull’ultimo strappo per anticipare tutti. Io ebbi la fortuna di rimanere a ruota, battezzai le ruote di Dekkers e Baumann, i due più rapidi. Nella curva a “esse” vidi lo spazio per inserirmi più avanti, ci fu una caduta dove loro due furono coinvolti. Rimasi in piedi quasi per il rotto della cuffia e lanciai lo sprint venendo fuori da dietro a tutta.

Una volata in solitaria.

Sì, ma non posso certo recriminare ai miei compagni di non avermi dato una mano, i piani saltarono ma è comprensibile. Al mondiale under 23 ti giochi il passaggio nel professionismo ed una buona fetta di carriera. 

Tu l’anno dopo passasti in Fassa Bortolo.

A Zolder arrivavo al quarto anno da dilettante, l’anno della maturazione: o passavo oppure avrei smesso. Si trattava di un mondiale facile nella stagione dove ero sbocciato e quella vittoria mi ha proiettato nel professionismo. 

Peccato non aver potuto indossare quella maglia…

E’ un po’ un paradosso, ma è così. Vinci il mondiale e se ti va bene metti la maglia due o tre volte. E’ un peccato non vedere l’arcobaleno nelle gare, però è anche vero che la vera ricompensa è passare nel ciclismo dei grandi.

Quando si vince il mondiale under 23 è difficile godersi la maglia iridata, il salto nei professionisti arriva di conseguenza
Quando si vince il mondiale under 23 è difficile godersi la maglia iridata, il salto nei professionisti arriva di conseguenza
Come andò in Fassa Bortolo?

C’era tanta aspettativa nei miei confronti, tutti si aspettavano questo Chicchi super veloce ed esplosivo pensando fossi già pronto per competere con i migliori. Arrivare quell’anno in Fassa Bortolo era l’equivalente di giocare nel Barcellona. C’erano i migliori corridori al mondo: Bartoli, Cancellara, Pozzato, Petacchi, non dico che fu un errore passare in quella squadra perché è impossibile rifiutare una proposta del genere. Però fu difficile per me ritagliarmi un posto e con quei super campioni soffrii il passaggio.

Tu hai trovato queste difficoltà al quarto anno da dilettante, ora l’età si è abbassata ancora di più.

Qui mi sembra che l’età del passaggio al professionismo sia una cosa che si abbassa ogni anno. Ci sono juniores che già firmano contratti da pro’, se mi si chiede se sia giusto rispondo “ni”. Ci sono dei casi in cui è normale ed è quasi giusto, se si pensa ad Evenepoel, ma in altri è giusto che il corridore faccia il suo percorso di crescita tra i dilettanti. E’ normale che poi ci siano atleti che fanno l’ascensore tra pro’ e dilettanti, basta mezza stagione storta e torni giù, è tutto molto estremizzato

Questo trend però vale in tutti gli sport…

Chiediamo troppo ai giovani ed insegnamo poco. Talvolta mi trovo a parlare con juniores ed allievi che vogliono il procuratore, a 20 anni pensano di essere arrivati, ma non è così. Manca la base di apprendimento. In Italia i tecnici bravi ci sono e bisogna dare il tempo di formare i ragazzi e lavorare.

Polemica Vuelta. Bennett fa a spallate, vince Ackermann

29.10.2020
3 min
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Un sole insolitamente tiepido per la Vuelta, colori autunnali… Il via questa mattina da Castrillo del Val sembrava piuttosto silenzioso con quel chilometro zero nel “deserto” delle colline castigliane.  Tutto tranquillo, prima della tempesta e delle polemiche.

Volata che Deceunick-Quick Step, ma soprattutto Bora Hansgrohe nel finale sono riuscite ad ottenere. I primi con Sam Bennett, i secondi con Pascal Ackermann.

La giornata era passata tranquilla. Una fuga a due non impensieriva il gruppo. L’unico brivido c’era stato a poco meno di 15 chilometri dall’arrivo, quando Primoz Roglic forava. Ma l’assistenza dell’ammiraglia, l’attesa dei suoi compagni e delle gambe davvero ottime lo riportavano in gruppo in pochissimo tempo.

Spallate old style

I due treni schierati entrano all’ultimo chilometro la Bora davanti e la Deceuninck dietro. La velocità è alta, ma forse non altissima. Infatti il lettone della Trek-Segafredo Emils Lipeins decide di buttarsi sulla ruota “pregiata” del gruppo, quella di Sam Bennet. La maglia verde di Parigi chiaramente non ci sta a perdere quel bel vagone. Tanto più che è a ruota di un suo compagno e così prima gli molla una spallata e poi un’altra. Di certo l’irlandese non gli ha fatto gli auguri per il compleanno. Lipeins si voleva fare il regalo ma evidentemente ha sbagliato giorno.

Sam Bennett (30 anni) nel retro del podio con la giuria
Sam Bennett (30 anni) nel retro del podio con la giuria

Scoppia la polemica

Si arriva ai 300 metri e parte tutta la cavalleria pesante. Bennett rimonta e passa Ackermann. Tra i due nessuna polemica. Ma quando l’irlandese si prepara per salire sul palco la giuria lo ferma e chiama il tedesco sul podio.

«Serve il var», tuona il manager belga Patrick Lefevere. La spallata di Bennet in effetti è forte, ma non è la prima volta che si vedono certi colpi in volata. Sam non parla. Mentre Pascal, che ha certamente rivisto lo sprint, glissa: «Ero davanti e non ho visto nulla. Io ho fatto il mio sprint e ho visto Sam che risaliva forte tanto da passarmi. Devo ringraziare i miei compagni che hanno fatto un lavoro eccezionale portandomi nella migliore posizione. E mi fa piacere di aver vinto una tappa alla Vuelta alla mia prima partecipazione».

Ma intanto la polemica è scoppiata. Patrick Lefevere della Deceuninck ripropone gli sprint a spallate che si sono visti anche in questa stagione. Luca Guercilena, manager della Trek Segafredo risponde che la scorrettezza è evidente. E soprattutto che le immagini televisive sono chiare e che non c’è bisogno del var.

Parla Petacchi

A questo punto quale parere migliore di Alessandro Petacchi? Alejet che certe situazioni le ha vissute chiarisce: «La spallata c’è. Diciamo che ia miei tempi non sarebbe successo nulla. Bennett è stato un po’ troppo “vistoso”. In fin dei conti erano un po’ “mezzo e mezzo”. Per me la giuria lo ha penalizzato più in ottica futura che non per il fatto. Sulla prima spallata il lettone si sposta e se ci fosse stato qualcuno o fosse stato alle transenne sarebbe stato un bel caos. La giuria vuole evitare altre situazioni tipo quelle viste in Polonia e scoraggiarle.

«Poi, ragazzi, bisogna vedere cosa è successo davvero tra i due – riprende lo spezzino – se c’erano dei pregressi, se gli ha detto qualcosa. Senza contare che Bennett era a ruota di un suo compagno e ci sono regole non scritte che vanno rispettate: non puoi inserirti così in un treno. Fosse stato a ruota di un altro uomo magari si sarebbe arrabbiato di meno».