Spesso gli atleti, anche se professionisti, cambiano abitudini e soluzioni tecniche per imitazione o per sentito dire. E spesso queste scelte pagano in virtù di un effetto placebo. Nello specifico, parliamo di pedivelle corte, che comunque dati alla mano hanno apportato benefici. Ma è davvero per tutti così? E quanto incide realmente?
Queste domande se le è poste un professionista di alto livello, rivolgendosi al Centro MapeiSport di Olgiate Olona per effettuare dei test approfonditi. Questo atleta ha voluto valutare scientificamente quanto cambiasse la sua resa variando la lunghezza della leva.
Pur rispettando la privacy del corridore e la sua scelta di rivolgersi a un service esterno alla squadra in cui corre, il tema resta valido e interessante. Un argomento che analizziamo con il dottor Andrea Morelli, figura di riferimento del Centro Mapei, per comprendere l’impatto reale delle pedivelle corte.
Pedivelle corte e scienza
Il tema delle pedivelle corte è di grande attualità, anche se controverso. Negli ultimi anni alcuni atleti di punta hanno dichiarato di utilizzarle più corte rispetto agli standard, trasformando questa scelta tecnica in una moda.
«Tuttavia – spiega Morelli – non è semplice generalizzare: ogni atleta ha caratteristiche diverse e andrebbero fatti studi ad hoc per identificare la soluzione ottimale. In passato, si utilizzavano quelle più lunghe per la bici da crono rispetto alla strada, puntando su un braccio di leva maggiore per ottenere più forza. Con quelle corte, invece, si privilegia l’agilità e una cadenza più alta, ma si riduce la velocità periferica.
«Gli studi sembrano dimostrare che le pedivelle standard, con un range di +/- 5 mm intorno ai 170 millimetri, siano efficaci per la maggior parte degli atleti. Tuttavia, la scelta definitiva dipende dalle necessità specifiche di ogni ciclista».
Un pro’ al Centro Mapei
Il professionista in questione si è presentato di sua spontanea volontà al Centro Mapei con un quesito chiaro: dimostrare scientificamente se le pedivelle corte siano davvero vantaggiose. Va detto che lui le aveva già usate ed era propenso per questa tesi.
Ancora Morelli: «Voleva sapere se le pedivelle corte, molto corte, da 155 millimetri, fossero migliori per lui. Questo atleta ha ottenuto risultati significativi in salita e su percorsi misti, nonostante non sia un puro scalatore o passista. Cambiando squadra, però, si è trovato a dover rinunciare a quelle pedivelle, non disponibili presso il nuovo sponsor tecnico».
Per rispondere al suo quesito, il Centro Mapei ha messo a punto un protocollo di studio personalizzato, con la simulazione di diversi scenari e pedivelle di lunghezza variabile, tenendo conto anche delle necessarie modifiche alla posizione in sella.
«Si è trattato di un vero e proprio single case study. Ad esempio – spiega Morelli – accorciare la pedivella richiede di alzare la sella per mantenere costanti gli angoli articolari, operazione che può avere effetti significativi sul comfort e sulla biomeccanica».
La metodologia del test
«Il protocollo – spiega Morelli – prevedeva test in doppio cieco, vale a dire che alternavano pedivelle lunghe e corte senza che l’atleta sapesse quale stesse utilizzando. In sostanza questo serviva per evitare un effetto “placebo”. Anche se certamente l’atleta salendo in bici poteva percepire in quale condizione fosse. Comunque, scendeva dal cicloergometro ogni volta di spalle.
«Ogni sessione includeva tratti da cinque minuti con misurazioni precise: consumo di ossigeno, lattato ematico, elettromiografia muscolare e percezione della fatica. Le prove sono state condotte a due livelli di carico: uno basso, simile alla zona aerobica, e uno alto, vicino alla soglia anaerobica».
Il fatto che non fosse un test massimale è molto importante, in quanto non era influenzato dalla volontà dell’atleta di spingersi “oltre”, di performare, come in un test “all out”. «E’ stato comunque un modo per cercare di mantenere oggettività.», ci ha tenuto a sottolineare Morelli.
Inoltre sono stati raccolti dati biomeccanici come gli angoli articolari di ginocchio, caviglia e anca, insieme ai parametri fisiologici. L’obiettivo era capire se e come la lunghezza delle pedivelle influenzasse il rendimento, soprattutto a carichi elevati.
Risultati e implicazioni
I test hanno mostrato che, al carico più alto, l’atleta produceva leggermente meno acido lattico – con una differenza statisticamente significativa – con le pedivelle corte. Anche la percezione della fatica era inferiore, seppur di poco. Tuttavia, al carico basso, le differenze erano trascurabili. Questi risultati suggeriscono che le pedivelle corte potrebbero offrire un vantaggio specifico in situazioni di alta intensità.
«Una possibile spiegazione – dice Morelli – risiede nella biomeccanica: le pedivelle corte riducono l’escursione articolare, migliorando l’efficienza energetica. Tuttavia, la letteratura scientifica sottolinea che variazioni di 5-10 mm nella lunghezza delle pedivelle hanno un impatto limitato sui parametri di performance. La scelta della pedivella ottimale resta quindi altamente individuale».
E’ corretto il percorso intrapreso da questo professionista: affidarsi alla scienza per ottimizzare la propria resa. Test più ampi, magari con l’uso di tre lunghezze di pedivelle, potrebbero fornire ulteriori dati utili per una comprensione ancora più approfondita.
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