Massignan, quando le sconfitte valgono più delle vittorie

12.05.2024
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Probabilmente, se un giorno avessero chiesto a Imerio Massignan quando avesse voluto lasciare questo mondo, avrebbe detto “in coincidenza del Giro d’Italia”. Il destino lo avrebbe accontentato, perché il vicentino è scomparso a 87 anni proprio il giorno della partenza della corsa rosa. Quella corsa che gli era entrata nel sangue e che gli aveva sempre lasciato quel velo di amaro in bocca. Già, perché la storia di Massignan, che pure è ricca di risultati importanti (di quelli che oggi pagheremmo per avere con simile frequenza da un corridore nostrano) è contrassegnata più dalle sconfitte.

Per capirne la ragione basta ripercorrere la sua carriera che pure inizia in maniera squillante. Massignan è uno scalatore puro, di quelli che appena la strada si rizza sotto le ruote non riesce a star fermo. Il giorno che vince la Bologna-Raticosa, classica per dilettanti nel 1959, Tullio Campagnolo si avvicina a Eberardo Pavesi, grande corridore dell’anteguerra considerato il più esperto dei direttori sportivi: «Non farti sfuggire quel ragazzo, ti darà soddisfazioni». Pavesi non se lo fa dire due volte, lo mette sotto contratto e lo fa esordire subito. Non in una corsa qualunque, perché lo getta subito nella mischia del Giro d’Italia.

Massignan era nato il 2 gennaio 1937 ad Altavilla Vicentina. In carriera ha corso da pro’ per 11 anni con 2 vittorie
Massignan era nato il 2 gennaio 1937 ad Altavilla Vicentina. In carriera ha corso da pro’ per 11 anni con 2 vittorie

Le salite, il suo pane

Pensate una cosa del genere ai giorni nostri, quando ogni anno di carriera di un giovane viene misurato col bilancino. A quei tempi non si andava tanto per il sottile… Massignan però non si spaventa: in fin dei conti, al Giro di salite ce ne sono e quelle sono il suo pane. Il ragazzo veneto se la cava più che bene, anzi benissimo, tanto da finire quinto in classifica.

Le sue capacità di scalatore colpiscono la fantasia, ma c’è un episodio che lo eleva nell’olimpo del ciclismo. Quell’anno il Giro d’Italia affronta per la prima volta il Passo Gavia, inserito nella Trento-Bormio di 229 chilometri. Il veneto scalpita e già sul Tonale se ne va in solitaria. Mancano 80 chilometri, gli avversari non gli danno molto credito. «Quella montagna non l’avevo mai vista – racconterà in seguito – mi sono ritrovato a pedalare su una vera mulattiera, tra sassi, ghiaia, con un muro di neve alto sei metri da una parte e uno strapiombo dall’altra».

Il veneto è stato un grande scalatore: primo nella classifica dei GPM al Tour 1960 e 1961, è stato 4° ai Mondiali 1960
Il veneto è stato un grande scalatore: primo nella classifica dei GPM al Tour 1960 e 1961, è stato 4° ai Mondiali 1960

L’angelo del Gavia

Massignan non si spaventa, anzi spinge sempre più sui pedali. Dietro i grossi calibri si muovono, a cominciare da Charly Gaul, il lussemburghese, un altro che vive per tappe come questa. Il problema è che non guadagna: davanti quel diavolo non ha la minima intenzione di mollare anche se nelle gambe i chilometri di fuga si moltiplicano.

Il vicentino scollina con oltre 2 minuti di vantaggio. A chi pensa che sembra fatta dobbiamo però ricordare che Massignan è ricordato più per le sconfitte, per la sfortuna che l’ha contraddistinto. Infatti in discesa quei sassolini malefici gli presentano il conto. Fora per due volte, mentre rimette a posto la ruota vede Gaul sfrecciare. Eppure è capace ancora di riacciuffarlo, è pronto a giocarsi la tappa testa a testa, ma se il proverbio dice “non c’è 2 senza 3” c’è una ragione. Massignan fora a 300 metri dal traguardo e Gaul ha via libera. Quel rimpianto non lo lascerà mai, anzi il nomignolo “angelo del Gavia” che lo accompagnerà fino ai giorni nostri non ha fatto altro che rinfocolarlo: «Sul passo – ricorda un giorno – vendono ancora una cartolina con scritto “Passaggio di Massignan” e ogni volta è un tuffo al cuore».

Fino agli ultimi anni Massignan non ha mai mancato gli appuntamenti nel suo mondo (foto Sirotti)
Fino agli ultimi anni Massignan non ha mai mancato gli appuntamenti nel suo mondo (foto Sirotti)

Riciclatosi gregario prezioso

Massignan che di nome fa Imerio è davvero uno scalatore come ce ne sono pochi. Se ne accorgono anche oltralpe, dove realizza un’importante doppietta portandosi a casa la maglia a pois del Tour sia nel 1960 che nel 1961. Sempre nel ’61, dopo essere stato 4° al Giro ottiene lo stesso risultato alla Grande Boucle dove conquista di forza la tappa di Superbagneres, resa davvero terribile dalla nevicata intensa. Uno dei suoi dolori è che la stessa cosa non gli è mai riuscita al Giro, neanche nell’edizione del 1962 conclusa al secondo posto dietro Balmamion, molto meno capace in salita ma che fa della costanza la sua forza.

L’anno dopo fa capolino un problema, all’inizio sembra superabile, invece ha un peso decisivo sulla sua carriera: la nefrite. Salta metà stagione e tutto il 1964, quando torna a gareggiare si capisce che non è più il Massignan di prima. Il veneto ha però il buonsenso di riciclarsi e diventa un ottimo luogotenente, seguendo una trafila che nel corso degli anni altri faranno, un nome per tutti Rafal Majka. Diventa un gregario prezioso e questo gli consente di portare avanti la sua carriera (con conseguenti stipendi) fino al 1971.

Al Museo dei campionissimi di Novi Ligure, davanti alla foto a lui dedicata
Al Museo dei campionissimi di Novi Ligure, davanti alla foto a lui dedicata

Ahi, quello spagnolo…

Chiude con tanti sogni che gli tocca riporre in un cassetto. Come ad esempio vincere sulla sua montagna preferita, quella di casa, quella che porta al Santuario di Monte Berico. Un’occasione al Giro ci sarebbe, all’edizione del 1967, che finisce con una volata per scalatori: «La volevo tanto, ma Francisco Gabica me gà fregà» raccontava con suo tipico idioma vicentino per nulla intaccato, neanche negli ultimi anni da piemontese della sua residenza nell’Alessandrino, non lontano da quella Novi Ligure di Fausto Coppi che era stato la sua ispirazione.

Bormio: il turismo, i pro’ e le iniziative per i ciclisti

26.07.2023
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BORMIO – Arrivando dal fondo della Valtellina si nota che le strade intorno a Bormio fremono. Il turismo è attivo e porta tante persone nella cittadina ai piedi del Passo dello Stelvio. I bar e le piazze sono piene di gente e di turisti di ogni tipo: c’è chi ha ai piedi le scarpe da trekking, chi appoggia la bici al muro stanco per la pedalata. Non solo, le vie sono piene di famiglie e di bambini. Le attività a Bormio fremono e l’estate invoglia a perdersi in queste aree fresche, lontane dalla città roventi.

Ciclismo e turismo

Il ciclismo da queste parti vive di storia e di gesta eroiche. Basta alzare il naso verso i pendii asfaltati dello Stelvio per immaginare i corridori che si sono arrampicati fin lassù nel corso dei decenni. Ma non esiste solo la strada, la natura intorno a Bormio offre tanti spazi verdi da esplorare, e la cosa bella è che ciò si può fare in ogni modo. Mtb, gravel e le ultime arrivate: le-bike, apprezzate da tanti. L’avvento della pedalata assistita ha portato la fatica della bici vicina alle corde di tutti, aumentando il divertimento.

«Sicuramente il discorso del ciclismo – afferma Veronica Mazzola, direttore marketing del comprensorio di Bormio – nel nostro territorio è diventato molto importante negli ultimi anni. Ci ha aiutato ad avere un aumento dei turisti provenienti da tutta Europa, anzi direi da tutto il mondo. Abbiamo ormai persone che arrivano dall’Australia e dall’America per scalare le salite più famose della nostra Valtellina: Stelvio, Gavia e Mortirolo».

L’impresa di De Gendt sullo Stelvio nel 2012 ha portato negli anni tanti turisti provenienti dal Belgio
L’impresa di De Gendt sullo Stelvio nel 2012 ha portato negli anni tanti turisti provenienti dal Belgio

Non solo professionismo

La luce del professionismo può essere un promotore per il territorio, bisogna fare in modo, però, che questa luce non si spenga. Le iniziative devono fare in modo di tenere attivo il territorio anche lontani dai grandi eventi.

«Il Giro d’Italia – continua Mazzola – quando passa nelle nostre zone è un motore importante ed un’occasione per far conoscere la nostra realtà. Il nostro lavoro però non si ferma qui, dobbiamo essere poi bravi a far trovare le strutture adatte quando i turisti decidono di venire a trascorrere le loro vacanze da noi. Il mercato belga è un esempio di come il ciclismo professionistico sia uno sponsor importante. Vi basti pensare che dalla vittoria di De Gent, nel 2012, l’afflusso di turisti da questa Nazione è aumentato notevolmente. E’ importante per noi non concentrare il tutto solo negli eventi agonistici. Un altro tassello importante sono i ritiri come questo del team Eolo-Kometa. I corridori e lo staff stanno da noi per una decina di giorni, trovando tutto il necessario per fare un corretto allenamento». 

Enjoy Stelvio Valtellina è l’iniziativa che permette ai ciclisti di arrampicarsi sulle salite senza traffico
Enjoy Stelvio Valtellina è l’iniziativa che permette ai ciclisti di arrampicarsi sulle salite senza traffico

Le giornate dedicate

Uno dei modi per fare in modo che tutti possano godere della bellezza di queste strade è chiuderle al traffico. La passione per la bici è cresciuta molto negli ultimi tempi e questo ha portato a pensare a delle giornate dedicate. 

«Dal periodo post Covid – conclude Mazzola – abbiamo avuto un notevole incremento di persone sulle nostre strade, complice anche il fatto che la bici è diventata un mezzo sempre più alla portata di tutti. Cerchiamo, quindi, di valorizzare le nostre salite non solo per i professionisti ma anche per gli amatori e le famiglie. Da questo punto di vista sono importanti le chiusure che vengono fatte al traffico veicolare con le iniziative di Enjoy Stelvio Valtellina. L’ultima, pochi giorni fa, ha riguardato il Passo Gavia. Questo permette di godersi la bellezza della salita senza l’assillo del traffico, avvicinando molto anche le famiglie ed i bambini, che possono pedalare in sicurezza».

L’azienda della famiglia Pedranzini, sponsor del team di Basso, è valtellinese, il legame tra pro’ e territorio è importante
L’azienda della famiglia Pedranzini, sponsor del team di Basso, è valtellinese, il legame tra pro’ e territorio è importante

Parla il sindaco

La presentazione del team Eolo-Kometa si è aperta poi con le parole del sindaco di Bormio: Silvia Cavazzi (in apertura in mezzo a Pedranzini e Ivan Basso).

«Quelle che sono un must per la vita di un ciclista professionista – ha detto Cavazzi – possono, anzi devono, diventare l’occasione per aprire il territorio a tutti gli appassionati di ciclismo. I numeri dei turisti legati al ciclismo ha eguagliato quello degli sciatori nel periodo invernale. Questo ha fatto in modo che Bormio sia sempre un paese vivo durante tutto l’anno. Legate al territorio ci sono anche le aziende, come Kometa, sponsor della squadra, queste unioni non possono che renderci orgogliosi. In più ci fanno capire come tutto sia collegato».

Visit Brescia, ciclabili e itinerari tra le bellezze della provincia

02.05.2022
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Centinaia di chilometri di piste ciclabili tra le più belle d’Italia e itinerari di ogni tipo per appassionati delle due ruote. La provincia di Brescia è pronta ad ospitare ciclisti e turisti in sella da tutto il mondo. Il territorio è bike friendly e su misura per le bici e le famiglie. 

Visit Brescia racchiude un ecosistema per le escursioni e le vacanze per chi vuole scoprire la storia, l’enogastronomia e i percorsi di un luogo ricco di tutto ciò. Passi come Tonale, Gavia e Mortirolo, che hanno scritto la storia del Giro d’Italia. Ciclabili con panorami mozzafiato ed escursioni tra le vigne della Franciacorta, il tutto a misura di bici. 

La pista ciclabile sul lago di Garda è stata inaugurata nel 2018
La pista ciclabile sul lago di Garda è stata inaugurata nel 2018

Piste ciclabili

Considerata la passerella più spettacolare d’Europa, la ciclopedonale sospesa del Garda è un vero e proprio gioiello italiano. Due chilometri di passeggiata per due ruote a picco sul lago da Limone sul Garda a Riva del Garda. Una piccola escursione per famiglie, cicloamatori che vogliono godersi un’esperienza unica in totale sicurezza. Percorribile anche di notte, il tragitto è slow, visto anche il limite di 10 km/h.

Da un’eccellenza all’altra, la Ciclovia dell’Oglio è un’altra passeggiata per biciclette unica nel suo genere. Eletta la ciclabile più bella d’Italia agli Italian Green Road Awards 2019, gli Oscar italiani del cicloturismo.

Dai 1.883 metri del Passo del Tonale al Po. Questo percorso si snoda attraverso l’area Unesco delle Incisioni Rupestri della Valle Camonica, costeggia il lago d’Iseo, per poi continuare tra i vigneti della Franciacorta, fendendo la pianura bresciana e costeggiando il lungofiume del Po. E’ adatto a vacanze in sella di più giorni e presenta una rete di strutture adibite ad ospitare i cicloturisti. 

Gli itinerari sono per cicloturisti esperti ma anche per famiglie
Gli itinerari sono per cicloturisti esperti ma anche per famiglie

A ciascuno il suo percorso

La Greenway delle Valli Resilienti si snoda fra Valle Trompia e Valle Sabbia e le collega con Brescia.  Un grande circuito ciclabile nel cuore delle Prealpi bresciane, nato per soddisfare lo spirito sportivo e adrenalinico di ciclisti di qualsiasi specialità e livello. La tracciatura tocca molti punti di interesse storico, culturale, naturalistico, enogastronomico. E’ supportato da oltre 20 strutture ricettive bike friendly con possibilità di noleggio, riparazione biciclette e servizio di guide turistiche e accompagnatori.

La Greenway delle Valli Resilienti è adatta a qualunque biker, con oltre 1.400 chilometri di tracciato suddivisi in decine di percorsi per tutte le difficoltà. Ci sono anche escursioni dedicate per bici da strada con oltre ventisei tour da scoprire. Inoltre sono disponibili mappe degli itinerari, tracciati GPX, punti di ricarica per e-bike e luoghi in cui mangiare e dormire. Il tutto consultabile sul sito www.greenwayvalliresilienti.it

Percorsi tra le vigne della Franciacorta per pedalare e assaporare il territorio
Percorsi tra le vigne della Franciacorta per pedalare e assaporare il territorio

Tra le vigne

Sei itinerari eno-ciclo-turistici tra le vigne della Franciacorta, le campagne e i borghi della Valtenesi. Facilmente distinguibili, i percorsi sono mappati e contrassegnati da un colore specifico. Giallo per il Franciacorta Satén che ha come start Iseo. Blu per Franciacorta Pas Dosé con partenza dall’Abbazia di Rodengo Saiano. Verde per Franciacorta Brut che parte da Clusane, rosso Franciacorta Rosé da Erbusco. Nero per Franciacorta Extra Brut da Piazza della Loggia a Brescia, e infine quello bianco Franciacorta Millesimato da Iseo.

Ad affiancare gli itinerari ci sono agriturismi, alberghi e punti di ristoro attrezzati per ricevere i cicloturisti e dare loro l’adeguata assistenza. Una fitta rete di strutture pronte ad ospitare ciclisti e accompagnatori per rendere il soggiorno e l’esperienza indimenticabili.

Dal lago alla montagna tra la flora e la fauna delle Alpi
Dal lago alla montagna tra la flora e la fauna delle Alpi

I passi del Giro

Non solo paesaggi mozzafiato ed enogastronomia. La provincia di Brescia offre anche strade che portano ad affrontare i mitici passi che hanno fatto la storia del ciclismo attraverso il Giro d’Italia e non solo. Gavia, Tonale e Mortirolo. 

In Valle Camonica, il mitico Passo del Tonale è un punto di riferimento assoluto per gli appassionati di ciclismo. Sul confine tra il territorio bresciano e quello trentino, è accompagnato dalla cornice panoramica naturale del gruppo del Castellaccio, dal Monte Serodine e dalla Val Narcanello.

Anche quest’anno il Giro d’Italia attraverserà la provincia di Brescia
Anche quest’anno il Giro d’Italia attraverserà la provincia di Brescia

Il Passo Gavia tappa quasi fissa della corsa rosa, fin dalla storica edizione del 1960. Con pendenze del sedici per cento per raggiungere la vertiginosa quota di 2.621 metri, tra tornanti e panorami con scorci sulle valli di Pezzo, di Viso e delle Messi. 

Infine il Passo del Mortirolo, ambito traguardo per i ciclisti più allenati. Pascoli, baite e boschi offrono il contesto naturale a un tragitto faticoso ma affascinante, che si conclude sul confine tra le province di Brescia e Sondrio. Il Passo del Mortirolo, che non si tingeva di rosa dal 2017, sarà protagonista del Giro d’Italia 2022 nella 16^ tappa prevista per martedì 24 maggio.

VisitBrescia

Bonetta ci racconta le storie del Gavia

09.02.2021
7 min
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Le storie del ciclismo sono ovunque. Sulla strada prima di tutto, ma anche nei corridori, in ammiraglia, nei bus e persino nei rifugi. Uno su tutti il Bonetta, storico e mitico rifugio del Passo Gavia. Salita splendida quella lombarda, una sintesi tra la grandezza dello Stelvio e le pendenze estreme del Mortirolo. Sulle sue rampe si trova tutto ciò.

Il rifugio fu costruito nel 1960 da Duilio Bonetta e sua moglie Vittorina Vitalini. Ebbero quattro figli, due maschi e due femmine. Uno di quei maschietti è Federico che tutt’ora gestisce insieme a loro il rifugio con l’occhio sempre presente di mamma Vittorina. 

A destra, Federico Bonetta con la famiglia Cantoni (Daniele ex U23)
A destra, Federico Bonetta con la famiglia Cantoni (Daniele ex U23)

Federico Bonetta è un vero oste. Uomo di montagna puro. Una sera ci fermammo a dormire presso il suo rifugio. Era ormai all’imbrunire, c’era la nebbia e scendere a Ponte di Legno non era il massimo. Entrammo, Federico ci diede una camera e cenammo. Eravamo noi e un cicloturista belga. Tra pizzoccheri fumanti e un bicchiere e l’altro ci aprì il libro dei ricordi. Quanti campioni sono passati lassù.

Il “primo primo”, Massignan 

Le pareti del Bonetta sono un enorme collage di foto. Ci sono ciclisti, vip, sciatori ma soprattutto… ciclisti. La prima volta che vi passò il Giro fu proprio nel 1960 e l’onore di quel battesimo toccò ad Imerio Massignan.

«Mi trovai davanti una vera e propria mulattiera – disse Massignan – con ghiaia e sassi, muri di neve alti sei metri e uno strapiombo a tenermi compagnia».

«Io però – racconta Bonetta – avevo due anni e non ricordo nulla se non dai racconti dei miei genitori di quel giorno. Erano le prime volte che salivo al Gavia da Santa Caterina, casa mia. Ricordo però bene la seconda volta, quella mitica del 1988».

Andrew Hampsten in azione sul Gavia al Giro del 1988, la neve ancora non era eccessiva
Andrew Hampsten in azione sul Gavia al Giro del 1988

Hampsten, la neve, il mito

E quella fu la tappa che regalò il Gavia al mito. I corridori vi transitarono sotto una bufera. Oggi di certo la bloccherebbero, visto quanto accaduto quest’anno a Marbegno, ma il libro della leggenda del ciclismo avrebbe un capitolo in meno.

«Ad oggi è il mio ricordo più sentito. Vincenzo Torriani, allora direttore del Giro, mi fece otto telefonate. All’epoca non c’erano i cellulari e mi relegò dentro al rifugio in attesa delle sue chiamate. La prima telefonata avvenne alle 17 del pomeriggio prima, poco dopo la fine della tappa. Poi chiamò ogni due ore per tutta la notte. Mi chiedeva: Mi dica, Bonetta come va lassù? Nevischia e tira vento, rispondevo io. La neve in effetti non attaccava. E lui ancora: devono passare, devono passare. La mattina dopo alle 6 erano arrivate le macchine del Giro e se la vide poi con loro. Ma fino al passaggio della corsa nevischiava. Fu durante l’arrivo dei primi che cambiò tutto. Venne il gelo e la neve iniziò ad attaccare».

Visentini sulla vetta del Gavia sempre nel 1988
Visentini sulla vetta del Gavia sempre nel 1988

Federico racconta quell’avventura ancora con un grande trasporto emotivo. E rivela che Torriani, che aveva “scoperto” questo passo, ne era innamorato.

«Torriani voleva fare qualcosa per Bormio visto che l’anno prima la frana della Valtellina aveva causato enormi danni. E quindi voleva portarci il Giro. Mi colpì moltissimo Johan Van der Velde che arrivato in cima schizzò via. Non si fermò a mettere nulla. La tv lo cercava, ma non lo trovava. Dopo tre chilometri si era fermato da una parte. Non riusciva a frenare. Era completamente congelato. 

«Gli altri invece si fermavano. Chi più, chi meno, si coprivano. Ricordo che erano congelati e li appoggiavamo dentro le macchine. Stavano lì qualche minuto. Si scaldavano. Indossavano giacche e guanti. Persino i guanti che avevamo nel rifugio e che avremmo dovuto vendere ai clienti. Una volta finiti quelli misero su quelli rimasti, anche quelli da muratore. Gli massaggiavamo il busto e le gambe. Anche perché il peggio doveva arrivare: la discesa. In salita bene o male si “scaldavano”. Che scene.

«Posso dire che qualcuno, anche un nome molto importante, scese in macchina. Se poi sia risalito in sella a due chilometri da Bormio o prima non lo so. Ma di certò lasciò il Gavia in ammiraglia».

Il Rifugio Bonetta a 2.652 metri. Di solito apre a giugno, ma se c’è il Giro anticipa un po’
Il Rifugio Bonetta di solito apre a giugno, ma se c’è il Giro anticipa un po’

Quanti Giri

Negli anni poi i passaggi della corsa rosa ai 2.621 metri del Passo Gavia sono continuati. E tanti altri campioni si sono dati battaglia lassù.

«I colombiani – racconta Bonetta – mi sono sempre piaciuti, sono sempre stati combattivi. Le altre volte però non essendo il Gavia l’ultima salita non è stata decisiva e quindi vedevi passare il gruppo.

«Se salgono da Santa Caterina li vedi che si avvicinano a 30-40 all’ora (da quel versante il chilometro finale è praticamente pianeggiante, ndr) e spariscono. Quando invece salgono da Ponte di Legno è tutt’altra cosa.

Da Ponte di Legno, strada stretta e pendenze che sfiorano il 16%: il Gavia morde
Da Ponte di Legno, strada stretta e pendenze che sfiorano il 16%: il Gavia morde

Aspettando Pantani

Una giornata che il mito invece lo annunciava è poi svanita prima del via. Parliamo del Giro 1999 e più precisamente di quel maledetto 5 giugno. Tutta l’Italia ma forse sarebbe meglio dire tutto il mondo, aspettava Marco Pantani. Il Pirata aveva in serbo un’impresa stile Cuneo-Pinerolo di Coppi. Scattare sul Gavia, magari con qualcuno e lasciare tutti sul Mortirolo. Invece fu fermato a poche ore dal via di quella tappa.

«Mamma mia la gente che c’era! Mai vista così tanta – racconta Bonetta – Erano saliti già dal giorno prima con i camper, le tende… per tenere il posto. La notte si fece baldoria. Pensate che neanche chiusi il Rifugio. Poi quando arrivò la notizia ci fu lo sconforto generale. Ho visto gente che piangeva. In tanti iniziarono a scendere. Qualcuno voleva persino bloccare il Giro… poi quando videro la Polizia tutto si fermò. Fu un momento di rabbia».

Liquigas in testa al Giro del 2010
Liquigas in testa al Giro del 2010

Il Gavia nel cuore

Ma negli anni tanti campioni e personaggi hanno continuato a salire lassù. E ad entrare nel Rifugio Bonetta. Federico molti di loro li conosce e con alcuni ha stretto amicizia. In passato c’è stato Gimondi. E vengono tutt’ora Motta e Moser….

«Hampsten viene quasi tutti gli anni e ancora mi chiama. Porta qui dei turisti. Quando lui fece l’impresa transitarono non per la galleria, ma per la vecchia stradina a strapiombo che ormai è invasa dai massi. Non si capacita che non sia stata sistemata per le bici. Mi dice: al Tour l’avrebbero fatto. E’ un passaggio bellissimo, un valore aggiunto».

La stradina a strapiombo che aggira la “nuova” galleria
La stradina a strapiombo che aggira la “nuova” galleria

Spesso passano di lì in estate anche molti campioni che sono in ritiro in altura, magari sullo Stevio o a Livigno.

«Un giorno entra un ragazzo. Lo guardo, ci metto un po’ a capire chi fosse poi gli dico: ma tu sei Dumoulin! E lui mi risponde: sì, sono io. Un ragazzo educato. Aveva preso una Coca Cola e una fetta di torta. Davvero un ragazzo semplice, scambiammo qualche parola. Mi raccontò che veniva da Livigno, che avrebbe poi fatto il Mortirolo e sarebbe tornato a Livigno. Fui contento di offrigli torta e Coca.

«Di certo – aggiunge con sarcasmo Bonetta – non è stato come qualcun altro che, forte della sua vittoria al Giro venne, si sedette con altri cinque corridori, entrò, ordinò sei Coca Cole e sei tranci di torta e andò via senza pagare e senza dire nulla. Non mi sono impoverito per sei pezzi di torta, però… ».

«Ah, quasi dimenticavo: Contador! Quello sì che è un signore… Quando veniva in Valtellina, in occasione della manifestazione di un suo sponsor, come arrivava salutava e mi chiedeva di “nonna Vittorina”. Scambiava qualche parola con lei e lo stesso faceva con noi a tavola. Aveva un codazzo di gente ogni volta. Lui voleva sempre la stessa cameretta per cambiarsi. Mi ha detto che il Gavia è un bel traguardo per lui».

Federico Bonetta ve ne può raccontare mille di storie. Se per caso questa estate passate da lui non siate turisti mordi e fuggi. Fermatevi a parlare con il rifugista, ne vale la pena.