Addesi e il paraciclismo: inizia la caccia dei giovani talenti

07.10.2024
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Una settimana fa eravamo a Zurigo scrivendo gli ultimi pezzi. Si parlava della meraviglia di Pogacar. Del bilancio azzurro tenuto in piedi da crono, donne e juniores e del passaggio a vuoto dei professionisti. Sembrava un discorso concluso, invece mancavano all’appello le 14 medaglie del paraciclismo. Tre maglie iridate (in apertura quella di Cornegliani), per la precisione, nove argenti e due bronzi.

Quello del paraciclismo è un mondo complesso. Ci sono infinite categorie, strane manovre di classificazione, retaggi, storie ed esigenze particolari. La ricerca tecnologica e della performance progrediscono con passi da gigante. Le altre Nazioni reclutano atleti giovani, provenienti da altre esperienze se non addirittura dal professionismo. Così, viste anche le polemiche delle ultime settimane, siamo tornati a bussare alla porta di Pierpaolo Addesi, referente del settore strada da meno di due anni

Zurigo, ultime medaglie anche per Pasini, Amadeo e Farroni. A sinistra Pierpaolo Addesi, con il presidente Dagnoni e Amadio (foto Borserini/FCI)
Medaglie per Pasini, Amadeo e Farroni. A sinistra Pierpaolo Addesi, con il presidente Dagnoni (foto Borserini/FCI)
Come è andata la trasferta di Zurigo?

Bene, considerando che abbiamo cominciato a lavorare sul serio da un anno. Tutti i talenti che sono arrivati fanno parte di un progetto nato nel 2023 e, anzi, alcuni sono arrivati anche dopo. Marianna Agostini, ad esempio, oppure lo stesso Lorenzo Bernard sono arrivati dopo. L’unico che ha iniziato a gennaio è stato Andreoli, perché con lui ho preso i contatti a dicembre, l’ho incontrato a Milano e gennaio è stato inserito nel gruppo azzurro. Nonostante tutto, penso che ci siamo difesi abbastanza. A Parigi e poi a Zurigo

Si continua a dire che i risultati si coglieranno nel prossimo quadriennio: sei scaramantico oppure non credevi che gli atleti fossero già al livello giusto?

Adesso lo posso dire. Andando a Zurigo, avevo scritto un numero di medaglie volutamente più basso, vale a dire otto come a Parigi, perché ho cercato di tenere i piedi per terra. Sapevo che sarebbero state di più. Avevo una nazionale che mi aveva dato tantissime conferme anche in Coppa del mondo. E se non ci fosse stata l’ingiustizia di Bosredon inserito in H3 (*), lui che di fatto è un H4, a Parigi avremmo raccolto un argento nella crono e forse su strada sarebbe arrivato l’oro. A Zurigo, la stessa cosa. Se non ci fosse stato lui, Martino Pini avrebbe vinto il mondiale. Sono abbastanza sicuro che dal prossimo anno il francese tornerà H4, ma nel frattempo con lui si sono garantiti tre medaglie d’oro alle Paralimpiadi.

Ti ha stupito che Mazzone sia riuscito a vivere un altro mondiale?

Tanto. In concomitanza con la sua crono c’era l’incontro con il Presidente Mattarella e a Parigi, Luca era stato uno dei due portabandiera. Mi ha chiamato anche il CIP chiedendomi se fosse possibile portarlo a Roma, così ne ho parlato con lui. Ci siamo ricordati quanto andasse forte in pianura dietro moto nel ritiro di Campo Felice. Quella di Zurigo era una cronometro dove avrebbe potuto esprimere il suo massimo. Non c’erano curve, non era un percorso tecnico. Era un drittone. E lui, se lo metti in un percorso così, ancora oggi distrugge tutti. Infatti ha stravinto, in 18 chilometri ha staccato di 40 secondi atleti che negli ultimi anni lo hanno sempre battuto. Non era scontato. Luca è forte, è un atleta molto determinato, si è impegnato tantissimo.

Mazzone ha 53 anni ed è ancora vincente. Si parla di ricambio, immagini che sarà lui a decidere quando fermarsi?

Credo che in quelle categorie sia l’atleta a decidere. Dopo aver vinto ancora, non credo sia tornato a casa pensando di smettere. Io non gli dirò mai di farlo. Ma è logico che quando non arriveranno più i risultati e si renderà conto che nella sua categoria sono arrivati giovani più forti, sarà lui a capire il momento. Il quarto posto di Francesca Porcellato a Parigi, visti anche i risultati dei mondiali precedenti, fa capire che ormai eravamo fuori dalla lotta per le medaglie. 

E allora come avviene il reclutamento dei giovani?

Questa sarà la sfida del prossimo anno. Vorrei tanto che in Italia si aprisse un po’ la mentalità. In Francia è appena arrivato nei C4 un ragazzo nuovo, Mattis Lebeau, che ha vinto il mondiale crono ed è arrivato secondo su strada. Se andate a vedere il suo palmares, ai primi di settembre ha fatto il Giro di Guadalupe in mezzo agli elite, una corsa a tappe di otto giorni. Ha 25 anni e durante la stagione ha anche vinto gare su strada. Lui ha un problema alle gambe, probabilmente qualcosa a livello di sviluppo e ha un polpaccio leggermente più piccolo, che è bastato per rientrare nella categoria C4.

Vuoi dire che la ricerca è anche fra atleti che corrono nel gruppo dei normodotati?

Esatto. Devo andare a cercare situazioni come questa nel panorama nazionale. Il problema è che nel momento in cui le trovo, con chi affronto il discorso? Parlo per esperienza. Sono andato dal tecnico di una continental italiana e gli ho fatto il nome di un atleta giovane e forte, nella stessa situazione di Lebeau. Gli ho detto che il ragazzo può fare la sua attività da U23 oppure elite, però per tre volte all’anno potrebbe venire a correre con noi. Ebbene, quando gli dici questo, si offendono. Mi ha risposto che il ragazzo è normale. Come devo fare io?

Mattis Lebeau ha vinto la crono di Zurigo nella categoria C4 del paraciclismo. In preparazione ha corso il Giro di Guadalupe (foto L’Equipe)
Lebeau ha vinto la crono di Zurigo nella categoria C4 del paraciclismo. In preparazione ha corso il Giro di Guadalupe (foto L’Equipe)
E’ un problema culturale, l’handicap in Italia è motivo di disagio. Non tutti sanno che il ciclismo paralimpico sia anche quello su una bici normale e non per forza una handbike.

Esattamente. Servirebbe uno step culturale. Non è una diminuzione, non è qualcosa per cui essere presi in giro, ma una possibilità. Dovrei far capire a questi ragazzi, ma soprattutto ai loro manager, che la categoria C5 nel paralimpico equivale alla categoria elite dei normo. Non è niente di meno. Se andate a vedere gli ordini d’arrivo di tutte le gare che fanno in mezzo agli elite, davanti ci sono anche loro. Penso a Dementiev, che corre regolarmente su strada, ma anche a tanti altri che per tutto l’anno gareggiano in mezzo agli elite.

Qualunque corridore italiano avrebbe paura di essere preso in giro. La diversità a tutti i livelli nel ciclismo è uno sbarramento insormontabile: non sono neanche certo che qualcuno leggerà questo articolo…

Chiedo solo di pensarci. Parliamo di una categoria di professionisti, perché ormai a certi livelli non si va più avanti allenandosi part time. Mettiamo che trovo un atleta forte e ancora giovane, che corre da U23 oppure elite. Se il prossimo anno viene al mondiale in Belgio e mi vince una medaglia d’oro, cosa che è molto probabile, a dicembre riceve il Collare d’Oro. L’anno successivo, un corpo di Polizia lo prende al 100 per cento, perché diventa interessante in chiave olimpica. E lui si è praticamente guadagnato lo stipendio a vita, perché starà lì fino alla pensione. Considerando che una medaglia d’oro alle Olimpiadi frutta 100.000 euro. In più, se corre da U23 oppure elite, farà il corridore fino a quando ne avrà voglia. 

Parigi e Zurigo hanno visto anche un bel rimescolare di equipaggi tandem.

Corentin Ermenault, uno che ai mondiali di Grenchen 2023 era nel quartetto di bronzo dietro l’Italia di Ganna, non ha vestito la maglia francese nel 2024 per fare le Paralimpiadi e vincere delle medaglie. Possibile che non riesco a prendere un atleta forte della pista per puntare a Los Angeles? Dobbiamo mettere davanti un inseguitore fortissimo e in parte ci siamo riusciti con Plebani. Date anche a noi un atleta che nel 2027 escludete dalla maglia azzurra, un inseguitore forte per puntare le Paralimpiadi di Los Angeles nel tandem e la medaglia d’oro ce la giochiamo pure noi.

Dietro un atleta paralimpico ci sono la sua squadra e la famiglia: qui la sorella e i nipoti di Pini a Zurigo (foto Borserini/FCI)
Dietro un atleta paralimpico ci sono la sua squadra e la famiglia: qui la sorella e i nipoti di Pini a Zurigo (foto Borserini/FCI)
La guida forte fa la differenza?

Lorenzo Bernard l’ho incontrato l’anno scorso a marzo. Gli altri hanno detto che l’avevano già testato, lui racconta che fece una prova col tandem e poi fu scaricato. Quando a marzo l’ho testato qui a Francavilla, si è visto subito che c’era un motore molto grande, ma anche che era acerbo. Però una volta che hai uno così e gli metti una guida competitiva a livello mondiale, i risultati arrivano. Prendi un atleta che fa 4’10” nell’inseguimento, lo abbini a Bernard e il tandem non può andare piano. Al primo assalto con Plebani ha preso il bronzo, no? Gli altri hanno fatto questi ragionamenti, che sono replicabili anche su strada.

Dove hai puntato su Totò…

Un ex professionista, anche se nella sua carriera forse non ha sempre fatto il professionista sul serio. Ma se prendo un qualsiasi corridore che abbia dei numeri, il tandem è la somma dei numeri. Watt davanti, watt dietro. Se questa somma è alta, il tandem vince. Poi servono anche la scaltrezza, abilità a guidare e resistenza, ma quelle si affinano col lavoro.

I corridori hanno raccontato che l’ambiente della nazionale è sereno e per questo hanno potuto lavorare bene.

Dico sempre che io non sono il capo di nessuno e non devo diventare l’amico dei corridori, altrimenti qualcuno potrebbe permettersi di dire cose fuori posto. Serve rispetto. Ho un ruolo, che è guidare la nazionale. Non sono l’allenatore, non mi prendo meriti che non ho, a differenza di qualcun altro. I ragazzi vincono perché si sono impegnati e hanno fatto risultati grazie a chi li ha preparati. Alle società che ci sono dietro e alle famiglie. Perché un disabile non fa leva solamente sulla società, c’è anche il lavoro delle mogli, dei figli, di chi li circonda. Io cerco di metterli nelle condizioni di lavorare al meglio, di esprimere il massimo e cerco di farli restare sereni e tranquilli.

Il tuo ruolo in gara?

Sicuramente intervengo a livello tattico. Tutte le volte che abbiamo deciso qualcosa prima, è sempre andata bene. Al contrario, tutte le volte che non hanno fatto quello che avevamo concordato, è andata male. Farroni e a Vitelaru potevano vincere il mondiale, ma hanno fatto cose diverse da quelle concordate.

Che cosa?

A Giorgio avevo detto di superare Clement a destra nella volata, perché il vento tirava da sinistra. Era nella posizione ideale fino ai 200 metri. Poi, partita la volata, anziché rimanere a destra si è spostato sul lato opposto. Ha preso vento, ha allungato e ha perso la volata di poco. A Vitelaru invece avevo ho detto che fino a 150 metri doveva rimanere a ruota, perché lei è molto esplosiva e doveva fare una volata corta. L’olandese è stata più furba e ha fatto la finta di partire a 350 metri. Lei ha abboccato ed è partita. L’altra si è messa a ruota e poi l’ha saltata nel finale. Li ho ripresi entrambi, anche in modo severo.

Severo?

Sono stato anche io atleta e mi dava più fastidio se dopo un pessimo risultato mi dicevano che andava bene lo stesso. Se il tecnico analizza gli errori, magari sul momento ci resti male, però vuol dire che ci tiene. Farroni dopo l’arrivo piangeva. Però il giorno successivo l’ho accompagnato all’aeroporto e mi ha detto grazie. Che era giusto che lo avessi richiamato perché aveva sbagliato. La mia fortuna è essere stato nei loro panni e fare con loro quello che avrei voluto facessero con me. 

Farroni beffato in volata dal canadese Clement, probabilmente per un suo errore in volata (foto Borserini/FCI)
Farroni beffato in volata dal canadese Clement, probabilmente per un suo errore in volata (foto Borserini/FCI)
Qualcuno ha fatto notare che il bilancio di Zurigo è buono, ma che le medaglie sono meno di altri mondiali. Parlano di Cascais nel 2021…

E’ una vecchia disputa. Vincemmo 13 titoli mondiali, ma non ci si sofferma mai sul livello di partecipazione. Quell’anno le nazionali più forti avevano puntato tutti su Tokyo. Lo conferma il fatto che quei 13 ori di Cascais a Tokyo si ridussero all’oro della staffetta, cinque argenti e un bronzo. Oggi quegli atleti hanno smesso quasi tutti e a livello mondiale è venuta avanti una nuova generazione fortissima. Restano davanti soltanto Mazzone e Cornegliani, mentre abbiamo scoperto che dietro non c’era niente.

Nessun giovane?

Ho preso in mano un gruppo di atleti di una certà età, cosa era stato fatto per il ricambio? Se adesso smettessimo di cercare giovani, magari a Los Angeles porteremmo a casa qualcosa. Mirko Testa ce l’ho, Pini ce l’ho, Cortini ce l’ho, ma poi fra 10 anni con chi vinci?

(*) Per capire meglio, le categorie del paraciclismo sono suddivise in C (ciclismo), H (handbike), T (triciclo), Tandem. I numeri accanto sono inversamente proporzionali alla gravità dell’handicap. Si va da 1 che è il caso più grave a 5 che è il più lieve.

Paraciclismo e polemiche: a Di Somma la risposta di Podestà

22.09.2024
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Dalle otto medaglie ai Giochi di Parigi all’argento della staffetta di Mazzone, Mestroni e Cortini che ieri ha aperto la rassegna iridata di Zurigo (in apertura, foto FCI). Il paraciclismo azzurro non si ferma e su bici.PRO continuiamo a raccontarvi le medaglie, ma anche quello che ci sta dietro. Il bilancio paralimpico della nuova gestione targata Pierpaolo Addesi-Silvano Perusini ha provocato nelle scorse settimane la reazione di chi ha tessuto le fila azzurre fino ai precedenti Giochi di Tokyo. 

Le parole di Di Somma però hanno sollevato un vespaio, chiamando allo scoperto sui social diversi atleti paralimpici che le hanno ritenute inaccettabili. Per approfondire l’argomento abbiamo chiesto il parere di uno dei pionieri dell’handbike in Italia come Vittorio Podestà. Il ligure, 51 anni, è stato il primo campione iridato azzurro nella disciplina (Bordeaux 2007) e si è ritirato poco prima di Tokyo in seguito all’incidente di Alex Zanardi. Essendo stato uno degli atleti di punta della precedente gestione, Podestà ha voluto chiarire alcuni punti. Nella lunga chiacchierata con noi, ci ha spiegato anche ciò che secondo lui non funziona nel panorama internazionale.

Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Vittorio, che cosa ti ha colpito di Parigi?

Parto da quello che non mi è piaciuto. C’è un grande problema internazionale che vedo nell’handbike, ma anche paraciclismo ed è legato alle classificazioni. In vista dei Giochi casalinghi, l’asso francese Mathieu Bosredon è stato riclassificato: era già vicecampione mondiale H4 e l’hanno spostato negli H3, magicamente, dopo tanti anni, senza particolare motivi clinici. Ha demolito la categoria, lo si è visto nella gara in linea in cui ha forato, è rientrato e ha pure aiutato il compagno di squadra nella lotta per la medaglia d’argento. Noi azzurri che avevamo una corazzata negli H3 ci siamo trovati ad accontentarci di un bronzo con Mirko Testa.

E non è l’unico caso, viste le perplessità sollevate, ad esempio, in campo femminile da Francesca Porcellato.

Le classificazioni stanno diventando purtroppo una sorta di doping nascosto nel mondo paralimpico. Con il successo delle ultime edizioni, come in tante altre discipline, ci sono sempre più riflettori puntati. Non voglio fare troppe insinuazioni, ma tante classificazioni sono sospette e gli avversari non sono contenti. C’è stata anche una protesta molto accesa di alcuni atleti alla tappa di Coppa del mondo di Maniago, ma non è stata presa in considerazione, anzi è arrivata una forte condanna dall’Uci. Ci vorrebbe una maggior tutela degli atleti. Diciamo che non ho guardato con grande piacere Parigi sapendo di vittorie già scritte in maniera palese, perché lo sport che mi piace è quello equilibrato, con grandi battaglie sul filo dei secondi.

Che cosa ci dici, invece, delle dichiarazioni della precedente gestione che hai commentato anche a mezzo social?

Tanti atleti, tra cui il sottoscritto, hanno contribuito a far cadere la vecchia gestione, perché erano stufi della gestione dell’ex CT Mario Valentini. Si andava da gravi problemi logistici, passando per problemi di rispetto per gli atleti, in particolare per le categorie che hanno più difficoltà causa tetraplegia.

Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
A cosa ti riferisci in particolare?

A tanti aspetti, che possono sembrare piccolezze, ma che fanno la differenza ad alto livello e che l’attuale staff ha messo in conto. Non può esistere che un atleta si trova a fare un raduno o durante gare cruciali come Coppe del mondo e mondiali in hotel con il bagno troppo stretto o il wc e la doccia difficilmente accessibili. Nessuno curava questi dettagli che per noi erano cruciali. Gli atleti per poter dare il massimo e concentrarsi sulle gare non possono disperdere energie mentali per certe barriere architettoniche. Non è possibile che avessi una logistica migliore quando mi spostavo con la mia società rispetto a quella con la nazionale.

E su Tokyo cosa vuoi aggiungere?

E’ stato il caso emblematico. Il Villaggio Olimpico della capitale era troppo lontano dal circuito ai piedi del Monte Fuji (la scelta di dove collocare il Villaggio ovviamente non compete alle federazioni nazionali o ai loro tecnici, ndr). Io non ero presente, ma i ragazzi che c’erano in Giappone, mi hanno riportato di disagi esagerati che si sono ripercossi sulla qualità dei risultati. Eravamo tra le poche nazionali che non hanno provato il percorso, mentre altre squadre ci sono andate mesi prima. L’unico dei nostri che ci era stato era Zanardi ad inizio 2020. Alex sapeva che non ci avrebbero portato e addirittura nessuno sarebbe andato a verificare la logistica e il percorso di gara. Mi dispiace aver letto certe cose da parte di Di Somma perché era il tecnico migliore dello staff di Valentini. Però risultava praticamente ininfluente perché si limitava ad eseguire gli ordini. E sulla logistica non ha mai preso in considerazione le numerose lamentele che io, come portavoce degli atleti, ho sempre rimarcato fin dai primi anni in cui ho fatto parte della nazionale

Dunque, dietro le medaglie di Londra e Rio che cosa c’era?

Degli atleti fortissimi e superprofessionali con una gestione a mio avviso inadeguata, soprattutto sotto gli aspetti tecnici. Come ho già detto, credo che molti di noi avrebbero potuto raccogliere ancora di più. A Londra 2012 eravamo in 16 tra maschi e femmine e a disposizione c’era un solo meccanico per tutti quanti. A volte, sia io che Alex ci prestavamo ad aiutare i nostri compagni handbiker per risolvere i problemi meccanici. Spiace dirlo, ma il merito dei successi nel paraciclismo è stato principalmente degli atleti e dei loro tecnici personali. Durante l’anno di preparazione erano loro che ci facevano arrivare al massimo della forma per i momenti importanti. Invece negli ultimi 15-20 giorni di ritiro con la nazionale a volte qualcuno rischiava di vanificare tutto con l’eccesso di lavoro che i tecnici richiedevano così a ridosso degli appuntamenti. Come dicevo prima, mi dispiace per Fabrizio (Di Somma, ndr), perché lui in realtà era l’unico che sarebbe potuto essere di aiuto ad Addesi nel dopo Valentini. Ma non ha avuto il coraggio di “tagliare il cordone ombelicale”.

Il bronzo di Martino Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Il bronzo di Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Come valuti il risultato di Parigi 2024?

Secondo me le otto medaglie sono un bottino più che decoroso. Siamo tornati sul podio nella specialità della pista che sarebbe dovuta essere il “pezzo forte” di Valentini per la sua grande esperienza e che invece dopo Pechino 2008 è stata abbandonata. Negli H3, potevamo avere un paio di medaglie in più e più prestigiose. Mettiamoci anche la sfortuna con Martino Pini che è stato fatto cadere da un altro atleta e ha dovuto inseguire per tutta la gara, altrimenti era da podio nella prova in linea. Oppure ancora il tandem Andreoli-Totò, che senza i problemi meccanici era in piena lotta per le medaglie all’esordio assoluto. Il livello internazionale si è alzato moltissimo e purtroppo il paraciclismo paga lo scotto di avere poco peso nel Comitato Paralimpico Internazionale. Riceve pochi slot in rapporto al numero di categorie e le varie nazionali sono costrette a lasciare a casa molti atleti competitivi, impoverendo lo spettacolo e l’equilibrio tecnico delle gare. Si dovrebbero aumentare il numero di atleti partecipanti e di medaglie in palio che invece attualmente sono condivise tra alcune categorie (soprattutto nelle gare in linea, ndr).

E il futuro azzurro, come lo vedi?

Secondo me la nazionale di paraciclismo e handbike è in buone mani. Le sette medaglie ottenute su strada, lo stesso numero di Tokyo, a mio avviso hanno un valore maggiore. Si è lavorato per il ricambio, a differenza di quanto sostengono i precedenti tecnici. In più Addesi di fatto ha ottenuto questo bottino in appena un anno e mezzo di gestione, perché all’inizio del triennio non aveva poteri decisionali ed era solo in affiancamento a Rino De Candido che non mi è parso adatto all’incarico in queste categorie. L’augurio è che il potenziale non venga più sperperato come in passato e Addesi possa lavorare con più serenità e con un orizzonte più ampio. Sono fiducioso.

A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
Che ne pensi dei mondiali di Zurigo?

E’ la prima volta per il paraciclismo che ci sono i mondiali dopo i Giochi Paralimpici e quindi vedremo chi sarà appagato e chi vorrà invece rifarsi di qualche risultato deludente. In più, è la seconda volta che i mondiali sono aperti a tutti, disabili e normodotati insieme, come a Glasgow 2023. E’ una bella cosa andare verso l’integrazione totale. Certo, ciò ha come aspetto negativo che l’organizzazione di un così grande evento aperto ad atleti con prestazioni così diverse sia portata a scegliere percorsi non completamente a fuoco per alcune categorie. Nei campionati del mondo esclusivamente per il paraciclismo non accade. Però sono dettagli che col tempo sono sicuro che verranno migliorati e da appassionato sono felice di questa unione delle manifestazioni.