Ci sono ancora cariche da assegnare, ma lui è l’uomo giusto al posto giusto. Con le sue tredici preferenze, Fabrizio Cornegliani è stato il primo eletto tra i consiglieri degli atleti (l’altra è Maria Giulia Confalonieri) e sarebbe perfetto per seguire tutta l’attività che riguarda il paraciclismo.
Inizialmente il 56enne di Miradolo Terme era nella squadra di Daniela Isetti, poi le votazioni finali lo hanno fatto entrare nel consiglio di Cordiano Dagnoni, il quale dovrà decidere come coprire tutti i reparti. E’ indubbio che sarebbe un peccato non sfruttare le competenze di Cornegliani, considerando che soprattutto l’oro olimpico vinto a Parigi (in apertura, foto CIP/Pagliaricci) lo ha proiettato in una ulteriore dimensione. Ciò che ha provato lui è trasferibile ad altri paratleti in vista dei prossimi eventi fino a Los Angeles 2028. Non più solo watt da sprigionare, ma anche un percorso mentale da intraprendere per approcciarsi meglio alle gare che contano. E se l’ultima volta gli avevamo chiesto com’era stato essere docente per un giorno, stavolta siamo noi che abbiamo ascoltato la sua lezione.
In attesa di conoscere i ruoli nelle commissioni, il neoconsigliere Fabrizio Cornegliani è la persona più giusta per il paraciclismo In attesa di conoscere i ruoli nelle commissioni, il neoconsigliere Fabrizio Cornegliani è la persona più giusta per il paraciclismo
Fabrizio ti aspetti di entrare nella commissione del paraciclismo?
Dovrò trovarmi col presidente Dagnoni per discuterne e vedremo. La logica e il mio curriculum ventennale mi portano lì, però non c’è ancora niente di definito. Di sicuro, questo l’ho detto subito a Cordiano, se un atleta della categoria H1, la più fragile della categoria del paraciclismo, è entrato nel Consiglio, credo sia un bel segnale per tutti. Significa che gli altri altrettanto fragili non si sentiranno più soli come prima.
Stai pensando quindi di non correre più?
Per ora ho intenzione di finire questa stagione, poi vedremo le prossime annate. Voglio restare nel mio settore, però se la Federciclismo dovesse darmi l’incarico di seguirlo, allora avrei meno tempo di gareggiare. Bisogna dire che se uno ha smesso da poco o fa ancora attività, rimane molto più sul pezzo rispetto ad altri. Questo è quello che sta succedendo nel nostro mondo all’estero, perché gli altri non stanno a guardare. Guardate la Francia com’è cresciuta grazie a Patrick Moyses, ovvero un ex campione paralimpico, diventato cittì.
Patrick Moyses, argento alla Paralimpiadi di Seul 1988 nel nuoto, è il cittì della Francia preso come esempio da CorneglianiPatrick Moyses, argento alla Paralimpiadi di Seul 1988 nel nuoto, è il cittì della Francia preso come esempio da Cornegliani
Avresti già un’idea su come intervenire?
Certo. Non dovremmo più lasciare nulla al caso. Come migliorano le tecnologie della bici, dovremmo migliorare l’approccio mentale alla gara. Se e quando ci metteremo attorno ad un tavolo, io vorrei che la nazionale potesse avvalersi di uno psicologo dello sport. Finora avevamo solo i fisioterapisti, ma è importante anche avere quella figura. Anche perché adesso l’asticella si sta alzando. Questo implicherebbe cercare di far convivere tanti atleti con compiti e obiettivi precisi in corsa. E sono consapevole che non potrà essere immediato.
Cornegliani crede molto nei buoni rapporti e nello spirito di squadra per raggiungere i traguardi più importantiCornegliani crede molto nei buoni rapporti e nello spirito di squadra per raggiungere i traguardi più importanti
Quanto tempo potrebbe richiedere tutto ciò?
Il concetto è molto sottile per gestire questo tipo di rapporti con gli atleti e tra atleti. Purtroppo nel nostro settore c’è ancora chi è invidioso di chi va più forte o vince più di lui. Invece è una mentalità da cambiare. Se sistemiamo certe condizioni, tutti gli atleti possono rendere al massimo. Lavoriamo per loro, deve essere uno stimolo. Per me l’obiettivo sarebbe quello di collaborare tutti assieme anche per vincere una sola medaglia, ma sentirsi tutti contenti e parte di quel progetto.
Il ruolo del cittì diventerebbe ancora più rilevante, giusto?
Assolutamente sì. Ora c’è Pierpaolo Addesi con cui ho avuto un bel biennio di avvicinamento a Parigi. Riprendendo quello che dicevo prima, sarebbe bello che nei due anni precedenti a Los Angeles si potesse lavorare bene con tutti come è stato fra noi due. Ci vuole una linea più moderna, tracciando un percorso per i prossimi Giochi Olimpici. Devo parlare col cittì, anche perché lui continua a sentirsi instabile, mentre è un buon tecnico.
Non solo watt: Cornegliani vorrebbe anche un psicologo dello sport nello staff della nazionale di paraciclismoNon solo watt: Cornegliani vorrebbe anche un psicologo dello sport nello staff della nazionale di paraciclismo
Quanto ci crede il consigliere Fabrizio Cornegliani in un ulteriore salto in avanti del paraciclismo italiano?
Tantissimo, perché so che è fattibile e perché è una situazione che ho vissuto. E’ un mio sogno. Dobbiamo pensare che quando indossiamo la maglia azzurra siamo al top e quindi dovremmo avere anche diritto al top per tante figure in nostro supporto. Cerchiamo di sistemare gli attriti tra dirigenti e atleti senza dover imporre i ruoli ai secondi. E cerchiamo di portare una istruzione di base nel nostro settore. Los Angeles adesso sembra lontana, ma non facciamoci ingannare dal tempo.
Il 2024 che da poche settimane ci siamo lasciati alle spalle ci ha raccontato di una bella collaborazione, quella fra il brand Nalini e il Team Equa. Da una parte un’azienda sinonimo di abbigliamento da ciclismo di qualità, tanto da vestire un team WorldTour come la PicNic PostNL. Dall’altra una realtà autentico punto di riferimento per il ciclismo paralimpico italiano. Dallo scorso anno è Nalini a realizzare le divise del Team Equa.
I ragazzi del Team Equa in visita allo stabilimento Nalini. Qui Fabrizio Cornegliani, oro paralimpico della cronoI ragazzi del Team Equa in visita allo stabilimento Nalini. Qui Fabrizio Cornegliani, oro paralimpico della crono
Un anno strepitoso
Il 2024 è stato davvero un anno strepitoso per il Team Equa con diversi titoli conquistati fra Olimpiadi e Mondiali. Alle Paralimpiadi di Parigi, il medagliere azzurro è stato arricchito da Fabrizio Cornegliani, medaglia d’oro nella cronometro su strada H1 di ciclismo e dal bronzo di Ana Maria Vitelaru, nella prova in linea H5 femminile di ciclismo su strada. Da sottolineare anche il formidabile lavoro svolto dal tandem maschile Lorenzo Bernard/Davide Plebani che ha regalato all’Italia una splendida medaglia di bronzo in pista.
Di rientro dalla trasferta paralimpica, la formazione pavese ha fatto rotta verso i campionati del mondo di Zurigo. Qui sono arrivate ben 8 medaglie. Fra queste spiccano le maglie iridate di Fabrizio Cornegliani, Svetlana Moshkovich e Luisa Pasini.
Durante la visita in azienda, Cornegliani e Vitelaru hanno portato con loro le medaglie conquistate alle paralimpiadi di Parigi 2024Durante la visita in azienda, Cornegliani e Vitelaru hanno portato con loro le medaglie conquistate alle paralimpiadi di Parigi 2024
A casa Nalini
Per festeggiare un 2024 così ricco di successi e per gettare le basi per il 2025, Ercole Spada, presidente del Team Equa, ha guidato una rappresentanza della sua squadra in visita alla sede Nalini a Castel d’Ario, in provincia di Mantova. Con lui c’erano Riccardo Cadei, Fabrizio Cornegliani, Davide Plebani, Ana Vitelaru e Davide Rancilio.
Ad accoglierli hanno trovato il titolare Claudio Mantovani e il Direttore Generale Giuseppe Bovo che hanno illustrato i valori e la storia di Nalini, un brand che ha fatto la storia del ciclismo. Come ringraziamento per la qualità dei prodotti realizzati, hanno ricevuto in dono la maglia iridata del Team Equa conquistata ai mondiali pista 2024 dal tandem Chiara Colombo/Elena Bissolati.
Dopo i successi di Parigi sono arrivate anche le medaglie dei campionati del mondo di paraciclismo a ZurigoDopo i successi di Parigi sono arrivate anche le medaglie dei campionati del mondo di paraciclismo a Zurigo
Nel cuore di Nalini
Il viaggio a “casa Nalini” ha avuto uno dei suoi momenti più belli nella visita ai reparti produttivi. Qui gli atleti del Team Equa hanno potuto scoprire i segreti collegati alla nascita di un capo di abbigliamento da ciclismo firmato Nalini: la scelta dei tessuti, la costruzione del fondello, la posizione delle cuciture e la personalizzazione in base alle caratteristiche fisiche dell’atleta stesso. Tutti elementi fondamentali e determinanti per ottenere un capo di abbigliamento comodo, ma soprattutto altamente performante.
L’incontro è stato utile anche per Nalini che ha potuto raccogliere direttamente dagli atleti del team suggerimenti e consigli importanti per realizzare capi di abbigliamento pensati e realizzati per atleti paralimpici.
E’ stato un anno importante per tutto il settore paraciclistico, come sempre avviene in coincidenza dell’appuntamento olimpico. Il bottino è stato ingente, ma come sempre bisogna guardare al di là, perché le medaglie non dicono sempre tutto. Un occhio importante arriva da chi fa attività sul territorio, come il Team Equa che ha contribuito in maniera robusta al bottino azzurro nelle principali manifestazioni del settore.
«Il nostro bilancio è lungo da enunciare – mette le mani avanti il suo presidente ErcoleSpada – perché abbiamo raccolto qualcosa come 63 medaglie, mettendoci dentro tre Coppe del Mondo, un mondiale su pista con Colombo e Bissolati, una decina di titoli italiani, un oro e tre bronzi a Parigi con Cornegliani e il tandem Plebani-Bernard sugli scudi, 3 titoli e 8 medaglie in totale a Zurigo… Ma è bene fermarsi qui, perché, come detto giustamente, le medaglie non dicono tutto».
Uno scatenato Ercole Spada sugli spalti di Parigi, a incitare i suoi atletiUno scatenato Ercole Spada sugli spalti di Parigi, a incitare i suoi atleti
Come giudichi la stagione del settore nel suo complesso?
Non si può negare che i problemi ci sono e sono anche profondi. I ragazzi hanno avuto poca assistenza a livello nazionale e per questo abbiamo supplito noi come società: non solo il Team Equa ma tutte quelle che gravitano in quest’ambiente. Se si considera che non ci sono stati ritiri federali, si capisce come ci siamo trovati a competere con autentiche corazzate con la nostra passione e i nostri sacrifici. I problemi non li possiamo risolvere, ma almeno diamo tutto quel che possiamo per favorire i nostri atleti. Si poteva fare di più, questo è sicuro, ma perché ciò avvenga serve che la Federazione investa sul settore in maniera chiara.
La vetrina olimpica però è stata foriera di maggiore attenzione verso di voi, soprattutto da chi non è un addetto ai lavori o uno stretto appassionato?
Sì, lo abbiamo visto in quei giorni fatidici a Parigi. La RAI ci ha dato una grossa mano, come anche la possibilità di competere a Zurigo insieme ai grandi, a tutte le categorie dei normodotati. E’ stata un’occasione importante, che ha anche dimostrato come possiamo essere anche noi un richiamo. Perché le nostre sono gare appassionanti e i nostri atleti mettono davvero tutto quel che hanno nelle competizioni. Tanto è vero che io non faccio mai distinzioni tra normodotati e diversamente abili: è una categorizzazione ormai superata.
Un momento della festa conclusiva della stagione, nella quale sono stati festeggiati i campioni: qui Pini, Cornegliani e VitelaruUn momento della festa conclusiva della stagione, nella quale sono stati festeggiati i campioni: qui Pini, Cornegliani e Vitelaru
Come team sei soddisfatto di com’è andata la stagione?
Come potrei non esserlo? Certo, si potrebbe sempre fare meglio e qualche colpo di sfortuna c’è stato, ma sono strafelice di come sono andati i ragazzi. I nostri sacrifici sono stati ricompensati, ad esempio il fatto di averli portati ben due volte a Parigi per fare sopralluoghi e allenarsi sui percorsi olimpici, a febbraio e a giugno. A conti fatti è stato un contributo decisivo per i loro risultati finali.
Come riuscite ad avere un bilancio simile di fronte a una concorrenza estera che ormai e a livello delle squadre WorldTour, anche per i relativi oneri economici?
Se devo essere sincero, quando siamo in trasferta per i grandi eventi me lo chiedo spesso… Dicono che nessuno ha vinto tanto quanto noi nella storia, d’altronde 750 podi internazionali in 11 anni sono un bilancio niente male… Cerchiamo di fare il massimo a nostra disposizione, fondamentale è l’apporto degli sponsor che d’altro canto sono molto soddisfatti del riscontro che ottengono per le vittorie dei ragazzi. Il problema è che partiamo con vistosi scarti, anche regolamentari.
Fabio Colombo e Manuele Cadeo, la coppia vincitrice di due bronzi tricolori su stradaFabio Colombo e Manuele Cadeo, la coppia vincitrice di due bronzi tricolori su strada
Spiegati meglio…
Facciamo l’esempio dei tandem: i nostri ragazzi hanno a disposizione un calendario nazionale molto striminzito, le gare si contano sulle dita di una mano. All’estero consentono la partecipazione alle gare per Elite e U23 per le categorie C4 e C5, una cosa del genere per noi sarebbe una vera svolta, innescherebbe un meccanismo virtuoso. Noi avremmo bisogno di un calendario più ricco, maggiori occasioni di confronto. Ricordo ad esempio che qualche anno fa correva con noi un ucraino che per parte dell’anno andava in Belgio così poteva gareggiare tutto l’anno e, quando contava, la differenza si vedeva.
Non è però solo un problema di calendario…
No, infatti dobbiamo anche considerare che siamo sempre più opposti a ciclisti professionisti, sostenuti da club che hanno grandi possibilità economiche alle spalle e possono quindi dedicarsi solo a quello. I nostri sono dilettanti al confronto, gente che abbina l’attività al proprio lavoro e questo sta progressivamente allargando il gap.
Il momento più bello della stagione: Cornegliani chiude la sua crono e vince l’oro olimpicoIl momento più bello della stagione: Cornegliani chiude la sua crono e vince l’oro olimpico
Ora che le Olimpiadi sono alle spalle, bisognerebbe anche lavorare sul “rumore” che esse hanno destato per fare promozione…
Speriamo vivamente che dopo le elezioni federali ci si ricordi di noi, di questo aspetto che è fondamentale perché abbiamo bisogno di forze fresche, possiamo dare a tanti l’opportunità di vivere i propri disagi in maniera diversa, farne anzi una forza. Io spero che, chiunque venga eletto, ci mostri maggiore attenzione e investa su questo settore che può dare tanto.
Dopo le rivendicazioni di Di Somma in difesa della precedente gestione del paraciclismo, Vittorio Podestà spiega perché gli atleti sfiduciarono i tecnici
Una settimana fa eravamo a Zurigo scrivendo gli ultimi pezzi. Si parlava della meraviglia di Pogacar. Del bilancio azzurro tenuto in piedi da crono, donne e juniores e del passaggio a vuoto dei professionisti. Sembrava un discorso concluso, invece mancavano all’appello le 14 medaglie del paraciclismo. Tre maglie iridate (in apertura quella di Cornegliani), per la precisione, nove argenti e due bronzi.
Quello del paraciclismo è un mondo complesso. Ci sono infinite categorie, strane manovre di classificazione, retaggi, storie ed esigenze particolari. La ricerca tecnologica e della performance progrediscono con passi da gigante. Le altre Nazioni reclutano atleti giovani, provenienti da altre esperienze se non addirittura dal professionismo. Così, viste anche le polemiche delle ultime settimane, siamo tornati a bussare alla porta di Pierpaolo Addesi, referente del settore strada da meno di due anni.
Zurigo, ultime medaglie anche per Pasini, Amadeo e Farroni. A sinistra Pierpaolo Addesi, con il presidente Dagnoni e Amadio (foto Borserini/FCI)Medaglie per Pasini, Amadeo e Farroni. A sinistra Pierpaolo Addesi, con il presidente Dagnoni (foto Borserini/FCI)
Come è andata la trasferta di Zurigo?
Bene, considerando che abbiamo cominciato a lavorare sul serio da un anno. Tutti i talenti che sono arrivati fanno parte di un progetto nato nel 2023 e, anzi, alcuni sono arrivati anche dopo. Marianna Agostini, ad esempio, oppure lo stesso Lorenzo Bernard sono arrivati dopo. L’unico che ha iniziato a gennaio è stato Andreoli, perché con lui ho preso i contatti a dicembre, l’ho incontrato a Milano e gennaio è stato inserito nel gruppo azzurro. Nonostante tutto, penso che ci siamo difesi abbastanza. A Parigi e poi a Zurigo.
Si continua a dire che i risultati si coglieranno nel prossimo quadriennio: sei scaramantico oppure non credevi che gli atleti fossero già al livello giusto?
Adesso lo posso dire. Andando a Zurigo, avevo scritto un numero di medaglie volutamente più basso, vale a dire otto come a Parigi, perché ho cercato di tenere i piedi per terra. Sapevo che sarebbero state di più. Avevo una nazionale che mi aveva dato tantissime conferme anche in Coppa del mondo. E se non ci fosse stata l’ingiustizia di Bosredon inserito in H3 (*), lui che di fatto è un H4, a Parigi avremmo raccolto un argento nella crono e forse su strada sarebbe arrivato l’oro. A Zurigo, la stessa cosa. Se non ci fosse stato lui, Martino Pini avrebbe vinto il mondiale. Sono abbastanza sicuro che dal prossimo anno il francese tornerà H4, ma nel frattempo con lui si sono garantiti tre medaglie d’oro alle Paralimpiadi.
Ti ha stupito che Mazzone sia riuscito a vivere un altro mondiale?
Tanto. In concomitanza con la sua crono c’era l’incontro con il Presidente Mattarella e a Parigi, Luca era stato uno dei due portabandiera. Mi ha chiamato anche il CIP chiedendomi se fosse possibile portarlo a Roma, così ne ho parlato con lui. Ci siamo ricordati quanto andasse forte in pianura dietro moto nel ritiro di Campo Felice. Quella di Zurigo era una cronometro dove avrebbe potuto esprimere il suo massimo. Non c’erano curve, non era un percorso tecnico. Era un drittone. E lui, se lo metti in un percorso così, ancora oggi distrugge tutti. Infatti ha stravinto, in 18 chilometri ha staccato di 40 secondi atleti che negli ultimi anni lo hanno sempre battuto. Non era scontato. Luca è forte, è un atleta molto determinato, si è impegnato tantissimo.
Martino Pini ha colto l’argento nella gara H3 su strada dietro Bosredon (foto Borserini/FCI)Bosredon ha vinto 3 titoli a Zurigo dopo la crono di Parigi. C’è polemica sulla sua classificazione (foto FFC)Il pugliese Mazzone ha vinto la crono iridata di Zurigo a 53 anni (foto Borserini/FCI)Martino Pini ha colto l’argento nella gara H3 su strada dietro Bosredon (foto Borserini/FCI)Bosredon ha vinto 3 titoli a Zurigo dopo la crono di Parigi. C’è polemica sulla sua classificazione (foto FFC)Il pugliese Mazzone ha vinto la crono iridata di Zurigo a 53 anni (foto Borserini/FCI)
Mazzone ha 53 anni ed è ancora vincente. Si parla di ricambio, immagini che sarà lui a decidere quando fermarsi?
Credo che in quelle categorie sia l’atleta a decidere. Dopo aver vinto ancora, non credo sia tornato a casa pensando di smettere. Io non gli dirò mai di farlo. Ma è logico che quando non arriveranno più i risultati e si renderà conto che nella sua categoria sono arrivati giovani più forti, sarà lui a capire il momento. Il quarto posto di Francesca Porcellato a Parigi, visti anche i risultati dei mondiali precedenti, fa capire che ormai eravamo fuori dalla lotta per le medaglie.
E allora come avviene il reclutamento dei giovani?
Questa sarà la sfida del prossimo anno. Vorrei tanto che in Italia si aprisse un po’ la mentalità. In Francia è appena arrivato nei C4 un ragazzo nuovo, Mattis Lebeau, che ha vinto il mondiale crono ed è arrivato secondo su strada. Se andate a vedere il suo palmares, ai primi di settembre ha fatto il Giro di Guadalupe in mezzo agli elite, una corsa a tappe di otto giorni. Ha 25 anni e durante la stagione ha anche vinto gare su strada. Lui ha un problema alle gambe, probabilmente qualcosa a livello di sviluppo e ha un polpaccio leggermente più piccolo, che è bastato per rientrare nella categoria C4.
Vuoi dire che la ricerca è anche fra atleti che corrono nel gruppo dei normodotati?
Esatto. Devo andare a cercare situazioni come questa nel panorama nazionale. Il problema è che nel momento in cui le trovo, con chi affronto il discorso? Parlo per esperienza. Sono andato dal tecnico di una continental italiana e gli ho fatto il nome di un atleta giovane e forte, nella stessa situazione di Lebeau. Gli ho detto che il ragazzo può fare la sua attività da U23 oppure elite, però per tre volte all’anno potrebbe venire a correre con noi. Ebbene, quando gli dici questo, si offendono. Mi ha risposto che il ragazzo è normale. Come devo fare io?
Mattis Lebeau ha vinto la crono di Zurigo nella categoria C4 del paraciclismo. In preparazione ha corso il Giro di Guadalupe (foto L’Equipe)Lebeau ha vinto la crono di Zurigo nella categoria C4 del paraciclismo. In preparazione ha corso il Giro di Guadalupe (foto L’Equipe)
E’ un problema culturale, l’handicap in Italia è motivo di disagio. Non tutti sanno che il ciclismo paralimpico sia anche quello su una bici normale e non per forza una handbike.
Esattamente. Servirebbe uno step culturale. Non è una diminuzione, non è qualcosa per cui essere presi in giro, ma una possibilità. Dovrei far capire a questi ragazzi, ma soprattutto ai loro manager, che la categoria C5 nel paralimpico equivale alla categoria elite dei normo. Non è niente di meno. Se andate a vedere gli ordini d’arrivo di tutte le gare che fanno in mezzo agli elite, davanti ci sono anche loro. Penso a Dementiev, che corre regolarmente su strada, ma anche a tanti altri che per tutto l’anno gareggiano in mezzo agli elite.
Qualunque corridore italiano avrebbe paura di essere preso in giro. La diversità a tutti i livelli nel ciclismo è uno sbarramento insormontabile: non sono neanche certo che qualcuno leggerà questo articolo…
Chiedo solo di pensarci. Parliamo di una categoria di professionisti, perché ormai a certi livelli non si va più avanti allenandosi part time. Mettiamo che trovo un atleta forte e ancora giovane, che corre da U23 oppure elite. Se il prossimo anno viene al mondiale in Belgio e mi vince una medaglia d’oro, cosa che è molto probabile, a dicembre riceve il Collare d’Oro. L’anno successivo, un corpo di Polizia lo prende al 100 per cento, perché diventa interessante in chiave olimpica. E lui si è praticamente guadagnato lo stipendio a vita, perché starà lì fino alla pensione. Considerando che una medaglia d’oro alle Olimpiadi frutta 100.000 euro. In più, se corre da U23 oppure elite, farà il corridore fino a quando ne avrà voglia.
Parigi e Zurigo hanno visto anche un bel rimescolare di equipaggi tandem.
Corentin Ermenault, uno che ai mondiali di Grenchen 2023 era nel quartetto di bronzo dietro l’Italiadi Ganna, non ha vestito la maglia francese nel 2024 per fare le Paralimpiadi e vincere delle medaglie. Possibile che non riesco a prendere un atleta forte della pista per puntare a Los Angeles? Dobbiamo mettere davanti un inseguitore fortissimo e in parte ci siamo riusciti con Plebani. Date anche a noi un atleta che nel 2027 escludete dalla maglia azzurra, un inseguitore forte per puntare le Paralimpiadi di Los Angeles nel tandem e la medaglia d’oro ce la giochiamo pure noi.
Dietro un atleta paralimpico ci sono la sua squadra e la famiglia: qui la sorella e i nipoti di Pini a Zurigo (foto Borserini/FCI)Dietro un atleta paralimpico ci sono la sua squadra e la famiglia: qui la sorella e i nipoti di Pini a Zurigo (foto Borserini/FCI)
La guida forte fa la differenza?
Lorenzo Bernard l’ho incontrato l’anno scorso a marzo. Gli altri hanno detto che l’avevano già testato, lui racconta che fece una prova col tandem e poi fu scaricato. Quando a marzo l’ho testato qui a Francavilla, si è visto subito che c’era un motore molto grande, ma anche che era acerbo. Però una volta che hai uno così e gli metti una guida competitiva a livello mondiale, i risultati arrivano. Prendi un atleta che fa 4’10” nell’inseguimento, lo abbini a Bernard e il tandem non può andare piano. Al primo assalto con Plebani ha preso il bronzo, no? Gli altri hanno fatto questi ragionamenti, che sono replicabili anche su strada.
Dove hai puntato su Totò…
Un ex professionista, anche se nella sua carriera forse non ha sempre fatto il professionista sul serio. Ma se prendo un qualsiasi corridore che abbia dei numeri, il tandem è la somma dei numeri. Watt davanti, watt dietro. Se questa somma è alta, il tandem vince. Poi servono anche la scaltrezza, abilità a guidare e resistenza, ma quelle si affinano col lavoro.
I corridori hanno raccontato che l’ambiente della nazionale è sereno e per questo hanno potuto lavorare bene.
Dico sempre che io non sono il capo di nessuno e non devo diventare l’amico dei corridori, altrimenti qualcuno potrebbe permettersi di dire cose fuori posto. Serve rispetto. Ho un ruolo, che è guidare la nazionale. Non sono l’allenatore, non mi prendo meriti che non ho, a differenza di qualcun altro. I ragazzi vincono perché si sono impegnati e hanno fatto risultati grazie a chi li ha preparati. Alle società che ci sono dietro e alle famiglie. Perché un disabile non fa leva solamente sulla società, c’è anche il lavoro delle mogli, dei figli, di chi li circonda. Io cerco di metterli nelle condizioni di lavorare al meglio, di esprimere il massimo e cerco di farli restare sereni e tranquilli.
I due tandem azzurri: un fronte su cui lavorare. Sono Totò e Andreoli e dietro Caddeo e Bernard (foto Borserini/FCI)Momento commovente durante la prova percorso, con Bernard e Caddeo fermati da bambini in cerca di autografi (foto Borserini/FCI)I due tandem azzurri: un fronte su cui lavorare. Sono Totò e Andreoli e dietro Caddeo e Bernard (foto Borserini/FCI)Momento commovente durante la prova percorso, con Bernard e Caddeo fermati da bambini in cerca di autografi (foto Borserini/FCI)
Il tuo ruolo in gara?
Sicuramente intervengo a livello tattico. Tutte le volte che abbiamo deciso qualcosa prima, è sempre andata bene. Al contrario, tutte le volte che non hanno fatto quello che avevamo concordato, è andata male. Farroni e a Vitelaru potevano vincere il mondiale, ma hanno fatto cose diverse da quelle concordate.
Che cosa?
A Giorgio avevo detto di superare Clement a destra nella volata, perché il vento tirava da sinistra. Era nella posizione ideale fino ai 200 metri. Poi, partita la volata, anziché rimanere a destra si è spostato sul lato opposto. Ha preso vento, ha allungato e ha perso la volata di poco. A Vitelaru invece avevo ho detto che fino a 150 metri doveva rimanere a ruota, perché lei è molto esplosiva e doveva fare una volata corta. L’olandese è stata più furba e ha fatto la finta di partire a 350 metri. Lei ha abboccato ed è partita. L’altra si è messa a ruota e poi l’ha saltata nel finale. Li ho ripresi entrambi, anche in modo severo.
Severo?
Sono stato anche io atleta e mi dava più fastidio se dopo un pessimo risultato mi dicevano che andava bene lo stesso. Se il tecnico analizza gli errori, magari sul momento ci resti male, però vuol dire che ci tiene. Farroni dopo l’arrivo piangeva. Però il giorno successivo l’ho accompagnato all’aeroporto e mi ha detto grazie. Che era giusto che lo avessi richiamato perché aveva sbagliato. La mia fortuna è essere stato nei loro panni e fare con loro quello che avrei voluto facessero con me.
Farroni beffato in volata dal canadese Clement, probabilmente per un suo errore in volata (foto Borserini/FCI)Farroni beffato in volata dal canadese Clement, probabilmente per un suo errore in volata (foto Borserini/FCI)
Qualcuno ha fatto notare che il bilancio di Zurigo è buono, ma che le medaglie sono meno di altri mondiali. Parlano di Cascais nel 2021…
E’ una vecchia disputa. Vincemmo 13 titoli mondiali, ma non ci si sofferma mai sul livello di partecipazione. Quell’anno le nazionali più forti avevano puntato tutti su Tokyo. Lo conferma il fatto che quei 13 ori di Cascais a Tokyo si ridussero all’oro della staffetta, cinque argenti e un bronzo. Oggi quegli atleti hanno smesso quasi tutti e a livello mondiale è venuta avanti una nuova generazione fortissima. Restano davanti soltanto Mazzone e Cornegliani, mentre abbiamo scoperto che dietro non c’era niente.
Nessun giovane?
Ho preso in mano un gruppo di atleti di una certà età, cosa era stato fatto per il ricambio? Se adesso smettessimo di cercare giovani, magari a Los Angeles porteremmo a casa qualcosa. Mirko Testa ce l’ho, Pini ce l’ho, Cortini ce l’ho, ma poi fra 10 anni con chi vinci?
(*) Per capire meglio, le categorie del paraciclismo sono suddivise in C (ciclismo), H (handbike), T (triciclo), Tandem. I numeri accanto sono inversamente proporzionali alla gravità dell’handicap. Si va da 1 che è il caso più grave a 5 che è il più lieve.
Dalle otto medaglie ai Giochi di Parigi all’argento della staffetta di Mazzone, Mestroni e Cortini che ieri ha aperto la rassegna iridata di Zurigo (in apertura, foto FCI). Il paraciclismo azzurro non si ferma e su bici.PRO continuiamo a raccontarvi le medaglie, ma anche quello che ci sta dietro. Il bilancio paralimpico della nuova gestione targata Pierpaolo Addesi-Silvano Perusini ha provocato nelle scorse settimane la reazione di chi ha tessuto le fila azzurre fino ai precedenti Giochi di Tokyo.
Le parole di Di Somma però hanno sollevato un vespaio, chiamando allo scoperto sui social diversi atleti paralimpici che le hanno ritenute inaccettabili. Per approfondire l’argomento abbiamo chiesto il parere di uno dei pionieri dell’handbike in Italia come Vittorio Podestà. Il ligure, 51 anni, è stato il primo campione iridato azzurro nella disciplina (Bordeaux 2007) e si è ritirato poco prima di Tokyo in seguito all’incidente di Alex Zanardi. Essendo stato uno degli atleti di punta della precedente gestione, Podestà ha voluto chiarire alcuni punti. Nella lunga chiacchierata con noi, ci ha spiegato anche ciò che secondo lui non funziona nel panorama internazionale.
Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)Podestà ha deciso di ritirarsi dopo che l’incidente che impedì a Zanardi di partecipare a Tokyo (foto CIP/Ujetto)
Vittorio, che cosa ti ha colpito di Parigi?
Parto da quello che non mi è piaciuto. C’è un grande problema internazionale che vedo nell’handbike, ma anche paraciclismo ed è legato alle classificazioni. In vista dei Giochi casalinghi, l’asso francese Mathieu Bosredon è stato riclassificato: era già vicecampione mondiale H4 e l’hanno spostato negli H3, magicamente, dopo tanti anni, senza particolare motivi clinici. Ha demolito la categoria, lo si è visto nella gara in linea in cui ha forato, è rientrato e ha pure aiutato il compagno di squadra nella lotta per la medaglia d’argento. Noi azzurri che avevamo una corazzata negli H3 ci siamo trovati ad accontentarci di un bronzo con Mirko Testa.
E non è l’unico caso, viste le perplessità sollevate, ad esempio, in campo femminile da Francesca Porcellato.
Le classificazioni stanno diventando purtroppo una sorta di doping nascosto nel mondo paralimpico. Con il successo delle ultime edizioni, come in tante altre discipline, ci sono sempre più riflettori puntati. Non voglio fare troppe insinuazioni, ma tante classificazioni sono sospette e gli avversari non sono contenti. C’è stata anche una protesta molto accesa di alcuni atleti alla tappa di Coppa del mondo di Maniago, ma non è stata presa in considerazione, anzi è arrivata una forte condanna dall’Uci. Ci vorrebbe una maggior tutela degli atleti. Diciamo che non ho guardato con grande piacere Parigi sapendo di vittorie già scritte in maniera palese, perché lo sport che mi piace è quello equilibrato, con grandi battaglie sul filo dei secondi.
Che cosa ci dici, invece, delle dichiarazioni della precedente gestione che hai commentato anche a mezzo social?
Tanti atleti, tra cui il sottoscritto, hanno contribuito a far cadere la vecchia gestione, perché erano stufi della gestione dell’ex CT Mario Valentini. Si andava da gravi problemi logistici, passando per problemi di rispetto per gli atleti, in particolare per le categorie che hanno più difficoltà causa tetraplegia.
Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)Fra i ricordi più belli di Podestà, l’oro di Rio nella staffetta con Zanardi e Mazzone (foto CIP/Ujetto)
A cosa ti riferisci in particolare?
A tanti aspetti, che possono sembrare piccolezze, ma che fanno la differenza ad alto livello e che l’attuale staff ha messo in conto. Non può esistere che un atleta si trova a fare un raduno o durante gare cruciali come Coppe del mondo e mondiali in hotel con il bagno troppo stretto o il wc e la doccia difficilmente accessibili. Nessuno curava questi dettagli che per noi erano cruciali. Gli atleti per poter dare il massimo e concentrarsi sulle gare non possono disperdere energie mentali per certe barriere architettoniche. Non è possibile che avessi una logistica migliore quando mi spostavo con la mia società rispetto a quella con la nazionale.
E su Tokyo cosa vuoi aggiungere?
E’ stato il caso emblematico. Il Villaggio Olimpico della capitale era troppo lontano dal circuito ai piedi del Monte Fuji (la scelta di dove collocare il Villaggio ovviamente non compete alle federazioni nazionali o ai loro tecnici, ndr). Io non ero presente, ma i ragazzi che c’erano in Giappone, mi hanno riportato di disagi esagerati che si sono ripercossi sulla qualità dei risultati. Eravamo tra le poche nazionali che non hanno provato il percorso, mentre altre squadre ci sono andate mesi prima. L’unico dei nostri che ci era stato era Zanardi ad inizio 2020. Alex sapeva che non ci avrebbero portato e addirittura nessuno sarebbe andato a verificare la logistica e il percorso di gara. Mi dispiace aver letto certe cose da parte di Di Somma perché era il tecnico migliore dello staff di Valentini. Però risultava praticamente ininfluente perché si limitava ad eseguire gli ordini. E sulla logistica non ha mai preso in considerazione le numerose lamentele che io, come portavoce degli atleti, ho sempre rimarcato fin dai primi anni in cui ho fatto parte della nazionale.
Dunque, dietro le medaglie di Londra e Rio che cosa c’era?
Degli atleti fortissimi e superprofessionali con una gestione a mio avviso inadeguata, soprattutto sotto gli aspetti tecnici. Come ho già detto, credo che molti di noi avrebbero potuto raccogliere ancora di più. A Londra 2012 eravamo in 16 tra maschi e femmine e a disposizione c’era un solo meccanico per tutti quanti. A volte, sia io che Alex ci prestavamo ad aiutare i nostri compagni handbiker per risolvere i problemi meccanici. Spiace dirlo, ma il merito dei successi nel paraciclismo è stato principalmente degli atleti e dei loro tecnici personali. Durante l’anno di preparazione erano loro che ci facevano arrivare al massimo della forma per i momenti importanti. Invece negli ultimi 15-20 giorni di ritiro con la nazionale a volte qualcuno rischiava di vanificare tutto con l’eccesso di lavoro che i tecnici richiedevano così a ridosso degli appuntamenti. Come dicevo prima, mi dispiace per Fabrizio (Di Somma, ndr), perché lui in realtà era l’unico che sarebbe potuto essere di aiuto ad Addesi nel dopo Valentini. Ma non ha avuto il coraggio di “tagliare il cordone ombelicale”.
Il bronzo di Martino Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)Il bronzo di Pini a Parigi, cui secondo Podestà poteva aggiungersi un podio anche nella prova in linea (foto CIP/Pagliaricci)
Come valuti il risultato di Parigi 2024?
Secondo me le otto medaglie sono un bottino più che decoroso. Siamo tornati sul podio nella specialità della pista che sarebbe dovuta essere il “pezzo forte” di Valentini per la sua grande esperienza e che invece dopo Pechino 2008 è stata abbandonata. Negli H3, potevamo avere un paio di medaglie in più e più prestigiose. Mettiamoci anche la sfortuna con Martino Pini che è stato fatto cadere da un altro atleta e ha dovuto inseguire per tutta la gara, altrimenti era da podio nella prova in linea. Oppure ancora il tandem Andreoli-Totò, che senza i problemi meccanici era in piena lotta per le medaglie all’esordio assoluto. Il livello internazionale si è alzato moltissimo e purtroppo il paraciclismo paga lo scotto di avere poco peso nel Comitato Paralimpico Internazionale. Riceve pochi slot in rapporto al numero di categorie e le varie nazionali sono costrette a lasciare a casa molti atleti competitivi, impoverendo lo spettacolo e l’equilibrio tecnico delle gare. Si dovrebbero aumentare il numero di atleti partecipanti e di medaglie in palio che invece attualmente sono condivise tra alcune categorie (soprattutto nelle gare in linea, ndr).
E il futuro azzurro, come lo vedi?
Secondo me la nazionale di paraciclismo e handbike è in buone mani. Le sette medaglie ottenute su strada, lo stesso numero di Tokyo, a mio avviso hanno un valore maggiore. Si è lavorato per il ricambio, a differenza di quanto sostengono i precedenti tecnici. In più Addesi di fatto ha ottenuto questo bottino in appena un anno e mezzo di gestione, perché all’inizio del triennio non aveva poteri decisionali ed era solo in affiancamento a Rino De Candido che non mi è parso adatto all’incarico in queste categorie. L’augurio è che il potenziale non venga più sperperato come in passato e Addesi possa lavorare con più serenità e con un orizzonte più ampio. Sono fiducioso.
A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)A Parigi il bronzo di Mirko Testa nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
Che ne pensi dei mondiali di Zurigo?
E’ la prima volta per il paraciclismo che ci sono i mondiali dopo i Giochi Paralimpici e quindi vedremo chi sarà appagato e chi vorrà invece rifarsi di qualche risultato deludente. In più, è la seconda volta che i mondiali sono aperti a tutti, disabili e normodotati insieme, come a Glasgow 2023. E’ una bella cosa andare verso l’integrazione totale. Certo, ciò ha come aspetto negativo che l’organizzazione di un così grande evento aperto ad atleti con prestazioni così diverse sia portata a scegliere percorsi non completamente a fuoco per alcune categorie. Nei campionati del mondo esclusivamente per il paraciclismo non accade. Però sono dettagli che col tempo sono sicuro che verranno migliorati e da appassionato sono felice di questa unione delle manifestazioni.