Mas e i problemi in discesa. Savoldelli dice la sua

03.12.2022
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Nella sua ultima intervista rilasciata a Cyclingnews ripercorrendo il suo 2022, Enric Mas si è soffermato sui problemi riscontrati in discesa, soprattutto prima e durante il Tour: «Mi sono fatto prendere dal panico – ha confessato il corridore della Movistaravevo paura a ogni curva, così frenavo entrando in curve che puoi affrontare anche a 80 chilometri orari. E non importava quanto tempo e quanto terreno perdevo, perché in alcuni momenti faticavo anche a controllare la bici».

Mas è riuscito ad affrontare il problema con l’aiuto di uno psicologo e facendo esercizi mirati per un mese. Affrontando ripetutamente alcune discese riguardandosi poi al computer e lavorando dietro motori. Tanti spunti di discussione considerando anche che Mas non è certo il solo a soffrire le discese, c’è chi ha visto la propria carriera stoppata proprio dalla paura, con fughe vanificate curva dopo curva.

Abbiamo quindi pensato di rivedere le parole di Mas al vaglio di chi è da sempre considerato un maestro della discesa, Paolo Savoldelli che entra subito nel nocciolo della discussione parlando della “cura” adottata da Mas: «Se si tratta di affrontare discese e rivedersi può avere senso e utilità, ma seguire una moto in discesa proprio no. La moto piega in maniera differente a ogni curva, non ti dà assolutamente nulla».

Per Mas la discesa era diventata un problema. Ci ha lavorato un mese senza sosta
Per Mas la discesa era diventata un problema. Ci ha lavorato un mese senza sosta
Su che cosa bisogna lavorare allora?

Credo che il primo aspetto tecnico da affrontare sia la posizione in bici. Serve una posizione idonea e tutti, con i nuovi mezzi, hanno la tendenza a essere molto avanti sulla sella, cosa che non va assolutamente bene. Poi si può certamente lavorare sull’impostazione delle curve, su come usare tutta la strada per trovare la traiettoria migliore. L’intervista a Mas sottolinea però un aspetto: la paura.

Si può vincere?

Ecco, su questo ho qualche dubbio, ma sicuramente è l’aspetto maggiore sul quale lavorare. Se hai paura sbagli, è matematico, perché non sei freddo in bici, cambi traiettoria, alla fine rischi molto di più. La discesa è qualcosa che deve venire naturale.

Nibali è stato l’ultimo veramente in grado di fare la differenza in discesa (foto Getty Images)
Nibali è stato l’ultimo veramente in grado di fare la differenza in discesa (foto Getty Images)
E’ una dote, quella di saper andare in discesa, che si acquisisce da bambini, soprattutto con i giochi sulla bici, sull’equilibrio?

Sì, se si intende vincere la paura di cadere. Ma anche chi è arrivato subito alla bici da strada può riuscire, tenendo però presente un fattore importante: saper andare in discesa è innanzitutto una dote naturale, una di quelle cose che si fa anche fatica a spiegare. Io ho sempre saputo andare in discesa: ricordo che da bambini con gli amici io andavo e alla fine aspettavo sempre gli altri che finivano… Da junior, in una delle prime gare, la strada era bagnata: presi la discesa da primo della fila, pensavo di avere tutti dietro invece alla fine ero solo e con un vantaggio enorme.

Nell’affrontare la discesa bisogna avere un pizzico d’incoscienza?

No, neanche da bambini. Bisogna solo essere attenti e sapere che cosa fare. Anch’io ho avuto le mie cadute: una volta sono scivolato a 50 metri dal cancello di casa, non ho visto un sasso sulla mia traiettoria e sono volato via. L’imprevisto è sempre dietro l’angolo. C’è poi anche un fattore legato alle bici, che rispetto a quando correvo io sono molto più rigide per essere performanti e questo porta a perdere aderenza con più facilità.

Evenepoel non ha mai negato i suoi problemi nelle discese, ma col tempo è migliorato davvero tanto
Evenepoel non ha mai negato i suoi problemi nelle discese, ma col tempo è migliorato davvero tanto
Si può migliorare?

Con l’esercizio, soprattutto se si affronta da giovani. E’ importante perché in discesa sei in fila indiana e devi stare a ruota. Quello davanti può andare più veloce e allora lo perdi, oppure va più piano e allora ti fa da tappo e devi saperlo superare. Ognuno ha un suo limite, bisogna esserne consapevoli e sfruttarlo al meglio.

C’è nel ciclismo attuale un altro Savoldelli?

Se si intende qualcuno che possa far la differenza, direi di no. Io recuperavo minuti. L’ultima vera impresa in discesa l’ha firmata Jasper Stuyven alla Sanremo 2021, scendendo dal Poggio rischiò davvero tantissimo. Gli è anche andata davvero bene in qualche tratto.

Stuyven in picchiata dalla cima del Poggio. Una scelta coraggiosa che nel 2021 gli ha dato una grande gioia
Stuyven in picchiata dalla cima del Poggio. Una scelta coraggiosa che nel 2021 gli ha dato una grande gioia
Si è sempre parlato della discesa come il tallone d’achille di Evenepoel: secondo te può migliorare?

Penso di sì perché ha iniziato molto tardi ad andare in bici, per certi versi è ancora grezzo e ci si può lavorare. In sella Remco è molto rigido. Un esempio in tal senso è Froome: anche lui aveva iniziato tardi e inizialmente in discesa proprio non sapeva andare, poi si è esercitato ed era migliorato al punto che qualche volta ha anche attaccato.

In conclusione, l’esercizio deve essere qualcosa di imprescindibile per ogni ciclista?

Assolutamente, prendendolo anche come un divertimento. Io ad esempio quando mi allenavo affrontavo la picchiata da Rosetta a Lovere. C’era un tornante a U dove era obbligatorio frenare, ma questa cosa non mi andava giù. Io smettevo di pedalare, andavo giù per forza di gravità, ma volevo fare quella curva senza toccare la leva. Prova oggi, prova domani, alla fine ci riuscii e da allora non frenai più…

Daniele Casanova, Eddy Mazzoleni, ristorante Casanova 2020

Volete sapere cosa fa ora Eddy Mazzoleni?

19.12.2020
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Dal 2008 Eddy Mazzoleni manda avanti il suo ristorante, il Casanova di Curno, assieme al socio che gli ha messo il nome. Daniele Casanova, appunto, suo cugino di secondo grado, già cuoco in ristoranti stellati. Il bergamasco ha impiegato un anno, dopo aver smesso di correre, per scegliere quale strada intraprendere. E anche se il momento per chi fa ristorazione non è affatto semplice, con la possibilità di tenere aperto soltanto a pranzo, dice di averne approfittato per stare un po’ di più a casa. Dato che, a cose normali, starebbe nel locale da mattina a sera.

«Non siamo tantissimi – dice – in tutto una decina. Per cui si è fatta un po’ di cassa integrazione con i dipendenti, ma ora stiamo lavorando tutti. La fortuna è che il locale è mio, per cui la voce dell’affitto non va considerata».

Eddy Mazzoleni, Gand-Wevelgem 1999
Nel 1999 alla Gand-Wevelgem, Eddy è già professionista da tre stagioni
Eddy Mazzoleni, Gand-Wevelgem 1999
Gand-Wevelgem 1999, è pro’ già da tre anni

Gregario di lusso

Eddy era una forza della natura. Diventò professionista nel 1996 con la Saeco e passando per il Team Polti, la Tacconi Sport poi Vini Caldirola, di nuovo la Saeco, Lampre, T-Mobile e Astana e si fermò contro un’accusa di doping in realtà non suffragata da prove. Aveva già 34 anni e valutò che non valesse la pena imbarcarsi in una costosa disputa legale che comunque non gli avrebbe permesso di correre. E così pensò di occuparsi d’altro.

Era stato tra gli artefici della vittoria di Cunego al Giro del 2004. Prima ancora, braccio destro di Gotti e di Garzelli, dopo anni di apprendistato alla corte di Cipollini. Poi lo presero per aiutare Ullrich e alla fine per Savoldelli, che però cadde al Giro del 2007 lasciando al compagno via libera verso il terzo posto.

La ruota storta

Giusto per farci una risata, lo conoscemmo mentre il suo direttore sportivo Locatelli lo copriva di improperi al Giro d’Italia dilettanti del 1994. Infatti Eddy aveva fatto un’ottima crono in Romagna e al traguardo Olivano si era accorto che aveva corso con il tubolare che toccava contro il fodero orizzontale.

«In tanti anni che ho corso – si fa a sua volta una risata – mi è successo solo con quella bici Colnago e quelle ruote. Sotto sforzo il mozzo mollava e la ruota si storceva. Ero proprio forte, si vede, perché non me ne ero neppure accorto».

Eddy Mazzoleni, Paolo Savoldelli, Giro di Romandia 2007
Al Romandia del 2007 preparando il Giro d’Italia con Paolo Savoldelli
Eddy Mazzoleni, Paolo Savoldelli, Giro di Romandia 2007
Al Romandia 2007, preparando il Giro con Savoldelli
Come sono stati gli anni dopo aver smesso?

Il tempo passa. Ormai ho fatto più anni da ristoratore che da professionista. All’inizio ebbi qualche difficoltà, perché venivo davvero da un altro mondo. Sono serviti due anni per togliermi la mentalità del corridore.

Esserlo stato non ti ha lasciato niente?

Mi è servito parecchio. Mi ha insegnato la metodicità nel lavoro, la capacità di non mollare quando si fa dura. E’ stato una scuola di vita, anche se la mia vita a un certo punto l’ho trasformata. Chi era inquadrato nel ciclismo, ne ha tratto vantaggi. Per chi non lo era, non cambia poi molto.

Pensi mai ai tuoi anni in sella?

Certo e penso che sono stato fortunato. Ho fatto il mestiere che avevo sempre sognato e di conseguenza ho il rammarico di aver smesso prima. In quel periodo le cose andavano in modo strano e dare la colpa solo ai corridori è stato per anni il modo di non fare chiarezza. Oggi sarei forse più forte e senza tanti stress. Chi ha qualità esce più facilmente.

Eddy Mazzoleni, Tre Cime di Lavaredo, Giro d'Italia 2007
Tre Cime di Lavaredo, Giro 2007, arriva 5° e sale al 2° posto nella generale
Eddy Mazzoleni, Tre Cime di Lavaredo, Giro d'Italia 2007
Quinto alla Tre Cime di Lavaredo al Giro del 2007
Il sogno…

Alle elementari facevo i compiti con la tele accesa, per guardare Moser, Saronni e Lemond. Volevo esserci anche io, ma poteva sembrare un sogno di bambino. Perciò se penso a tutto quello che ho fatto, sono contento. Il terzo posto al Giro dimostrò che potenzialmente non ero solo un gregario.

Quali furono i tuoi capitani?

Ho imparato tanto da Cipollini. Come allenarsi, come mangiare, la messa a punto della bici. Alla Saeco capitai nel pieno della lite fra Cunego e Simoni e mi ritrovai dalla parte di Cunego. Poi Gotti e Salvoldelli, con cui ho un rapporto di amicizia anche dopo tanto tempo. Con Garzelli, alla Caldirola, eravamo una squadra piccola, come oggi l’Atalanta. Nessuno ci considerava, ma facemmo grandi cose.

Se qualcuno ti chiede il perché tu abbia smesso?

Me lo chiedono spesso anche al ristorante. Se è gente che non sa nulla di ciclismo, dico che avevo raggiunto un’età in cui era meglio smettere. A chi conosce il ciclismo dico di aver avuto un problema, per il quale mi hanno fatto smettere.

E’ un peso che ti porti addosso?

No, poteva succedere ed è successo anche ad altri. Non ho fatto male a nessuno, non sono mai risultato positivo. Sono finito in delle intercettazioni e tanto bastò.

Mazzoleni con la compagna Alessandra, con cui condivide la passione per la bici
Mazzoleni con la compagna Alessandra, con cui condivide la passione per la bici
Eddy, vai ancora in bicicletta?

Farò a dire tanto 1.000 chilometri all’anno. Vado in palestra, corro a piedi. Mi alleno 4-5 volte a settimana, ma sapete com’è la bici, no? Se esci poco, ogni volta è una pena. E se ricordi i vari tratti di strada e le velocità con cui li facevi, ti viene male passarci al rallentatore.

Dove abiti?

Vivo a Palazzago e convivo con Alessandra Bianchini, sono felicissimo con lei anche perché condividiamo la passione per lo sport e soprattutto la bici. Vedo mia figlia Camilla, che ha 10 anni. Vedo Gotti due volte a settimana, perché viene a mangiare da noi. Vedo Fidanza, perché abita nel mio paese. Seguo gli altri su Facebook.

La tivù è sempre accesa sul ciclismo come quando Eddy era un bambino?

Non guardo tutte le tappe, ma non mi perdo quelle più belle. Non sono più così assiduo e anche con i nomi faccio un po’ fatica. Però negli ultimi 2-3 anni sono usciti dei bei corridori che fanno la differenza. Van der Poel, Evenepoel, Pogacar, Roglic. Prima non c’erano e peccato per gli italiani. Credo stia passando da noi il buco che hanno avuto per un po’ i francesi, ma sono fasi che passano. Tutto passa. Passerà anche il Covid. La vita va sempre avanti, mai dimenticarlo.