Papà ha detto la sua, ora parla mamma. Dopo aver sentito Paolo Rosola a proposito dei suoi figli e in particolare di Patrik che continua a stupire nell’ambiente del ciclocross, con la conquista del terzo posto anche nell’ultima prova di Coppa del mondo, tocca a Paola Pezzo – due volte olimpionica di mountain bike, ad Atlanta e Sydney – dire la sua e raccontare il suo rapporto con i due ragazzi che, a dispetto del prestigio e dei risultati dei loro genitori, hanno deciso di seguire la loro stessa strada.
Oddio, nel caso di Paola Pezzo il discorso è un po’ diverso perché tanto Kevin che Patrik si sono orientati verso la strada e nel profondo, un po’ di rammarico nella campionessa veronese c’è.
«La loro scelta era però obbligata – ammette – visto che su strada puoi costruirti una carriera e un lavoro. Nella mtb purtroppo vedo che anno dopo anno c’è un progressivo distacco, mancano le squadre, soprattutto a livello juniores, dove devi costruire il corridore. Io amo quella disciplina e vederla in queste condizioni mi fa male. Sono però contenta che almeno nei primi anni i miei figli l’abbiano affrontata perché ha dato loro quella base tecnica, quell’abilità di guida che ti consente di fare la differenza. E comunque come disciplina di spalla, in questo momento meglio il ciclocross della mtb…».
Com’è stato affrontare una lunga trasferta in Belgio, per tutto il periodo delle feste?
Molto faticoso, ma bello. D’estate fra lavoro e corse non abbiamo mai tempo per fare vacanze, così abbiamo pensato che poteva essere bello affrontare una trasferta diversa dal solito, in famiglia, visto che Kevin ora ha la sua vita. Per Patrik è stata un’esperienza fondamentale, se vuoi crescere devi correre lì, ma non solo per la qualità delle gare. E’ tutto il contesto che ti lascia senza parole con decine di migliaia di tifosi e un baccano infernale.
Voi vi siete gestiti in autonomia?
Sì, alla vecchia maniera, Paolo che provvedeva a tutte le necessità tecniche, io che davo una mano, poi si mangiava sempre in camper. D’altronde ci sono gare ogni giorno e sono tutte vicine, c’era da guidare un’oretta o anche meno e ti trovavi sul nuovo luogo di gara. Una delle difficoltà è stato il clima: in tanti giorni non abbiamo mai visto il sole…
Credi che i risultati che Patrik sta ottenendo siano figli anche di quell’esperienza?
Sicuramente, ha acquisito consapevolezza di sé. Già dopo la terza gara si vedevano ragazzi che venivano da lui per conoscerlo, che gli chiedevano di restare a correre in Belgio, che volevano qualche ricordo, autografi, cartoline, selfie. Adesso si vede che ha un’altra gamba.
Paolo dice che per molte cose è simile a te, mentre invece da ragazzino era uno scavezzacollo come lui…
E’ vero. Io oggi mi rivedo in lui, vedo la sua testardaggine, la sua grinta, la voglia di arrivare. Anche io ai tempi ascoltavo tutti, ma poi ero io a decidere e infatti l’allenarmi a casa con il fuso orario australiano prima dei Giochi di Sydney fu un’idea mia. Lui è lo stesso, ascolta ma poi fa di testa sua, dice che sa quel che deve fare. Ma sta cambiando, ad esempio inizia a capire che l’allenamento deve essere controllato anche tramite gli strumenti appositi, non basta più andare a sensazione.
Come riesce a conciliare scuola e sport?
Con un grande impegno, per fortuna siamo riusciti a fargli ridurre l’orario da 8 a 6 ore giornaliere, la sua è una scuola professionale. Ma solo con una grande coscienza di se stessi ci si può riuscire. Devo dire che anche a scuola se la cava bene.
Kevin non ha mai nascosto che la pressione dei vostri nomi, di quel che avete fatto un po’ pesa. E per Patrik?
Anche lui un po’ lo soffre, perché giustamente vuole essere Patrik Pezzo Rosola e non il “figlio di”. E’ un prezzo da pagare nel fare la stessa attività, ma in entrambi i casi è stata una loro libera scelta. Kevin ne soffre di più, spesso ha chiesto che gli speaker la smettessero di citarlo in quella maniera, era stufo di sentire paragoni.
Ora vivono entrambi la vita che avete fatto voi genitori alla loro età, sempre in giro…
Con Paolo al seguito della squadra, la casa spesso mi sembra vuota soprattutto in questo periodo con Patrik in giro con la nazionale. Io però li vedo crescere come uomini, in questo senso ad esempio l’esperienza di Kevin alla Sudtirol, unico italiano nel gruppo è stata fondamentale, ha imparato l’inglese, è diventato cittadino del mondo come lo eravamo noi e per un genitore questa è la cosa più importante, vale oltre ogni vittoria o medaglia.