In un’intervista rilasciataci a inizio febbraio, Manlio Moro ci aveva parlato del suo calendario 2025, incentrato sulle classiche del Nord. La prima a cui il corridore friulano della Movistar ha preso parte, il primo marzo, è stata la Omloop Het Nieuwsblad. Un esordio che però non è andato come si aspettava, dal momento che Moro (nella foto in apertura sulle pietre della Roubaix nel 2024) si è classificato ultimo. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare qualche retroscena di questa esperienza comunque particolare e per sapere di più sul prosieguo della sua stagione.
Manlio, andiamo dritti al punto. Com’è che sei finito ultimo?
Non avevo le migliori sensazioni fin dall’inizio e poi mi sono spento all’improvviso. Sicuramente non mi sono alimentato bene, anche per quanto riguarda l’idratazione. Ho perso un rifornimento e sono rimasto senza acqua per un bel po’. Non è facile in quei frangenti rifornirsi, in quelle gare c’è una tale confusione… E niente, è finita che mi sono spento di colpo e da lì ho solo puntato ad arrivare al traguardo.
Di solito l’attenzione dei media si concentra sempre sui primi, mentre gli ultimi restano fuori dai riflettori. Tu che eri lì, come hai visto gli altri corridori?
Ho visto molta fatica in generale, perché in queste gare, chi prima chi poi, tutti arrivano al limite, al 100% della fatica. Le classiche del Nord sono particolari perché ti portano allo sforzo massimale, devi avere il perfetto equilibrio tra energia di gambe e di testa, sennò salti per aria. E per questo ci vuole esperienza. E’ il mio secondo anno a questi livelli e di esperienza me ne manca ancora un po’.
Quel giorno qual era il tuo ruolo, correvi libero o in supporto ai compagni?
Dovevo aiutare Ivan Cortina, in teoria, ma poi è difficile correre uniti, ti perdi anche tra compagni in quelle stradine strette del Belgio. In tutto il gruppo non c’erano due corridori della stessa squadra assieme. Ogni curva si rimescola tutto, è impressionante, difficile da spiegare se non ci sei dentro. Ogni frenata magari perdi 50 posizioni solo perché ti trovi dal lato sbagliato della strada, e se invece sei nel lato giusto magari ne guadagni 50 in attimo. Le classiche sono proprio una cosa in sé.
Per quanto riguarda il pubblico invece, com’era l’atmosfera?
Lì in Belgio è sempre uno spettacolo, è sempre pieno di gente che rimane sino alla fine ad incitare tutti. Lì respiri proprio il ciclismo vero, in cui le persone applaudono dal primo all’ultimo.
Il giorno successivo hai preso parte alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Lì è andata un po’ meglio, giusto?
Direi proprio di sì, molto meglio come sensazioni, sono stato un po’ sfortunato perché sono rimasto indietro quando il gruppo si è spezzato e poi quelli davanti sono andati. Ma avevo delle buone gambe, l’esperienza del giorno precedente mi è servita, mi sono alimentato molto meglio e anche a livello tattico credo di aver fatto un passo in avanti. Anche se ho comunque sbagliato io a farmi trovare nella posizione sbagliata nel momento sbagliato. Ma alle classiche è così, come dicevo devo ancora fare un po’ di esperienza.
Nell’intervista di un mese fa ci hai detto che punti alle classiche del Nord, qual è la tua preferita?
Diciamo la Parigi-Roubaix dai, anche visto il mio peso che si adatta meglio alle pietre pianeggianti che a quelle dei muri del Fiandre.
Allora restiamo sulla Roubaix. Lavorerai sempre per Cortina o potrai fare la tua corsa?
Vediamo cosa diranno alla riunione il giorno prima. Poi ogni gara è qualcosa a sè, io vado sempre con l’ambizione di fare il meglio possibile, sia per me che per la squadra. Poi certo, non penso di potermi giocare la vittoria, ma mi piacerebbe essere nel gruppo di testa nei momenti che contano, questo sì. Vedremo.
Ti chiediamo un’ultima battuta sulla possibile, forse probabile, presenza di Pogacar. Come la vedi?
Credo non ci siano limiti a quello che può fare, ha valori che gli permettono di arrivare davanti anche lì, in una gara in teoria non adatta a gente da corse a tappe. Sono curioso anch’io e, che dire, quel giorno spero di vederlo da vicino.