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Il “nuovo” Martinelli, corsa a piedi e tanta potenza

18.03.2023
5 min
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Bastano pochi istanti, ascoltando la sua voce, per capire che è un Alessio Martinelli diverso da quello dello scorso anno. I problemi non erano stati pochi nella sua prima stagione alla Green Project Bardiani CSF Faizané, ma il corridore di Sondalo ha voltato pagina e ha ripreso con vigore quel cammino verso la conferma delle tante aspettative riposte su di lui, come una delle grandi speranze per riavere un corridore italiano adatto ai grandi Giri.

Martinelli viene dalla quarta piazza finale all’Istrian Spring Trophy, sfida istriana frequentata da corridori di buon livello (era gara 2.2 Uci) tutti giovani come lui. Gara con molti devo team e con molti ragazzi intenzionati a mettersi subito in evidenza per impressionare soprattutto i propri dirigenti. Più che il risultato, il valtellinese ha però messo l’accento su un altro aspetto.

«Ci riflettevo anche in corsa – afferma Martinelli – era da tempo che non mi divertivo così, ma è qualcosa che fa parte della squadra quest’anno e me ne ero accorto già a inizio stagione».

In Istria i corridori hanno trovato un clima difficile: qui la grandinata nel pieno della prima tappa
In Istria i corridori hanno trovato un clima difficile: qui la grandinata nel pieno della prima tappa
I tuoi risultati in Croazia non sono stati una sorpresa, è già da inizio stagione che vai forte…

A dir la verità mi aspettavo qualcosa in più dalla gara istriana. Ero partito per fare classifica, la corsa la conoscevo essendoci stato lo scorso anno. Il prologo era appena un assaggio, un chilometro in tutto, ho perso 4” e andava bene così. Il primo giorno effettivo è stato invece un disastro, climaticamente parlando: grandine e fulmini a più non posso, un freddo terribile.

E poi?

La tappa successiva era quella decisiva, noi abbiamo sempre tirato, in salita avevo gestito bene la situazione pensando al finale, ma sul pavé dissestato non mi sono trovato bene e ho perso il contatto con i primi. Nella frazione conclusiva abbiamo provato a raddrizzare la situazione ma ormai era impossibile, la Jumbo-Visma controllava tutto.

Anche con il team Development si ha la sensazione che gli olandesi abbiano una marcia in più. Hai notato se hanno l’abitudine a tenere la corsa bloccata?

Non direi, anzi nelle prime tappe correvano un po’ nascosti, poi quando Tijmen Graat si è preso la tappa decisiva, hanno messo in funzione tutte le tattiche di controllo. Sicuramente si vede che hanno un’abitudine maggiore a correre fianco a fianco con i grandi, sono gestiti esattamente come la squadra maggiore. Ma anche noi che facciamo attività di categoria all’estero, notiamo molti progressi. Occasioni come queste servono proprio per imparare a correre come un professionista.

Nelle prime uscite il valtellinese ha sofferto il freddo. Qui al Laigueglia, dove si è ritirato
Nelle prime uscite il valtellinese ha sofferto il freddo. Qui al Laigueglia, dove si è ritirato
Riguardandoti indietro, pensi che la stagione scorsa sia stata deficitaria o c’è qualcosa da salvare?

Molto direi, io non sono deluso. Fino al Giro dell’Appennino sono andato forte, poi lo strappo al polpaccio ha cambiato tutto. Se stai fermo per un mese, ripartire poi è difficile. L’Avenir è stato la mia ultima corsa, proprio pensando a quel che avevo passato ho staccato prima la spina per affrontare meglio l’inverno e i risultati ora si vedono. Ma comunque ho portato a casa tre vittorie che rappresentano comunque una crescita.

Che cosa è cambiato in quest’inverno?

Ho preso due chili di muscoli e stanno influendo molto, in positivo. Pedalando alla soglia mi accorgo che spendo meno energie in pianura e a cronometro. Inoltre ho aumentato un po’ la distanza in allenamento, continuando quel cammino di crescita ragionata che è alla base dell’impostazione scelta dal mio preparatore Omar Beltran.

La Green Project Bardiani ha lavorato molto per Alessio in Croazia, provando il colpo grosso
La Green Project Bardiani ha lavorato molto per Alessio in Croazia, provando il colpo grosso
Quei due chili li hai presi in palestra?

No, Omar è contrario. Abbiamo fatto molti lavori di forza in bicicletta, abbinandoli a esercizi a corpo libero e i risultati ci sono stati. Inoltre – e questa è stata una novità per me – ho corso molto a piedi, a ottobre e novembre abbinando le uscite podistiche agli allenamenti specifici. Serviva a far salire bene i battiti del cuore, con sedute fino a 40-50 minuti: all’inizio il batticuore era tanto, poi si è andato stabilizzando.

Effettuavi lavori specifici a piedi?

Cercavamo di ripetere un po’ l’impostazione in bici, ad esempio 30” a tutta e 30” piano. Ho raggiunto anche velocità medie di 4’ al chilometro che so essere molto apprezzabile. Per ora comunque non conto di emulare gente come Van Aert e Yates che hanno fatto anche la maratona, anche se da bambino avevo iniziato a fare sport proprio con la corsa. Io quando chiudo la stagione ciclistica ho bisogno di rilassarmi, pensare a tutt’altro. Magari chissà, a fine carriera…

Mondiali 2019, l’azzurro è secondo, qui il podio con Simmons e Sheffield, ora già affermati pro’
Mondiali 2019, l’azzurro è secondo, qui il podio con Simmons e Sheffield, ora già affermati pro’
Tutti ti vedono come uno specialista da corsa a tappe, ma ti senti davvero tale?

Diciamo che è un giudizio esterno, io credo di poter far bene anche nelle corse d’un giorno. Certamente il recupero è una delle mie doti migliori, ma in corse con strappi brevi e ripetuti io sono convinto di poter dire la mia. Esattamente come avveniva da junior, quando sono stato secondo ai mondiali. Infatti nelle prime classiche spagnole d’inizio stagione non ero andato male.

Hai una corsa specifica alla quale punti?

Voglio sicuramente essere in forma per il Giro Under 23, farlo come si deve puntando alla classifica, ma non corro pensando a quello. Ogni gara è un obiettivo, io quando parto voglio far bene sempre e d’altro canto è quello che anche la squadra vuole.

Filippo Ganna

Testa e perfomance. Parola a coach Beltran

11.12.2020
4 min
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Spesso si dice che quel corridore ha vinto perché ne aveva di più, ma non sempre le cose vanno così. Non è solo una questione di watt, di muscoli, di battiti cardiaci… tante, ma proprio tante, volte entra in gioco la testa. Chiamateli nervi saldi, forza di volontà, magari anche rabbia in alcune situazioni, ma gli impulsi che vengono dal cervello possono fare la differenza, sia in positivo che in negativo. La faccia di Ganna nella foto di apertura parla da sola: è ritratto pochi istanti prima dell’inseguimento iridato di Berlino 2020.

Parliamo di testa e performance con Omar Beltran, mental coach e preparatore di alcuni atleti, tra cui Gioele Bertolini. 

Pensieri ed energia

Quanto conta la testa? Pensiamo ad uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni: il Giro 2016 di Nibali. Prima della vittoria a Risoul lo Squalo era “imbrigliato” in se stesso. Come si è liberato ha spaccato le montagne. O all’incubo di Roglic nella crono finale del Tour.

«Insegno ai miei atleti che lo sport è prevalentemente gestione delle energie – spiega Beltran – Se controlliamo al 100% la nostra testa, il 100% delle energie finisce sui pedali. Ogni pensiero ha bisogno di energie e quando l’atleta pensa le va a togliere alla perfomance. Pertanto il flusso dei pensieri va gestito. Ogni pensiero ruba quel “nanogrammo” di energia che può fare la differenza tra il mettere la ruota avanti o dietro in una volata.

«Ognuno ha il suo modo di essere. Per esempio Gioele è un caso atipico. Lui è molto calmo di suo. Non ha l’ansia da prestazione e questo ci consente di lavorare su altri aspetti e di concentraci più sulla preparazione fisica».

Carapaz e Roglic
Vuelta 2020, Carapaz nell’attacco finale. Roglic insegue: chissà se rivive i fantasmi del Tour?
Carapaz e Roglic
Vuelta. Carapaz nell’attacco finale. Roglic insegue: rivive i fantasmi del Tour?

“Qui ed ora”

Ma allora se pensare ruba energie bisogna spegnere il cervello? Che tipi di pensiero influiscono maggiormente?

«Spegnere il cervello è impossibile – continua Beltran – La mia filosofia è vivere il presente, nella vita così come nel momento dello sforzo. Bisogna entrare nell’ottica del “qui e ora”, quando sei consapevole di questo, cioè di ciò che stai facendo in quel preciso momento hai fatto bingo! Che poi non è altro che recuperare il sano rapporto con le sensazioni.

«Il nostro copro ci dice continuamente cosa stiamo provando, ci dice di quel momento: vivere il presente e non essere schiavi dei pensieri. Il fatto stesso di programmare gli impegni e dire: ho lavorato, ho fatto questo, ho fatto quello e nel fine settimana vado a fare quella cosa… genera un flusso negativo, che può portare ad ansie».

Nel caso del corridore che pensa al momento della volata o dell’attacco si traduce in stress e perdita di energie nervose. In una parola: pressione.

Bertolini prima del via si scalda e si rilassa con le cuffie
Bertolini prima del via si scalda e si rilassa con le cuffie

L’importanza dell’intestino

Il mental coach estende poi il discorso anche ad aspetti apparentemente più filosofici, ma in realtà molto fisici nel vero senso della parola.

«Noi – dice Beltran – abbiamo “tre cervelli” (centraline diremmo noi, ndr): quello della mente, quello del cuore e quello della pancia, cioè dell’intestino. Spesso si tende a trascurare questa parte, ma pensiamo alla cosa più semplice: quando si ha paura spesso si va in dissenteria. Per questo prima di dare un programma ai miei atleti, la mattina sento come stanno, che sensazioni hanno e in base a queste decidiamo il da farsi.

«I dati dei computerini? In allenamento certo che bisogna osservarli, ma in gara assolutamente no. In gara, come detto, bisogna essere liberi e l’atleta deve conoscersi». In pratica il computerino fa pensare e porta via energie.

Aspettative: bene o male?

«La prima causa delle nostre angosce sono le aspettative. Ma io dico sempre che il nostro risultato non dipende dalle aspettative, ma da quello che riusciamo a dare. Spesso i miei corridori mi dicono: oggi ho vinto. E io gli rispondo: ma sei sicuro di aver vinto tu? O hanno perso gli altri?».

Che cosa si fa dunque prima di una gara? Secondo Beltran ogni persona è diversa, non c’è un procedimento standard. 

«Lavoro molto sul training autogeno. I miei atleti per prima cosa devono imparare ad essere autonomi. Con loro stipulo una sequenza di “lavori”, spesso accompagnati da “sound training” che si fa prima del via. C’è chi lo fa a ridosso della partenza, chi la sera prima e chi nei giorni precedenti».