Le Olimpiadi da dentro (e da fuori). Torniamo a Parigi con Cecchini

25.08.2024
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Le Olimpiadi di Parigi sono finite da un paio di settimane. Sembra un’eternità, ma certi ricordi e certe emozioni sono ancora forti. Specie per chi come Elena Cecchini le ha vissute da dentro. Ed è proprio l’azzurra, che ha disputato la prova su strada, a guidarci nella Parigi olimpica nascosta. Quella dei pass per muoversi, delle logistiche particolari, delle cerimonie.

In due settimane spesso abbiamo sentito atleti e giornalisti raccontare anche di come non sempre fosse facile spostarsi, mangiare alla mensa del villaggio o al contrario ci dicevano dell’atmosfera magica che in quei giorni a cinque cerchi si respirava nella Ville Lumiere.

Uno scatto con le ragazze impegnate su strada e il cittì Sangalli
Uno scatto con le ragazze impegnate su strada e il cittì Sangalli
Elena torniamo a Parigi. La sede azzurra ciclistica era a Versailles, fuori dal centro della città…

Esatto, avevamo l’hotel sulla strada del percorso, del tratto in linea per la precisione e questo era molto comodo per poterci allenare rispetto al Villaggio Olimpico che invece era in centro. Scelte come questa, di prendere un altro hotel sono del Coni. Il Villaggio per esempio era ideale per i ragazzi dell’atletica che in 5′ a piedi erano allo stadio. Il Coni per i giorni delle gare su strada aveva affittato per noi un appartamento in centro proprio vicino alla partenza. Era un appartamento per persone non vedenti ed era molto comodo in quanto a logistica pre gara. Lì avevamo il cuoco italiano, gli spazi con le nostre bici, i rulli. I ragazzi e le ragazze della crono si sono potuti distendere prima delle gare, oltre che dormirci tutti noi dalla sera prima. Una logistica molto comoda, anche perché non avevamo i bus, ma c’erano degli stand per i team. Mentre il villaggio olimpico distava almeno 45′ dalla sede di partenza. 

E quindi al Villaggio Olimpico non ci sei stata?

Un giorno. Sono andata a farci una passeggiata, a curiosare. Elia (Viviani, il marito, ndr) invece ci è stato. Era andato a fare una sessione in palestra, che era a disposizione degli atleti, dopo la cerimonia d’apertura. Mi ha detto che in mensa c’erano code lunghissime e che per questo aveva mangiato in uno dei bar del villaggio. Lì la scelta alimentare era comunque buona e ne aveva approfittato. Un po’ mi dispiace non aver vissuto di più il villaggio olimpico. Mi ricordo di quello di Rio, dove c’era una palazzina per Nazione. Anche quella fu una bella esperienza. Al villaggio ci siamo ritrovati con tutti gli azzurri prima di andare alla cerimonia di chiusura.

Una foto, molto parigina, di Elena Cecchini in corsa
Una foto, molto parigina, di Elena Cecchini in corsa
Dopo la tua gara sei rimasta però a Parigi…

Il 4 agosto ho corso e poi la mattina dopo ero già al velodromo per vedere Elia e Vittoria Guazzini, che è una mia grande amica. Avevo preso a suo tempo, privatamente, un Bed&Breakfast in zona. Avendo già gareggiato potevo accedere al villaggio olimpico ma non ci potevo dormire. 

E i biglietti per il velodromo?

Li ho acquistati come una persona normale a suo tempo. Aprivano degli “slot temporanei”, una o due volte al mese: dovevi starci dietro, c’era già una lista d’attesa. Poi in realtà ho visto che si potevano acquistare anche sul momento.

Chiaro…

All’inizio li avevo presi solo per l’omnium di Elia e per i ragazzi del quartetto. Mentre mi sono persa la madison d’oro di Vittoria e Chiara (Consonni, ndr). E’ che dopo tre giorni di velodromo ero distrutta. Faceva un caldo tremendo, la musica, lo speaker, il caos… ogni sera avevo il mal di testa. Solo che poi non essendo andata e avendo loro vinto, per scaramanzia ho detto ad Elia: “Non so se venire alla tua madison, resto in appartamento”. Ma Elia, che scaramantico non è, mi ha detto di andare. E’ stata quasi più faticosa la settimana da spettatrice che quella da atleta. Ma così mi sono goduta le Olimpiadi dai due punti di vista.

Abbiamo visto in effetti anche dai tuoi social che l’hai vissuta appieno, specie alla cerimonia di chiusura…

Quel giorno siamo stati fuori dalle 16 a mezzanotte. Alle 18 c’era il ritrovo al villaggio, faceva un caldo con quelle tute… ma dovevamo attenerci al codice che ci aveva inviato il Coni. Però è stata un’esperienza bellissima stare in quello stadio. Ti dava veramente il senso di cosa siano le Olimpiadi. Un’emozione fortissima.

Casa Italia: com’era?

Ci sono stata, anche se è più per gli atleti medagliati che non per gli altri. Se ci andavi nessuno ti cacciava, ma non potevi decidere di andare liberamente. Quando Chiara Consonni e Vittoria Guazzini hanno vinto l’oro, dal velodromo sono andate a Casa Italia direttamente con tutto lo staff con i mezzi del Coni. Invece abbiamo ricevuto lì Elia e Simone con la loro medaglia d’argento della madison. Quando gli atleti medagliati arrivavano a Casa Italia gli veniva fatto un video emozionale, poi passavano alle interviste e quindi si mangiava. Anche noi abbiamo mangiato con loro e a seguire c’è stata una festa. Casa Italia era bellissima. Aveva un design particolare, dettagli curatissimi. Il Coni ha recuperato questa villa e l’ha risistemata a nuovo. Ora sarà restituita alla cittadinanza. 

E poi Elena c’eravate voi, i protagonisti, gli atleti. Chi hai incontrato?

Alla Cerimonia di chiusura ho visto bene Noah Lyles, lo sprinter americano che ha vinto i 100 metri. Era ben disposto, simpatico e alla mano, come tutti quelli della squadra statunitense. Avevano queste divise bellissime, colorate. Loro erano dei guasconi, con occhiali improbabili, dei veri casinisti… davvero belli da vedere. E poi le Farfalle della ginnastica ritmica. Ho rivisto Pauline Ferrand-Prevot, una mia amica…

E tra campioni, tra atleti, ci si riconosce?

Non tutti, ma sì direi. Io ed Elia abbiamo incontrato Gregorio Paltrinieri e Rosella Fiamingo (anche loro coppia nella vita, ndr). Elia e Gregorio già si conoscevano. Avevano vinto l’oro a Rio nello stesso giorno: interviste, Casa Italia anche lì ed erano rientrati dal Brasile con lo stesso volo. Da quel momento sono rimasti in contatto. Senza contare che ci si era incontrati anche a Livigno: anche Gregorio nuotava in quota. Mentre La Fiamingo sapeva che io ero la moglie di Elia e cosa facevo: anche lei è stata molto alla mano. E poi sì, ci siamo incontrati e visti con i ragazzi dell’atletica. Nadia Battocletti per esempio o Filippo Tortu. Ecco, Tortu è super tranquillo e super appassionato di ciclismo. Conosce tutti. Anche in questi incontri c’è il bello delle Olimpiadi.

Una settimana dopo, le pagelle olimpiche del team manager

18.08.2024
8 min
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Sembra passato un secolo, ma le Olimpiadi si sono chiuse appena da una settimana. Ci saranno ancora storie e approfondimenti, questo però è il momento di fare il punto con Roberto Amadio, team manager della nazionale. I Giochi di Tokyo dell’Italia andarono in archivio con l’oro del quartetto e i bronzi di Viviani nell’omnium ed Elisa Longo Borghini nella gara su strada. Tre anni dopo, Parigi ha portato l’oro di Consonni-Guazzini nella madison, l’argento di Ganna nella crono e quello di Consonni-Viviani nella madison e il bronzo del quartetto. Non ai livelli di Atlanta, ma un bel passo avanti: un allargamento delle medaglie, la presenza del settore velocità e qualche passo indietro su cui ragionare.

La prima medaglia azzurra a Parigi è stata l’argento di Ganna nella crono
La prima medaglia azzurra a Parigi è stata l’argento di Ganna nella crono
Amadio, quanto è stato difficile organizzare e mettere insieme tutto quello che serve per un’Olimpiade?

La differenza rispetto a un mondiale, anche se già Glasgow era stato un bel test, è che hai tutte le specialità concentrate nelle stesse due settimane. Quindi devi conciliare le richieste dei vari settori e dei tecnici. Però con l’aiuto del CONI, che ci è stato molto vicino, è andato tutto bene.

Bene in tutti i settori?

Ho visto miglioramenti. Poco fa parlavo con Ghirotto del quarto posto di Braidot nella mountain bike, che ci sta un po’ stretto a causa della foratura nel momento cruciale dell’attacco di Pidcock. Quella poteva essere una medaglia. Nella BMX Race siamo arrivati in semifinale con il nono posto, che conferma che la scelta di Bertagnoli sia stata giusta, come pure l’avvicinamento e il modo in cui abbiamo lavorato. Nella crono, Ganna è sicuramente uno dei migliori atleti al mondo, però non è mai facile fare il giusto avvicinamento, programmarla e arrivare giusti. Poi la pista ci ha dato tante soddisfazioni e devo dire che abbiamo ottenuto dei risultati importanti. In altre specialità forse si poteva fare qualcosa in più, però considerando tutto, direi che è andata molto bene.

Durante gli ultimi due anni si è visto che tutti i settori hanno collaborato con il team performance di Diego Bragato.

Stavo arrivando proprio lì. E’ un tipo di lavoro che abbiamo esteso a tutti e ha permesso di seguire una certa programmazione, un certo tipo di allenamenti e di preparazione atletica, non solo limitati alla bici. Come si è visto dai risultati, anche le altre nazionali hanno lavorato così. Per arrivare a questi risultati, a certi tempi, non puoi tralasciare assolutamente niente. Devi crescere sui materiali, sulla preparazione, sull’alimentazione e anche sull’aspetto psicologico. Insomma abbiamo curato ogni dettaglio. In più c’è stato scambio di programmi e idee, che secondo me è positivo per la crescita dei vari settori.

Marco Villa ha espresso il desiderio di una squadra italiana in cui i ragazzi italiani possano essere valorizzati nel modo giusto. E’ un auspicio oppure un progetto?

Diciamo che sta diventando una necessità. Strada e pista possono andare a braccetto e lo abbiamo dimostrato. Anzi, il lavoro su pista va a beneficio della strada e viceversa. Purtroppo in Italia, ma anche nelle squadre, si dà priorità alla strada e anche gli atleti a questo punto vedono solo quel tipo di sbocco. Invece secondo me se ci fosse una squadra italiana di un certo livello, non sarebbe utile solo a Villa, ma a tutto il movimento. Dobbiamo ricreare una mentalità vincente nei nostri atleti. Il fatto che i migliori siano sparsi nelle varie squadre WorldTour e purtroppo siano quasi sempre sacrificati a favore di altri capitani fa perdere quell’attitudine. E di riflesso nelle competizioni internazionali, ci troviamo spesso in difficoltà.

Villa, qui con Ganna, alla partenza dell’ultimo quartetto, ha espresso il desiderio di un team italiano
Villa, qui con Ganna, alla partenza dell’ultimo quartetto, ha espresso il desiderio di un team italiano
E’ necessario e sta diventando un progetto, oppure è necessario ma rimarrà un auspicio?

E’ necessario e ce lo diciamo da anni, ma i progetti non sono facili, perché comunque ci vogliono molti soldi. Serve anche un percorso per arrivare a una squadra WorldTour. Anche se avessi i soldi subito, la licenza non arriverebbe automaticamente. Forse c’è bisogno anche di un intervento politico e non solo per il ciclismo. Tutti gli sport professionistici in Italia sono in difficoltà a livello di sponsorizzazioni. Quindi sarebbe opportuno avere una squadra di matrice nazionale che dia la possibilità di supportare i nostri ragazzi affinché facciano l’attività che meritano. Vediamo se potrà nascere qualcosa.

Gli australiani hanno polverizzato il record del quartetto, noi siamo peggiorati rispetto a Tokyo.

Villa ha parlato con i tecnici australiani. Per fare 3’40” devi allenarti assieme a lungo e fare un certo percorso. Loro sono stati insieme per dieci settimane, quindi più di due mesi a preparare solo la pista. Il nostro quartetto maschile è riuscito a farlo per una quindicina di giorni e il problema viene fuori anche con le donne. Anzi, forse è stato più complicato che con gli uomini. Anche quel quarto posto ci sta stretto. Al di là dell’incidente che ha avuto la Balsamo, che è stata bravissima a recuperare ed essere presente, quello è un quartetto che poteva puntare tranquillamente al podio.

Si va avanti ancora con il gruppo della Valcar. Tolte Paternoster e Fidanza, le altre ragazze di Parigi venivano tutte dalla stessa squadra che permetteva loro di lavorare in sintonia fra strada e pista.

Ed è l’esempio perfetto di cosa significherebbe avere una squadra italiana costruita in questo modo. Fino a quando erano tutte in una squadra che collaborava con la Federazione, c’era un percorso condiviso. Lavoravano su pista e ugualmente su strada vincevano corse a livello internazionale. Poi con l’esplosione del WorldTour femminile, perché davvero è stata un’esplosione, le cose sono cambiate di colpo. Dobbiamo arrivare ad avere un team, sia uomini sia donne, che possa raggruppare tutte le nostre migliori. Come accade in diverse strutture WorldTour europee.

Perché secondo te, nonostante le bici nuove, i body nuovi e tutto quello che s’è fatto, il nostro quartetto è andato più piano che a Tokyo?

Perché non hanno lavorato come prima di Tokyo, non ne hanno avuto la possibilità. Il 3’43” che hanno fatto è un tempo di tutto rispetto, alla pari dell’Inghilterra. Pensavamo che il 3’42” dell’Australia fosse il loro massimo, invece hanno stampato un 3’40” e, se lo rifacevano, magari miglioravano ancora. Vuol dire che hanno veramente preparato questo quartetto in maniera perfetta. Per fare quei tempi, devi spingere un dente in più e quindi devi lavorare di più in palestra. Noi non l’abbiamo potuto fare, perché abbiamo tre atleti di squadre WorldTour che giustamente devono fare l’attività su strada, perché sono stipendiati dai loro team.

Aver corso il Giro d’Italia ha dato a Guazzini e Consonni un passo superiore nella madison
Aver corso il Giro d’Italia ha dato a Guazzini e Consonni un passo superiore nella madison
Restando sulle ragazze, l’anno scorso dopo Glasgow fu necessario fermarsi e fare il punto, richiamandole a una maggior presenza. Come ti sembra che sia andata?

E’ un gruppo giovane che può benissimo arrivare a Los Angeles, con l’ambizione di essere protagonista. Lo ha dimostrato anche il quartetto americano, con Dygert e Faulkner che hanno fatto la prova su strada e subito dopo sono andate a prendersi l’oro su pista. Però anche loro hanno lavorato più di un mese e mezzo dedicandosi più alla pista che alla strada e qui torniamo al discorso di prima. L’attività su strada è sempre più intensa, il calendario femminile ormai è pari a quello maschile, ma ci sono meno atlete. C’è da parlare con le squadre di appartenenza, con i manager, con le ragazze stesse. Se hanno la volontà di arrivare a Los Angeles, bisognerà programmare un po’ meglio e avere una disponibilità maggiore per fare un quartetto da podio, perché ci sono andate vicinissime. Hanno lavorato tutti assieme veramente per pochissimi giorni. Per contro, aver fatto il Giro d’Italia ha funzionato bene per le prove di fondo come la madison, in cui le azzurre hanno dimostrato di essere superiori a tutte.

Che cosa ha rappresentato per te vedere Viviani vincere quest’ultima medaglia olimpica?

E’ un risultato importante, perché a causa del numero limitato di atleti, abbiamo dovuto fare delle scelte forti. Con un atleta in meno a disposizione, significava che i quattro del quartetto avrebbero dovuto fare tutte le prove di endurance, quindi anche l’omnium e la madison. Avrebbe significato lasciare fuori un corridore come Viviani, che nelle ultime due Olimpiadi aveva già dato un oro e un bronzo nell’omnium. Conoscendo la sua professionalità e grazie anche a Bennati che ha capito la nostra richiesta, l’operazione ci ha dato ragione. Che Elia avesse la gamba si era visto anche nell’omnium e nella madison ha tirato fuori veramente il massimo. Anche Consonni è stato bravissimo, perché ripartire dopo la caduta e tenere quei ritmi non era facile. Consideriamo che l’americana è stata corsa oltre i 60 di media per 50 chilometri!

Viviani e Consonni sono stati fortissimi anche dopo la caduta che ha falsato il finale di gara
Viviani e Consonni sono stati fortissimi anche dopo la caduta che ha falsato il finale di gara
Peccato per la caduta…

A quelle velocità, Elia ha fatto quattro giri da solo a tutta. Subito dopo, a cinque giri dalla fine, ha fatto un grande recupero, rimettendosi in gioco per la volata finale. Però bisogna anche dire che Leitao e Oliveira sono andati fortissimo, hanno fatto un finale veramente incredibile. Forse nel caos della caduta, abbiamo perso di vista la situazione dei punti. Non si è capito che i portoghesi stessero recuperando in modo importante e perdere a quel punto il filo della corsa è stato fatale. Però i nostri sono stati bravissimi. Elia ha corso in maniera impeccabile, una madison da maestro. Meritava un gran finale come quello.

Ruolo, tattica, aspettative: l’Olimpiade di Cecchini

17.08.2024
5 min
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Elena Cecchini è stata una delle protagoniste azzurre alle Olimpiadi di Parigi. Cecchini ha fatto parte del quartetto femminile impegnato nella prova in linea. Con lei, lo ricordiamo, Elisa Balsamo, Elisa Longo Borghini e Silvia Persico. La gara non è andata proprio bene. Alla fine il verdetto è stato: nona Longo Borghini, venticinquesima proprio Elena e oltre la cinquantesima posizione Balsamo e Persico.

Elena aveva un determinato ruolo, quello di essere la road capitan o regista in corsa, per dirla all’italiana. A mente fredda ripercorriamo un po’ la sua Olimpiade da un punto di vista tecnico-tattico. Da anni Cecchini è un perno della nazionale, una di quelle atlete sulle quali sai sempre di poter contare. E non è un caso che il cittì Paolo Sangalli abbia deciso di schierarla all’ombra della Tour Eiffel.

Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Elena, iniziamo dalla tua Olimpiade: cosa ci dici?

E’ stata una bellissima esperienza. Volevo fare anche qualcosa sui social che la raccontasse, ne parlavo con Elia (Viviani, il marito, ndr) ma sto ancora valutando. E’ iniziato tutto dall’aeroporto di Verona, quando siamo scesi dalla Val di Fassa, dove eravamo in ritiro con altri ragazzi, e siamo andati a prendere il volo per Parigi. Già lì ho iniziato a pensare ai mesi e agli anni di preparazione per arrivare fino a quel punto. Pensavo che alla fine noi ciclisti siamo fortunati, la nostra gara è una delle più lunghe, mentre altri atleti si giocano tutto in 10”-15”. E’ un insieme di emozioni e considerazioni enormi…

Parliamo un po’ della tua gara…

Ho ricevuto un messaggio da Elia prima del via che mi ha fatto commuovere. Per me era la seconda esperienza olimpica dopo Rio e la volevo vivere intensamente. Avevo aspettative altissime. Volevo fare una bella gara, ma come squadra non siamo rimaste soddisfatte. Almeno però rispetto a Tokyo è stata una gara vera e le più forti sono tutte rimaste davanti.

Qualche recriminazione?

Una e nasce da una serie di cose messe insieme. Ne ho anche parlato con Paolo Sangalli. Quando siamo entrate nel circuito e c’è stata la caduta. Sullo strappo di Montmartre è scoppiata la bagarre e mi sono detta: “Faccio un passo forte ma regolare”. E invece quando ho finito di tirare, dietro di me in cima non c’era nessuna. Ma quello non era un passo perché si restasse da sole. E infatti Elisa poi mi ha detto: “Elena, ho cercato di dirti che c’era stata una caduta”. Ma io non sentivo proprio. In vita mia non avevo mai visto tanta gente a bordo strada, tanto caos e non era facile comunicare.

Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Le altre però tra cui la Longo erano scappate…

A saperlo sarei andata davvero a tutta così magari avrei potuto aiutare Elisa. Ma neanche potevo tirare per Kopecky e Vollering che erano dietro. Alla fine per come è stata dura la gara non sarebbe cambiato nulla. Però sai, se intanto sei lì davanti in due. Quantomeno esserci… Questa è l’unica recriminazione che ho.

Per di più eravate senza radioline…

E infatti succede solo due volte l’anno che si corra senza radioline e io non ho sentito proprio nulla: né Elisa che cercava di avvertirmi, né la caduta. Anche per questo nelle ore successive alla gara non eravamo felicissime. Volevamo di meglio. Personalmente avevo avuto un avvicinamento molto sereno. Già a maggio sapevo che facevo parte di un lotto di 5-6 ragazze e non di 10-12 in lotta per 4 posti. E da quando poi ho saputo della convocazione ho corso un Giro Women in tutto relax, potendomi concentrare sul mio lavoro e sulla ricerca della condizione. Insomma stavo bene.

Anche per questo quando ti hanno chiesto del tuo ruolo di regista hai detto che volevi di più? Avevi paura che fosse qualcosa di riduttivo quel ruolo? Spiegaci meglio…

Il ruolo di regista è molto importante, ma credo che in un grande Giro o in un mondiale in cui si corre in 6-7 atlete è un conto, in un Olimpiade in cui si corre in quattro, è un altro. E’ normale che si debba prendere delle decisioni anche senza radio. In questo caso eravamo tutte esperte. Quel che volevo dire è che da me stessa mi aspettavo una presenza attiva in gara e di non essere lì solo per prendere decisioni o per dire alle altre cosa fare.

Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Vai avanti…

Infatti ho cercato di prendere la fuga, insomma volevo essere, e sono stata, regista ma anche attrice. Mi è piaciuta la pressione che mi sono messa addosso da sola. Lo stesso vale per l’approccio alla gara. Il ruolo di regista non è affatto riduttivo, anzi mi piace, ma in una corsa a quattro non era abbastanza serviva di più. E così ho fatto.

Quindi non volevi di più a livello di gerarchie?

No, no… i nostri punti di riferimento erano Elisa ed Elisa! Balsamo, nel caso di un rimescolamento continuo da dietro e di un arrivo in volata. Longo Borghini nel caso di una corsa più dura e selettiva, come poi è stata. E io credo che l’Italia abbia schierato le migliori quattro atlete a disposizione per questa sfida e per quel percorso.

E ora? 

Riprenderò a Plouay il 24 agosto. Per ora sono a casa, a Montecarlo. Ho fatto una settimana di recupero, di relax post olimpico, ed ho ripreso ad allenarmi, mentre Elia recupererà ancora un po’. Però fa un gran caldo. Di solito qui c’è sempre un po’ di aria e invece niente. Anche se fai tre ore, poi passi il resto del giorno a recuperare. 

Il velodromo di Parigi sarà veloce come quello di Tokyo?

06.08.2024
5 min
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Ieri sono iniziate le Olimpiadi di Parigi anche su pista, al velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale, visto che è la sede della Federazione ciclistica francese. La speranza italiana è concentrata soprattutto sui quartetti, ma non solo ovviamente. Certo è che dopo le prestazioni di Tokyo e il primato mondiale, da Ganna e compagni ci si aspetta moltissimo.

Ma stavolta non parliamo tanto dei ragazzi quanto piuttosto del velodromo stesso. Per grandi prestazioni serve anche un “campo gara” che possa proporre condizioni eccellenti. L’equazione sarebbe sin troppo facile: una pista, un posto al chiuso, uguali prestazioni ripetibili. Un po’ come succede in una piscina… per dire. In realtà non è proprio è così. Ci sono molti fattori esterni. Fattori che riguardano la struttura stessa del “campo” di gara.

Pensiamo per esempio alla super pedana dei salti in lungo e triplo agli Europei di atletica di Roma e ora quella “meno performante” di Parigi. Non sempre un campo di gara standard è poi davvero così uguale.

Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014
Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014

Da Tokyo a Parigi

Quindi che prestazione possiamo aspettarci dal Velodromo olimpico? A Tokyo di record ne abbiamo visti molti, uno su tutti: quello del quartetto azzurro con quel memorabile 3’42”032, un primato che in questi anni nessuno ha neanche avvicinato. E’ vero anche che gli studi aerodinamici hanno fatto passi da gigante e oltre alla pista, si è visto quanto il vestiario conti di più, lo stesso vale per i caschi e per le bici. E anche per le preparazioni e alimentazione.

Ma questi sono altri fattori. Concentriamoci sulla pista.  

Quali sono quindi le condizioni che rendono veloce una pista piuttosto che un’altra? Le principali sono quattro: la superficie, l’altitudine, la temperatura interna e, sembra assurdo visto che si è al coperto, anche il meteo esterno, pressione e in parte l’umidità.

E’ noto infatti che quanto più bassa è la pressione atmosferica, tanto minore è la densità dell’aria e migliore è la penetrazione nella stessa da parte dei corridori. Solitamente la pressione dell’atmosfera va di pari passo con l’altitudine (più è alta la quota, minore è la colonna d’aria sulla testa, minore è la pressione), ma anche con l’umidità. Un’aria umida è meno densa di quella secca. E infine conta anche la temperatura. Più è alta e meno è densa, posto che poi oltre un certo limite (solitamente i 21-23 gradi) diventa controproducente per il rendimento del corpo umano.

E infatti di solito i velodromi sono tenuti a questa temperatura. Ricordate quanta ricerca ci fu per il Record dell’Ora di Pippo Ganna?

Queste condizioni ambientali erano tutte presenti a Tokyo nel velodromo di Izu, per quella tempesta tropicale che coinvolse il Giappone in quei giorni. A Parigi nei prossimi giorni sia l’umidità che la pressione sono date in aumento. E’ un bene nel primo caso (anche se poi è costante all’interno del velodromo), un male nel secondo.

Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto
Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto

Rettilinei corti

L’anello di Saint-Quentin-en-Yvelines è da 250 metri, su legno di abete siberiano. E’ stato costruito nel 2014, ma il parquet è stato rifatto a maggio e questo non è un punto a favore di eventuali record. Il legno vecchio infatti risulta più scorrevole, ma per il Giochi tutto doveva essere alla perfezione. 

Dalla Francia assicurano che è comunque velocissimo.

Mentre è un punto a favore la forma dell’anello. I due rettilinei infatti sono relativamente corti e questo consente di mantenere la velocità in modo leggermente più semplice e, nel caso del quartetto, anche la compattezza del treno.

In più nonostante sia un anello “corto” è largo 8 metri, quindi le sponde consentono di salire abbastanza in alto. Tanto per fare un paragone con l’Izu di Tokyo la pista era larga 7,60 metri quindi si poteva salire circa 40 centimetri in meno. Tuttavia è anche vero che l’inclinazione delle curve era di 45°, un grado in più del Saint-Quentin-en-Yvelines che è di 44°. Il raggio di curva è di 23 metri, quindi abbastanza ampio e dovrebbe risultare più fluido per le specialità di endurance e dell’inseguimento a squadre.

Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori
Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori

Pista fluida

Énergies & Services è l’azienda responsabile del velodromo, da anni è a guardia della pista al fine di renderla sempre performante. Ogni mattina vengono controllate la temperatura e l’umidità, prima e dopo ogni corsa. La precisione dello stato del parquet è talmente elevata che la pista viene monitorata costantemente. Inoltre viene eventualmente corretta la regolazione dei cunei tra il terreno e le travi di sostegno, che a seconda dell’essiccazione del legno e delle vibrazioni si muovono, in modo impercettibile, ma si muovono.

Insomma, forse non ci sarà un uragano come a Tokyo a rendere la pressione perfetta, ma gli altri ingredienti ci sono tutti. La pista è scorrevole e gli atleti sono soddisfatti. Chiudiamo con una frase di qualche tempo fa di Gregory Bauge, ex pistard francese e oggi tecnico dei “galletti”, nove volte campione del mondo nella velocità e plurimedagliato olimpico: «Questa pista è un tavolo da biliardo: è ampia e fluida. Su alcuni tracciati si avvertono degli strappi tra i rettilinei e le curve, ma su questo anello niente!».

Bettiol, parole chiare: «La corsa sarà una continua esplosione»

02.08.2024
5 min
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VERSAILLES (FRANCIA) – Tre è il numero delle Olimpiadi di Parigi. Il 3 agosto, domani, si tiene la prova in linea. Gli azzurri correranno in tre. E si corre per tre medaglie. Tutti concetti che ha ben presente la punta dell’Italia, Alberto Bettiol. Un talento che sa farsi valere nelle gare in linea e a cui forse è sempre mancato il grande colpo.

Chissà che non possa essere proprio a Parigi, in una gara che può essere imprevedibile. Tutti parlano di Evenepoel, già campione a cronometro, Van Aert, Pedersen e Van der Poel. Ma se ci dovesse essere spazio per inserirsi, e magari in una situazione del genere c’è, Alberto Bettiol è pronto.

Il toscano ha disputato una discreta cronometro a Parigi: 18° a 1’54” da Evenepoel
Il toscano ha disputato una discreta cronometro a Parigi: 18° a 1’54” da Evenepoel
Com’è fare il capitano di una squadra composta da tre persone?

E’ strano. Sono le Olimpiadi, è una gara diversa dalle altre. Sarà così per tutti, per cui bisogna adattarsi e farsi forza con ciò che si ha. Ci siamo immaginati come possa andare, ma è talmente incerta che bisogna essere flessibili mentalmente. Ci sono squadre da tre corridori, otto Nazioni ne hanno quattro, qualcuna uno. Difficile fare tatticismi. Quando la corsa esploderà, non smetterà più di esplodere. Sarà dura, anche se altimetricamente non lo è, ma è diversa da tutte le altre. Bisogna prenderla per quella che è e pensare che in Italia ci sono più di duecento professionisti e qui siamo in tre a rappresentarli. Io, Luca ed Elia siamo fieri di esserci. Faremo la nostra corsa cercando di stare uniti e di muoverci bene.

Avete già individuato la strategia?

Non abbiamo le radio, siamo in pochi, bisogna essere sempre vigili. Conterà preservare le energie, ma di sicuro non si può pensare di rimanere coperti. Se rimani dietro, nessuno tira per rientrare. Bisogna stare sempre davanti. Sarà una corsa lunga, magari anche più di sei ore. E un percorso come questo lo senti negli ultimi 30 o 40 chilometri, perché lì si sente la stanchezza. Non c’è un punto chiave che si possa individuare, non è come una Sanremo dove sai che il Poggio è decisivo. Ogni momento può essere quello giusto, bisogna essere pronti e magari anche un po’ fortunati. Non è solo questione di forza, anche di istinto e di intuizione. Ma questo ci deve far ben sperare. 

Oggi si è tenuto un incontro con la stampa nella zona di Versailles, dove risiedono gli azzurri del ciclismo. Bettiol ha parlato con chiarezza
Oggi si è tenuto un incontro con la stampa nella zona di Versailles, dove risiedono gli azzurri del ciclismo. Bettiol ha parlato con chiarezza

Che tipo di gara ti auguri?

Noi vogliamo una corsa dura. Luca ha fatto il Tour, è preparato. Elia ha lavorato tanto anche sulla pista, è pronto. Io devo stare insieme ai corridori con le mie caratteristiche, non vorrei trovarmi all’arrivo con uno più veloce di me. Devo anticiparlo. E poi qui si lotta per una medaglia, non solo per il primo posto. Bisogna tenerne conto, è una gara diversa.

Hai già provato una gara olimpica e non è andata benissimo.

A Tokyo potevo fare di più, mi è venuto un crampo e l’ho pagato. Certo, con un terzetto come quello, con Carapaz, van Aert e Pogacar, era difficile pensare al podio. Avevo un problema fisico, poi l’ho risolto. Mi è servita per abituarmi al clima olimpico. Non è tutto bello, ci sono anche le controindicazioni. Mi riferisco a quando devi muoverti per andare a Parigi, o per arrivare in albergo, devi portarti sempre il pass, sei scortato, ci sono tanti protocolli da seguire. Non puoi fare come vuoi. Insomma, ti devi adattare. 

Per Bettiol (a destra) un selfie sotto la Torre Eiffel a Cinque Cerchi con Viviani e Mozzato che correrano con lui la prova di domani (immagine Instagram – FCI)
Per Bettiol (a destra) un selfie sotto la Torre Eiffel a Cinque Cerchi con Viviani e Mozzato che correrano con lui la prova di domani (immagine Instagram – FCI)
La condizione com’è?

La preparazione è andata bene. Mi sono ritirato dal Tour perché ho percepito che sarebbe stato troppo, per questo ho evitato la parte più dura. L’appuntamento più importante è l’Olimpiade e ho pensato solo a questa gara di Parigi. Mi sono allenato insieme alle ragazze, ho provato il percorso, mi sento bene. Negli ultimi due giorni sono arrivati anche Luca ed Elia e siamo pronti a farci valere. 

L’approccio a una gara del genere è diverso?

Io affronto ogni gara allo stesso modo. La preparo alla stessa maniera, mi alimento allo stesso modo, cerco sempre di ottenere il massimo. Ma non c’è niente da fare, l’Olimpiade è un’altra cosa. Lo percepisci chiaramente. Non rappresenti il ciclismo italiano come può essere ai mondiali o agli europei. Lottiamo tutti per una medaglia che è per tutti uguale, per il ciclismo, per la scherma, per il basket, per il ping-pong. Rappresenti tutto lo sport italiano. Qui non siamo ciclisti, siamo atleti olimpici. E’ una grande responsabilità e una cosa molto bella. Dobbiamo esserne orgogliosi. 

Hai mai sognato la medaglia olimpica?

E’ una cosa difficile anche da sognare. E’ una cosa troppo grande. Come dicevo prima, non cambio il mio approccio alla gara. Quando smetterò magari mi renderò conto e saprò capire cosa ho combinato. Ora non ti fermi mai, già so che dopo questa gara avrò altri obiettivi e a fine carriera metterò tutto a fuoco. Di sicuro, però, se dovessi raccogliere una medaglia olimpica, saprei subito di aver fatto qualcosa di indimenticabile non solo per me, ma per tutto lo sport italiano. Perché l’Olimpiade è un’altra cosa. E forse questa può essere la nostra forza.

Bettini, un salto a Parigi. Ipotesi inquietanti e pronostico impossibile

31.07.2024
6 min
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Paolo Bettini da oggi è a Parigi come testimonial del made in Italy, in quanto ambassador di Manifattura Valcismon. Una toccata e fuga, poiché già domani sera sarà a casa. Pur essendo campione olimpico ed essendo stato tecnico della nazionale, non gli è toccato in sorte un accredito e così seguirà la gara di sabato in televisione. Ma che gara sarà quella olimpica, lunga 272 chilometri e con 89 corridori al via? Si può stravolgere il ciclismo per contenere il numero dei posti nel Villaggio Olimpico? C’è tutta una serie di domande che ci assillano durante questi Giochi dalle quote rimaneggiate, ma perché non sembrino le paranoie di chi scrive, abbiamo provato a sentire l’opinione di chi ne ha corse tre e una l’ha vinta. Paolo Bettini, appunto, cinquant’anni compiuti ad aprile: nono a Sydney, primo ad Atene, diciottesimo a Pechino.

Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Che effetto fa una gara di 272 chilometri con 90 corridori? Non è un po’ falsato il concetto di gara di ciclismo?

In effetti, mi sembra più una randonnée. Io ci sto per il chilometraggio lungo. Ad Atene 2004, il 14 di agosto con 42 gradi, mi ero quasi lamentato che fosse solo di 224 chilometri, abituato da buon cacciatore di classiche a vincere a su distanze di 250-260. Dissi che almeno avrebbero potuto farla di 240. Poi però scoprii una cosa che in realtà avevo già capito da giovane a Sydney, cioè che tenerla è un casino. Si correva in 5 per Nazione. Adesso cosa hanno fatto? La brillante idea è di ridurla addirittura a 4 come numero massimo di atleti per le Nazioni più rappresentative, per poi scendere a 3 come con l’Italia, poi 2 e poi gli isolati che correranno da soli. Se l’idea era di ridurre il numero per aprire a più Nazioni, perlomeno 130 corridori da portare alla partenza li avrei trovati. Partire in 90 per fare quel tipo di chilometraggio? Si salvi chi può…

Continua.

E’ un casino fare la riunione tecnica di come andrà la gara. E’ veramente una gara alla si salvi chi può. Se dopo 50 chilometri rimani con 30 corridori davanti e 60 dietro, che corsa viene fuori? Considerate che di 90, un bel mucchio di corridori va in crisi dopo 140 chilometri. Se la fai un po’ “garellosa”, dopo 140 chilometri rimani con 60 corridori. Ma se per disgrazia esce un po’ di sole, di quello parigino estivo vero, e corrono a 32 gradi, sarà una gara che possono finire 18 corridori. Poi è vero che a loro basta il podio per fare le medaglie, però come avete detto prima, si snatura il concetto di grande classica. Non è più un palcoscenico internazionale con la sfida tra grandi atleti. Va bene che qualcuno non è venuto, tipo Pogacar, ma quanti professionisti europei, americani, australiani non sono stati convocati perché le nazionali sono ridotte alla metà di quelle dei mondiali?

Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Ce ne sono fuori almeno altri 90 se non di più.

Okay, allora anziché ridurre a 4, perché non fare un numero massimo di 6 per squadra? E qui si capisce perché sono scesi a 4 senza aumentare il numero delle Nazioni. Perché così facendo, risparmiano posti nel Villaggio Olimpico. Lo scopo è questo. Meno gente da accreditare, meno gente da far girare, meno di tutto. Apertura però ad altre discipline. Pertanto se nel complesso al Villaggio Olimpico deve gravitare in due settimane un certo numero di persone, quello deve essere. E se uno sport ne porta troppe, io lo riduco.

Uno dei motivi per cui tolsero la 100 chilometri a squadre, inserendo la crono individuale…

Quello che mi dispiace è che non vorrei che in un futuro non troppo lontano, pensassero proprio di eliminare la prova su strada. Se continuano a ridurla così, mi sembra che non gli interessi nemmeno troppo. Il ciclismo viene bistrattato, basta guardare come hanno fatto il calendario olimpico. Se mi proponi una gara da 272 chilometri con 90 corridori, non è più una grande classica. E’ una gara olimpica, tutto il rispetto per chi vince ed entra a pieno titolo nell’Olimpo, però il discorso non mi torna.

Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Diciamo che tolta la maratona, il ciclismo è il solo sport che costringe a chiudere le strade. In fondo nel velodromo i corridori non danno fastidio a nessuno.

Esatto, esatto. Ma speriamo di no…

Tu che correvi un po’ alla Van der Poel, come avresti gestito una corsa del genere?

Con 225 chilometri prima di arrivare nel circuito, io spacco tutto prima di entrare a Parigi. Quando arrivo in città, voglio che siamo il meno possibile e poi con gli altri me la gioco nel circuito. E io sto fermo 225 chilometri, secondo voi? Questi sono ragazzi che non hanno paura di prendere vento. Evenepoel è abituato a partire lontano all’arrivo e farsela per conto suo. Van der Poel è uno abituato al ciclocross, dove si fa un’ora fuori soglia come pochi, figuratevi se ha paura a stare fuori 100 chilometri, cercando poi di vincere in volata. Sono fatti così. Quando entri in circuito, rischi veramente. Per questo io approfitterei della campagna francese che proprio pianura non è. Se poi, niente niente, tira un filo di vento… aiuto! Dopo 100 chilometri c’è uno sparpaglìo galattico. Altrimenti devi fare una gara come quella femminile, dove le più forti sanno che gli bastano gli ultimi 30 chilometri. Così vanno via col gruppetto delle migliori sempre appallato e poi negli ultimi 60 chilometri aprono il gas e fanno la corsa. Ma i professionisti non fanno così.

E poi c’è anche chi non ha interesse a fare la corsa di certi fenomeni.

Anche perché l’Italia, che sulla carta non ha grandi chance, magari sgancia prima Bettiol. E se non faccio muovere prima lui, allora faccio attaccare Viviani. Sennò che cosa è venuto a fare Elia? Gli faccio accendere la corsa, perché non credo che abbia la la gamba per chiudere un buco di 30 secondi su Evenepoel, se la corsa la accendono loro. Viviani è meglio trovarlo davanti, in un gruppetto di 7-8. Perché se arrivano Evenepoel e Van der Poel, magari anche con Bettiol, forse Elia là davanti mi serve a qualcosa. Sennò cosa fa?

Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Stare coperti forse non serve a molto…

Stai nascosto, ma non credo che si corra per arrivare tutti insieme. Le Nazioni cui interessa arrivare in fondo sono l’Olanda, il Belgio… La Spagna come corre? E la Francia? Alaphilippe se la gioca, ma deve anticipare. Lui e Bettiol dovrebbero fare coppia fissa, perché in questo momento storico sono simili per quello che vogliono e possono fare. La Spagna invece si butta e magari porta via Olanda e Belgio. Per questo dico che dopo 80 chilometri restano in 30 corridori.

Ti sarebbe piaciuto correre una gara così?

Eh, quella sarebbe la mia corsa (sorride, ndr). Quando c’era disordine, lo sapete, quando c’era disordine c’era Bettini! Anzi, quasi sempre la creavo. Mi ricordo nel 2008, pur di far gara dura, si fece partire Nibali su un ponte dell’autostrada tra Pechino e la Grande Muraglia (in apertura la partenza di quella gara, ndr). Però eravamo in cinque. Dietro c’eravamo io, il povero “Rebella”, Pellizotti e Bruseghin. Non andò male, perciò vediamo cosa faranno sabato che corrono in tre. Me la guardo per bene in televisione, così posso anche allenarmi. Il mio viaggio in Grecia per festeggiare i 50 anni e i 20 dall’oro olimpico, zitto zitto, arriva.

Galli, un altro oro europeo U23 per entrare nel quartetto dei grandi

30.07.2024
5 min
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Giusto il tempo di godersi un bis continentale e poi subito sotto col lavoro per preparare il prossimo obiettivo internazionale. Niccolò Galli è uno dei vagoni del trenino azzurro che ad inizio luglio ha conquistato l’oro nell’inseguimento a squadre agli europei in pista U23 di Cottbus e la prossima fermata sarà nel velodromo di Ballerup in Danimarca.

Dopo l’argento dell’anno scorso, il ragazzone della Arvedi Cycling ed il quartetto si sono ripresi il titolo europeo di categoria battendo nuovamente in finale il Belgio – come due estati fa ad Anadia – andandolo a riprendere tra il secondo ed il terzo chilometro. Questa medaglia per Galli è la conferma di un percorso e di scelte mirate per puntare più in alto. Ormai è pronto per il ricambio generazionale o per essere una valida alternativa per il cittì Marco Villa. Tra un allenamento e l’altro, abbiamo sentito il ventiduenne di Pieve di Cento per capire come sta procedendo questa fase della sua carriera.

Giaimi, Favero, Quaranta, Galli e Moro hanno conquistato l’oro nell’inseguimento a squadre battendo il Belgio come nel 2022
Giaimi, Favero, Quaranta, Galli e Moro hanno conquistato l’oro nell’inseguimento a squadre battendo il Belgio come nel 2022
Niccolò dove ti troviamo in questo periodo?

Sono a Livigno con Boscaro e Quaranta. Siamo arrivati il 22 luglio e staremo su fino al 6 agosto. Ci stiamo allenando tra sedute in palestra all’Aquagranda e uscite in bici. Nei primi giorni abbiamo fatto un po’ di scarico dopo la Seigiorni di Pordenone (dal 15 al 20 luglio, ndr), mentre stiamo iniziando a fare un po’ di ore di volume su strada. Adesso tutto il team performance della nazionale è concentrato sulle Olimpiadi e fra poco andrà a Parigi, ma siamo sempre in stretto contatto con loro per seguire i programmi di lavoro. Devo dire che in questi giorni mi sento bene.

Palestra e bici. Galli in questi giorni è a Livigno per preparare i mondiali in pista di ottobre a Copenaghen
Palestra e bici. Galli in questi giorni è a Livigno per preparare i mondiali in pista di ottobre a Copenaghen
Una buona condizione mostrata all’europeo. Che differenze hai notato rispetto all’oro del 2022?

Due anni fa è stata una vittoria speciale perché forse non pensavamo di poter arrivare al titolo. Stavolta invece eravamo più consapevoli della nostra forza. Di quel quartetto c’eravamo Manlio Moro ed io e ci sentivamo responsabilizzati per trascinare gli altri ragazzi. Abbiamo vinto con Giaimi e Favero, che sono dei primi anni che vanno forte. Entrambi si sono inseriti alla grande e in fretta. Anche lo stesso Samuel (Quaranta, ndr) ha dimostrato di essere in forma e di poter fare bene nel quartetto. Questo oro è decisamente un buonissimo risultato per noi e per tutto il movimento, ma non dobbiamo e non possiamo fermarci qua.

In Germania eri impegnato anche in altre specialità. Come sono andate?

Ho disputato l’omnium, dove ho chiuso al decimo posto dopo aver chiuso secondo nello scratch. C’è del rammarico invece per la madison. Ero in coppia con Sierra, ma purtroppo è caduto a metà corsa e non è potuto rientrare in pista. Peccato perché fino a quel momento eravamo secondi e stavamo andando molto bene.

In questa stagione Galli su strada ha deciso di concentrarsi sulle cronometro. Qualche buon piazzamento è arrivato (foto Sara’s photo)
In questa stagione Galli su strada ha deciso di concentrarsi sulle cronometro. Qualche buon piazzamento è arrivato (foto Sara’s photo)
L’esperienza al Giro NextGen invece non è andata come ti aspettavi?

Purtroppo no. Il NextGen faceva parte del mio programma di avvicinamento all’europeo, ma sfortunatamente alla terza tappa sono stato male e ho dovuto abbandonare la corsa. Tuttavia la settimana successiva mi sono ripreso abbastanza bene e questo ritiro non ha inciso sulla condizione e sulla preparazione per Cottbus.

Come sta andando l’alternanza pista e strada?

Per ora va bene, anche se sto prediligendo la pista dove sto ottenendo i risultati migliori. Oltre al solito calendario U23, su strada quest’anno mi sono concentrato sulle cronometro. Qualche buon piazzamento l’ho portato a casa, però sto continuando a lavorarci.

Anche nel 2025 Niccolò Galli resterà nella Arvedi Cycling, che gli permette di conciliare bene la doppia attività pista-strada
Anche nel 2025 Niccolò Galli resterà nella Arvedi Cycling, che gli permette di conciliare bene la doppia attività pista-strada
Sei all’ultimo anno da U23. Sai già cosa farai la prossima stagione?

Certo, nel 2025 sarò ancora con la Arvedi. Per me è la formazione ideale perché mi dà la possibilità di fare la doppia attività senza alcun problema, visto che c’è una buona collaborazione con la nazionale. L’idea al momento è quella di fare come Lamon, che per me è un ottimo esempio da seguire.

Niccolò Galli ha già fissato i prossimi obiettivi?

Direi proprio di sì. Ce n’è più di uno, sia a breve che a lungo termine. Ci sono i mondiali di Copenaghen ad ottobre (dal 16 al 20, ndr) per i quali sto già lavorando adesso con i compagni. Poi è chiaro che mi piacerebbe partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles 2028. Prima di allora c’è tanta strada da fare e dimostrare di poter restare nel gruppo per guadagnarmi il posto. Ecco, alla base di tutto il primo vero obiettivo è quello di poter diventare uno dei vagoni del quartetto dei grandi, senza tralasciare la madison o la stessa corsa a punti, che è una specialità che mi piace molto. Insomma, sto lavorando per tutto questo.

Galli (il primo in foto) tra i tanti obiettivi ha quello di entrare nel quartetto dei “grandi”
Galli (il primo in foto) tra i tanti obiettivi ha quello di entrare nel quartetto dei “grandi”
Tu che conosci bene il gruppo azzurro, ti senti di fare un pronostico per il quartetto a Parigi?

Tutti i ragazzi che sono in Francia sono amici ed io come gli altri saremo i primissimi loro tifosi attaccati alla televisione per sospingerli da casa. Non sono scaramantico, ma non mi sento di fare previsioni perché ormai si gioca tutto sul filo dei millesimi di secondo e differenze veramente minime. So che la preparazione del nostro quartetto è stata molto buona e la vera forza è proprio l’unione del gruppo. I rivali più diretti saranno Gran Bretagna e Danimarca, senza sottovalutare Nuova Zelanda e Australia. Naturalmente spero che possano riconfermarsi campioni olimpici. Di sicuro so che i ragazzi scenderanno dalla bici senza rimpianti avendo dato il massimo.

EDITORIALE / L’attacco alle Olimpiadi e il futuro dello sport

29.07.2024
5 min
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Dovrebbe fermarsi tutto, in realtà non si ferma niente. Mentre a Parigi si svolgono le Olimpiadi, il resto dello sport continua con le sue date. La Formula Uno ha girato a Spa, il tennis ha giocato a Kitzbuhel e lo stesso ciclismo ha corso fra il Czech Tour e il Portogallo. Una volta per le Olimpiadi si prevedeva la tregua bellica, ma se adesso non si ferma neppure lo sport, come si fa a riconoscere loro la nobiltà che ne ha sempre fatto una storia a parte?

Lo sport sta cambiando irrimediabilmente pelle e finalità. Gli atleti nel mezzo sono la sua parte migliore eppure a volte sembrano il pretesto per costruire spettacoli ed eventi nel nome del guadagno. Frequentando i ciclisti, sappiamo quando il sogno olimpico sia presente nei loro discorsi. La loro rincorsa meriterebbe che tutti gli altri si fermassero per guardare. Invece nelle stesse ore in cui Evenepoel, Ganna e Van Aert si contendevano le medaglie della crono, al Czech Tour si svolgeva la tappa vinta da Gloag su Hirschi e Ulissi. Come si può pretendere la massima attenzione sull’evento che si svolge ogni quattro anni (in apertura foto Paris 2024), se non lo si tutela almeno sul piano dei calendari? In proporzione c’è più riguardo per il Tour de France.

La cerimonia di apertura

La conferma di quanto stiamo dicendo si è avuta con la cerimonia inaugurale. Faccio una premessa: non sono a Parigi, quindi non sono in grado di valutare l’impatto che l’evento abbia avuto sul pubblico. Tuttavia la sensazione più netta che ne abbiamo tratto è che nel nome delle coreografie e dei messaggi che si sono voluti dare si siano fatti sparire gli atleti. Le Olimpiadi sono diventate la cassa di risonanza per temi sacrosanti, ma che nulla hanno a che vedere con l’inaugurazione del massimo evento sportivo. Forse qualcuno avrebbe potuto spiegarlo a Thomas Jolly, direttore artistico dell’evento.

La cerimonia inaugurale nello stadio è fatta di inquadrature su volti giovani ed emozionati, foto di gruppo, selfie e stupore. Chi ha potuto guardare in faccia i marinaretti a bordo dei battelli nella Senna? E poi c’è lo show, che non deve mancare, ma ha come tema le Olimpiadi. La prima volta, vidi la cerimonia inaugurale di Atlanta, l’Olimpiade del centenario. Le coreografie illustrarono quel numero 100 facendolo diventare il simbolo di una storia infinita, mentre gli atleti nel prato furono protagonisti di un momento da brividi. Stessi brividi e anche superiori, quando Muhammad Ali ricevette la fiaccola per accendere il braciere olimpico. Ero seduto accanto a Rino Tommasi, cronista del grande pugilato (e anche del tennis), che si mise a piangere. Il passaggio di testimone di Parigi è stato lento, sfoggio di grandi nomi, da Zidane in poi, senza la capacità di essere essenziali e colpire nel segno.

L’apertura di Atlanta 1996 mise insieme sport, arte ed emozioni
L’apertura di Atlanta 1996 mise insieme sport, arte ed emozioni

L’attacco a Olimpia

Dovrebbe fermarsi tutto, in realtà non si ferma niente. Probabilmente sarebbe irragionevole chiedere il cessate il fuoco per guerre che prendono di mira bambini e ospedali: se non hai cuore per evitare certi accanimenti, perché dovresti fermarti per un evento sportivo?

Ci sono gli israeliani e non ci sono i russi, quantomeno non con la loro bandiera. Ci sono quelli contro Macron. C’è la grande voglia di celebrare una grandezza che zoppica anche a causa dei sabotaggi. E anche in questo caso le Olimpiadi rischiano di trasformarsi nel pretesto per rivendicazioni che nulla c’entrano con lo sport. Lo sono sempre state, in realtà, però mai come questa volta si ha la sensazione che la grande struttura a cinque cerchi sia sottoposta all’erosione da parte di forze che inesorabilmente la stanno sgretolando.

E se le scelte artistiche dell’apertura possono essere una scivolata, sul piano sportivo si è intervenuti in modo inquietante per contenere il numero degli atleti. Sono state escluse specialità di grande tradizione per inserire attività fisiche che poco hanno da spartire con lo sport. Si è deciso di far correre solo 89 ciclisti professionisti sulla distanza di 272 chilometri: dov’è il rispetto per i valori tecnici dello sport? Sarà certamente una corsa bellissima, questi ragazzi non si tirano indietro, ma potrebbe anche essere la corsa di 5-6 attaccanti nel vuoto cosmico alle loro spalle. Senza la possibilità di inseguimento. Senza i numeri per organizzare tattiche. Il CIO ha chiesto, l’UCI ha recepito perché forse il suo presidente ha mire olimpiche e ha preferito farsela andare bene.

Ganna con Malagò e il Presidente Mattarella, rimasto sotto la pioggia per tutto il tempo
Ganna con Malagò e il Presidente Mattarella, rimasto sotto la pioggia per tutto il tempo

In casa nostra

Per fortuna sono iniziate le gare e magari a tutto questo si potrà non pensare. Saranno due settimane bellissime. Saremo tifosi azzurri in discipline di cui poi smetteremo persino di sentir parlare. Sono le Olimpiadi, viaggio splendido fra storie struggenti. Ganna ha cominciato col piede giusto, siamo certi che altre soddisfazioni verranno. E poi anche per il ciclismo italiano sarà il tempo per guardarsi in faccia e dirsi se tutto va davvero bene.

La gestione federale ha puntato forte sulla preparazione olimpica, ma la sensazione è che le spese siano stato molto ingenti mentre le ricadute sul territorio non all’altezza. E se anche i risultati olimpici verranno usati per lanciare una nuova campagna elettorale, non dimentichiamo che la situazione qui da noi è davvero difficile. E non sarà il bagliore dell’oro a risolvere i problemi.

Caro Gualdi, ci racconti come si vincono le Olimpiadi in tre?

29.05.2024
5 min
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L’ultima volta che l’Italia vinse le Olimpiadi correndo con tre atleti, come accadrà a Parigi il 3 agosto prossimo, era il 1992. Un altro ciclismo, tanto che la corsa a cinque cerchi era campo di battaglia dei dilettanti. Gli azzurri, in corsa a Barcellona con Rebellin, Casartelli e Gualdi conquistarono l’oro con Casartelli (foto di apertura). Una gara di 194 chilometri disputata in tre e per questo dall’andamento particolare. Insieme a Mirko Gualdi ragioniamo di tattiche e di come si possa affrontare una corsa di quel calibro con soli tre atleti a disposizione. 

«Giosuè Zenoni, il cittì di quella nazionale – racconta Gualdi – aveva un acume tattico incredibile. I giorni prima degli appuntamenti importanti parlava con ognuno di noi e disponeva una tattica singola. Poi ragionava e metteva insieme tutto, creando una tattica di squadra. Ad esempio in un mondiale, lungo 14 giri, avevamo deciso che Caruso e io ci saremmo mossi nei giri pari per entrare in qualche fuga. Lo stesso avrebbero fatto Manzoni e Nicoletti nei giri dispari. Tarocco, invece, sarebbe entrato in azione nel finale e Baldato sarebbe stato coperto per aspettare la volata».

Però si correva in più di tre, l’Olimpiade com’è stata gestita?

La tattica è diventata di essere presenti nelle fughe, quelle con più di quattro corridori. C’erano Nazioni da “marcare” come Francia, Germania, Spagna e Belgio. Se un atleta di queste squadre fosse entrato nella fuga anche noi ci saremmo dovuti muovere. 

Anticipare insomma.

Pensare di organizzare un inseguimento in tre è impensabile. A Barcellona ci fu un primo attacco che andò via, poi un secondo nel quale entrai io. In un momento successivo rientrò un altro gruppo nel quale era presente Casartelli, che poi vinse. Io parlai con Zenoni prima della corsa e gli dissi che avrei preferito anticipare, perché ero convinto che si spendesse meno davanti piuttosto che dietro. 

Anche perché diventa una corsa a sfinimento…

Zenoni ebbe una bella idea. Le ultime gare di selezione prima delle Olimpiadi ci chiese di correre senza il supporto della squadra. Io andai a delle gare con la maglia della Zalf e tre compagni giovani che però non erano in grado di darmi un supporto in corsa. Zenoni voleva capire il nostro acume tattico e la capacità di battagliare da soli. Infatti dalla spedizione a cinque cerchi furono esclusi corridori più forti di me, ma che avevano corso con l’appoggio della squadra. 

Viviani, quasi certamente sarà uno dei tre stradisti di Parigi, sarà l’arma da giocare in volata o sarà di supporto?
Viviani, quasi certamente sarà uno dei tre stradisti di Parigi, sarà l’arma da giocare in volata o sarà di supporto?
Servono corridori intelligenti tatticamente.

Sì e anche bravi nel correre davanti, non di rincorsa, gente che sa stare in testa al gruppo. Provare a fare azioni di rientro, in tre, è impossibile, ci si brucia un compagno subito. 

Per questo dicevi che correre davanti diventa meno dispendioso?

Anticipare, soprattutto in un percorso come quello di Parigi con uno strappo abbastanza duro nel circuito, permette di fare una gara regolare. Mentre chi resta dietro vive di fiammate oppure si trova ad andare a ritmi folli fin dai primi passaggi. Non so l’Italia chi potrà portare, io Ganna lo avrei visto bene. 

Lui e Milan sono esclusi di partenza, visto che saranno impegnati con il quartetto pochi giorni dopo la corsa su strada.

Gli incastri saranno difficili, come sempre. Ganna diventa una perdita importante, mentre Milan non mi sembra il corridore adatto a queste corse. E’ forte, ma vincolante, deve avere una squadra che gli dà supporto, in tre non può accadere una cosa del genere. A lui preferirei Mozzato

Perché?

Intanto al Fiandre ha dimostrato di saper andare forte. E’ un regolarista, vero, ma che sa stare sempre davanti e spendere il giusto. Diventa il corridore che può seguire diversi contrattacchi o comunque restare con i migliori. Ma l’uomo certo per me è Bettiol, ha passo, regge in salita e sa muoversi anche da lontano. Le convocazioni sarebbero anche “facili” perché insieme a questi due si potrebbe portare Trentin, un altro che sa attaccare da lontano e non ha paura a farlo. 

Però sembra ormai certa la presenza di Viviani, e questo abbassa a due i posti liberi.

Partiamo dal presupposto che la tattica di gara diventa quella di anticipare. Bettiol è imprescindibile. Viviani invece può giocare due ruoli: quello di tappabuchi oppure di attendista e aspettare l’eventuale volata. Ci sarebbe da decidere se portare Mozzato o Trentin, forse meglio il secondo. 

C’è da considerare anche che Trentin non farà il Tour, Mozzato probabilmente sì.

Come ha detto Mozzato nella vostra intervista, il Tour può dare una gamba importante. Trentin non facendolo rischia di essere un passo indietro, ma lui ha le qualità per prepararsi bene. Poi è uno che sa liberarsi dalla mentalità attendista degli stradisti. Corridori che arrivano dal cross come Van Der Poel e Van Aert non hanno paura nell’uscire allo scoperto. Servirà una grande intelligenza tattica, cosa che non tutti i corridori possiedono.