La differenza è nei dettagli, soprattutto quando ci si gioca tutto sul filo di pochi decimi: Miche e la nazionale di pista lo sanno bene. Dopo i successi maturati sul parquet in questi ultimi anni, nasce la nuova serie Pistard Oro. Frutto di continui test per garantire agli atleti azzurri sempre le migliori performance e risultati, necessari per competere ad alti livelli.
«La collaborazione con la Federazione – spiega Paolo Bisceglia, responsabile marketing Miche – dura da cinque anni. Si tratta di un grande onore per noi, azienda italiana, essere accanto alla nazionale pista del nostro Paese. E’ un lavoro gratificante ma di grande impegno, che ci spinge a migliorare ogni volta».
Durante una rassegna come gli europei, i rapporti vengono cambiati in continuazione per le varie proveNelle fasi di partenza su guarnitura, pignoni e catena vengono scaricati fino a 2.000 wattLa collaborazione tra Miche e la Federazione dura da ormai cinque anniDurante una rassegna come gli europei, i rapporti vengono cambiati in continuazione per le varie proveNelle fasi di partenza su guarnitura, pignoni e catena vengono scaricati fino a 2.000 wattLa collaborazione tra Miche e la Federazione dura da ormai cinque anni
Ingranaggi al CNC
Gli ingranaggi sono ottenuti dalla lavorazione a CNC della lega Ergal 7075-T6, che vengono poi trattati con finitura sandblasted, così da aumentare la rigidità del materiale. Si tratta di una lavorazione fondamentale perché, gli atleti, nei brevi ed intensi sforzi su pista, imprimono una grande forza sulle parti meccaniche. Con questo trattamento ogni singolo watt viene trasmesso a terra.
«Questi ingranaggi della serie Pistard Oro – continua Bisceglia – sono disponibili in dentature da 64, 65, 66, 67 e 68 denti. Tra poco ne faremo anche due in più: da 69 e 70 denti. Tempo fa era impensabile ampliare così tanto la dentatura. L’ampia scelta è dovuta alla grande quantità di discipline e alle esigenze, diverse, che derivano da quest’ultime. La grande marcia in più a livello di sviluppo è arrivata dopo i grandi successi di Tokyo 2020 e dai campionati del mondo di Roubaix 2021. A questi si aggiungono le medaglie dei recenti europei. Infatti, la finitura in anodizzazione nera e la caratteristica marcatura dorata rende gli ingranaggi Pistard Oro pezzi unici, celebrativi dei risultati ottenuti dalla Nazionale Italiana».
Le rifiniture dorate vogliono celebrare i numerosi successi della nazionale pistaLe rifiniture dorate vogliono celebrare i numerosi successi della nazionale pista
Pignoni: si parte dal 13
Nella gamma Pistard Oro sono presenti anche i pignoni, sui quali si è voluto lavorare sulla riduzione degli attriti, per massimizzare la fluidità e la scorrevolezza dei componenti. In questo caso, per la loro realizzazione, viene usato l’acciaio ad alte resistenza e durezza. La lavorazione CNC elimina tutte le rugosità, in modo che la catena non soffra nemmeno la più piccola resistenza nelle fasi di innesto e disinnesto.
«Nelle fasi successive – spiega Bisceglia – ogni pignone viene trattato con WC/C, questo processo riduce del 75% gli attriti meccanici, e senza l’utilizzo di alcun tipo di olio. In pista si lavora in assenza di lubrificazione, tale trattamento migliora efficacia e scorrevolezza, contribuendo anche ad esaltare le caratteristiche di durezza del materiale. Si raggiunge così la massima sopportazione degli elevati carichi meccanici a cui i singoli denti sono sottoposti in fase di spinta da parte del pistard. Pensate che nella fase di accelerazione si parla di picchi di potenza maggiori ai 2000 watt.
«Naturalmente – continua – lo sviluppo di pignoni e ingranaggi va di pari passo. Con l’aggiunta di maggiori dentature degli ingranaggi si passa a misure diverse per il pignone. Spariscono le dentature da 12 e 11 a favore di quelle da 13, questo perché un pignone più grande offre maggiore appoggio alla catena in fase di presa».
I pignoni posteriori vanno dal 13 al 18, più denti vuol dire maggiore rotondità di pedalata e più appoggio per la catenaI pignoni posteriori vanno dal 13 al 18, più denti vuol dire maggiore rotondità di pedalata
Studi e test
«Tutta la componentistica – conclude Bisceglia – è studiata da noi di Miche nei vari laboratori prima di passare in pista. Una volta in mano agli atleti ed i tecnici della nazionale, inizia la fase dei test. Loro infatti provano il tutto e forniscono dei feedback. Paradossalmente, in pista non è tanto la leggerezza che fa la differenza, ma l’efficienza. La catena, per esempio, è diversa da quella usata in strada. Non avendo la necessità di cambiare rapporto si ha una maglia più rigida e di conseguenza più pesante di 50-70 grammi».
Le emozioni che ci ha regalato il quartetto dell’inseguimento sono ancora forti. Forse per chi come noi ama il ciclismo questa è stata la medaglia più bella ed intensa di tutta l’Olimpiade di Tokyo. Ma l’emozione è ancora intensa anche nei suoi quattro protagonisti tra cui Jonathan Milan. E il titolo della canzone di Battisti è perfetto per questo articolo.
In Sardegna, la rifinitura prima di volare a Tokyo. Milan (maglia rossa) ha colto un secondo postoIn Sardegna, la rifinitura prima di volare a Tokyo. Milan (maglia rossa) ha colto un secondo posto
Pressione in crescita
«Se la mettiamo sulle emozioni, allora partirei da ancora prima di Tokyo – dice un Milan con un tono mai così squillante – abbiamo fatto molti ritiri, tantissime giornate lontani da casa, un lavoro immenso. Io ho sentito un po’ la pressione dalla Settimana Internazionale Italiana, perché da quel momento l’Olimpiade si è fatta davvero vicina. E ogni cosa che facevamo era per affinare la gamba e cercare la prestazione. Ogni allenamento pertanto richiedeva un grande sforzo mentale oltre che fisico. Dovevamo essere concentratissimi: sui cambi, sulla posizione, dovevamo vedere cosa faceva l’altro… E devo dire un grazie ai ragazzi che mi hanno aiutato tanto».
La festa e l’abbraccio della spedizione azzurra al Velodromo di Izu. Per Milan il supporto dei ragazzi è stato fondamentaleL’abbraccio della spedizione azzurra al Velodromo di Izu. Per Milan il supporto dei ragazzi è stato fondamentale
Il supporto dei compagni
In effetti i giorni prima di partire per l’Asia sono stati molto delicati. In particolare si è fatto un allenamento di simulazione per il quale Marco Villa ha chiesto la massima concentrazione da parte tutti: una prova generale (che sembra sia andata molto bene con un tempo ai limiti del record del mondo, ndr). Era un po’ il momento della verità.
«Sono il più giovane di questo gruppo e i ragazzi mi hanno aiutato dentro e fuori la pista. Come gestirmi con i media, come comportarmi in gara, come comportarmi prima della gara per tenere sotto controllo l’ansia. Io tendo ad isolarmi molto per concentrarmi. Gli eventi li sento eccome. Mi è successo ai mondiali l’anno scorso, magari non si vedeva ma ero abbastanza stressato. Per questo dico che il loro supporto è stato fondamentale».
Il supporto non gliel’hanno dato solo i suoi tre compagni in pista, ma tutto lo staff e anche Liam Bertazzo con il quale Milan condivideva la camera.
«Con Liam ho parlato molto al di fuori della bici, mi vedeva che magari ero agitato. Per esempio nell’ultima prova fatta a Montichiari in pista ero molto teso. Pippo ma anche Lamon mi hanno detto di stare tranquillo, che la pressione c’era ma che non dovevamo dimostrare nulla a nessuno. Quella prova mi ha fatto bene, siamo andati forte e da lì ho iniziato davvero a credere in me».
Ganna nel finale ha fatto la differenza e le sue trenate si sono fatte sentireGanna nel finale ha fatto la differenza e le sue trenate si sono fatte sentire
Tokyo come Montichiari
Milan racconta poi anche della gara, dei giorni in velodromo a Tokyo.
«È stato un po’ strano laggiù. Io ho corso poche gare con il pubblico e l’aspetto di questo stadio mezzo vuoto mi faceva sembrare di essere a Montichiari e per certi aspetti l’ho sentita un po’ meno. Ero sempre concentrato, pensavo solo a fare il mio, a dare tutto in quei tre minuti e 40 secondi e qualcosina di più e non è facile.
«Ci credete che ero più agitato nelle qualifiche che in semifinale e finale? Non so perché! Ho tutta una mia procedura prima delle gare. Mi piace arrivare molto prima. Se gli altri arrivano un’ora e mezza in anticipo io devo arrivare due ore e mezza. Devo ambientarmi. Non mi piace fare le cose di fretta. Se magari c’è un intoppo devo sapere di poterlo risolvere con tranquillità. Perché una scintilla di ansia mi diventa un rogo».
Marco Villa e le sue indicazioni a bordo pista. Emozioni forti anche per il cittìMarco Villa e le sue indicazioni a bordo pista. Emozioni forti anche per il cittì
Quella trenata di Ganna
«In gara poi – riprende Milan – ero super concentrato, ma con la coda dell’occhio all’uscita delle curve guardavo i neozelandesi in semifinale e i danesi in finale. Li ho visti due o tre volte, non di più, perché dopo il secondo cambio… ciao! Sei troppo a tutta.
«Mi ripetevo pedala, stai giù, non strappare e guardavamo i segnali di Marco (Villa, ndr). Se c’era il pollice in su, stavamo andando bene. Se invece ci chiamava con le mani significava che eravamo in svantaggio. E quando vedi che ai tre giri tu sei a tutta, che Ganna continua ad aumentare e che Villa continua chiamarti diventa… “duretta”! E vi assicuro che la trenata di Pippo si è sentita, ma chiaramente in quel momento non gli dici mica di rallentare».
Gara finita, Milan (tutto a destra) è rimasto in posizione ancora una tornata. Poco dopo lo sguardo con Consonni (al centro)Gara finita, Milan (a destra) è rimasto in posizione ancora una tornata, poco dopo lo sguardo con Consonni
Lo sparo e l’urlo di Consonni
Milan ci riporta praticamente in bici con lui. Anche a noi in questo momento salgono i battiti e le gambe diventano dure. Ma anche noi esplodiamo di gioia alla fine.
«Quando ho capito che avevamo vinto le Olimpiadi? Ho questo flash. Ricordo che ho sentito il nostro sparo e subito dopo il loro. Ma non sapevo ancora nulla. Non so perché, ma ho fatto un altro giro in posizione. Ho alzato lo sguardo, ho visto sul tabellone la bandierina dell’Italia, ho incrociato lo sguardo di Consonni affianco a me e l’ho visto gridare. A quel punto ho capito ed è stata un’esplosione di emozioni assurda, allucinante, indescrivibili tutti i pensieri che mi sono venuti in testa».
«Sul podio poi, quando ci hanno dato la medaglia e l’ho presa in mano ho detto: “ostia”, quanto pesa! E’ sui 500 grammi, come un pacco di pasta!».
Il fans club di Milan banchetta all’aeroporto di Venezia dove è atterrato al ritorno (foto Studio Nord)
La festa di Buja con il grande palco mobile (foto Udine Today)
Il fans club di Milan banchetta all’aeroporto di Venezia dove è atterrato al ritorno (foto Studio Nord)
La festa di Buja con il grande palco mobile (foto Udine Today)
Il ritorno dell’eroe
Finita la gara chiaramente è esplosa la festa già in pista, con gli altri ragazzi e tutto lo staff.
«Poi in aeroporto ho trovato ad accogliermi i miei parenti e al di fuori c’era un autobus con il mio fans club. Saranno state 40 persone, ma quello è stato solo un primo assaggio. La sera dopo infatti in piazza Buja hanno organizzato un evento, ci tengo a dirlo tutto nelle normative anticovid, con tante personalità tra Comune, Provincia, Regione. Avevano preso uno di quei grossi camion che utilizzano anche il Giro per fare il palco. Non so quanta gente ci fosse.
«Una cosa così ti ripaga delle fatiche fatte, delle giornate trascorse lontano da casa. Voglio ringraziare ancora il mio paese. Sono state nuove emozioni. Perché è bello sapere che c’è stato chi ci sosteneva non solo da Buja ma da tutta Italia. Un sacco di gente continua a farmi le congratulazioni».
Milan (21 anni ad ottobre) appena dopo la premiazione: «E’ stata un’esplosione di emozioni assurda».Milan (21 anni ad ottobre) appena dopo la premiazione: «E’ stata un’esplosione di emozioni assurda».
Milan non cambia
Jonathan però non è cambiato dopo questo successo. Si evince dal suo modo sempre gentile di parlare e di raccontare e poi glielo chiediamo apertamente: «Ma resti sempre il “bambinone” da 1,93 centimetri che tanto ci piace?».
«Ah, ah… assolutamente sì! Resto lo stesso e con la stessa fame di vincere».
«Sono cresciuto con loro e con loro abbiamo pianificato bene gli allenamenti in tutti questi anni e nell’ultimo periodo. Credo che questa vittoria sia una grande cosa anche per il CTF. Ho sentito Bressan già a Tokyo. È stato poco prima dell’antidoping, mi ha fatto una videochiamata e l’ho visto che brindava da solo a casa!».
Adesso rivedremo Milan in gara al Benelux Tour (30 agosto – 5 settembre) e in qualcuna delle corse italiane. Poi il suo programma su strada è tutto da vedere in quanto ad ottobre ci sono gli europei e mondiali su pista che lo aspettano. E andarci da campione olimpico è una bella responsabilità.
Se è vero che dal 2012 la spedizione italiana su pista (allora ridotta al solo Elia Viviani impegnato nell’Omnium e finito 6°) è andata espandendosi, continua a latitare nel settore velocità: una grande parte delle gare di Tokyo 2020 ci vedranno semplici spettatori ed è così da molto tempo, praticamente da quando Roberto Chiappaha appeso la bici al chiodo.
Miriam Vece ci ha provato ed è indubbio che in questi 5 anni sia cresciuta a dismisura, fino ad arrivare sul podio mondiale nei 500 metri da fermo. Peccato però che la gara non faccia parte del programma olimpico e che nelle altre prove (velocità e keirin) ci siano ancora dei passi da fare per arrivare nell’elite planetaria. Intanto però la portacolori dell’Esercito continua ad allenarsi e intanto vive la sua attesa olimpica, come ogni altro appassionato sportivo.
Come stai vivendo da spettatrice l’attesa per questi Giochi Olimpici e quant’è il rammarico per non essere potuta entrare nel gruppo delle partecipanti?
Sinceramente la sto vivendo bene, so che mancano pochi giorni ormai e non vedo l’ora di vedere le mie compagne di nazionale e i ragazzi con cui mi alleno correre e far vedere quanto valgano. Certo non posso negare che ho dentro di me un forte disappunto per non esserci anch’io: a volte penso che non accenderò la TV finché le Olimpiadi non saranno finite, altre penso che è andata così e da qui posso solo imparare e migliorare.
Miriam Vece con il bronzo dei 500 metri da fermo agli Europei 2020, dopo quello vinto ai MondialiMiriam Vece con il bronzo dei 500 metri da fermo agli Europei 2020, dopo quello vinto ai Mondiali
Riguardando indietro, pensi che ci fosse davvero la possibilità di qualificarti o sei conscia che il processo di maturazione è più orientato verso Parigi 2024?
Non so onestamente come sarebbe andata se avessi iniziato ad allenarmi solo da velocista e cosi seriamente magari un anno prima. Nella velocità ci vuole tanta esperienza e tattica, cosa in cui sto migliorando di gara in gara, ma purtroppo con i se e i ma non si va da nessuna parte e la qualifica per Tokyo 2020/1 non è arrivata. Ora sicuramente il mio obiettivo più grande sarà Parigi 2024 e posso assicurare che ci sto già lavorando.
Tu sei giovanissima, ma eri bambina quando l’Italia presentò l’ultimo azzurro nella velocità (Roberto Chiappa nel 2008) mentre al femminile non siamo mai stati presenti: secondo te negli ultimi anni sono stati fatti progressi nel settore o siamo ancora molto indietro?
Sicuramente il nostro livello non è paragonabile al livello delle nazionali Top come Olanda, Gran Bretagna e altre, ma sono convinta che pian piano l’Italia si stia facendo rivedere. Penso che le due medaglie di bronzo vinte da me nel 2020 han fatto vedere che l’Italia si sta dando da fare e spero che questo possa rappresentare solo l’inizio. Allenandomi a Montichiari ho visto un gruppetto di 3 junior allenarsi da velociste, spero non mollino e vadano avanti, anche se essere velocista su pista vuol dire mollare completamente la strada e so che ad alcuni diesse la cosa non va molto giù…
Si parla spesso delle differenze fisiche prima ancora che tecniche tra i nostri specialisti e quelli delle nazioni più in voga (Olanda, Australia, Paesi orientali): è davvero tutta questione di muscoli?
La palestra fa una gran parte del lavoro, ma non tutto. Ci sono velociste come Voinova, la Welte e altre ragazze che hanno muscoli, ma non sono enormi eppure vanno fortissimo. Spingere i rapporti lunghi è la base al giorno d’oggi, che si allena sia in pista che in palestra e la tattica/tecnica fa la sua bella parte in gara, puoi essere veloce e forte quanto vuoi ma se non sai correre non vai lontano, parlo anche per esperienza personale: mi è capitato un paio di volte di essere quella col tempo migliore tra le due in batteria e poi ho perso la gara…
La francese Gros e la tedesca Welte, due delle pretendenti al podio nella velocità a TokyoLa francese Gros e la tedesca Welte, due delle pretendenti al podio nella velocità a Tokyo
Tu che le atlete più forti le hai conosciute ed affrontate, chi vedi favorite per il podio olimpico nelle tre specialità (velocità individuale e a squadre e keirin)?
Ci sono tante ragazze che vanno forte ed è da un po’ che non ci sono gare internazionali e non le vedo correre, quindi non saprei. Ma sul podio della sfida per team sicuro metto Germania, Russia e credo Cina. Anche nella velocità e keirin sul podio vedo le tedesche; Sara Lee da Hong Kong penso sia un’altra delle favorite come può esserlo l’inglese Marchant , già medaglia olimpica a Rio. Nel keirin sul podio penso che ci sarà anche la coreana Lee. Poi in gara tutto può succedere, anche le russe, le olandesi e la francese Gros nelle specialità individuali non sono da sottovalutare.
Quanto inciderà l’assenza di eventi da oltre un anno per alcuni Paesi e pochissimi per altri (gli Europei disputati solo nel 2020 e a ranghi ridotti, annullati nel 2021, Mondiali disputati appena prima dello scoppio della pandemia)?
Il non correre per così tanto inciderà: l’adrenalina, l’ansia e la tensione prima di gare così importanti non si può vivere in allenamento, a differenza magari di un 200 metri lanciato che lo si può provare esattamente come si farebbe in gara.
Secondo te anche le condizioni particolari della rassegna olimpica, con gare senza pubblico, influiranno sugli esiti delle prove?
Se fosse una domanda personale per me ti direi sì. Sentire il pubblico urlare, applaudire e incitare mi dà sempre quella carica in più, poi va da persona a persona ma sono convinta che tanti atleti la pensano come me.
Da sinistra Hoogland e Lavreysen, olandesi, secondo e primo ai Mondiali 2020. Una doppietta che si ripeterà?Da sinistra Hoogland e Lavreysen, olandesi, secondo e primo ai Mondiali 2020. Una doppietta che si ripeterà?
In campo maschile, considerando sempre le tre prove del settore, quali saranno i corridori e le scuole che si metteranno maggiormente in luce?
In campo maschile sul podio del TS mi aspetto olandesi e inglesi, sarà sicuramente una bellissima battaglia tra di loro come credo anche nella velocità e nel keirin. Gli olandesi sono campioni del mondo da anni e sicuramente faranno di tutto per vincere l’oro. Nelle specialità individuali penso che diranno la loro anche i giapponesi e australiani, poi penso che anche Nico Paul da Trinidad and Tobago che detiene il record nel mondo nei 200 metri possa fare molto bene nella velocità.
Tre soli anni per arrivare a Parigi: secondo te è un tempo ridotto per rimescolare le carte dopo Tokyo e quindi pensare a un contingente italiano più corposo e completo?
Penso che l’Italia, almeno in campo femminile, a Parigi avrà più esperienza e sono quasi certa che per alcune di loro sarà la seconda Olimpiade, sono tutte giovani e c’è ancora margine per migliorare. In campo velocità speriamo che tre anni siano abbastanza per arrivare dove vogliamo.
Che cosa significherebbe per te qualificarti per allora?
Qualificarmi per Parigi sarebbe il sogno di una vita, sarebbe scrivere la storia della velocità femminile in Italia ed è qualcosa che voglio e spero di riuscire a fare.
Il britanico Dowsett, corridore della Israel Start-Up Nation, sta correndo in Turchia preparandosi per il Giro. In mente ha anche la crono olimpica e l'Ora
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Fra i tanti vincitori di titoli mondiali nel ciclismo italiano, Mirko Gualdi riveste un ruolo particolare, almeno in questi giorni, perché conquistò il suo titolo (allora fra i dilettanti) nel 1990 a Utsunomiya, nel lontano Giappone. Il Paese dove ormai tra un pugno di giorni ci si giocherà il titolo olimpico, ossia l’ingresso nella leggenda. Sono passati tanti anni e la vita di Gualdi, da quel giorno, è trascorsa attraverso mille peripezie, ma alcuni particolari di quella gara sono ben presenti nella memoria e possono essere anche un buon bagaglio di esperienze per Cassani & C.
Se gli si chiede che cosa ricorda inizialmente, il lombardo non ha dubbi: «Il caldo… gareggiammo fra i 35 e i 38 gradi con l’85 per cento di umidità. Ricordo soprattutto una ricognizione sulla salita più dura nei giorni precedenti. In cima mi tolsi la maglietta, la strizzai e colava acqua come tirata fuori dalla lavatrice senza centrifuga… ».
Come vi difendeste da quel caldo opprimente?
Borracce di acqua e sali come se piovesse, ma soprattutto è importante mentalizzarsi su quel che si troverà, avere ben presente che il clima costituirà un fattore come lo fu per noi.
Gualdi in mezzo con il massaggiatore Glauco Stacchini e Roberto Caruso, secondo al traguardo nella gara dei dilettanti del 1990Gualdi in mezzo con il massaggiatore Glauco Stacchini e Roberto Caruso, secondo al traguardo nella gara dei dilettanti del 1990
Il fuso orario influì?
Non poco. Noi scegliemmo di partire per tempo, considerando gli studi che indicano un recupero di un’ora al giorno. Altri scelsero altre vie, gli olandesi ad esempio partirono due giorni prima per non cambiare il ciclo metabolico, col risultato di ritirarsi tutti… Servirebbero almeno 10 giorni per trovare il giusto assetto.
Com’era il percorso?
Molto duro. Non conosco quello dell’Olimpiade, ma so che non sarà tenero neanche quello. Noi lavorammo molto sul tracciato, Zenoni lo aveva studiato nei minimi particolari. In quell’occasione imparai che mettendo in correlazione preparazione e risultati si è premiati e so che Cassani, che era in gara a Utsunomiya fra i pro’, fa lo stesso.
L’ambiente?
Erano tempi diversi da oggi, dove con gli smartphone sei sempre collegato con il mondo e quindi con casa. Noi stavamo tutti insieme in hotel, l’unico diversivo era la telefonata serale, il difficile era stare soli in camera. Fu fondamentale l’apporto dello psicologo Sergio Rota.
Gualdi insieme a Paolo Bettini al Giro d’Italia 1998. Nella sua carriera da pro’, Gualdi ha vinto 3 corseGualdi insieme a Paolo Bettini al Giro d’Italia 1998. Nella sua carriera da pro’, Gualdi ha vinto 3 corse
Che cosa ricordi della gara?
Eravamo in 6, nella prima parte l’obiettivo era piazzare un paio di corridori in ogni fuga, altrimenti si sarebbe lavorato per la volata finale di Baldato. Si formò una fuga di 12 corridori con me e Roberto Caruso dentro. In salita rimanemmo in 4, sempre con Roberto insieme a me e successivamente provai ad andare via e vidi che ero rimasto solo. Mancavano 65 chilometri al traguardo: è stata la più lunga fuga vincente dei mondiali, solamente Soukhoroutchenkov aveva completato un’azione superiore ai Giochi di Mosca ’80.
La tua carriera professionistica è durata solo 7 anni, dal 1993 al 2000, con qualche guizzo ma tanta sfortuna. Che cosa accadde?
I primi 3 anni furono contraddistinti da una marea di guai fisici: una bronchite che non andava via, poi la frattura a una spalla, nel ’95 l’operazione alla schiena. La mia prima vera gara fu il Tour ’96, dove ottenni un 2° e un 3° posto parziali. Nel ’98 fui 3° ai tricolori a cronometro e feci una grande Vuelta, finendo 21°, ma vedendomi sfuggire la vittoria per ben tre volte a un chilometro dal traguardo. Nel 2000 fui 3° a Milano nella tappa finale del Giro, venti giorni dopo ebbi un’incidente che mi costò la piena mobilità di un polso e dovetti chiudere così. Quel problema non mi ha più permesso di guidare la bici, non posso tenere il manubrio.
Ritiratosi nel 2000, Gualdi (qui con la famiglia) è oggi responsabile commerciale della BrinkeRitiratosi nel 2000, Gualdi (qui con la famiglia) è oggi responsabile commerciale della Brinke
Da allora che cosa ha fatto Mirco Gualdi?
Sono rimasto nel mondo della bici. Per molti anni ho lavorato alla Bianchi, ora però sono responsabile commerciale della Brinke, una start up nata 7 anni fa, con sede a Desenzano del Garda, un impiego che mi dà molta soddisfazione perché c’è sempre la voglia di crescere.
Da osservatore esterno che conosce a cosa gli azzurri andranno incontro, sei fiducioso?
Sì, per più motivi. Innanzitutto perché Cassani sa quello che fa e se ha scelto quei 5 uomini ha sicuramente in mente una tattica adatta. Poi perché penso anche che una grande corsa a tappe può darti una buona gamba, ma interpretare subito dopo una grande gara in linea non è la stessa cosa, i picchi di velocità e l’interpretazione cambiano. Il principio negli anni non è cambiato: se lavori sulla preparazione, sulla prestazione i risultati poi verranno.
Approfittiamo del secondo riposo per parlare con Francesco Pancani. Il tema? Il ritorno di Cassani in cabina di commento. Eccolo qua, fra pregi e difetti
La volata è lanciata: ancora una settimana di Tour, con in contemporanea alcuni test finali come la Settimana Italiana, fondamentale per la nostra nazionale su pista, e poi le Olimpiadi di Tokyo saranno realtà. Andiamo allora a fare un po’ di conti attraverso i numeri dei partecipanti, che molto ci possono dire su che gare vedremo.
Iniziamo da uno sguardo d’insieme. Il particolare regolamento di qualificazione ai Giochi, stabilito dall’Uci solamente in base al ranking, premia l’Australia, unica nazione ad essere presente in tutte le discipline e la più ricca come contingente con i suoi 38 elementi. Merito sicuramente di un movimento ciclistico all’avanguardia e i risultati delle ultime rassegne olimpiche sono lì a dimostrarlo, ma favorita anche da evidenti ragioni geografiche, con una concorrenza continentale pressoché nulla considerando che anche la Nuova Zelanda emerge solo in specifiche prove.
Il podio di Rio 2016, con Fuglsang, il vincitore Van Avermaet e Majka. A Tokyo ci saranno tutti e treIl podio di Rio 2016, con Fuglsang, il vincitore Van Avermaet e Majka. A Tokyo ci saranno tutti e tre
Azzurri, nono posto (come contingente)
Sopra i 30 elementi sono anche Olanda (36), Germania (33) e Francia (32), l’Italia si attesta in nona posizione, al pari della Polonia, con 23 elementi, ma d’altronde c’è un intero settore non coperto, quello delle prove veloci su pista. E’ un buco pesante, che testimonia come sia urgente rilanciare il settore che nel secolo scorso era un serbatoio pressoché costante di medaglie.
Nella gara maschile, i partecipanti saranno 130 per 58 nazioni, con solo 6 (Belgio, Italia, Olanda, Francia, Colombia e Spagna) con 5 elementi per squadra. L’Italia avrà il solo Nibali proveniente dal Tour, altre squadre invece proveranno a sfruttare la condizione acquisita in Francia per la gara olimpica: 4 corridori per la Colombia di Quintana e Uran, senza la maglia rosa Bernal; 3 per il Belgio di Van Aert, con l’aggiunta di Evenepoel; 4 per la Francia di Gaudu e Martin, e poi Pogacar e Roglic(SLO), Fuglsang e Asgreen (DEN), Porte e Haig (AUS), Thomas e Simon Yates (GBR) e così via. Quanto il connubio sia proficuo sarà solo la strada a dirlo.
Già, ma la gara olimpica ha anche un’altra caratteristica. Insieme ai big ci sono anche rappresentanti di movimenti meno noti, che si vedranno all’inizio ma poi lasceranno andar via un gruppo sempre meno folto. Le regole dell’Uci hanno portato nazioni come Eritrea, Algeria, Turchia ad avere due rappresentanti, esattamente come Paesi di altro peso come Usa e Nuova Zelanda.
Eduardo Sepulveda (Androni Giocattoli) sarà l’unico rappresentante dell’Argentina in gara il 24 luglioEduardo Sepulveda (Androni Giocattoli) sarà l’unico rappresentante dell’Argentina in gara il 24 luglio
Tante maglie quasi sconosciute
Fra chi dovrà “giocare da solo” ci saranno Argentina, Ungheria, Lituania (ossia Paesi presenti nei team del World Tour) e poi Ruanda, Namibia, Taipei, Peru… Ecco perché nel presentare le Olimpiadi, viene sottolineato il fatto che appena si comincerà a fare sul serio, il numero di concorrenti in ballo per un risultato importante sarà ristretto, quanto in una tappa alpina di Giro o Tour, ma ciò renderà la gestione della corsa molto diversa da qualsiasi altra.
La prova femminile del giorno dopo avrà 67 concorrenti di 42 Paesi: qui la selezione sarà ancora più marcata, rendendo evidente la sfida tra l’Olanda e il Resto del Mondo, con 4 campionesse arancioni a tenere a bada tutte le altre, ma anche qui ci saranno presenze più rappresentative che altro, come Thailandia, Trinidad & Tobago, Cipro, Etiopia, Paraguay.
Il malese Azizulhasni Awang, bronzo nella velocità sia ai Giochi di Rio 2016 che ai Mondiali 2020Il malese Azizulhasni Awang, bronzo nella velocità sia ai Giochi di Rio 2016 che ai Mondiali 2020
Paesi esotici sul podio? Forse sì…
Da questo punto di vista, la situazione su pista alle Olimpiadi è più complessa. Alcuni Paesi sconosciuti su strada, come ad esempio Hong Kong o Malaysia, potranno invece recitare un ruolo molto importante, soprattutto nelle prove veloci. Va detto che nello specifico, le gare olimpiche su pista hanno un percorso di accesso molto più selettivo che quelle su strada: non ci sono scorciatoie legate all’appartenenza geografica o a wild card, fa fede solo il ranking legato ai principali eventi del quadriennio, per questo il numero di presenze è più esiguo da un lato ma con un tasso qualitativo molto più alto
Il ciclismo su pista rientra nel novero di discipline dove accedendo alle Olimpiadi, si è già compiuto un passo importante verso le medaglie. Basti guardare al complesso e lungo cammino di qualificazione per i quartetti dell’inseguimento, appena 8 al via, davvero la “creme de la creme”. Una qualità generale talmente alta che ad esempio ha spinto il Canada a decidere di rinunciare all’americana femminile, pur essendo qualificato, non avendo una coppia all’altezza secondo il giudizio dei propri tecnici.
La strada verso le Olimpiadi di Tokyo è in salita, soprattutto per le ragazze della pista. Lo spiega il cittì Salvoldi. Avremo un solo test: gli europei
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La data del 25 luglio è cerchiata in rosso ormai da anni, ma come spesso si sottolinea, più che la meta quel che conta è il viaggio. Nel caso di Elisa Longo Borghini e di Giorgia Bronziniche è la sua diesse e consigliera più fidata, viaggio e destinazione vanno di pari passo, perché arrivare alla data fatidica, quella della gara olimpica nel pieno della forma è la missione che si sono affidate. E non sarà facile.
In questi giorni Giorgia ed Elisa sono al Sestriere, per la fase di preparazione in altura, un periodo iniziato il 28 maggio e che punta a dare alla campionessa italiana il pieno di energie in vista del Giro d’Italia, la gara che dal 2 all’11 luglio dovrà poi rodare il suo motore: «Prima però ci saranno i Campionati Italiani – sottolinea la Bronzini – dove Elisa difenderà il suo titolo».
A Sestriere, si lavora per il Giro (anche vedendo qualche tappa) e Tokyo (foto Instagram)A Sestriere, si lavora per il Giro (anche vedendo qualche tappa) e Tokyo (foto Instagram)
La cronometro olimpica
Al Sestriere il lavoro di Elisa verte principalmente su due direttive: «Chiaramente abbiamo svolto molte sessioni di allenamento in salita perché quello è il suo terreno prediletto, ma abbiamo svolto anche lavori specifici per le cronometro, sia pensando al Giro, sia soprattutto per la gara olimpica».
Avevamo lasciato la Longo Borghini in Spagna, alla Vuelta a Burgos dominata dalle due campionesse olandesi Van Der Breggen e Van Vleuten. Mentre le due arancioni volavano nell’ultima tappa, la Longo Borghini, ai piedi del podio fino all’ultimo giorno, retrocedeva fino all’undicesima piazza e la cosa ha allarmato gli appassionati.
Ci si è detto che Elisa aveva gareggiato per onor di firma, per rispettare gli impegni della Trek Segafredo, ma è questa la risposta giusta?
Al Trofeo Binda Lizzie Deignan ha coperto Elisa, al Giro sarà alleata, a Tokyo grande avversariaAl Trofeo Binda Lizzie Deignan ha coperto Elisa, al Giro sarà alleata, a Tokyo grande avversaria
La Deignan è tornata…
«Bisogna fare attenzione nel valutare le scelte, essendo di mezzo una squadra privata. Quando Elisa gareggia lo fa sempre dando il meglio e chi la conosce lo sa. Ma non aveva finalizzato la gara e quindi non aveva in programma di forzare».
«A ciò si aggiunga – riprende la Bronzini – che Elisa veniva da un periodo ininterrotto di gare, era quindi un po’ stanca e aver staccato dall’agonismo non può averle fatto che bene, ma d’altronde era già stato programmato».
Nel frattempo però le carte in seno alla Trek-Segafredo si sono rimescolate, con il ritorno della britannica Deignan che ha subito ricominciato a fare quel che le riesce meglio, vincere: «Non solo lei, va sottolineata anche la prova della Brand vincitrice della Thuringen Ladies in Germania».
«Questo per Elisa è indubbiamente un vantaggio – sottolinea l’ex iridata – perché così c’è maggiore intercambiabilità e minori responsabilità per lei che non ha addosso tutto il peso della squadra. Fra loro c’è sempre stata massima collaborazione».
La Bronzini conosce le sensazioni della gara olimpica, qui a Rio 2016 a supporto della Longo BorghiniLa Bronzini conosce le sensazioni della gara olimpica, qui a Rio 2016 a supporto della Longo Borghini
Dal Giro subito verso Tokyo
A questo punto che Elisa vedremo al Giro? «Andrà per ottenere risultati importanti, poi non si può dire prima se cercherà di far classifica o correrà per le compagne, vedremo come si mette la corsa. Tutti però ci aspettiamo una Longo Borghini ben diversa da quella vista in Spagna. Poi dipenderà molto anche dalle avversarie: l’assenza della Van Vleuten, ad esempio, già direttamente proiettata verso Tokyo, cambia molto nelle strategie di corsa».
E dopo il Giro? «Solo allenamento, limeremo le ultime cose e prepareremo la trasferta per tempo, per farla essere sulla linea di partenza al massimo della forma, coscienti di aver fatto tutto quel che serviva, poi si vedrà…».
Torniamo a parlare di quel famoso caffè al Trofeo Melinda, anno 1992, protagonisti Alfredo Martinida una parte e Gianni Bugnodall’altra. Ripensandoci, l’ex iridato ci tiene a dare una lettura leggermente diversa a un evento che nel tempo si è ammantato di leggenda, sapendo però che è uno spunto per un discorso più ampio: «Quell’anno non vincevo, ma ero stato pur sempre terzo al Delfinato, secondo al Giro di Svizzera, terzo al Tour. Con risultati del genere, oggi ai mondiali ci vai da capitano…».
Che cosa ti disse allora Martini?
Fu una chiacchierata semplice, non mi chiese se volevo andare ai mondiali, perché potevo partecipare indipendentemente come campione uscente, né mi diede un ruolo specifico. Ero un uomo in più, libero di fare la mia corsa. Mi trasmise tranquillità, che era ciò di cui avevo bisogno.
Bugno ai Mondiali del 1992, seguito dall’austriaco Harald Maier. Gianni vincerà in volata su Jalabert e KonychevBugno ai Mondiali del 1992, seguito dall’austriaco Harald Maier. Gianni vincerà in volata su Jalabert e Konychev
Proiettiamo quella situazione ai giorni nostri, dove c’è un Nibali ancora in bilico se partecipare alle Olimpiadi…
Nibali è una persona intelligente prima ancora che un grandissimo corridore e se sente di poter correre a Tokyo, deve andarci. Nessuno può sindacare come sta andando, i risultati che fa o altro: l’unico che può dire se è in grado di correre è lui stesso.
Davide è mio amico e lo stimo, ma su questo voglio essere molto chiaro: né lui, né la Federazione, nessuno può dire a un corridore come Nibali che cosa fare, sarà Vincenzo stesso a prendere la decisione più saggia perché sa bene come sta e come starà. Vorrei ricordare a tutti che è partito con un polso rotto da poco, eppure il Giro lo ha finito e sono convinto che la sua condizione sia in crescita, questo è un fattore da non trascurare.
Nibali e Cassani: li rivedremo insieme a Tokyo? Una decisione deve però prescindere da ogni eventuale testNibali e Cassani: li rivedremo insieme a Tokyo? Una decisione deve però prescindere da ogni eventuale test
Secondo te che ruolo potrebbe avere?
Partiamo dal presupposto che l’Olimpiade è una corsa strana, con principi che esulano da qualsiasi altra gara ciclistica. Innanzitutto con soli 5 corridori al massimo non la puoi controllare, poi vi partecipano molti corridori che dopo un quarto di gara non trovi più perché non sono neanche professionisti, terzo discorso è che vincono in tre e non uno solo, perché un bronzo ha un valore enorme, superiore a quasi tutte le altre vittorie assolute.
Ok, ma tornando a Nibali?
In una corsa del genere Nibali si attira addosso un uomo di ogni altra nazionale di spicco, resta un riferimento assoluto. Nessuno ha caratteristiche come le sue, in fatto di resistenza ma anche di fantasia, per portare a casa un risultato. Anche strategicamente avrebbe un peso non indifferente.
Vincenzo Nibali a Rio de Janeiro 2016, una gara che si era messa benissimo fino alla rovinosa cadutaVincenzo Nibali a Rio de Janeiro 2016, una gara che si era messa benissimo fino alla rovinosa caduta
Ti dispiace non aver potuto mai correre le Olimpiadi?
Molto, ma a quei tempi erano ancora i dilettanti a correrle. Nel ’92 ad esempio vinse il compianto Casartelli. Io avrei potuto partecipare nel ’96, ma dissero che non ero adatto a quel percorso di Atlanta, dicevano che era troppo facile quando poi alla fine facile non lo fu ed emersero tre specialisti delle classiche (Richard, Sciandri e Sorensen, ndr) io sono convinto che avrei potuto dire la mia, non nascondo che con Martini ci rimasi un po’ male…
Tempo fa Bettini disse che avrebbe rinunciato a un suo titolo mondiale anche per un solo bronzo olimpico. Tu lo faresti?
Bella domanda… Io le Olimpiadi non le ho mai fatte, non conosco le sensazioni che si vivono in quel contesto così particolare. Diciamo che in cambio potrei dare il bronzo iridato del ’90, va bene lo stesso?…
Le discussioni nate all’indomani della chiusura del Giro d’Italia sulle future convocazioni olimpiche meritano un approfondimento. Davide Cassaninon si è nascosto le difficoltà dell’impresa giapponese, a prescindere dalla presenza o meno di Nibali, perché non abbiamo corridori che possono dire di essere nella ristretta cerchia dei favoriti, come invece è Ganna nella cronometro (ma su questo torneremo più avanti) e quindi bisogna lavorare sulla squadra e su un concetto: «Mi servono dei fondisti e non avendo fra i nostri cinque un favorito per l’oro, bisognerà correre in base ai corridori che abbiamo».
Proprio questa può essere la forza della truppa di Cassani (nella foto d’apertura con il presidente federale Dagnoni). Un pugno di guastatori pronto a far saltare il banco. La gara, va ricordato, è diversa da tutte le altre. Per capirlo servono i numeri, insieme all’esperienza maturata da quando, nel 1996, i professionisti sono diventati protagonisti della corsa a cinque cerchi. Non ha mai vinto uno sconosciuto e soprattutto uno che non avesse già esperienza vincente nelle classiche e questo Cassani lo sa bene.
Pogacar e Roglic, un patto per Tokyo? Nemici al Tour, poi avranno 6 giorni per resettarsiPogacar e Roglic, un patto per Tokyo? Nemici al Tour, poi avranno 6 giorni per resettarsi
La forza dei numeri per l’Italia
Dicevamo dei numeri: solo 5 nazioni potranno schierare il massimo possibile, ossia 5 corridori. Oltre all’Italia sono riuscite nel massimo intento Belgio, Olanda, Francia e Colombia: il Belgio avrà due punte come Van Aert, reduce dal Tour e quindi con le incognite del veloce balzo dalla Francia al Giappone e Evenepoel, ma come si potranno far convivere due anime così diverse e ambiziose? La Francia non avrà Alaphilippe e questa è una perdita importante. La squadra dovrebbe essere puntata su Pinot (se per allora sarà guarito) e non è proprio la stessa cosa.
La Colombia ha già fra i 9 preselezionati Bernal. E sia il percorso, sia quanto fatto vedere anche nelle ultime prove in linea, fanno dell’ultima maglia rosa un corridore da prendere con le molle. L’Olanda è un’incognita, probabilmente correrà come l’Italia. La Slovenia, che dovrebbe avere Pogacare Roglic reduci dal Tour, avrà un uomo in meno, lo stesso Fuglsang con la sua Danimarca e il vecchio Valverde con la Spagna, come anche la Gran Bretagna (i due Yates? Thomas? Un Froome miracolato?), addirittura due meno per Vlasov (RUS), Martin (IRL), Woods (CAN).
A Tokyo sarà la seconda esperienza olimpica per Cassani, che vuole un team di combattentiA Tokyo sarà la seconda esperienza olimpica per Cassani, che vuole un team di combattenti
Scelte fatte per la crono
Come si vede, non ci sono numeri per tenere la corsa sotto controllo. Così si può pensare a qualcosa per farla saltare, anche da lontano. Su questo Cassani sta ragionando, ma le scelte vanno effettuate col bilancino e qui torna in ballo il discorso cronometro.
Ganna è nel gruppo grazie alla sua presenza su pista. Il secondo cronoman potrebbe essere Bettiol, ma sui social è montata una campagna per chiedere a Cassani di portare Affini, visti i suoi risultati al Giro. Abbiamo girato direttamente il discorso al Cittì, che sapeva di queste voci e non si nasconde, anzi ribatte senza peli sulla lingua: «Porterebbe via un posto nel gruppo degli stradisti perché su quel percorso con tanta salita non potrebbe dare una valida mano».
Per Affini un Giro di grande spessore, ma la crono di Tokyo non si adatta al suo motorePer Affini un Giro di grande spessore, ma la crono di Tokyo non si adatta al suo motore
E’ vero, ma l’obiezione che viene fatta è che, mentre nella prova in linea per andare a medaglia serve una vera impresa, con Ganna e Affini avremmo due carte da podio in una gara sola, la cronometro del 28 luglio: «Non si può guardare al Giro: il percorso della crono di Tokyo è impegnativo, con tanta salita, Affini non dà garanzie per quel tracciato ossia non è vero che sarebbe una carta da medaglia non avendo le caratteristiche di Ganna che invece può far bene anche lì». Risposta secca, discorso chiuso.
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«Abbiamo scelto Elia Viviani e Jessica Rossi perché sono due medaglie d’oro olimpiche che rappresentano due sport che hanno portato quasi 100 medaglie all’Italia dal 1896 ad oggi, eppure non avevano mai avuto un portabandiera alle Olimpiadi». Le parole del presidente del Coni Giovanni Malagò sintetizzano al meglio la portata della scelta che, oltre alla specialista del tiro a volo, ha premiato lo sprinter veneto, oro a Rio 2016 nell’Omnium.
Mai nella sua storia il ciclismo aveva avuto un proprio rappresentante come portabandiera, il che è incredibile considerando che stiamo parlando della seconda disciplina sportiva per numero di medaglie olimpiche, superata solo da quella scherma considerata da sempre il “serbatoio” di allori italiani.
Eppure altri sport hanno avuto maggiore presenza sul palcoscenico della cerimonia d’apertura, spesso per merito della fama dei campioni scelti (basti pensare a Sara Simeoni, Pietro Mennea o a Federica Pellegrini, ultima nostra portabandiera), qualche volta anche per mandare un messaggio sociale forte (vedi la scelta di Carlton Myers a Sydney 2000 come espressione di un’Italia più integrata).
L’ultima portabandiera olimpica, Federica Pellegrini a Rio 2016 (foto Repubblica.it)L’ultima portabandiera olimpica, Federica Pellegrini a Rio 2016 (foto Repubblica.it)
Tanti Paesi ancora all’asciutto
Se allarghiamo un po’ il discorso, ci accorgiamo però che il ciclismo ha sempre avuto poca considerazione in sede olimpica: contando tutti i 213 Paesi che fanno o hanno fatto parte del Cio, il totale dei portabandiera legati al ciclismo prima di Viviani è appena di 42. Ci sono nazioni come Belgio, Olanda, Germania, Spagna che non hanno mai portato un proprio atleta a sventolare il vessillo nazionale. Com’è possibile questo?
Probabilmente molto ha influito il fatto che il ciclismo professionistico è stato escluso dai Giochi fino al 1996. Chi otteneva risultati di spicco era destinato a passare pro e quindi a lasciare l’ambiente olimpico, ad eccezione dei Paesi del blocco comunista dove il ciclismo non era uno sport di spicco.
Chris Hoy: 6 titoli olimpici e 11 mondiali gli sono valsi il titolo di “sir”Chris Hoy: 6 titoli olimpici e 11 mondiali gli sono valsi il titolo di “sir”
Le stelle della pista
Eppure alcuni nomi importanti vanno menzionati: nel 1976 la Francia affidò il tricolore a Daniel Morelon, uno dei più grandi sprinter su pista della storia (3 ori olimpici fra il 1968 e il ’72), che curiosamente proprio per il suo amore per la pista e l’agone olimpico rifiutò di passare professionista se non nel 1980, a 36 anni, togliendosi lo sfizio di vincere il titolo europeo e conquistare due medaglie mondiali.
A Chris Hoy venne addirittura concesso di portare la bandiera nella cerimonia dei Giochi di casa, nel 2012, l’onore più ambito da ogni sportivo britannico. Al tempo Hoy, già insignito del titolo di “baronetto”, aveva vinto 4 titoli olimpici su pista, ma a Londra ne conquistò altri due, completando una carriera straordinaria.
Vasyl Kiryenka, iridato a cronometro, colonna del Team Sky, portabandiera nel 2016Vasyl Kiryenka, iridato a cronometro, colonna del Team Sky, portabandiera nel 2016
Un solo precedente su strada
La pista è la specialità che più è stata “vista” al fine di eleggere i portabandiera, ma è curioso il fatto che altre discipline più “giovani”, come Bmx e Mtb, siano state premiate più del ciclismo su strada. A ben guardare, prima di Viviani solamente un altro professionista di un certo nome aveva avuto questo onore: fu nel 2016 il bielorusso Vasil Kiryenka, vincitore del titolo mondiale a cronometro nel 2015 e a lungo membro del Team Sky fino allo scorso anno.
Per questo la scelta di Viviani è davvero un evento storico e il veronese ne è consapevole: «Tokyo parte come meglio non si potrebbe – ha affermato alla partenza della tappa del Giro da Ravenna – neanche posso immaginare che emozione sarà. Poi per fortuna avrò tempo per smaltire le emozioni e preparare le gare, perché chi porta la bandiera ha un ruolo guida, deve essere d’esempio e portare medaglie. Io ci proverò». Se ci riuscirà, avrà un significato ancora più profondo, come per Chechi ad Atene 2004 o la Vezzali a Londra 2012.
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