A tu per tu con Celestino, che già pensa a Los Angeles

13.03.2025
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Mirko Celestino resta alla guida della nazionale di mountain bike. Dopo i tanti cambiamenti nella Federazione, il suo ruolo di commissario tecnico non ha subito variazioni, segno di una fiducia confermata e meritata. La sua nazionale continua a crescere, con un gruppo di atleti che si sta affermando pur non senza difficoltà, e con uno sguardo rivolto a Los Angeles 2028.

Assieme a Mirko (nella foto di apertura con Martina Berta) abbiamo fatto il punto su questa nuova fase del suo lavoro, sulle prospettive degli atleti a sua disposizione e sulle sfide che attendono il movimento azzurro della mountain bike.

Avondetto in azione a Parigi. A Los Angeles avrà 28 anni, sarà al top della carriera
Avondetto in azione a Parigi. A Los Angeles avrà 28 anni, sarà al top della carriera
Mirko, tra i tanti rimescolamenti della Federazione, tu sei rimasto al tuo posto esattamente con le stesse mansioni che avevi prima del “Dagnoni bis”. Che sensazione hai?

Diciamo che alla fine abbiamo lavorato bene, i risultati sono arrivati e sono contento di poter continuare. Ringrazio chi mi ha dato fiducia, sia in passato che adesso. Vado avanti con orgoglio in questo nuovo quadriennio olimpico, sperando di arrivare a Los Angeles con un pizzico di fortuna in più. A Tokyo e Parigi soprattutto abbiamo visto cosa è successo con Luca Braidot: se fosse arrivata quella medaglia, sarebbe stata un’altra storia.

Ecco Los Angeles 2028, hai già messo l’argomento sul tavolo. Con che gruppo speri di arrivarci? Abbiamo giovani su cui lavorare?

Qualche nome verrà fuori, questo è sicuro. A parte Luca Braidot, che ha fatto un gran salto, abbiamo almeno un paio di giovani interessanti dietro di lui. Uno è Simone Avondetto, davvero un atleta che è già importante, e l’altro è Yuri Zanotti. Entrambi stanno crescendo bene e sono già nella mia testa per Los Angeles. Questo non vuol dire che Luca non possa esserci, anzi. Lui è una garanzia, ha dimostrato tanto, ma tra quattro anni avrà una certa età e dobbiamo anche guardare avanti. Mi auguro che Yuri continui la sua crescita.

E in campo femminile?

Tra le ragazze, Valentina Corvi ha dimostrato tanto. E’ al secondo anno da under 23 e ha già fatto vedere belle cose anche sul fronte internazionale. Io credo che lei e Martina Berta siano le più promettenti. Martina arriverà a Los Angeles davvero all’apice della carriera. Il tutto senza dimenticare lo zoccolo duro: Chiara Teocchi. Mentre sempre parlando di atlete giovani c’è anche Giada Specia. In generale il movimento giovanile femminile mi sembra vivace, mentre in campo maschile, specie tra gli under 23 si fatica un po’ di più a produrre nuovi talenti.

Valentina Corvi è una vera esperta di off road, lei viene anche dal cross (foto Instagram)
Valentina Corvi è una vera esperta di off road, lei viene anche dal cross (foto Instagram)
A proposito di Valentina Corvi, lei è anche un’abile ciclocrossista ed è già stata tentata dalla strada. Hai paura che talenti simili possano essere richiamati dalle sirene della strada? Che insomma te li portino via?

Sì, è una possibilità concreta. Non abbiamo tante atlete in questa categoria e se va via una biker come Valentina si crea un bel buco. Allora penso a Giada Martinoli, che è un altro talento, ma parliamo davvero di atlete giovanissime, per il resto il gruppo è ristretto. Con la Federazione bisognerà lavorare per trattenerla almeno fino a Los Angeles. Le sirene della strada sono forti, ma la mountain bike ha ancora tanto da offrirle.

Spesso quando parliamo con Bragato, capo della performance della FCI, ci dice dei test a Montichiari, test per valutare i ragazzi e i ragazzini di più discipline. Il tuo settore partecipa?

Sì, facciamo diversi test con i nostri biker. La settimana scorsa, per esempio, abbiamo fatto uno stage con dieci junior dopo la gara di Verona. Abbiamo provato percorsi tecnici – sulla tecnica insisto molto specie tra i giovani – abbiamo girato su una pista di BMX e poi abbiamo svolto i test in pista a Montichiari con il team performance. Tutto questo è utile per raccogliere dati e aiutare i gli atleti a crescere tecnicamente. E a noi è utile per scovare i ragazzi più promettenti su cui lavorare.

Si è parlato della possibile uscita della mountain bike dal programma olimpico. Cosa ci dici in merito?

Le voci in effetti ci sono state, soprattutto l’anno scorso a Parigi si diceva che poteva essere l’ultima volta che avremmo visto una prova di mtb alle Olimpiadi. O che al massimo si arrivasse a Los Angeles 2028. Ora tutto tace, ma non sappiamo quanto sia vero. Sarebbe un peccato, perché a Parigi c’era tantissima gente a seguire le gare e i numeri del seguito in generale mi dicono siano stati ottimi.

Piuttosto che togliere discipline come il cross country e magari immettere la break dance nel programma olimpico, bisognerebbe aggiungerle: pensiamo alla downhill. Questo aiuterebbe anche le aziende e il mercato della bici.

Esatto, però questi discorsi non dipendono da noi, ma dal CIO. Per ora sappiamo che arriveremo ai Giochi 2028 e su questi ci basiamo e siamo contenti. Spero che si faccia marcia indietro.

Celestino (in alto a sinistra) crede molto nel gruppo e nel rispetto reciproco
Celestino (in alto a sinistra) crede molto nel gruppo e nel rispetto reciproco
Dopo tanti anni da commissario tecnico della mtb, come senti di essere cresciuto nel tuo ruolo?

Nel tempo è cambiato molto. Il cittì oggi è più un selezionatore che un allenatore. Gli atleti hanno i loro preparatori e in una settimana di ritiro non puoi cambiare il loro lavoro. Il mio compito è organizzare al meglio le trasferte, farli stare bene, garantire serenità e concentrazione. E ammetto che quando si va alle gare mi diverto di più, anche perché ho più responsabilità.

E quando c’è da richiamare i ragazzi?

In questi anni passati con loro, probabilmente hanno capito che per me la prima cosa non è il risultato ma l’educazione, il rispetto. Il rispetto delle regole, per i rapporti umani… E questa mentalità ha pagato perché vedo ragazzi educati. All’inizio erano un po’ più montati, un po’ più pretenziosi, invece adesso hanno capito cosa voglio io. Okay vincere, però ti devi comportare bene. Alla lunga questo modo di fare mi ha dato grosse soddisfazioni perché i ragazzi mi ascoltano, c’è dialogo e quando siamo in gruppo si vive bene.

Il Celestino uomo invece quanto è cambiato in questi quasi 10 anni da tecnico?

All’inizio accusavo di più le critiche, ora ho imparato a fare filtro. A distinguere quelle costruttive da quelle inutili. Ho capito con chi ho a che fare e cerco di prendermela meno, rispettando sempre tutti.

Facciamo un salto nei piani di Sagan. Uboldi apre l’agenda…

07.01.2024
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Peter Sagan avrà anche smesso di essere uno stradista, ma la bici al chiodo ancora non l’ha appesa. E, consentiteci di dire, per fortuna… Lo slovacco non sta fermo un attimo e per questo 2024 molte cose aspettano lui e il suo storico staff, al vertice del quale c’è l’amico, addetto stampa e molto di più, Gabriele Uboldi: per tutti Ubo.

Mentre Sagan è intento a spostarsi da una location ad un altra, Uboldi ci spiega più o meno i piani di Peter. La carne al fuoco è davvero tanta, ma lo è anche la gioia nel “cuocerla”. Lui stesso, del resto ce lo aveva detto, nella giornata Sportful che passammo insieme nel feltrino: «Voglio divertirmi».

Sagan con Uboldi, il suo braccio destro. “Ubo” cura gli aspetti logistici e mediatici… dello slovacco
Sagan con Uboldi, il suo braccio destro. “Ubo” cura gli aspetti logistici e mediatici… dello slovacco
Gabriele, come stanno passando queste giornate del primo anno senza che Peter sia un professionista su strada?

Tutto sommato per ora sono uguali a quelle degli altri anni. Ma proprio uguali! 

Anche il tuo lavoro?

Assolutamente sì, poi ci sarà molto da scoprire. Peter è andato in montagna al Passo Pordoi con tutta la sua famiglia: fratelli, figlio, cognate… Da lì, lo scorso 3 gennaio è tornato a Montecarlo dove vive. Lì va in bici tutti giorni, ma presto ripartiremo.

Quali mete vi attendono?

Dal 10 gennaio saremo in Sud Africa con Specialized. Ci sarà anche il team manager del team di Specy e anche Patxi Vila che, oltre ad essere uno dei tecnici della Bora-Hansgrohe, è anche con noi. Alla fine siamo la squadra di sempre: dal meccanico a Peter. La stessa squadra che cerca e vuole divertirsi e finalmente ha l’occasione per farlo. Eravamo già stati insieme in Cile a dicembre. Quindi sì, ci sarà qualche cambio, ma il calendario è pieno. Quello che forse cambierà è che dovremo fare tanti viaggi, ma cambiando meno hotel. E’ tutto da scoprire, dai: almeno per me, sicuro!

Alla kermesse Beking a Montecarlo Sagan ha vinto davanti ad un sorridente Pogacar. Il gruppo dei colleghi ha voluto salutarlo così
Alla kermesse Beking a Montecarlo Sagan ha vinto davanti ad un sorridente Pogacar
Calendario fitto, hai già una traccia, una bozza?

Come detto a breve si va in Sud Africa e ci resteremo fino al 6 febbraio. Poi andremo ad Abu Dhabi, sempre per la mountain bike. Poi ci sposteremo in Spagna per due gare: Chelva e Banyoles. Dovremmo quindi fare un gara di Coppa di Francia a Marsiglia e poi a marzo Peter farà qualcosa su strada.

Ecco, proprio di questo volevamo chiederti. Abbiamo visto che era in programma qualche evento su strada. Ma in che ottica verrà affrontato?

Saranno gare di un giorno in Francia e saranno funzionali alla MTB. Nessuna velleità di risultato o ambizioni particolari. Queste gare le faremo, o dovremmo farle, con la squadra di suo fratello Juraj (la RRK Group – Pierre Baguette, ndr). 

Perché hai usato il condizionale?

Perché bisogna vedere se… ci stiamo dentro. Mi spiego, la continental di Juraj è davvero piccolina, non c’è uno staff strutturato e Peter, comunque sia, riscuote sempre un certo movimento, attenzioni mediatiche. Alla fine ci sarà un minimo di pressione attorno e bisogna vedere quale contorno riusciremo a mettere su. Che “budget” avremo. Diciamo che questi eventi su strada sono stati fissati nel nostro calendario, ma poi dovremmo riportarli nella realtà.

Che fatica per Sagan ai mondiali di Glasgow. Peter è giunto 67° a 7’14” da Pidcock
Che fatica per Sagan ai mondiali di Glasgow. Peter è giunto 67° a 7’14” da Pidcock
E si va avanti. Siamo a marzo…

Poi sarà la volta del Brasile, ancora in Mtb. Laggiù ci saranno la Brasil Ride e una prova di Coppa. Da qui seguiranno altre prove di Coppa del mondo in Europa: Nove Mesto, Val di Sole e Les Gets. Quindi un evento molto importante per noi: il Giro di Slovacchia su strada (26-30 giugno, ndr).

Il saluto di Sagan alla sua gente…

Esatto. E lì sarà una cosa un po’ più grande. Non nego che quelle gare di un giorno in Francia servono o servirebbero proprio per vedere se si sarà pronti per il grande movimento che ci sarà al Giro di Slovacchia. La sua presenza in questa corsa ci sembra una bella iniziativa.

Ubo, abbiamo parlato un po’ di tutto, ma non delle Olimpiadi in mtb: quello resta il grande goal giusto?

Sì, assolutamente è così, ma siamo anche consapevoli che qualificarsi non è difficile, bensì difficilissimo. Né Peter, né la Slovacchia hanno punti. Si parte totalmente da zero e il livello è alto, ce ne siamo accorti al mondiale di Glasgow. Peter ci proverà al 100 per cento, farà il massimo per andare a Parigi, ma è consapevole che è tosta.

In effetti è molto dura. Ma Sagan ha classe e sarebbe un bel colpo per tutto il movimento…

Sapete, il messaggio che vogliamo far passare è che noi vogliamo fare il meglio possibile, ma divertendoci. Questo è un aspetto fondamentale di tutto questo progetto. Se manca il divertimento viene meno tutto il resto. Se manca il divertimento sarebbe rimasto su strada o non avrebbe fatto nulla. Alla fine un corridore come Peter Sagan ha vinto e guadagnato abbastanza e di certo non gli serve correre in mtb. Se lo fa è per pura passione.

Paola Pezzo: ecco come preparai le Olimpiadi in Australia

17.09.2022
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La trasferta in Australia crea sempre disagi e difficoltà, anche se ai nostri tempi tutto è mitigato, basti guardare a come ci si regola in tema di alimentazione. Vent’anni fa però la situazione era ben diversa: nel 2000 si tornò agli antipodi per le Olimpiadi, a 44 anni di distanza dall’edizione di Melbourne e quella di Sydney fu una rassegna olimpica che rappresentò, dal punto di vista tecnico, uno spartiacque per molti argomenti.

Sydney fu la seconda edizione per i Giochi con la mountain bike inserita nel programma olimpico. Il ciclismo fuoristrada si stava affermando in ogni continente, ma era ancora uno sport giovane e per certi versi sconosciuto. Si sperimentava. In Australia si era già gareggiato, sia in Coppa del Mondo che ai mondiali, ma i Giochi sono ben altra cosa, è la classica manifestazione che non puoi sbagliare in alcun modo.

L’arrivo vittorioso della Pezzo a Sydney. L’azzurra batté Blatter (SUI) e Fullana (ESP) che l’avevano preceduta ai mondiali
L’arrivo vittorioso della Pezzo a Sydney. L’azzurra batté Blatter (SUI) e Fullana (ESP) che l’avevano preceduta ai mondiali

Un oro da difendere

Paola Pezzo arrivava alla rassegna a cinque cerchi con l’onere di difendere l’oro di Atlanta ’96, ma i mesi precedenti l’avevano sì vista protagonista, ma non era accreditata dei favori del pronostico. Rispetto alle gare del calendario classico, però, Sydney aveva al suo interno le incognite legate alla trasferta e su quelle la veneta giocò le sue carte: «Sapevo che la trasferta era difficile – afferma aprendo l’album dei ricordi – io poi ho sempre sofferto i viaggi negli altri continenti, dovevo quindi pensare a una soluzione per ammortizzare il più possibile i disagi. Fu così che io e Paolo (Rosola, suo allenatore e compagno di vita, ndr) c’inventammo l’idea di anticipare il cambio di fuso orario nelle settimane precedenti il viaggio».

Come avvenne e in che cosa consisteva questa scelta?

Dissi a Paolo che dovevo abituarmi il più possibile alle condizioni di gara di Sydney, esattamente come avevamo fatto per Atlanta, quando invece di andare in altura mi allenai nella bassa Mantovana, in condizioni di grande caldo e umidità come quello che avremmo trovato in Georgia. La differenza oraria con l’Australia è di 8 ore e il recupero del jet lag avviene un’ora al giorno, ma noi ci saremmo trasferiti a Sydney molto più tardi, quindi il recupero sarebbe stato difficoltoso. Una quindicina di giorni prima di partire iniziammo così a trasformare lentamente il nostro ritmo vitale da quello europeo a quello australiano.

La veneta in gara in Australia. Gli allenamenti al fuso di lì si rivelarono fondamentali
La veneta in gara in Australia. Gli allenamenti al fuso di lì si rivelarono fondamentali
Come?

Iniziai ad allenarmi alle 6 del mattino e ogni giorno anticipavo di 15 minuti fino ad arrivare a uscire alle 3 di notte, che era, trasposto, l’orario di partenza della gara australiana. Tutto il resto era di conseguenza: i pasti, il sonno (andavo a dormire alle 11 del mattino…) in modo da ridurre anche i disagi del volo, che per me sono sempre stati pesanti. A tal proposito ricordo che il Coni aveva fissato per noi il volo in seconda classe, io pagai la differenza e viaggiai in prima, per stare un po’ più comoda e ridurre il disagio, che comunque ci fu. Al ritorno, con la medaglia d’oro, mi fecero viaggiare direttamente in prima…

Che cosa facevi in quegli allenamenti di notte?

Non granché dal punto di vista specifico, ma il grosso era già stato fatto. Quel che contava era abituare il fisico a essere pronto a quell’ora, il metabolismo a mettersi in moto all’orario che serviva per la gara. Paolo stava con la macchina dietro con i fari a illuminare, per farmi vedere il percorso. Non furono giorni semplici, ma il risultato ripagò di tutto.

Il gruppo in gara a Geelong 2010. La trasferta oceanica venne programmata per tempo
Il gruppo in gara a Geelong 2010. La trasferta oceanica venne programmata per tempo
Quanto tempo ti allenavi?

Dovevamo ripetere l’orario di gara, allora i cross country duravano almeno 1h50’ quindi mi allenavo per almeno 90 minuti. Ricordo che, il giorno della partenza per l’Australia, avevamo il volo al mattino ma io mi misi in moto dall’inizio della notte. All’autogrill mi fermava la gente per chiedermi che ci facevo lì a quell’ora e io rispondevo «Sto andando alle Olimpiadi»

Pensi che questa scelta personale abbia influito sulla gara?

Sì, perché le avversarie che avevano scelto un avvicinamento più tradizionale partirono a tutta, io infatti persi terreno nelle prime fasi, ma poi pagarono, io invece rimanevo fresca. Dopo in molti vennero a chiederci lumi sulla nostra preparazione, anche perché i giornalisti ne parlarono come di qualcosa di assolutamente innovativo e devo dire che molti hanno seguito quella strada. Telser ad esempio ha fatto allenare le ragazze svizzere della mtb, in vista dei Giochi di Tokyo, al caldo umido invece che in altura e anche nel suo caso la scelta è stata indovinata.

I ragazzi diplomati in mtb alla Scuola Sacra Famiglia. Con la Pezzo anche Paolo Savoldelli come insegnante
I ragazzi diplomati in mtb alla Scuola Sacra Famiglia. Con la Pezzo anche Paolo Savoldelli come insegnante
Molti corridori, o meglio le loro squadre WorldTour, hanno deciso di rinunciare alla trasferta iridata temendo le ripercussioni sul fisico al ritorno. Tu le subisti?

Parzialmente, ma per me non era un problema, avevo centrato l’obiettivo e non mi aspettavano impegni fondamentali al ritorno, tanto è vero che io e Paolo ci prendemmo due settimane di vacanza da trascorrere proprio in Australia. Al ritorno si fatica, ma meno di quando si ritorna dall’America, a noi europei la trasferta verso est è più favorevole al ritorno. Se però devo correre subito è comunque dura, capisco quindi alcune scelte.

Un’ultima domanda: che cosa fa Paola Pezzo oggi?

Continuo a dedicarmi alla mountain bike ma in veste diversa. Insegno in un liceo a Castelletto di Brenzone, sul Lago di Garda, con specializzazione in mtb. I ragazzi fanno quattro anni di corso e alla fine acquisiscono con il diploma di maturità anche il brevetto di guide di mtb, praticamente hanno già un lavoro in tasca. E’ il primo in Italia e ne vado orgogliosa come di un’altra grande vittoria.

Celestino e i nuovi equilibri dell’eterna sfida tra Vdp e Pidcock

11.06.2021
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L’incidente di Tom Pidcock mescola le carte in vista dei Giochi di Tokyo. Lui e Van der Poel hanno puntato la medaglia d’oro nella Mtb e i riflettori sono ormai sparati a mille su questo evento, su questa sfida. Nell’ultimo mese le situazioni si sono capovolte e nel mezzo sono cambiate ancora.

Con Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb, facciamo il punto sullo stato attuale di questi due fenomeni.

Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017

Nuovi equilibri

Van der Poel vince in Svizzera e Pidcock è a casa a leccarsi le ferite. Solo qualche settimana fa la “frittata” era al contrario. L’inglese volava nelle gare di Coppa e l’olandese pagava dazio.

«Adesso invece le cose cambiano – dice Celestino – E spero che cambino in meglio soprattutto per noi! Scherzi a parte, questo incidente non ci voleva per Pidcock, sia perché influirà comunque sulla sua preparazione sia perché un po’ di paura te la porti dentro poi. Era in un ottimo stato di forma. Tom fa un piccolo salto indietro, mentre l’altro, rifinendo la preparazione al Giro di Svizzera, ne fa uno avanti».

«Sinceramente non mi aspettavo un Pidcock così superiore in Coppa del mondo. Mi ha colpito soprattutto ad Albstadt. Quel percorso è molto stretto: partire centesimo e arrivare quinto è un “numerone” pazzesco. A quel punto me lo aspettavo forte anche a Nove Mesto e infatti ha vinto. Che dire, Tom e Mathieu sono abituati a vivere le grandi pressioni, a stare sotto i grandi riflettori a far convivere la preparazione con quello che si aspetta la gente, gli sponsor e tutto il resto… Nella Mtb questo riguarda soprattuto Nino Schurter e posso dirvi, anche per esperienza diretta, che non è facile. A me piaceva certa pressione e rendevo anche di più, ma non per tutti è così. Guardiamo Gerhard Kerschbaumer per esempio: come gli metti “due paletti” inizia a vacillare, se invece lo lasci tranquillo va fortissimo».

Tom Pidcock è tornato in sella su strada pochissimi giorni fa (da Instagram)
Tom Pidcock è tornato in sella su strada pochissimi giorni fa (da Instagram)

Borsa valori in movimento

Quindi Pidcock in calo e Van der Poel in crescita. Anche Celestino condivide l’idea che nei primi appuntamenti di Coppa l’olandese sia arrivato un po’ “ingolfato” o comunque con altri stimoli e magari con molto lavoro nelle gambe.

«Pidcock – riprende il cittì – era più brillante perché doveva guadagnarsi l’ufficialità del posto olimpico e doveva fare punti per non partire troppo indietro. Mentre l’altro aveva meno stress addosso. Van der Poel li sta preparando molto bene questi Giochi, ha un suo percorso. In certi momenti sembrava che lui, ma anche Tom, giocassero. Di contro, dico che Mathieu un po’ questa presenza così forte di Pidcock la accusa. Forse neanche lui se lo aspettava così competitivo e così vincente».

E questa visione può avere un doppio risvolto: far lavorare ancora di più Mathieu o magari indurlo in qualche errore durante la gara per cercare di seguirlo o staccarlo. 

Per Van der Poel la rifinitura per Tokyo passa anche dalle vittorie al Giro di Svizzera
Per Van der Poel la rifinitura per Tokyo passa anche dalle vittorie al Giro di Svizzera

E i nostri?

In tutto ciò un breve sguardo va dato anche in casa azzurri e le news non sono super confortanti.

«Domenica – conclude Celestino – ci sarà la Coppa a Leogang, in Austria, e lì deciderò la mia rosa finale, che poi sostanzialmente è il terzo uomo (Kerschbaumer e Luca Braidot sono praticamente certi di andare a Tokyo, ndr). Ci sono Nadir Colledani, Daniele Braidot che però ha avuto seri problemi alla schiena, e c’è questo giovane, Simone Avondetto che ha mostrato belle cose.

«Kersch si è fatto vedere finalmente la scorsa domenica vincendo gli Internazionali d’Italia in Val Casies. Ha detto di essere un po’ troppo magro e di aver perso un po’ di forza. Io gli ho risposto che a Tokyo manca un mese e mezzo e che ha tutto il tempo per riordinare le cose. E poi quei due là (Van der Poel e Pidcock) vanno forte già da due mesi e sarà dura anche per loro tenere questa condizione per un altro mese e mezzo, o no? Io sono fiducioso!».

L’occhio di Fontana su Pidcock e Van der Poel

24.05.2021
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“Fonzie” non è mai banale. Marco Aurelio Fontana, ex grande biker azzurro, oggi commenta le gare di Coppa del mondo per RedBull Tv e il suo occhio è stato “al servizio per noi”. Con il bronzo di Londra 2012 vogliamo tornare ad analizzare quei due fenomeni che corrispondono ai nomi di Tom Pidcock e Mathieu Van der Poel. 

Marco Aurelio Fontana (37 anni), oggi e-biker e commentatore per RedBull Tv
Marco Aurelio Fontana (37 anni), oggi e-biker e commentatore per RedBull Tv
Marco, Tom e Mathieu: come li ha visti?

Ho visto che vanno fortissimo. E’ vero però che la stagione degli stradisti è stata più corposa. Loro due hanno corso tanto e da tanto tempo. I biker no. In Francia non avevano gare, in Svizzera ne hanno fatte tre in croce, Avancini che viene dal Brasile poco o niente. Ci sta che vanno molto più forte adesso e che abbiano un altro ritmo. Poi che siano forti si sa. Inoltre sono giovani e sono più avvantaggiati da questa situazione.

Cioè?

Cioè che hanno poco più di 20 anni, sono soli, quando sei giovane passi meglio i problemi, come il Covid – fa una pausa Fontana – Penso a Schurter, 35 anni, la famiglia, il contratto da rivedere, un calo (anche se minimo) della sua parabola agonistica… Tutte queste cose incidono. Pidcock ha 15 anni meno di lui. Penso che una volta che Koretzky e Andreassen, giovani anche loro, trovano il ritmo possano fare bene lo stesso.

Analizziamo questi ragazzi. Partiamo da Pidcock…

E’ un fenomeno, gli piace quello che fa e quando è così ti spuntano le ali. Ha vinto in Svizzera la prima gara a cui ha partecipato e poi ha vinto a Nove Mesto, una gara così lenta, con così tanti tratti a piedi non si vedeva da Spa del 2007. In queste situazioni i crossisti come lui e Van der Poel sono avvantaggiati. In più Pidcock pesa poco. E vedere Van der Poel che si lamenta perché uno di lui è più leggero credo sia stata la prima volta. Ma sapete cosa mi colpisce?

Cosa?

Che due anni fa si diceva: ecco, Van der Poel, il numero uno in assoluto, un fenomeno che scalza Schurter. Poi arriva questo inglesino di 5 anni, 15 chili e 20 centimetri in meno dell’olandese e lo mette all’angolo. VdP fortissimo su strada punta alle Olimpiadi in Mtb e Tom dopo Nove Mesto ha detto: sono nato per la Mtb. Ecco, mi stupisce quanto cambi velocemente oggi lo sport.

Tom Pidcock e Mathieu Van der Poel: per Fontana i favoriti a Tokyo
Tom Pidcock e Mathieu Van der Poel: per Fontana i favoriti a Tokyo
Absalon ci ha detto che Pidcock guida molto forte in discesa. Che vada forte ad Albstadt, tracciato tra i meno tecnici, ci sta, ma che vinca nella super tecnica Nove Mesto il discorso cambia…

Vero. Guida forte e per avere 20 anni è molto calmo, rischia il giusto. Sentivo gli enduristi che mi dicevano: va piano. No, dico io, è composto. Questo significa che va per gradi.

E Van der Poel, come lo hai visto?

Tecnicamente è bravo anche lui. Semplicemente adesso non ha quel super ritmo. C’era chi andava più forte e lui non teneva i primi. Sì, faceva delle variazioni di ritmo molto nette su un tratto, ma nel giro era più lento. Tra il suo best lap e quello di Pidcock c’erano quasi 30”.

Pidcock era “costretto” a partire forte perché non aveva punti e doveva farne per non partire troppo indietro a Tokyo, mentre Van der Poel aveva già un posto nelle prime posizioni: magari l’olandese è più imballato perché sta seguendo un altro percorso, forse è in una fase di carico di lavoro. Ci può stare?

Sì, ci può stare. Questo è uno che ad ottobre volava sul Koppenberg, a gennaio dominava a Koksijde e in primavera vinceva la Strade Bianche. lui quando va, va… Mathieu è “on-off”. E’ difficile leggere in lui un percorso di avvicinamento verso un picco di forma. Insomma vince quando è il più forte.

Van der Poel più potente di Pidcock, ma meno brillante nelle prime gare di Coppa
Van der Poel più potente di Pidcock, ma meno brillante nelle prime gare di Coppa
Il percorso di Tokyo chi avvantaggia?

Ammetto che non so molto sul tracciato giapponese, ma Van der Poel è super esplosivo, anche Pid lo è. Se ripenso alla volata che ha fatto (sbagliando) nello short track di Nove Mesto fa paura. Però se proprio dovessi scommettere, a Tokyo punterei su Van der Poel. Di certo sarà una gara più aperta di Nove Mesto.

E invece parlando dei biker puri, chi può contrastarli?

Bella domanda. A Nino manca l’occhio della tigre e infatti vederlo arrabbiato dopo Nove Mesto è stato bello. Koretzky ha fatto una bella gara e se questo lo porti all’ultimo giro non lo togli così. Un conto è una gara di 300 chilometri come la Sanremo e un conto un cross country che dura un’ora e mezza. Però Tom e Mathieu non sono “intelligenti” (occhio a non fraintendermi, specifica Fontana): nel senso che non risparmiano, non limano, non seguono gli altri. No, dai, non ce l’ho un nome oltre loro due tra i biker puri. I favoriti sono Tom e Mathieu.