Bennati “legge” da dentro il poker di Philipsen

12.07.2023
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«L’anno scorso – dice Bennati – l’ho visto vincere a Parigi veramente alla grande. Quest’anno ha vinto l’ultima tappa alla Tirreno, sta crescendo veramente forte. Poi è arrivato secondo alla Roubaix. Questo secondo me è un cagnaccio anche al mondiale».

L’analisi di Bennati

Jasper Philipsen ha appena vinto la quarta tappa su cinque volate disputate e il commissario tecnico della nazionale, che di tappe al Tour se ne intende, lo ha seguito con grande attenzione, visto l’appuntamento di Glasgow che ormai si intravede in fondo al rettilineo. Nella giornata in cui Daniel Oss ha conquistato il numero rosso, le parole di Bennati sono molto interessanti.

«Con le dovute proporzioni – sorride Bennati, mettendo le mani avanti – mi sono rivisto in una volata che ho vinto alla Vuelta nel 2012. La riguardo spesso, perché è uno di quei casi in cui, come si dice fra corridori, non sentivo la catena. A un certo momento a 300 metri dall’arrivo, Philipsen ha smesso di pedalare per due volte, però è rimasto sempre lì. Poi col colpo d’occhio, è riuscito a capire tutte le situazioni. Quando un velocista è al top della condizione, gli va tutto bene. Si ritrova con una grande consapevolezza di se stesso ed è quello che sta capitando anche a lui. E’ nettamente più forte…».

La tappa di Valladolid alla Vuelta del 2012: Bennati ha rivisto le stesse dinamiche in questo finale
La tappa di Valladolid alla Vuelta del 2012: Bennati ha rivisto le stesse dinamiche in questo finale
Ha anche capito dove si apriva la volata, non ha rischiato di rimanere chiuso…

Ha preso la ruota di Van Aert e poi in un attimo ha capito che quella non era la ruota giusta. Quelli sono sforzi che se non hai la gamba, non fai più la volata. Invece lui ha lasciato Van Aert e ha fatto una prima volata per andare nella scia di Groenewegen. E quando è arrivato alla sua ruota, Groenewegen è partito. Lui è stato lì. E quando ha visto il momento giusto, ha accelerato e gli ha pure dato tre bici.

Al Giro dicemmo che Cavendish aveva vinto la volata di Roma, perché non c’erano grossi rivali. Qui ad esempio Jakobsen non è neppure l’ombra di se stesso…

Qui però ci sono tutti gli altri. E’ vero che Jakobsen non va, però io ho guardato le gare che hanno fatto insieme, dal Giro del Belgio e anche qualche classica di lassù, e negli scontri diretti ha vinto quasi sempre lui. Poi c’è Van Aert, che a volte mi fa venire il nervoso…

In che senso?

Va veramente forte, attualmente è il più forte, non si discute. Mi fa venire il nervoso perché non si risparmia mai e non riesce a concludere quello che potrebbe. Forse sono umani anche loro. Se anche sei un fuoriclasse e spendi più del normale, prima o poi la paghi. Secondo me sta succedendo questo. La settimana scorsa ha fatto quella tappa clamorosa il giorno del Tourmalet e poi l’ha pagata. Secondo me non sarebbe normale se lui facesse quegli sforzi e il giorno dopo vincesse anche le tappe.

Quarta vittoria per Philipsen su cinque volate. Per lui anche un secondo posto
Quarta vittoria per Philipsen su cinque volate. Per lui anche un secondo posto
Cosa ti ricordi di quella tappa di Valladolid?

Avevo l’impressione che la bici andasse dove volevo io, quasi la telecomandassi. Non è solamente un fatto di condizione fisica, ma anche di una consapevolezza superiore. Di conseguenza, se sbagli hai la capacità di recuperare lo sbaglio e di anticipare quello che agli altri richiede più tempo.

Lucidità che deriva dalla condizione?

Oggi Philipsen ha dato la dimostrazione di essere il più in forma. E’ chiaro che stamattina, dopo tre tappe vinte, aveva appetito e la consapevolezza di quando sei forte e sai anche che puoi permetterti qualcosa in più. Quindi, dal punto di vista psicologico, lui approccia la volata in modo molto più tranquillo, molto più sereno. Gli altri invece hanno l’ossessione di vincere e di non sbagliare. E quando hai l’ossessione di non sbagliare è la volta che sbagli. E se sbagli una, due o tre volte, la volata non la fai più.

Oss è stato l’ultimo ad arrendersi nella fuga, ma lamenta la poca convinzione dei compagni d’avventura
Oss è stato l’ultimo ad arrendersi nella fuga, ma lamenta la poca convinzione dei compagni d’avventura

La fuga di Oss

Discorsi da velocisti e non da attaccanti. Quante forze ha buttato via oggi Daniel Oss nella fuga? E quanto è diverso correre spargendo energie con il secchio, anziché centellinarle come fanno i velocisti? Il trentino è sul pullman e sotto si sente la voce di Sagan (all’ultimo Tour) che lo prende in giro, perché avrebbe sfruttato la scia di una moto. Ma Daniel nega e l’altro sotto si mette a ridere, dicendo che una moto a lui servirebbe per tirargli le volate.

«Adesso hanno visto che al Tour – ride Oss – ci sono anche io. L’idea era quella di prendere una fuga un po’ più numerosa, perché era chiaro che si volesse arrivare in volata. Ci sono stati un po’ di scatti, sembrava che andassero via quattro o cinque, invece ci siamo ritrovati solo in tre. Siamo andati via pianissimo, perché il gruppo non ci lasciava. E quando ci hanno messo sotto il minuto, il morale è andato sotto zero. Non è che avessi grandi piani, però sapevo che la strada girava verso destra e il vento sarebbe stato favorevole.

Per il trentino arriva il numero rosso: non era una fuga che potesse arrivare, ma si è goduto la giornata
Per il trentino arriva il numero rosso: non era una fuga che potesse arrivare, ma si è goduto la giornata

«Metti che sei anche abbastanza veloce – prosegue Oss – che puoi tenere un’andatura bella alta, tieni duro, no? Da solo riuscivo ad andare davvero forte. Invece si sono rialzati e mi hanno proprio lasciato lì. Si sono staccati perché non volevano e quello un po’ mi ha infastidito. Però alla fine quei chilometri me li sono goduti. C’era tanta gente, è sempre figo, è bellissimo davanti con il pubblico e quel po’ di pioggia che poteva rallentare il gruppo per paura di scivolate. Potevo pensare che sarei arrivato se fossi stato solo negli ultimi 2 chilometri, però mancava ancora tanto, era tutto un work in progress. Se ci riprovo? Non dipende tanto dalla volontà, ma dalle gambe. Il gruppo ha un livello pazzesco, vanno fortissimo, c’è una concorrenza davvero incredibile».

Van Aert facile, facile. E Cattaneo conquista il numero rosso

09.07.2022
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Quando ad una manciata di chilometri dall’arrivo di Losanna Mattia Cattaneo si è rialzato ha pensato alle tappe future. Magari già a quella di domani. «Chissà – racconta il lombardo nelle fasi post gara – Ora cerco di recuperare e domani mattina vi dirò!».

La Planche des Belles Filles ha detto che la gamba di Mattia è buona, ma forse non è quella dell’anno scorso per entrare nella top dieci del Tour de France. E allora tanto valeva andare subito a caccia delle tappe, come ha fatto oggi.

Al tempo stesso, tanto valeva lasciarsi sfilare. Lasciar passare Van Aert, Pogacar e tutti gli altri che si contendevano le loro ruote con la “bava alla bocca”. Tanto valeva iniziare a risparmiare energie.

Cattaneo tra Wright e Frison. Per loro oltre 170 chilometri di fuga
Cattaneo tra Wright e Frison. Per loro oltre 170 chilometri di fuga

Mattia in fuga

Il corridore della Quick Step-Alpha Vinyl oggi si è sciroppato 172 chilometri di fuga.

«Sapevo già dopo 10 chilometri che eravamo partiti che non saremmo arrivati – ha detto Cattaneo – Forse perché ormai sono vecchio e ho una certa esperienza per valutare le cose! Volevo andare in fuga questa mattina, anche se pensavo che la fuga potesse essere più numerosa. Di certo la caduta ha inciso.

«A quel punto era inutile andare a tutta per tutto il giorno. In certe situazioni è il gruppo che decide quando venirti a prendere. Così ho detto ai miei compagni di fuga: “Andiamo regolari, senza ucciderci. Quando sentiamo che il gruppo si “ferma”, spingiamo 10 chilometri a tutta e vediamo come va”. Per arrivare saremmo dovuti giungere ai 4,5 chilometri finali (in pratica all’inizio della salita, ndr) con 2’».

Non è facile continuare a spingere, a pedalare, a fare fatica sapendo di “avere il destino segnato”. Nella testa deve passare di tutto.

«Vengo dall’Androni Giocattoli – ha detto Cattaneo – Gianni (Savio, ndr) mi ha insegnato che bisogna sempre lottare e provarci… Era molto difficile in tre. Ho cercato di provarci nel modo più intelligente possibile senza andare tutto il giorno alla morte, ma spingendo davvero forte solo nel finale».

Crederci sempre e infatti alla fine qualcosa di buono questa fuga lo ha portato. Il classe 1990 è salito sul podio del Tour. Perché? Perché ha indossato il numero rosso di più combattivo. E’ stato tra i promotori della fuga, si è preso i punti sui Gpm e ha contribuito tantissimo all’attacco con Frederik Frison e Fred Wright.

Bettiol (maglia rosa) a tutta durante lo sprint. Per il toscano un incoraggiante quinto posto
Bettiol a tutta durante lo sprint. Per il toscano un incoraggiante quinto posto

L’Italia che resiste

Se vogliamo, l’azione di Cattaneo di oggi è un po’ la foto del ciclismo italiano. E in particolare del ciclismo italiano al Tour. Un numero relativamente basso di corridori che cercano di tenere duro e raccogliere quel che si può.

Caruso dice che è sui suoi valori migliori di sempre, ma sulla Planche incassa 1’12”. Bettiol lotta. Oggi vince la “battaglia” della ruota di Van Aert ma poi non riesce ad andare oltre quelle stesse ruote. Pasqualon dà una mano ai suoi compagni… E poi nulla, o quasi, più. Peccato solo che Moscon sia tornato a casa: il trentino proprio non riesce ad ingranare quest’anno.

Intanto però c’è Cattaneo. L’essersi sfilato nel finale, come detto, è stato qualcosa che va preso di buon occhio.

«Sto bene – dice Mattia – Anzi, onestamente molto bene… Anche ieri sulla Planche sono andato molto forte per le mie caratteristiche. Il mio obiettivo qui in Francia non è mai stato fare classifica, ma vincere una tappa quindi sono fiducioso e contento.

«Il numero rosso un obiettivo? Sarebbe veramente bello portarlo a Parigi. Sicuramente cercherò di fare del mio meglio anche per questo».

I nostri non mollano dunque. E questo è quel che conta. Perché il Tour è lungo e perché la maggior parte di loro non sono ragazzini e potrebbero uscire alla distanza. Potrebbero sfruttare fondo ed esperienza nei confronti di tanti giovani rampanti che ora se la cantano e se la suonano. 

Insomma, cerchiamo di essere ottimisti.

Van Aert come da copione

Per il resto si è vista una tappa abbastanza lineare. La maxi caduta avvenuta nelle fasi iniziali ha inciso sulla fuga. E in modo più specifico sul numero di corridori che la componevano.

Per la Jumbo-Visma e per la BikeExchange-Jayco, le squadre dei favoriti, è stato sin troppo facile gestire la tappa. Tappa che, dopo la caduta, è stata relativamente tranquilla. Lo stesso Pogacar ha ammesso che quella situazione della fuga a tre a loro della UAE Emirates andava bene. E che, anzi, sarebbero stati disposti anche a lasciarla andare all’arrivo.

E quindi? Quindi tutto secondo copione, con Van Aert e Matthews a giocarsi lo sprint. Uno sprint apparentemente vinto senza sforzo da parte di Wout. Poi però guardi Mathews e ti accorgi di quanto sia stata tirata la volata. Infine Pogacar, terzo e con altri 4″ di abbuono nel sacco: se avesse avuto un pelo in più di convinzione magari l’avrebbe vinta lui.

«Ho sfruttato una grande occasione per fare punti – ha detto Van Aert, pensando già più alla maglia verde che alla fresca vittoria – ringrazio la squadra per il lavoro fatto. Il finale? La lotta era prendere la ruota di Pogacar e poi fare il mio sprint». Detto, fatto. Facile… per lui!

Signori, la situazione è questa: ci sono due mostri e tanti campioni. Ma se (e quando) questi due mostri sacri decidono di vincere c’è poco da fare.