Covid e idoneità: cos’è cambiato? Cresce l’attenzione al cuore

11.10.2024
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Il tema della salute resta centrale nello sport e chiaramente anche nel nostro settore, il ciclismo. In questi ultimi anni si sono visti molti casi di atleti costretti a smettere o peggio ancora, che hanno trovato la morte. E’ chiaro che il Covid ci ha messo inevitabilmente lo zampino (e molto di più). Molte cose sono cambiate da allora e la visita d’idoneità sportiva è forse diventata ancora più importante in quanto a prevenzione.

Ne abbiamo parlato con il dottor Nino Daniele, in forza alla Lidl-Trek. Daniele opera nel settore da decenni. Ha un’enorme esperienza e in quanto alle visite d’idoneità in pochi ne sanno quanto lui.

Nino Daniele con Juan Pedro Lopez: il medico romano è da anni nel gruppo della Lidl-Trek
Nino Daniele con Juan Pedro Lopez: il medico romano è da anni nel gruppo della Lidl-Trek
Dottor Daniele, dal Covid alle visite attuali: cosa è cambiato?

Se parliamo di atleti professionisti ci riferiamo subito ad un protocollo e a una tipologia di visita importante di suo, che già era ben strutturata. Rispetto all’era pre-Covid, almeno per quel che riguarda il mio team, non è cambiato nulla. Soprattutto perché da quando ne sono io responsabile, abbiamo sempre fatto visite complete che andavano oltre il protocollo prefissato.

Ci spieghi meglio…

I protocolli indicati dall’UCI di anno in anno non cambiano moltissimo. La base di questi protocolli vuole che oltre agli esami prestabiliti: visita generale, spirometria e analisi delle urine, si debba fare un anno l’ecocardiogramma e un anno l’elettrocardiogramma sotto sforzo. Noi, in Lidl-Trek facciamo ogni anno entrambi gli esami. Questo ci consente di andare ancora più nel profondo, di acquisire più dati ed essere più sicuri. Alcune squadre invece eseguono la normativa UCI, perché ovviamente ci sono anche problemi di costi. Per questo motivo dico che a noi non è cambiato nulla. Già facevamo di più. 

Nei suoi atleti ha riscontrato qualcosa di diverso dopo il Covid?

No, ma questo non significa che le differenze non siano state trovate perché siamo stati bravi a fare le visite in precedenza.

ECG sotto sforzo e soprattutto ecocardiogramma, sono esami ancora più importanti dopo il Covid
ECG sotto sforzo e soprattutto ecocardiogramma, sono esami ancora più importanti dopo il Covid
Semmai perché avete gestito bene i casi di Covid…

In generale è anche una questione di casistica. In letteratura sono stati rilevati molti casi di miocarditi, pericarditi dopo il Covid, alcuni anche gravi come è noto.

Ha parlato di norme UCI, ma queste valgono ovunque?

L’aspetto normativo dell’UCI è uno e vale per tutti, ma alcune Nazioni hanno parametri diversi. Ci sono alcuni stati che non prevedono il certificato d’idoneità agonistica. Per esempio, negli Usa non si è obbligati a presentare un certificato se si vuol gareggiare. Mentre in altri stati, l’Italia in primis, ma anche in Spagna, ad Andorra, in Belgio… è obbligatorio ottenere l’idoneità agonistica se si vuole una tessera. Da noi per la normale visita agonistica di uno sportivo (non professionista, ndr) sotto ai 35 anni bisogna eseguire oltre alla visita generale, l’elettrocardiogramma a riposo, l’elettrocardiogramma dopo sforzo, la spirometria e l’esame delle urine.

Qual è l’esame più importante, specialmente dopo il Covid?

Sicuramente l’ecocardiogramma. Considerando in particolar modo le complicanze che hanno portato soprattutto la prima e la seconda ondata del Covid, questo esame ci permette di andare più a fondo. Di vedere se magari un’eventuale miocardite ha lasciato delle cicatrici. Se queste ci sono vengono evidenziate. Per questo, è un esame fondamentale.

Perché ha parlato di prima e seconda ondata?

Perché all’inizio non si sapeva bene come affrontare questa nuova pandemia. E poi perché man mano anche il corpo umano ha imparato a combatterla autonomamente.

Il Covid ha scombussolato molti equilibri. Per molti team anche le visite d’idoneità, ma non per i ragazzi del dottor Daniele
Il Covid ha scombussolato molti equilibri. Per molti team anche le visite d’idoneità, ma non per i ragazzi del dottor Daniele
Nei cuori dei suoi atleti ha trovato differenze fra prima e post Covid?

Come detto, no. Specialmente nei confronti di atleti di cui dispongo di uno storico abbastanza lungo. Se ci fossero stati dei cambiamenti li avremmo visti. In questo caso, ma si parla più di gente comune, è molto importante avere uno storico e una buona anamnesi del paziente. «Quante volte ha avuto il Covid? E con quale quadro clinico? Com’erano gli esami dopo ogni ondata?». Chiaro che se si hanno dei sospetti perché si rilevano delle aritmie, per esempio, si richiedono degli accertamenti clinici. Oltre agli esami serve esperienza durante la vista e soprattutto è importante poter disporre di un quadro clinico il più completo possibile. 

Ammesso che la domanda sia ben formulata: chi ha preso il Covid ha avuto poi rese inferiori da parte del suo cuore?

Se le miocarditi sono state forti ci potrebbe anche essere un calo di rendimento del muscolo cardiaco, perché resta la cicatrice. Quindi sì: potrebbe essere successo. Quando si esegue un ecocardiogramma ci sono molte formule e tanti parametri che sul momento possono essere okay e poi variare. La medicina non è una scienza esatta a volte alcune complicanze possono emergere dopo una banale influenza, per questo in alcuni casi è anche questione di “fortuna” riuscire a trovare qualcosa per tempo. Noi siamo ancora molto concentrati sul Covid, perché è qualcosa a cui non eravamo preparati e non avevo difese, ma anche un’influenza, come detto, può portare a complicanze mediche.

Alla ricerca del freddo. Ghiaccio ovunque per i corridori

24.07.2022
5 min
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Caldo estremo e corridori sempre più alla ricerca del freddo. Del ghiaccio in particolare. Okay, fa caldo e si va a cercare acqua fresca e ghiaccio, appunto, per rinfrescarsi un po’. Sembra una cosa banale e magari lo è anche, ma cosa succede al nostro organismo? Perché il ghiaccio addosso?

Ne parliamo con Nino Daniele, medico della Trek–Segafredo. Da anni nel settore, Daniele ha esperienza anche in questo campo e ci illustra le pratiche più usate dai pro’ che hanno a che fare con il ghiaccio.

Gaetano “Nino” Daniele è il medico della Trek-Segafredo. Eccolo con Lopez al Giro 2022 (foto Instagram)
Gaetano “Nino” Daniele è il medico della Trek-Segafredo. Eccolo con Lopez al Giro 2022 (foto Instagram)
Dottor Daniele, fa caldo e si mette il ghiaccio, ma cosa succede al corpo umano?

Il ghiaccio serve ad abbassare la temperatura del corpo. Questa si alza con l’esercizio fisico e con le alte temperature, come quelle che stiamo vivendo. La temperatura eccessiva del corpo umano crea delle microlesioni a livello muscolare e per questo si usa il ghiaccio.

Obiettivo quindi abbassare la temperatura…

E’ scientificamente dimostrato che la crioterapia riduce questa risposta infiammatoria del muscolo, riduce anche il dolore e il muscolo stesso è più rilassato. E tutto ciò accelera il recupero. Ci sono studi che evidenziano come si “ricarichino” i mitocondri, che sono un po’ la “centralina del muscolo” nell’erogare l’energia. Ma qui entriamo nel delicato settore della biochimica della contrazione muscolare.

Quando si ricorre al ghiaccio?

Noi vi ricorriamo quando la temperatura supera i 25°C-27°C. Per esempio già al Giro, dove ha fatto molto caldo, ma non così tanto, siamo ricorsi 4-5 volte alle “ice bath”, le vasche di ghiaccio.

Thomas, dopo la tappa un po’ di defaticamento e vasca pronta: obiettivo recupero (foto Twitter)
Thomas, dopo la tappa un po’ di defaticamento e vasca pronta: obiettivo recupero (foto Twitter)
Anche al Tour abbiamo visto che la Quick Step-Alpha Vinyl per esempio aveva un mezzo apposito…

Sì, possono esserci dei mezzi appositi, questo dipende anche dai budget o se si hanno degli sponsor, ma di base basta una piscina gonfiabile con acqua fredda e ghiaccio. Moltissimi team le usano. Noi al Giro per esempio avevamo un normale furgone da ghiaccio per trasporto alimentare con queste “piscinette” all’interno. Se ben ricordo siamo partiti con 400 chili di ghiaccio e altri 300 ne abbiamo ripresi a Pescara. Non ho i dati, ma sono quasi certo che al Tour ne abbiano usati molti di più. Vanno considerati anche i chili che consumano i massaggiatori, per le borracce, i pacchetti che si mettono dietro al collo…

Ci parli di queste vasche…

Ci si sta solo con le gambe per 10 o al massimo 15 minuti. La temperatura poi non è così bassa come si può pensare, è intorno a 16°C. E poi spesso si fa in più di una persona e diventa anche un momento di svago. Sarebbe bene farle il prima possibile dopo lo sforzo, ma tante volte con il trasferimento non si può e allora magari si usano delle apposite calze con del ghiaccio intorno. Sono fatte di un materiale particolare, tipo silicone.

Ecco, hai parlato dei pacchetti dietro al collo. Si usano molto prima del via, ma anche in corsa e non solo per il recupero. E anche i gilet appositi con gli spazi per il ghiaccio…

E’ il pre-cooling e rientra sempre nello stesso discorso del recupero e dell’abbassamento della temperatura, chiaramente. Una volta questa pratica si usava prettamente per le cronometro durante il riscaldamento, adesso viste le alte temperature che ci sono, si usano anche prima delle tappe in linea.

Che poi sembra un controsenso, ci si scalda sui rulli, ma si cerca il freddo…

Ragazzi, con la febbre si sta male. E l’aumento della temperatura come detto non fa bene. Sui rulli si scaldano i muscoli, ma al tempo stesso con i gilet e i ventilatori si cerca di tenere bassa la temperatura corporea. Si cerca uno stato di benessere generale.

La pratica delle vasche di ghiaccio è valida anche in atletica, ecco Farah (campione di mezzofondo)
La pratica delle vasche di ghiaccio è valida anche in atletica, ecco Farah (campione di mezzofondo)
Si quanto si abbassa la temperatura con il ghiaccio dietro al collo e i gilet specifici?

Difficile da valutare, ma credo due, forse tre gradi. Più che altro i corridori lo gradiscono e hanno una sensazione di benessere, come accennavo, di fresco. Lo vediamo anche con l’acqua. Oggi i corridori se la schizzano dappertutto molto più che in passato. 

Ci sono dei corridori che gradiscono particolarmente queste vasche di ghiaccio?

Diciamo che i corridori del Nord Europa sono molto più propensi di quelli mediterranei.

E quelle “bare di freddo”? Quelle con temperature anche di -110°, -130°?

Sono molto costose e meno pratiche da usare. In più nel ciclismo non si usano anche perché serve soprattutto per le gambe e non per tutto il corpo. E comunque anche il metodo più artigianale delle vasche di ghiaccio non è meno efficiente.

Daniele Brambilla Dorelan

Daniele e la vita di un medico al Giro d’Italia

16.05.2021
2 min
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Quest’anno Nino Daniele, medico della TrekSegafredo, non è al Giro, lasciando spazio a un suo collega, ma presto tornerà in carovana, magari per il Tour. Da tanti anni ormai è chiamato a girare il mondo al seguito delle squadre ciclistiche e nel corso della sua carriera ne ha viste davvero di tutti i colori.

Daniele soprattutto conosce bene quale sia la vita del medico al Giro: «C’è da lavorare tutti i giorni h24, è una faticaccia vera perché sai di avere una grande responsabilità: molti pensano che dobbiamo seguire solo gli 8 corridori ma non è così, un team al Giro è un gruppo composito, che vanta almeno 30 persone e tutti si rivolgono a te per qualsiasi problema, non ci sono solo gli eventuali incidenti…».

Il medico è chiamato a gestire il lavoro di massaggiatori, osteopati e delle altre figure?

La loro routine è già stabilita in precedenza e sanno bene quel che devono fare. E’ chiaro che per qualsiasi necessità dobbiamo essere pronti, anche solo per un consulto, per coordinare tutti gli interventi.

Daniele Nizzolo 2018
Nino Daniele insieme a Giacomo Nizzolo ai tempi della sua permanenza alla Trek, anno 2018
Daniele Nizzolo 2018
Nino Daniele insieme a Nizzolo ai temi della Trek, anno 2018
Qual è stato il Giro più difficile che hai affrontato?

Difficile dirlo perché ogni edizione ha avuto le sue peculiarità, ogni giornata può riservare belle o brutte sorprese. Pensandoci mi viene in mente l’edizione del 2005: eravamo alla Discovery Channel con Savoldelli capitano, che poi vinse, ma non parlava inglese. Quindi feci tutto il Giro sull’ammiraglia a fare da interprete. Lavorai più da traduttore che da medico…

Le condizioni peggiori nelle quali hai lavorato?

Ricordo un anno che ci fu pioggia e cattivo tempo per quasi tutta la corsa e col passare dei giorni insorsero malattie respiratorie nei corridori. Con il clima freddo che si prolunga per più giornate, c’è il rischio che si ammali qualcuno e diventa difficile andare avanti. Eppure sapendo gestire la situazione riuscimmo ad evitare l’insorgere di bronchiti. Non dimentichiamo che siamo in presenza di ragazzi giovani, sani.

Il timore maggiore?

Risposta semplice: le cadute. Siamo in ansia tutti i giorni che succeda l’imponderabile, basta un nonnulla e possono accadere guai seri, anche gravissimi. Quando Weylandt è caduto io c’ero, il primo corridore a seguirlo era uno della mia squadra, sarebbe bastato un attimo e il destino avrebbe potuto colpire lui. Infatti fu subito sentito come testimone e ricordo che dovetti scrivere la sua testimonianza sul mio Pc. Oppure una vicenda ben più recente, la rovinosa caduta di Jakobsen in Polonia, uno dei 7 che lo seguivano era della Trek. Le cadute sono la cosa peggiore che possa avvenire, ogni volta abbiamo un sussulto al cuore.