Anni fa c’era una pubblicità che recitava “Una telefonata può salvarti la vita”. Ciclisticamente lo stesso discorso può valere per una vittoria ed è quello che si augura Nicolas Dalla Valle, tornato dall’Asia con un bottino di punti non trascurabile e la speranza che la sua avventura su due ruote nel mondo del professionismo possa andare avanti.
E’ stato un anno sulle montagne russe, quello vissuto dal corridore della Corratec, con tante gare disputate (66), il suo primo Giro d’Italia, ma quel traguardo che non sembrava voler mai arrivare, fino al Tour of Hainan, a quello sprint vincente che ha rasserenato il suo tumultuoso animo. Dalla Valle non ha ancora un contratto per il prossimo anno, il tempo scorre e ogni giorno senza che quel “famoso” telefono squilli (magari anche solo per un messaggio WhatsApp) accresce i dubbi, ma almeno Nicolas, o meglio chi lavora per lui, ha qualcosa di tangibile in mano da mettere sul piatto delle trattative.
«Effettivamente non è stato come lo scorso anno – ammette il ventiseienne di Cittadella – la prima parte dell’anno non ha portato grandi risultati, ma non mi preoccupavo perché era tutto finalizzato verso il Giro d’Italia. La corsa rosa non era semplice per il nostro che è un team piccolo, ma credo di aver dato qualcosa nell’arco delle tre settimane, anche se avrei voluto qualcosa di più. Ero comunque soddisfatto, ma poi sono andato in calando. Al Giro di Slovenia ero cotto e ci ho messo tempo a ritrovare la condizione, arrivata proprio in extremis».
Molti, anche fra coloro che affrontano un grande Giro per la prima volta, dicono che una corsa di tre settimane ti dà una gamba migliore, ma non è stato il tuo caso…
Un effetto è indubbio che ce l’abbia. Il Giro è stato l’apice della mia stagione, ma ci sono arrivato senza una preparazione specifica, ad esempio non ho fatto periodi di altura prima di esso. Alla fine ero contento proprio perché ero stato capace di finirlo, mi ha dato quella sicurezza che prima non avevo perché non sapevo come avrei reagito. E’ una base sulla quale lavorare, oggi saprei come gestirmi perché ho dimostrato di saper reggere i grandi carichi di lavoro e le tre settimane di gara continua.
La tua seconda parte di stagione è vissuta quasi tutta dall’altra parte del globo…
Ho iniziato con il Tour of Qinghai Lake a metà luglio, è una gara molto particolare: 8 giorni a oltre 2.500 metri di altitudine, una trasferta impegnativa. Non sono arrivati risultati eccezionali, ma ho ritrovato un buon feeling e mi accorgevo ogni giorno che passava che andavo sempre più forte. Due mesi dopo, al Taihu Lake era una corsa a tappe che univa vari circuiti, non è la mia formula di gara preferita perché non sono un velocista puro, ma mi adatto e alla fine è servita anche quella. Ad Hainan, dove ho ritrovato percorsi adatti alle mie caratteristiche, ho trovato la sintesi e il risultato è finalmente arrivato.
Che impressione hai tratto dopo un così lungo periodo in Cina, che cosa ti è rimasto impresso?
E’ un mondo completamente diverso dal nostro, dove regna una enorme fiscalità. Tutto pulito, tutto sempre nella norma, mai qualcosa fuori dalle righe. Alla lunga resti colpito, senti che manca qualcosa, che non c’è alcun tipo di flessibilità e io resto convinto che in certi casi possa aiutare. L’ordine prestabilito va bene, ma sempre con la lente del buon senso…
La trasferta asiatica è però importante per team come il vostro…
Direi fondamentale. Prima il calendario era ridotto per forza di cose, c’erano meno gare dove potersi esprimere, per portare a casa buoni risultati e soprattutto punti fondamentali anche per la stessa sussistenza del team. Ora invece ci sono blocchi di gare molto ricchi e intensi, che valgono la trasferta. Dove la trovi in Europa una gara a tappe di 8 giorni, che non sia del WorldTour?
Proprio le gare a tappe sembrano ormai il tuo teatro di gara principale, quest’anno le corse d’un giorno per te sono meno di una decina.
Le corse a tappe sono la mia dimensione ideale proprio per quel discorso di recupero e crescita giorno dopo giorno. Fisicamente sono corse dove ci sono più opportunità per emergere proprio per uno come me, veloce ma non specialista. In salita riesco spesso a tenere, quindi si profilano occasioni proficue quando gli sprinter puri rimangono attardati. Le gare d’un giorno mi piacciono, ma per certi versi sono più un terno al lotto.
E ora?
Ora spero che tutto il lavoro fatto porti qualche frutto. So che il mio procuratore ci sta lavorando, contatti ci sono e conto che entro un mese arrivi una risposta certa, anche perché il tempo scorre e c’è la nuova stagione da preparare. Io comunque mi farò trovare pronto per i primi ritiri, ovunque siano e con chiunque siano.
Qual è stato il momento più bello della stagione?
Non è semplice trovare una risposta, ma quando insegui a lungo una vittoria, soprattutto per chi non la raggiunge così spesso come i campionissimi attuali, se la raggiungi è qualcosa che ti resta dentro, nel profondo. A me comunque anche la chiusura del Giro ha regalato grandi sensazioni, perché era un traguardo affatto scontato alla vigilia.